mercoledì 27 gennaio 2016

PESSIMO USO DEI SEGNI EVANGELICI

Stessa città, Roma. Stessa piazza, quella del Pantheon, dove sabato scorso migliaia di persone hanno manifestato per i diritti civili. Tre giorni dopo, primo pomeriggio, su quella stessa fontana si sente recitare l'Ave Maria. Butti l'occhio, vedi alcune persone in piedi che pregano con un megafono. "Renzi-Boschi, diritti incivili", si legge su uno striscione. Capisci subito che è un sit-in, forse sentinelle in piedi, contro le unioni civili. Ma non è la legittima manifestazione a colpire l'attenzione: sono le preghiere, l'Ave Maria, il Padre Nostro. Parole che siamo abituati a sentire fin da bambini, e che richiamano alla mente tutt'altro: valori di misericordia, accoglienza, spiritualità. Questa volta no, questa volta suonano contro qualcuno: contro le "altre famiglie", quelle diverse dall'idea di queste persone. Le famiglie formate da persone dello stesso sesso.Quello che stride non è la protesta, ma lo strumento, l'utilizzo di parole che "significano" e "valgono" per centinaia di milioni di persone. Sono le preghiere che ora suonano come schiaffi sordi, come un sussurro razzista che si nasconde dietro il Vangelo, come una volontà di escludere chi viene considerato diverso. Difficile trovare qualcosa di più estraneo alla cultura e allo spirito cristiano dell'uso di una preghiera per discriminare qualcuno. Forse bisogna tornare indietro, al Ku Klux Klan, a quelle croci bruciate davanti alle case dei neri americani prima che lo Stato di diritto avesse il sopravvento fino a cancellare le discriminazioni, almeno sulla carta. È triste il ritorno di questo uso dei simboli religiosi contro qualcuno. Ed è molto distante dall'idea di Chiesa di Papa Francesco.

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