mercoledì 30 marzo 2016

Franz Kafka

<<Bisognerebbe leggere, credo, soltanto i libri che mordono e pungono. Se il libro che leggiamo non ci sveglia con un pugno in testa, a che serve leggerlo?>>

Johan Cruijff

<<Meglio perdere con le proprie idee che con quelle di un altro.>>

lunedì 28 marzo 2016

LA DENUNCIA DI FRANCESCO E DI MALALA

"...ieri, nel Pakistan centrale, la Santa Pasqua è stata insanguinata da un esecrabile attentato, che ha fatto strage di tante persone innocenti, per la maggior parte famiglie della minoranza cristiana – specialmente donne e bambini – raccolte in un parco pubblico per trascorrere nella gioia la festività pasquale. Desidero manifestare la mia vicinanza a quanti sono stati colpiti da questo crimine vile e insensato, e invito a pregare il Signore per le numerose vittime e per i loro cari. Faccio appello alle Autorità civili e a tutte le componenti sociali di quella Nazione, perché compiano ogni sforzo per ridare sicurezza e serenità alla popolazione e, in particolare, alle minoranze religiose più vulnerabili. Ripeto ancora una volta che la violenza e l’odio omicida conducono solamente al dolore e alla distruzione; il rispetto e la fraternità sono l’unica via per giungere alla pace. La Pasqua del Signore susciti in noi, in modo ancora più forte, la preghiera a Dio affinché si fermino le mani dei violenti, che seminano terrore e morte, e nel mondo possano regnare l’amore, la giustizia e la riconciliazione. Preghiamo tutti per i morti di questo attentato, per i familiari, per le minoranze cristiane e etniche di quella Nazione..."
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La premio Nobel per la Pace pakistana Malala Yousafzai ha scritto su Twitter: "Sono sconvolta da un crimine insensato che ha colpito gente innocente. Sono vicina alle famiglie delle vittime. Condanno questo attacco nei termini più forti. Siamo al fianco delle famiglie delle vittime. Il Pakistan ed il mondo intero devono rimanere uniti. Ogni vita è preziosa e deve essere rispettata" 

Padre Pierre Riches

<<Il Cristo ci porta due grandi speranze: una per questa terra e una dopo la morte. Ci insegna come dobbiamo vivere e agire. Mi torna in mente “il discorso della Montagna”, lo si trova sia in Matteo che in Luca. Ci spiega che è solo amando che possiamo vivere bene e ci dice che amare vuol dire dare e perciò anche rinunciare. Solo così possiamo rompere la catena degli egoismi e delle paure...Divenni cristiano perché il cristianesimo è molto appagante dal punto di vista intellettuale e totalmente liberatorio dal punto di vista esistenziale. Ho girato il mondo, insegnato in molte università, sono stato parroco e cappellano. Ho conosciuto e frequentato molta gente. Non ho mai avuto sensi di colpa per la mia vita. E ho sempre pensato che la mia fede poggiasse su due cardini: l’amore come sprone ad agire e la comunione con Dio e il prossimo come scopo di vita.>>

domenica 27 marzo 2016

ASCOLTARE LA PAROLA

Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro. Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!». Maria invece stava all’esterno, vicino al sepolcro, e piangeva. Mentre piangeva, si chinò verso il sepolcro e vide due angeli in bianche vesti, seduti l’uno dalla parte del capo e l’altro dei piedi, dove era stato posto il corpo di Gesù. Ed essi le dissero: «Donna, perché piangi?». Rispose loro: «Hanno portato via il mio Signore e non so dove l’hanno posto». Detto questo, si voltò indietro e vide Gesù, in piedi; ma non sapeva che fosse Gesù. Le disse Gesù: «Donna, perché piangi? Chi cerchi?». Ella, pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: «Signore, se l’hai portato via tu, dimmi dove l’hai posto e io andrò a prenderlo». Gesù le disse: «Maria!». Ella si voltò e gli disse in ebraico: «Rabbunì!» – che significa: «Maestro!». Gesù le disse: «Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma va’ dai miei fratelli e di’ loro: “Salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro”». Maria di Màgdala andò ad annunciare ai discepoli: «Ho visto il Signore!» e ciò che le aveva detto. (Gv 20, 12.1118)

Gesù non ha uno schema da seguire, né delle convenzioni da rispettare. Egli sceglie Maddalena, la donna salvata e perdonata, come prima testimone e messaggera della sua risurrezione. A sua volta, Maddalena ha scelto Cristo come grande Amore che ne riscatta la vita. Questo incontro personale presso il sepolcro vuoto, rivela nuovamente che il cristianesimo non è una religione di pratiche e di leggi, ma un Amore che ci guarda e ci sceglie; un Amore desiderato, cercato, incontrato e perseguito. Gesù risorto e vivo, ancora ama ed è amato.

sabato 26 marzo 2016

“O Croce di Cristo!”
Preghiera del Santo Padre recitata durante la Via Crucis del Venerdì Santo al Colosseo
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O Croce di Cristo, simbolo dell’amore divino e dell’ingiustizia umana, icona del sacrificio supremo per amore e dell’egoismo estremo per stoltezza, strumento di morte e via di risurrezione, segno dell’obbedienza ed emblema del tradimento, patibolo della persecuzione e vessillo della vittoria.

O Croce di Cristo, ancora oggi ti vediamo eretta nelle nostre sorelle e nei nostri fratelli uccisi, bruciati vivi, sgozzati e decapitati con le spade barbariche e con il silenzio vigliacco.

O Croce di Cristo, ancora oggi ti vediamo nei volti dei bambini, delle donne e delle persone, sfiniti e impauriti che fuggono dalle guerre e dalle violenze e spesso non trovano che la morte e tanti Pilati con le mani lavate.

O Croce di Cristo, ancora oggi ti vediamo nei dottori della lettera e non dello spirito, della morte e non della vita, che invece di insegnare la misericordia e la vita, minacciano la punizione e la morte e condannano il giusto.

O Croce di Cristo, ancora oggi ti vediamo nei ministri infedeli che invece di spogliarsi delle proprie vane ambizioni spogliano perfino gli innocenti della propria dignità.

O Croce di Cristo, ti vediamo ancora oggi nei cuori impietriti di coloro che giudicano comodamente gli altri, cuori pronti a condannarli perfino alla lapidazione, senza mai accorgersi dei propri peccati e colpe.

O Croce di Cristo, ti vediamo ancora oggi nei fondamentalismi e nel terrorismo dei seguaci di qualche religione che profanano il nome di Dio e lo utilizzano per giustificare le loro inaudite violenze.

O Croce di Cristo, ti vediamo ancora oggi in coloro che vogliono toglierti dai luoghi pubblici ed escluderti dalla vita pubblica, nel nome di qualche paganità laicista o addirittura in nome dell’uguaglianza che tu stesso ci hai insegnato.

O Croce di Cristo, ti vediamo ancora oggi nei potenti e nei venditori di armi che alimentano la fornace delle guerre con il sangue innocente dei fratelli.

O Croce di Cristo, ti vediamo ancora oggi nei traditori che per trenta denari consegnano alla morte chiunque.

O Croce di Cristo, ti vediamo ancora oggi nei ladroni e nei corrotti che invece di salvaguardare il bene comune e l’etica si vendono nel misero mercato dell’immoralità.

O Croce di Cristo, ti vediamo ancora oggi negli stolti che costruiscono depositi per conservare tesori che periscono, lasciando Lazzaro morire di fame alle loro porte.

O Croce di Cristo, ti vediamo ancora oggi nei distruttori della nostra “casa comune” che con egoismo rovinano il futuro delle prossime generazioni.

O Croce di Cristo, ti vediamo ancora oggi negli anziani abbandonati dai propri famigliari, nei disabili e nei bambini denutriti e scartati dalla nostra egoista e ipocrita società.

O Croce di Cristo, ti vediamo ancora oggi nel nostro Mediterraneo e nel mar Egeo divenuti un insaziabile cimitero, immagine della nostra coscienza insensibile e narcotizzata.

O Croce di Cristo, immagine dell’amore senza fine e via della Risurrezione, ti vediamo ancora oggi nelle persone buone e giuste che fanno il bene senza cercare gli applausi o l’ammirazione degli altri.

O Croce di Cristo, ti vediamo ancora oggi nei ministri fedeli e umili che illuminano il buio della nostra vita come candele che si consumano gratuitamente per illuminare la vita degli ultimi.

O Croce di Cristo, ti vediamo ancora oggi nei volti delle suore e dei consacrati – i buoni samaritani – che abbandonano tutto per bendare, nel silenzio evangelico, le ferite delle povertà e dell’ingiustizia.

O Croce di Cristo, ti vediamo ancora oggi nei misericordiosi che trovano nella misericordia l’espressione massima della giustizia e della fede.

O Croce di Cristo, ti vediamo ancora oggi nelle persone semplici che vivono gioiosamente la loro fede nella quotidianità e nell’osservanza filiale dei comandamenti.

O Croce di Cristo, ti vediamo ancora oggi nei pentiti che sanno, dalla profondità della miseria dei loro peccati, gridare: Signore ricordati di me nel Tuo regno!

O Croce di Cristo, ti vediamo ancora oggi nei beati e nei santi che sanno attraversare il buio della notte della fede senza perdere la fiducia in te e senza pretendere di capire il Tuo silenzio misterioso.

O Croce di Cristo, ti vediamo ancora oggi nelle famiglie che vivono con fedeltà e fecondità la loro vocazione matrimoniale.

O Croce di Cristo, ti vediamo ancora oggi nei volontari che soccorrono generosamente i bisognosi e i percossi.

O Croce di Cristo, ti vediamo ancora oggi nei perseguitati per la loro fede che nella sofferenza continuano a dare testimonianza autentica a Gesù e al Vangelo.

O Croce di Cristo, ti vediamo ancora oggi nei sognatori che vivono con il cuore dei bambini e che lavorano ogni giorno per rendere il mondo un posto migliore, più umano e più giusto.
In te Santa Croce vediamo Dio che ama fino alla fine, e vediamo l’odio che spadroneggia e acceca i cuori e le menti di coloro preferiscono le tenebre alla luce.

O Croce di Cristo, Arca di Noè che salvò l’umanità dal diluvio del peccato, salvaci dal male e dal maligno! O Trono di Davide e sigillo dell’Alleanza divina ed eterna, svegliaci dalle seduzioni della vanità! O grido di amore, suscita in noi il desiderio di Dio, del bene e della luce.

O Croce di Cristo, insegnaci che l’alba del sole è più forte dell’oscurità della notte. O Croce di Cristo, insegnaci che l’apparente vittoria del male si dissipa davanti alla tomba vuota e di fronte alla certezza della Risurrezione e dell’amore di Dio che nulla può sconfiggere od oscurare o indebolire.


Amen!

BUONA PASQUA !

Signore Gesù,

noi ti ringraziamo

per la gloria della tua risurrezione;

ti ringraziamo per averci riuniti insieme;

ti ringraziamo perché tu sei in noi

la lode perfetta del Padre.

Ti ringraziamo perché tu sei in noi

la giustizia perfetta verso i nostri fratelli;

tu sei colui che in noi

continuamente risana la nostra ingiustizia,

diffidenza, paura.


Carlo Maria Martini

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Carissimi,
in un tempo storico in cui l'eco dei tragici eventi di un'Europa ferita ci interpella sul significato dell'essere "Umanità in relazione", riscopriamo ancora di più l'importanza della nostra chiamata di Cristiani nuovi e risorti, oltre le paure, i limiti, le differenze, l'odio, i rancori ... Buona Pasqua nel Cristo Risorto, che in sé raccoglie e supera, nel mistero della Croce, l'assurdità e il grido di morti vigliacche, assurde, incomprensibili, oneste, nobili, recise nel fiore degli anni, ma nella Fede mai inutili.
Auguri di Buona Pasqua, con i nostri Fratelli di Bruxelles, con i nostri Fratelli migranti e con quei Fratelli, che per la presunzione di un fanatismo religiosi o per bassi calcoli economici, non sanno di esserlo.   
Un forte abbraccio a tutti! 
Daniela con Agostino

venerdì 25 marzo 2016

ASCOLTARE LA PAROLA

I Corinzi 13, 8
di Paolo Ribet
Nella parte centrale dell’inno di I Corinzi 13, l’apostolo Paolo enumera le qualità dell’agape. È quello che è stato definito l’identikit dell’amore. Ne aveva colto il senso profondo e la forza il teologo tedesco D. Bonhoeffer, il quale invitava la sua comunità a chiedersi «chi è questo amore?»: «Chi è questo amore, se non colui che da solo ha sopportato, creduto, sperato tutto, e che ha dovuto soffrire tutto fino alla croce? […] Che ancora sulla croce ha pregato per i nemici, e così ha vinto totalmente il male? Chi è questo amore, di cui Paolo qui ha parlato, se non Gesù Cristo stesso? Chi s'intende qui, se non Lui? Quale segno sta al di sopra di tutto questo passo, se non la croce?». La domanda, dunque, non è che cos’è l’amore, ma chi è.

Subito dopo questa descrizione, al versetto 8, l’apostolo Paolo fa la grande affermazione che «l’amore non verrà mai meno»: tutto passa, tutto svanisce e solo l’agape resta e supera anche la cortina oscura della morte. L’amore supera tutti i confini del tempo perché rappresenta la realtà stessa di Dio che si dona per noi. Tutti i doni elencati nei versetti precedenti svaniranno (perfino la fede e la speranza), in quanto essi sono per l’oggi, per il tempo del provvisorio. Quando verrà la pienezza, rimarrà soltanto l’agape – perché «Dio è agape» (I Giov. 4,8).

Annunciare la Pasqua e la resurrezione non significa, dunque, parlare del ritorno in vita di un morto, ma dell’anticipazione del mondo nuovo di Dio. È in Cristo, infatti, che noi possiamo conoscere l’amore che «non verrà mai meno», quella dimensione della realtà di Dio che supera tutti i confini.

Noi siamo chiamati a vivere già oggi la resurrezione rivestendoci di Cristo e percorrendo così la «via per eccellenza» (I Cor. 12,31).


PECCATORI

 Com'è possibile che coloro che esercitano un ministero (minus), un servizio, abbiano potuto essere considerati (e siano ancora considerati) come dei notabili, degli uomini da rispettare, degli uomini il cui onore, talvolta da loro stessi calpestato, sia salvato a tutti i costi? C'è una sacralizzazione del clero che nuoce, molto più dell'anticlericalismo, alla Chiesa, all'eucaristia, alla missione della Chiesa nella società...“Non chiamate «padre» nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste” (Mt 23,9). Ma la loro sacralizzazione è contraria alla fede e pericolosa. Quante volte i preti si sono presi per il buon Dio? Sapevano e sanno quello che Dio pensa. Ancora recentemente, un confratello parigino scriveva su La Croix che è Cristo che parla quando un prete pronuncia l'omelia. Questa espressione è più che infelice, è falsa secondo la tradizione, insostenibile teologicamente. Ed è un prete che rende la sua parola inattaccabile. Pensiero e funzionamento perverso narcisistico che organizzano il sistema perché niente gli resista, niente lo contraddica. Se si aggiunge che queste persone del servizio si sono arrogate il potere, siamo al colmo dell'inganno. Si definiscono perfino “magistero” quelli che sono minus, che esercitano il ministero. I preti devono rivendicare solo il servizio. Il problema è che è più facile da dire che da vivere. Lo sappiamo tutti, il servizio non si preoccupa della riuscita dell'esistenza, di sapere se si è felici, se si è soddisfatti o no. Il servizio non dà nessun diritto. Coloro, donne e uomini, che sono obbligati dalla loro condizione sociale ad essere a servizio, sono spesso considerati zero. Servi, inutili: espressioni intercambiabili, non indispensabili. La scarsità del clero ha invece contribuito non poco a rendere i preti più indispensabili. Possiamo sperare che ci siano meno preti criminali che preti semplicemente servi, che fanno quello che devono fare e si mettono da parte. Il cammino del servizio per alcuni, per molti, richiede tanta conversione! Non è forse solo così che è possibile presiedere le assemblee in nome di Gesù, mettendosi da parte? Non si può parlare a nome della Chiesa se non scomparendo dietro di lei che ci ha incaricato di portare la sua voce. Non ci sono preti che non siano peccatori, e questo peccato dovrebbe tenerci lontano da qualsiasi vanto. Non è miserabilismo, questo, ma necessità per la vita della Chiesa e per l'annuncio del Vangelo. Commemoriamo Gesù servitore che lava i piedi dei discepoli. “Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. Vi ho dato infatti l'esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi” (Gv 13,14-15). È la vocazione nostra, di tutti noi, discepoli di Gesù. È la vocazione nostra, di noi preti, perché tutta la comunità si inginocchi ai piedi dell'umanità.
di Patrick Royannais in “www.baptises.fr” del 24 marzo 2016

GIOVEDI' SANTO ALLE PIAGGE CON DON SANTORO

Una coppia omosessuale, padri di due figlie, una donna africana, due bambini del quartiere, una rom musulmana, due rom storici ortodossi senza permesso di soggiorno, due mamme del Comitato No Inceneritore, una donna in cura per ludopatia, un disoccupato. Saranno tutti intorno all'altare, nella messa del Giovedì Santo, per la lavanda dei piedi durante la messa alla comunità delle Piagge, in piazza Ilaria Alpi e Miran Hrovatin (ex via Lombardia), quartiere alla periferia di Firenze. A celebrarla Don Alessandro Santoro, prete e fondatore della comunità che ha aperto le porte a tutti, senza discriminazioni. Don Santoro, in passato, qui ha battezzato bambini con due padri o due madri, accolto famiglie arcobaleno e portato avanti una battaglia per i diritti delle coppie gay. "La lavanda dei piedi, dove Gesù si spoglia delle sue vesti, si mette il grembiule, si inginocchia davanti ai "piccoli" e scalzandoli lava i piedi, facendosi servo di tutti sarà un momento molto importante - dice Don Santoro - potrà essere un momento in cui, qui in una periferia come la nostra, cerchiamo di liberarci dalle paure che ci attanagliano, soprattutto in un momento come questo, e con tutto ciò che sta accadendo di brutto nel mondo". "La Chiesa - continua Don Santoro - è chiesa quando ha come compagni di viaggio chi si trova disorientato, umiliato o messo da parte". La messa alla comunità delle Piagge sarà celebrata alle 21.15. "Credo sia molto importate - aggiunge il prete - poter costruire una cultura religiosa ma anche non religiosa, di fraternità". Soprattutto in una quartiere spesso definito "difficile" come quello delle Piagge. "Accoglieremo le persone di questa comunità - dice Don Santoro - condivideremo il pane con questi compagni di vita".
in “firenze.repubblica.it” del 23 marzo 2016 

giovedì 24 marzo 2016

" DUE GESTI "

"Siamo tutti fratelli che vogliono vivere in pace", ha detto Papa Francesco a Castelnuovo di Porto celebrando la messa in Coena Domini davanti ai profughi del Cara. "I gesti parlano più delle immagini e delle parole. Nella parola di Dio che abbiamo letto ci sono due gesti: Gesù che serve, che lava i piedi, lui che era il capo lava i piedi ai suoi, ai più piccoli. Secondo gesto: Giuda che va dai nemici di Gesù, da quelli che non vogliono la pace con Gesù, a prendere denaro".
"Anche qui oggi ci sono due gesti. Tutti noi, insieme: musulmani, indi, cattolici, copti, evangelici ma fratelli, figli dello stesso Dio che vogliamo vivere in pace. Integrati. Un gesto". Una considerazione forte che porta il Papa a ricordare un gesto di segno opposto, gli attentati di Bruxelles: "Tre giorni fa un gesto di guerra, di distruzione in una città dell'Europa. È gente che non vuole vivere in pace, ma dietro quel gesto come dietro Giuda c'erano altri. Dietro Giuda c'erano quelli che hanno dato il denaro perché Gesù fosse consegnato. Dietro quel gesto ci sono i trafficanti di armi che vogliono la guerra, non la fratellanza".

Zygmunt Bauman

«Identificare il “problema immigrazione” con quello della sicurezza nazionale e personale, subordinando il primo al secondo e infine fondendoli nella prassi come nel linguaggio, significa aiutare i terroristi a raggiungere i loro obiettivi. Prima di tutto, secondo la logica della profezia che si auto-avvera, infiammare sentimenti anti-islamici in Europa, facendo sì che siano gli stessi europei a convincere i giovani musulmani dell’esistenza di una distanza insormontabile tra loro. Questo rende molto più facile convogliare i conflitti connaturati alle relazioni sociali nell’idea di una guerra santa tra due modi di vivere inconciliabili, tra la sola vera fede e un insieme di false credenze. In Francia, per esempio, malgrado non siano più di un migliaio i giovani musulmani sospettati di legami con il terrorismo, per l’opinione pubblica tutti i musulmani, e in particolare i giovani, sono “complici”, colpevoli ancor prima che il crimine sia stato commesso. Così una comunità diventa la comoda valvola di sfogo per il risentimento della società, a prescindere dai valori dei singoli, da quanto impegno e onestà questi mettano in gioco per diventare cittadini».
«I governi non hanno interesse a placare le paure dei cittadini, piuttosto alimentano l’ansia che deriva dall’incertezza del futuro spostando la fonte d’angoscia dai problemi che non sanno risolvere a quelli con soluzioni più “mediatiche”. Nel primo genere rientrano elementi cruciali della condizione umana come lavoro dignitoso e stabilità della posizione sociale. Nel secondo, la lotta al terrore. Non c’è dubbio sul ruolo che la comunità musulmana deve giocare per combattere la radicalizzazione, dobbiamo comprendere però che solo la società nel suo insieme può sradicare la minaccia comune. Le prime armi dell’Occidente nella lotta contro il terrorismo sono inclusione sociale e integrazione».

Confucio

<<La nostra gloria più grande non sta nel non cadere mai, ma nel risollevarci sempre dopo una caduta.>>



Jean-Paul Sartre

<<L'uomo è ciò che egli fa per essere.>>


martedì 22 marzo 2016

SE VOCAZIONE E SINDROME DI DOWN COINCIDONO

Le Piccole Sorelle Discepole dell’Agnello sono una piccola comunità di consacrate, fondata a Buxeuil (in Francia) nel 1985, riconosciuta canonicamente nel 1990 dall’arcivescovo di Tours, poi stabilitasi a Le Blanc nel 1995 e infine eretta come istituto religioso di vita contemplativa dall’arcivescovo di Bourges, nel 1999. Tale istituto religioso, che riceve l’assistenza spirituale dai monaci dell’abbazia benedettina di Fontgombault – nelle vicinanze della quale si trova la comunità –, è stata fondata con il sostegno e l’incoraggiamento di Jérôme Lejeune, il pediatra e genetista francese le cui ricerche di laboratorio hanno scoperto il collegamento con anomalie cromosomiche come la Trisomia 21 (Sindrome di Down), si tratta della prima comunità in cui si offre alle giovani trisomiche (affette da sindrome di Down) la possibilità di realizzare la propria vocazione religiosa, sostenute da una minoranza di sorelle prive di tale anomalia cromosomica. Le religiose trascorrono la giornata adeguandosi al medesimo ritmo, condividendo gli impegni secondo le attitudini di ciascuna: lavori di tessitura, di filato, arazzi, scultura su legno, e così via.
Secondo le parole della superiora, la ragion d’essere di questo istituto religioso è di “consentire a quelle che si trovano ‘all’ultimo posto’ nel mondo di svolgere nella Chiesa il ruolo eccezionale di spose di Cristo, e di permettere a quelle di cui è disprezzata l’esistenza – al punto da essere in pericolo a causa della cultura della morte – di testimoniare attraverso la loro consacrazione il Vangelo della Vita”.
Le Piccole Sorelle Discepole dell’Agnello seguono la “piccola via” di santa Teresa del Bambino Gesù (1873-1897), con un marcato influsso tratto dalla Regola e dal carisma benedettino, particolarmente nel connubio dell’ora et labora. La loro vita semplice è costituita di preghiera, lavoro e sacrificio. Insieme, le sorelle insegnano alle piccole sorelle portatrici di handicap i compiti manuali necessari al loro sviluppo, uniti all’adorazione eucaristica, all’Ufficio e alla recita del Rosario, con il loro proprio ritmo e secondo le loro capacità. Ogni giorno partecipano alla Messa e ricevono l’eucaristia, vivendo nel silenzio e nella preghiera e meditando la Sacra Scrittura.
Ha scritto, Santa Teresa di Lisieux: «Ho capito che ogni fiore creato da Lui è bello, che lo splendore della rosa e il candore del giglio non attenuano il profumo della violetta o la dolce semplicità della margherita. Ho capito che se tutti i fiorellini desiderassero essere rose, la natura non sarebbe più ravvivata da tanti bei colori. Così è nel mondo delle anime, nel giardino vivente di Nostro Signore».
Ed è proprio in questo giardino che si trova la Comunità delle Piccole suore che, «permette a coloro che sono all’ultimo posto nel mondo, disprezzati al punto di dover temere per la propria vita, di rivestire l’eccezionale ruolo di spose di Cristo e  di testimoniare con la loro consacrazione il Vangelo della Vita».

ACCOGLIENZA? DIALOGO? FEDE?...BOH!!!

L’accoglienza è giusta, le preghiere musulmane in chiesa no. Due parroci di Pistoia progettano di stendere tappeti vicino all’altare per consentire ai rifugiati musulmani di pregare rivolti verso la Mecca, ma il vescovo della città, Fausto Tardelli, il giorno dopo blocca tutto. Correggendo la linea dei due sacerdoti. «Che problema c’è, se vogliamo fare vera accoglienza e integrazione, non ha senso farli pregare in uno scantinato. Chi vorrà, potrà pregare dentro la chiesa, hanno solo bisogno di orientarsi verso la Mecca», aveva annunciato sabato scorso don Massimo Biancalani, il parroco di Santa Maria Maggiore a Vicofaro, zona ovest di Pistoia. Lo stesso parroco che assieme a don Alessandro Carmignani e all’associazione “Virgilio-città futura” sta predisponendo un progetto d’accoglienza per 18 profughi nelle tre parrocchie pistoiesi di Marliana, Vicofaro e Ramini. Il vescovo Tardelli però richiama adesso entrambi con una lettera: «La doverosa, necessaria e rispettosa accoglienza delle persone che professano altri culti e religioni - scrive - non si fa offrendo spazi per la preghiera all’interno delle chiese destinate alla liturgie e all’incontro con la comunità cristiana». Un no cortese quanto netto al progetto di don Biancalani, intenzionato a spingere l’accoglienza fino a stendere i tappeti «dalla parte dell’ingresso a nord», dentro la chiesa di Vicofaro. Ma se l’accoglienza è giusta e benvenuta, la condivisione dei luoghi di culto proprio no: per la preghiera «si possono trovare benissimo altri spazi e altri luoghi ben più adatti e più rispettosi anche di chi ha un’altra fede», scrive il vescovo. I motivi? «Sono tanti e talmente ovvi che non è necessario nemmeno richiamarli», insiste il vescovo. Come l’ha presa don Biancalani? È lo stesso vescovo Tardelli a dare conto del cambio di rotta, nella lettera inviata ai due parroci e poi resa pubblica: «I sacerdoti coinvolti in questa vicenda hanno ribadito che il loro pensiero e la loro volontà di apertura agli immigrati sono stati travisati, visto che non è assolutamente loro intenzione creare situazioni di confusione che non aiutano certo l’accoglienza. E sono ben consapevoli della necessità di agire in questo campo con grande attenzione e rispetto».
in “la Repubblica” del 21 marzo 2016 
Bruxelles, Sant'Egidio: "Colpita la capitale d'Europa; dolore e solidarietà per le vittime. Restare uniti e lavorare per la pace"

Oggi due terribili attentati hanno colpito Bruxelles, capitale del Belgio e cuore d'Europa, causando numerose vittime. Il terrorismo continua la sua folle corsa verso l'orrore, uccidendo innocenti e spargendo paura. In questi momenti di dolore il primo pensiero va alle vittime, ai feriti e ai loro familiari, così duramente colpiti e provati dalla follia suicida dei terroristi.
Dopo Parigi, Beirut, Bamako, Ouagadougou, Grand Bassam, Istanbul, Tunisi e tante altre città, è la volta della capitale d'Europa, che incarna le speranze dell'unità e della pace. Il terrore vuole ferire la convivenza e il sogno di unire paesi e popoli. Vuole inquinare il clima sociale, istillare la paura, portarci a reagire secondo logiche violente che alimentino odio e separazione. Non cediamo a tale progetto. Restiamo uniti. Solo l'unione, quella sognata dai padri fondatori d'Europa, può preservare la nostra vita e il nostro futuro.

C'E' ANCORA SPAZIO?


don Luigi Ciotti

"Significano il grido forte che si alza da un Paese dominato da mafia e corruzione, parassiti di un sistema che si autoalimenta e che costringe milioni di persone a vivere sotto la soglia di povertà. Ma voglio anche dire che, se dopo tanti anni siamo ancora qui a parlare della potenza della mafia, vuol dire che il processo di liberazione non è ancora terminato e c'è da fare un grande lavoro di mobilitazione delle coscienze perché nessuno si rassegni agli abusi di potere, alla corruzione, all'evasione fiscale. Anche perché è un momento in cui ci sono alcune cose che mi preoccupano"

lunedì 21 marzo 2016

Accordo Ue - Turchia, un colpo di proporzioni storiche ai diritti umani

Secondo Amnesty International, il "doppio linguaggio" collettivo dei leader europei non riesce a nascondere le enormi contraddizioni dell'accordo siglato venerdì 18 marzo, tra Unione europea e Turchia sulla gestione della crisi dei rifugiati.

"Il doppio linguaggio con cui è stato ammantato l'accordo non ce la fa a celare l'ostinata determinazione dell'Unione europea a girare le spalle alla crisi globale dei rifugiati e a ignorare i suoi obblighi internazionali" - ha dichiarato John Dalhuisen, direttore del programma Europa e Asia centrale di Amnesty International.

"Le promesse di rispettare le norme internazionali ed europee appaiono sospette, una zolletta di zucchero sulla pillola di cianuro che la protezione dei rifugiati in Europa è stata appena costretta a inghiottire" - ha proseguito Dalhuisen.

"Le garanzie sullo scrupoloso rispetto del diritto internazionale sono incompatibili con lo strombazzato ritorno in Turchia, a partire dal 20 marzo, di tutti i migranti irregolari arrivati sulle isole greche. La Turchia non è un paese sicuro per i migranti e i rifugiati e ogni procedura di ritorno sarà arbitraria, illegale e immorale a prescindere da qualsiasi fantomatica garanzia possa precedere questo finale già stabilito"  - ha concluso Dalhuisen.

Sergio Mattarella e Papa Francesco

<<La tentazione di alzare muri, di erigere barriere di filo spinato, di rifugiarsi in un illusorio isolamento presente in parte nella stessa opinione pubblica europea, oltre che moralmente
inaccettabile, è del tutto inefficace. Soltanto la cooperazione può governare questo fenomeno, facendo prevalere le ragioni della luce su quelle dell’oscurità. L’emergenza che ogni giorno, da tempo, porta migliaia di persone a rischiare la propria vita e quella dei propri cari per mare e per terra, in condizioni disperate è figlia della povertà, dell’instabilità dello sviluppo precario e delle guerre, tutti fenomeni ancora oggi purtroppo presenti in diverse Regioni del pianeta.>>



“Tanti non si assumono responsabilità sul destino dei rifugiati”, si rammarica il Papa. Una frase accorata, pronunciata lasciando da parte per un attimo il testo scritto, diventa grido d’allarme per la sorte dei profughi. A Gesù «viene negata ogni giustizia» e «prova sulla sua pelle anche l’indifferenza perché nessuno vuole assumersi la responsabilità del suo destino», scandisce Francesco a San Pietro nell’omelia della domenica delle Palme. E, dopo alcuni secondi di silenzio, aggiunge a braccio: “Penso a tanta gente a tanti emarginati, a tanti profughi a tanti rifugiati", per i quali "non vogliono assumersi la responsabilità del loro destino."

Apertura a tutti del pensiero ebraico

Ci sono eventi nella storia che per una insolita bizzarria del destino sembrano rincorrersi
apparentemente senza nessi. Correva l'anno 1554, periodo di insensata controriforma in tutta Europa. Le cronache arrivate fino a noi riportano due devastanti incendi. A loro modo terribili.
Entrambi destinati ad essere ricordati. Uno divampò nella ridente cittadina olandese di Eindhoven,
che fu rasa al suolo da un rogo capace di incenerire ogni cosa. L'altro, invece, fu pianificato a Roma. Nella centralissima piazza di Campo dei Fiori fu allestita una pira con tutti i manoscritti del Talmud esistenti nel ghetto, ritenuti portatori di idee scellerate e pericolose. Da quel momento in tutta Italia partirono altri roghi. Oscurantismo e persecuzioni impigliate nella quotidianità delle cronache di quel periodo. Il Talmud veniva incenerito con un editto firmato da Giulio III, tipico pontefice rinascimentale, generoso verso i parenti, amante dei piaceri, dedito ai banchetti, al teatro, alla caccia e alla soppressione delle idee giudicate dannose per la retta fede. Erano tempi della Controriforma, e fu così che in Italia la tradizione dello studio di questo poema giuridico che consiste nelle verbalizzazioni delle discussioni degli studiosi della Torah a Babilonia, venne pesantemente colpita dalla persecuzione della Chiesa. La distruzione del Talmud divenne uno dei fini delle politiche papali del periodo. Lo studio del manoscritto divenne materialmente impossibile, fino a che cessò di esistere del tutto come fatto popolare. A distanza di quasi cinque secoli, proprio a Roma, il Talmud riprende vita. La Comunità ebraica dopo anni di lavoro è riuscita a portare a termine uno dei più complessi e ambiziosi progetti per la diffusione della cultura ebraica: la traduzione in lingua italiana del Talmud.
in “Il Messaggero” del 20 marzo 2016

In ebraic  si chiama Torah she beal peh, «Torah che sta sulla bocca». Ma la tradizione orale dei figli
d’Israele è un immenso corpus scritto, redatto lungo una catena di secoli. Il suo cuore è il Talmud, parola ricavata da una radice che significa «imparare» e «insegnare»: «ho imparato molto dai miei maestri», dice un rabbino, ma ho imparato di più dai miei allievi».
Di Talmud ne esistono due, uno di Gerusalemme e uno di Babilonia, che è quello per antonomasia, arrivato intorno al V-VI secolo nella sua forma attuale: 5422 pagine fitte. Summa di fede scritta in due lingue, ebraico e aramaico, il Talmud contiene prima di tutto materiale legale, ma non è estraneo a nessun campo dell’antico sapere, dall’astronomia alla medicina. La sua forma è quella del verbale di discussione, di un «domanda e risposta» che parte dal versetto biblico e procede all’infinito. Testo aperto per eccellenza, il Talmud si legge con un metodo non dissimile da quello della pagina web con i suoi rimandi, cioè i link, in un continuo cammino di interpretazione. 
in “La Stampa” del 20 marzo 2016

venerdì 18 marzo 2016

COMUNICATO STAMPA DI "PAX CHRISTI ITALIA"

Il Consiglio nazionale di Pax Christi, riunito a Firenze il 12-13 marzo scorso, ha condiviso la testimonianza del vescovo ausiliare Caldeo di Baghdad, mons. Shlemon Warduni che in diversi incontri ad Ambivere (Bg), Brescia, Trento, Bolzano e Novara ha raccontato la sofferenza della sua gente e denunciato la follia della guerra e i grandi interessi nella vendita di armi, anche da parte dell’Occidente e dell’Italia a Paesi, come l’Arabia Saudita, che sappiamo essere tra i primi sostenitori dell’Isis.

La guerra è un affare di armi, dietro i terroristi e le numerose bande armate c’è una rete di giganteschi interessi e di enormi complicità.

La Libia è in guerra da anni: una guerra geopolitica ed economica promossa da Francia, Gran Bretagna e Italia, con la supervisione strategica degli Stati Uniti e la presenza della Nato, per il controllo delle risorse e del “bottino libico” depositato nelle bancheeuropee.

Le recenti dichiarazioni governative contrarie a un intervento militare diretto possono aprire spiragli di luce, ma le condizioni di una guerra in Libia, disastrosa per tutti, sono di fatto tutte operanti: schieramento di forze, basi militari, droni a Sigonella, vendita di armi, decretogovernativo sui corpi speciali, campagna mediatica negli Stati Uniti e in Europa, aspirazioni egemoniche di molti Paesi in contatto con bande armate locali…

Ribadiamo ancora una volta la nostra opposizione a un intervento bellico in nome di:

  • una politica lungimirante attenta ai popoli dell’Africa e del Medio Oriente;
  • una “sicurezza comune” europea che non usi i migranti, vittime delle guerre da noi sostenute, per scatenare nuove guerre;
  • un’Europa unita e libera da logiche neocoloniali e da ossessioni nazionaliste escludenti;
  • una sovranità del diritto (ribadita anche da papa Francesco alle Nazioni Unite);
  • un ruolo centrale autonomo dell’ONU che non deve lasciare spazio ad altri organismi, ad alleanze equivoche o alla Nato.
In sintonia con le diverse manifestazioni italiane contro la guerra in Libia (cui abbiamo aderito), chiediamo alla politica di operare nel rispetto della Costituzione, ritenendo che l’impegno per la pace non sia, come ha detto l’ex Presidente Giorgio Napolitano in Senato, un “ingannare l’opinione pubblica e sollecitare un pacifismo di vecchissimo stampo che non ha ragione di essere nel mondo di oggi”.

Riteniamo importante nello stesso tempo risvegliare la presenza attiva della Chiesa italiana per il disarmo, la prevenzione delle guerre, la formazione alla pace e alla nonviolenza,la promozione di gesti significativi a favore di una comunità cristiana disarmata e disarmante.

Firenze, 15 marzo 2016 Pax Christi Italia

Eduardo De Filippo

<<'a vita è tosta e nisciun' t'aiuta. O meglio c'sta chi t'aiuta, ma una volta sola... pè putè di': "T'aggio aiutato".>>

don Bosco

<<Guai a chi lavora aspettando le lodi del mondo: il mondo è un cattivo pagatore e paga sempre con l'ingratitudine.>>

mercoledì 16 marzo 2016

TRE ANNI CON FRANCESCO:una piccola rassegna di commenti e di indicazioni di fede.

Francesco è un papa riformista, il cambiamento è già in atto e lentamente scava nel profondo del Popolo di Dio

Non è facile riassumere i primi tre anni del papato di Jorge Mario Bergoglio: tanti i gesti e le parole che, dal 13 marzo 2013, hanno colpito l’immaginario collettivo. Sicuramente il primo anno di pontificato è stato a dir poco travolgente e tanti lo definirono ‘rivoluzionario’. Oggi, a distanza di tempo, il ministero di Bergoglio si profila piuttosto come ‘riformista’. Anche per questo il papato di Francesco guarda lontano e non all'immediato, convinto del fatto che primo compito di un vescovo di Roma sia quello di salvaguardare l’unità della Chiesa. Collegialità e sinodalità sintetizzano il suo stile di governo. Bergoglio non cambierà marcia, perché rischia di passare alla storia come ‘una bella meteora luminosa’. Il cambiamento da lui impresso è già in atto. E, passo dopo passo, scava nel profondo il popolo di Dio.                                                                                                 (dal blog Quotidiano nazionale di Giovanni Panettiere)

Francesco innova la pastorale ma non tocca la dottrina

Al terzo anno dall'elezione di Francesco a vescovo di Roma conviene sottolineare alcune sue caratteristiche decisive: l’insistenza sulla misericordia, per comprendere il mistero di Dio e fare della Chiesa una madre amorosa, abbandonando quel volto di matrigna che per troppo tempo l’ha caratterizzata; la volontà di riformare la “pastorale”, lasciando però immutata la dottrina; la consapevolezza che il baricentro della Chiesa si sta spostando al Sud del mondo, per guardare dal punto di vista degli impoveriti.
Cambiando la rotta della barca di Pietro al soffio di questi venti, era inevitabile qualche scossone. E così qualcuno lo considera un nocchiero imprudente, altri lo criticano per scelte ritenute gattopardesche, e molti altri entusiasti: atteggiamenti variegati che segnano anche lo stesso episcopato e il collegio cardinalizio. E' comunque convinzione che, dopo il ciclone Bergoglio, venuto “dalla fine del mondo”, nulla sarà più come prima nella Chiesa romana, chiamata a profondissimi cambiamenti.
Hans Küng, teologo molto critico nei confronti dell'istituzione cattolica, proponeva a Francesco di riaprire il dibattito sul dogma dell'infallibilità papale, sostenendo che la sua permanenza impedisce di attuare le desiderate riforme e che il vero ostacolo è l’”infallibilismo”: cioè la pretesa della Curia romana che i fedeli obbediscano “come se” il papa fosse sempre “infallibile”. Per superare l’impasse, Francesco cerca di dare un’interpretazione “liberal” di pronunciamenti papali antichi e recenti, lasciandone però immutato il cuore dottrinale. Bypassando questi, e altri, nodi irrisolti, all'alba del suo quarto anno Francesco prosegue la sua ardita navigazione.                                  Luigi Sandri [“Trentino”, 14.3.16]


Papa Francesco, la solitudine del maratoneta


Tre anni dopo l’elezione più che domandarsi a che punto è il Papa bisogna chiedersi dove sta la Chiesa cattolica. I cantieri aperti da Bergoglio sono sotto gli occhi di tutti e hanno avuto l’effetto di scuotere equilibri centenari. Francesco costruisce una Chiesa meno monarchica e più collegiale: un esempio di pluralismo e inclusività.
Francesco ha iniziato un’opera di pulizia nello IOR: regole precise, antiriciclaggio, controllo di appalti e di bilanci delle singole amministrazioni della Santa Sede.
Francesco è il primo pontefice ad avere processato per pedofilia un arcivescovo-diplomatico vaticano e ad aver istituito un tribunale speciale per perseguire gli abusi sessuali nelle loro diocesi.
Francesco ha iniziato una riforma della Curia con un nuovo approccio pastorale nella tematica sessuale, lanciando l’idea di mettere le donne in posti di responsabilità nella Chiesa. Dialoga con i non credenti ed è il primo pontefice ad aver scritto un enciclica (sull'ecologia) dove i dati scientifici aiutano le scelte del cristiano in nome del Vangelo non mettendo in cattedra la “dottrina”.
Francesco ha iniziato a nominare vescovi, scegliendoli tra persone non carrieriste, immerse nella vita parrocchiale di ogni giorno, e ha rilanciato la presenza internazionale del Vaticano sulla scena internazionale.
Ma il fatto che salta agli occhi mentre inizia il quarto anno del suo pontificato è l’enorme resistenza che l’apparato ecclesiastico gli oppone nella Curia romana e negli episcopati sparsi per il mondo. E’ una resistenza che nasce dal tradizionalismo, dal conservatorismo più angusto, dalla paura del nuovo, dal comodo attaccamento alla routine, da una visione dottrinaria del cristianesimo, dal rifiuto della maggioranza di preti e vescovi di assumere uno stile di vita povero, abbandonando quello di funzionari del sacro.
Muovere questo corpo in direzione di una riforma radicale, che scuota dalle strutture e dalle pratiche della Chiesa “duecento anni di polvere” – come disse il cardinale Martini – è un’operazione faticosissima, e Bergoglio è sostanzialmente solo, nel senso che solo una minoranza nella Chiesa lo sostiene concretamente. La stragrande maggioranza dei fedeli lo applaude, ma resta a guardare.
Manca dal basso un forte movimento di vescovi, preti, teologi, fedeli impegnati, come invece è accaduto durante il concilio Vaticano II, quando in molte parti della Chiesa si manifestavano iniziative di sostegno attivo alla svolta riformatrice.  Così prosegue la sua corsa nella solitudine del maratoneta.                                                                                                                                           (
dal blog di Marco Politi)

Intervista a Vito Mancuso, a cura di Adriana Comaschi – l’Unità 14 marzo 2016


Professore, qual era stata la sua prima impressione su questo Papa?
«Immagini cosa significò vedere quest’uomo arrivato «dalla fine del mondo», che sceglie il nome di Francesco, che si dichiara vescovo di Roma invece che sommo Pontefice. Ero commosso».
Bergoglio viene visto come un Pontefice rivoluzionario, condivide?
«Bisogna distinguere tra un Papa Francesco che parla al mondo, profeta, da un Papa Francesco pastore, governatore, che parla alla Chiesa. E' l’unico leader mondiale che parla di giustizia, di uguaglianza, di difesa dei diritti degli ultimi, potremmo dire “di sinistra”. E poi c’è la sua testimonianza personale, perché si è leader anche per quello che si fa e Bergoglio ha una grandissima coerenza: tutta la sua vita lo dimostra».
E il Francesco «pastore»?
«E' un dato di fatto che vi sia molta scontentezza in alcuni settori conservatori della Chiesa, anche tra il clero giovane. Il rischio allora è che non riesca a essere altrettanto rivoluzionario nella sua azione interna. Faccio un esempio: su laici e donne ha detto bellissime parole di apertura, se per il sacerdozio delle donne la Chiesa cattolica non è ancora matura si cominci allora a discutere concretamente di diaconato femminile, di cui parla anche il Nuovo Testamento».
Deve però scontrarsi con resistenze molto forti, non crede?
«Certo, c’è una frattura nella Chiesa tra chi vorrebbe rimanesse identica a se stessa e chi accetta il cambiamento. Basti pensare alla distanza definita ancora “incolmabile” tra la dottrina della Chiesa e la prassi dei fedeli in materia di etica sessuale. Ma la forza del suo pontificato si misurerà anche sul fronte interno».
l’International Movement We Are Church nel terzo anniversario dell’elezione di Papa Francesco

Francesco è riuscito ad avviare a livello mondiale un nuovo “aggiornamento”.
Nel breve periodo dei soli tre anni del suo pontificato papa Francesco ha indicato una nuova strada da seguire. Dopo la precedente eccessiva enfasi sulla ortodossia, l’attenzione è stata spostata sulla ortoprassi Ciò significa impegno concreto per i poveri di tutto nel mondo, in linea con lo spirito più autentico del Vangelo. Francesco ha dato nuova autorità al papato che ora viene percepito come una autorità morale anche al di fuori della cristianità. Soprattutto apprezziamo il superamento dell’eurocentrismo di prima. Francesco parla di pace in una ottica globale in questo mondo vicino ad una “terza guerra mondiale “. Non Papa Francesco, ma il Vaticano, i cardinali e i vescovi devono ora devono lasciare il tradizionale immobilismo e seguirlo, proponendosi soprattutto di ispirarsi al Concilio.
Il movimento We Are Church è molto preoccupato per il fatto che molte domande di riforma sono fortemente contrariate da parte di molte autorità ecclesiastiche con grave danno per tutta la Chiesa. Ecco perché è così importante che tutte le forze del cambiamento sappiano fortemente collaborare tra di loro per riforme urgenti e necessarie. Per realizzarle i principali responsabili sono i vescovi. Francesco sceglie consapevolmente la “via sinodale”, invece di prendere decisioni “dall'alto”.
Roma, 13 marzo 2016
L’Associazione Viandanti, la Conférence catholique des baptisé-e-s francophones (CCBF – Francia)  e il Forum Européen des Comités Nationaux des Laïcs (FEL – Belgio), insieme celebrano il terzo anniversario dell’elezione di papa Francesco . 
Tre anni! Tre anni da questo invito fatto dal nuovo papa: “Fratelli e sorelle, buonasera! Voi sapete che il dovere del Conclave era di dare un Vescovo a Roma. [...]. E adesso incominciamo questo cammino: Vescovo e popolo. Questo cammino della Chiesa di Roma, che è quella che presiede nella carità tutte le Chiese”.
Dal 13 marzo 2013, il cammino è iniziato su sentieri nuovi e, a volte, difficili.
Noi, fedeli di Cristo,...
1. Ascoltiamo l’invito di Papa Francesco a proseguire il processo, iniziato dal Concilio Vaticano II, per mettere il mistero della Chiesa in dialogo con il mondo contemporaneo.
2. Accogliamo con favore l’avvento di una pastorale adeguata ai problemi del nostro tempo. Siamo lieti per la forte ripresa del tema della misericordia di Dio, che sposta l’attenzione sulla realtà delle persone e della loro storia.
3. Accogliamo con grande speranza l’ampio lavoro di riforma della Chiesa per una maggiore sinodalità – cioè il “camminare insieme” dei laici, dei pastori e del Vescovo di Roma – per la “decentralizzazione”. E' un diverso modo di esercitare il primato:“Papa non sta, da solo, al di sopra della Chiesa; ma dentro di essa come Battezzato tra i Battezzati e dentro il Collegio episcopale come Vescovo tra i Vescovi”.
4. Prendiamo atto con soddisfazione del ritorno alla centralità del popolo di Dio; dell’accento posto sul servizio della gerarchia e l’uso di un nuovo linguaggio nel quale dominano i riferimenti evangelici che fondano la fede, piuttosto che le ingiunzioni moralistiche.
5. Accogliamo con speranza il nuovo slancio, manifestato dal Vescovo di Roma, per la realizzazione dell’unità della Chiesa, come auspica la Evangelii gaudium: accogliere come un dono “quello che lo Spirito ha seminato” anche nelle altre Chiese.
6. Ascoltiamo la nostra Chiesa, che in nome del Vangelo, denuncia tutte le strutture di peccato, sente il grido dei poveri e sostiene le esigenze di liberazione. Vogliamo contribuire alla cura della casa comune (il nostro pianeta) attraverso una continua conversione personale, la denuncia dell’idolatria del denaro, della cultura dello scarto e della mondanità spirituale.
7. Accanto alle nostre speranze, ci sono preoccupazioni.La prima è l’estrema lentezza con cui viene affrontata la questione del ruolo delle donne nella Chiesa: la loro assenza in posti di responsabilità decisionale è il segno, nella Chiesa, di un’autoreferenzialità maschile. La seconda riguarda certi mormorii ininterrotti contro il papa, che non possono essere ridotti alla semplice espressione di divergenze, ma che utilizzano, anche all'interno della gerarchia, uno stile tipico della stampa scandalistica e della fronda politica, fino a ipotizzare il rischio di uno scisma.
8. In questo anniversario, vogliamo ribadire il nostro impegno con il Vescovo di Roma. Il nostro futuro sta nella “tabella di marcia”, ispirata alla Bibbia e consegnata da papa Francesco al Popolo di Dio, un popolo di uomini e di donne, nel quale i carismi donati dallo Spirito sovrabbondano.

10 marzo 2016



Intervista a Luigi Accattoli a cura di Francesco Iacobini in “L'Azione” - settimanale della Diocesi di Fabriano-Matelica – del 12 marzo 2016


Una parola che riassuma ciascuno di questi tre anni. Quale sceglieresti?
Per il 2013 direi la parola “uscire”: è l’anno dell’esortazione, dov'è formulato il programma del Pontificato: “La riforma della Chiesa in uscita missionaria”. Per il 2014, “parresìa”: è l’anno del primo Sinodo sulla famiglia, che Francesco vuole come occasione di libera e piena discussione in vista di “scelte pastorali coraggiose”. Per il 2015, “misericordia”: è l’anno dell’annuncio e dell’avvio del “Giubileo straordinario della Misericordia”.
Con Bergoglio la preoccupazione pastorale sembra diventata preminente rispetto ai problemi dogmatici. Questo incide su tante cose, no?
Sì, è così. Credo che apparirà più chiaro domani. Da cardinale, Bergoglio aveva affermato con audacia il convincimento che “pastorale non si oppone a dottrinale ma lo comprende” e che “il titolo di pastore include quello di maestro”. Prevedo che il Papa arriverà presto a formulare in termini magisteriali questo criterio, che guida sotto traccia la sua tenace opera di sganciamento dalla dominante dottrinale. La caduta delle pregiudiziali rende possibile l’annuncio. Ovvero: mira a renderlo possibile. Che poi questo si realizzi, è altra storia.
Francesco è spesso presentato da media e osservatori come un Papa di sinistra, ma queste definizioni hanno senso nelle cose di Chiesa?
Non trovo nulla di male se qualcuno lo considera di sinistra, nel senso di più attento alla dimensione sociale dell’annuncio cristiano, o più riformatore, purché non si utilizzi tale categoria con riferimento agli schieramenti parlamentari. 
La riforma della Chiesa sta producendo qualche frutto, o ciò che prevale è la buona stampa di cui il Papa gode?
E’ presto per vedere i frutti, sia per la madre di tutte le riforme che è quella dell’uscita missionaria, sia per il cantiere delle riforme istituzionali. Le riforme curiali e canoniche sono necessariamente lente e che procedano lentamente anche sotto Francesco è un segno di serietà. Quelle di struttura sono solo abbozzate, ma arriveranno e immagino che saranno forti.
C’è chi sottolinea che in Francesco l’uomo venga prima del prete e del vescovo. E’ un aspetto rilevante?
Sì, perché relativizza l’importanza delle figure ecclesiastiche e valorizza il ruolo dei cristiani comuni. Inoltre, Bergoglio ha interesse per l’incontro da uomo a uomo, anche quando non c’è in gioco l’elemento cristiano. In ciò il Papa è favorito dalla formazione gesuitica: i gesuiti non si pensano come gerarchia e da sempre guardano più fuori che dentro all'orto della Chiesa.
In questo guardare fuori dall'orto può esserci il rischio di qualche strumentalizzazione da parte di un certo mondo culturale e politico?
Direi che al Papa interessa interloquire con chi ha un ruolo dominante nella comunicazione di massa e nel dibattito culturale. Non si identifica. Ma vuole mostrare alla comunità cattolica che è possibile parlare con loro. Anzi, che è necessario.
E sul rapporto tra Francesco e le vicende italiane? Che idea ti sei fatto?
Francesco ha un legame di spontanea familiarità con le folle che incontra nelle città italiane. Ma ha un rapporto difficile con l’episcopato e con il clero del nostro Paese, perché è il portatore principe della tradizione clericale che vuole smantellare.
E il futuro meno vicino come lo vedi?
Vedo il procedere dell’opera di riforma, che sarà portata avanti da Francesco e da chi verrà dopo, tenendo conto che il papato è uscito dall'Europa e non ha avuto paura di decentrarsi nelle latitudini più lontane e insieme più giovani e vivaci della Terra.










martedì 15 marzo 2016

Preti sposati: Non si tratta sempre di problemi legati al vincolo celibatario

Per la teologia cattolica il carattere indelebile dell’Ordinazione Sacerdotale  rende il prete che abbandona il ministero, un sacerdote per sempre.
“Oggi tante persone abbandonato ogni pregiudizio mostrano una certa sensibilità e comprensione nei confronti di quanti con coraggio lasciano il ministero.
Le cause remote degli abbandoni sono molto varie. Esse vanno da situazioni particolari, a situazioni di instabilità affettiva, a crisi di fede, a conflittualità con i superiori, al sentirsi costretti in una struttura che “toglie il respiro”, la depressioni, ai limiti personali, a impreparazione o a mancanza di formazione affettiva/sessuale, carente nei seminari e infine a incapacità di superare problematiche psicologiche.
Non si tratta sempre di problemi legati al vincolo celibatario. Per molti che poi si sposano, può essere questa la causa prossima che consiste in un innamoramento nei confronti di una donna.
Presa coscienza di una o più cause, che, quindi, maturano nel tempo, o costretto da una situazione che non è mai improvvisa, il prete lascia. L’abbandono spesso avviene dopo più di 10 anni di ministero…
E’ certo che la mancanza di professionalità e di titoli di studio specifico, possono vietare a dei preti di fare il passo dell’abbandono e che, quindi, possono esserci dei preti che permangono nell’incertezza e forse anche nell’ipocrisia. Oggi, inoltre, con il sostentamento del clero, voluto dalla revisione del Concordato, viene assicurato a tutti i preti e, quindi, anche al sacerdote giovane, appena ordinato uno stipendio, mentre nella società civile, molti giovani, anche se laureati e con dottorati di ricerca, sono, in questo periodo di crisi, destinati alla disoccupazione.Avere, quindi, la certezza, di uno stipendio, frena indubbiamenteogni desiderio di intraprendere una vita destinata alla miseria.Tuttavia qualche volta – e si moltiplicano questi casi che meritano di essere attentamente studiati – vi sono oggi anche dei preti giovani che nel primo o secondo anno dell’ordinazione lasciano il ministero. La maggior parte dei sacerdoti che hanno lasciato, da quel che mi risulta, hanno trovato una dignitosa sistemazione nei settori più svariati. Essi hanno un impiego o un’attività professionale.
Molti Vescovi non si interessano dei preti sposati e non esiste nessuna pastorale per loro. Negli ultimi tempi qualcosa, però, sta cambiando. Risulta, infatti, che parecchi di essi, se dispensati dagli obblighi sacerdotali, sono stati accolti da qualche vescovo per svolgere incarichi ecclesiali e per insegnare religione o, comunque, per lavorare in istituzioni dipendenti dall’autorità ecclesiastica. Si tratta, però, di casi sporadici, che speriamo siano seguiti da altri vescovi.
Ci sono dei preti sposati che volontariamente svolgono delicate mansioni nella formazione dei giovani e – nessuno si meravigli – nella formazione permanente del clero o nell’aiuto ai sacerdoti in difficoltà.
Per abolire l’obbligo del celibato per i preti occorrerebbe, innanzitutto, che la Chiesa abbandoni la sessuofobia, riveda non solo a parole la misoginia, che se anche, negli ultimi tempi è resa più stemperata, è ben presente e occultata nelle pieghe più profonde dell’anima clericale e non solo. E poi, sarebbe necessaria una ristrutturazione organizzativa totale del vivere e delle attività dei preti, l’abolizione dei seminari e l’indipendenza economica di chi esercita il ministero.
(testo rielaborato dalla redazione)
per approfondire segnaliamo il libro di Léon Laclau “Per amore di una donna escluso dalla Chiesa” ed. IMGPress 2015.

Versi di Shakespeare per i rifugiati

"Vedere gli stranieri derelitti, coi bambini in spalla, e i poveri bagagli, arrancare verso i porti e le coste in cerca di trasporto". Sembra una descrizione attuale del dramma dei rifugiati. E' invece un'accorata difesa dei diritti di chi fugge da fame, guerre e persecuzioni scritta più di 400 anni fa da William Shakespeare, riscoperta in questi giorni proprio sull'onda dell'attenzione internazionale sulla crisi dei migranti. Il passaggio è contenuto nel manoscritto del "Sir Thomas More". Il dramma non è mai stato rappresentato ed è sopravvissuto in un’unica copia: si tratta dell’ultimo testo scritto a mano dal celebre poeta conservatosi fino ai nostri giorni.  "Immaginate di vedere gli stranieri derelitti, coi bambini in spalla, e i poveri bagagli, arrancare verso i porti e le coste in cerca di trasporto", recita uno dei passi del secondo atto. Shakeaspeare si riferisce ai tanti francesi protestanti che in epoca elisabettiana chiedevano asilo in Inghilterra: il numero sempre crescente di questi stranieri portò alla nascita di proteste anti-immigrazione nella città di Londra. Rileggendo quelle parole oggi, però, è impossibile non pensare ai migranti che dalla Siria e dal Nord Africa rischiano le loro vite per raggiungere l’Europa. William Shakespeare tenta, nelle sue pagine, di creare una certa empatia tra il suo pubblico e gli stranieri. Chiede agli spettatori di immaginare se stessi nella situazione di queste persone. "Se il Re vi bandisse dall’Inghilterra dov’è che andreste?", chiede il poeta. "Che sia in Francia o Fiandra, in qualsiasi provincia germanica, in Spagna o Portogallo, anzi, ovunque non rassomigli all'Inghilterra, orbene, vi troverete per forza a essere degli stranieri". E poi continua, rivolgendosi ancora a chi attacca i migranti: "Vi piacerebbe allora trovare una nazione d'indole così barbara che, in un'esplosione di violenza e di odio, non vi conceda un posto sulla terra, affili i suoi detestabili coltelli contro le vostre gole, vi scacciasse come cani, quasi non foste figli e opera di Dio, o che gli elementi non siano tutti appropriati al vostro benessere, ma appartenessero solo a loro? Che ne pensereste di essere trattati così? Questo è ciò che provano gli stranieri. Questa è la vostra disumanità". È incredibile accorgersi che un testo scritto 400 anni fa possa essere tanto attuale, ma queste parole confermano l'immortalità di William Shakespeare. Il poeta inglese parlò di sentimenti universali, in cui i lettori possono riconoscersi a distanza di secoli: l'amore, l'odio, la vendetta, la gelosia, la pietà. Il manoscritto di Sir Thomas More, che sarà mostrato al pubblico il prossimo 15 aprile in occasione di una mostra alla British Library dedicata a Shakespeare, è l’ennesimo esempio di come la storia si ripeta: le migrazioni sono sempre esistite, causando gli stessi sentimenti in ogni epoca

QUANDO LA VIOLENZA E' DI SERIE B...

Preso a calci e pugni fino a essere ridotto in gravissime condizioni.Vittima della brutale aggressione un cittadino del Bangladesh di 37 anni che nella notte tra sabato e domenica camminava a piedi in via dei Levii, al Quadraro, a Roma.

Lo straniero, padre di due figli, è ancora ricoverato all’ospedale Vannini in terapia intensiva e in coma farmacologico. Per le percosse ha riportato un’estesa emorragia cerebrale.

Le indagini sono ancora in corso ma, a quanto ricostruito dalla polizia, l’uomo stava tornando a casa quando, per sua sfortuna, ha incrociato un 25enne italiano, che al volante della sua auto ubriaco e con la patente sospesa, è prima finito contro alcune macchine in sosta poi contro un palo.
Poi,non contento, è sceso dal veicolo, si è avvicinato minaccioso all'extracomunitario che aveva assistito alla scena e, in preda a un raptus, lo ha preso a calci e pugni fino a lasciarlo in fin di vita sull’asfalto.

Arrivati sul posto gli agenti di Polizia, hanno individuato il presunto colpevole nel capannello di soccorritori e lo hanno arrestato con l’accusa di tentato omicidio, grazie soprattutto alle diverse testimonianze che hanno permesso di ricostruire nel dettaglio l' accaduto.

Una reazione improvvisa, una scarica di rabbia e prepotenza, che non trova nessuna giustificazione. Una storia bruttissima, che non ha avuto la giusta rilevanza sui media: ma cosa sarebbe successo se fosse stato un italiano la vittima di un raptus di violenza da parte di uno straniero? Come avrebbero titolato i giornali? E sopratutto dove sono gli immancabili tweet di sdegno di Matteo Salvini?

In attesa di una dichiarazione di condanna, assistiamo inermi alle ghigliottine mediatiche di serie A e a quelle di serie B…
da "Unità.tv" del 15-03-16

COME UN VERO E PROPRIO MERCATO!

 Nel felice racconto della genitorialità con la gestazione per altri si è trattato con pochi accenni a una parte importante della questione, ovvero il prima dell’impianto dell’embrione. Quel prima non è un pezzo da poco perché riguarda la selezione e l’acquisto del materiale genetico che serve per costruire la nuova vita, ovvero lo sperma e gli ovuli, fondamentali perché determinano le caratteristiche di una persona. La scelta di questi donatori e della portatrice di utero hanno dei costi e si stanno muovendo secondo criteri economici e geografici simili a quelli dei movimenti dei capitali finanziari. Chiamare la maternità surrogata una donazione è un eufemismo perché in realtà si tratta di un vero e proprio mercato che ha dei tariffari, una domanda e un’offerta, dei contratti, un marketing, dei mediatori, come in qualunque scambio di merce o di prestazione. L’invasione del linguaggio e della mentalità del marketing nel mercato dei corpi, perché di questo si tratta, è già avvenuto e basta guardare gli slogan di certe agenzie che ricalcano quelli della promozione di viaggi low cost, come Pacchetto bimbo in braccio, Pacchetto Surrogacy, pacchetto Economy Plus che stabiliscono tariffe diverse secondo i tentativi di fecondazione e le scadenze del compenso. In questa compravendita lo sperma è la merce che costa di meno. Si va dalle poche centinaia di dollari chiesti da un’agenzia israeliana, ai diversi prezzi che un’agenzia russa paga secondo la nazionalità del donatore/venditore. Per la stessa quantità di liquido seminale a un russo vengono dati meno di 200 euro, mentre a un danese o a uno svedese più di 800. Stessa cosa succede con le donatrici di ovuli. Negli Usa, dove la media per una donazione di ovuli è ricompensata dai 10 ai 15mila dollari, se la donatrice è alta, bionda e ha frequentato Harvard può chiedere un prezzo molto più alto di una donna non laureata. Anche per le portatrici di utero le tariffe si adeguano a una geografia economica. Un’americana percepisce al massimo 30mila dollari, un’indiana poco più di 5mila, un’ucraina 10mila circa e basta guardare il costo complessivo dell’operazione per farsi un’idea di come si muove questo business. Negli Usa il costo totale di una maternità surrogata può andare dai 150 ai 200mila dollari, in Ucraina dai 30 ai 50mila, in Russia dai 30 ai 65mila dollari. Per offrire prezzi concorrenziali c’è chi si è organizzato con gli stessi criteri della movimentazione dei capitali. E allora ecco agenzie americane che ricorrono a portatrici di utero messicane, o agenzie israeliane che propongono l’inseminazione negli Usa e poi trasferiscono gli embrioni congelati in Nepal dove vengono impiantati nell’utero di donne indiane, per risparmiare. In «Clinical Labor», libro uscito nel 2014, le ricercatrici australiane Melinda Cooper e Catherine Waldby analizzano le nuove forme di lavoro bioeconomico come la maternità surrogata. Osservano come il mercato della riproduzione assistita cresce sempre di più espandendosi in servizi e settori dell’industria biomedica. Rivelano come il clinical labor diventerà sempre più rappresentativo delle economie neoliberiste del 21esimo secolo. C’è chi per pagare un percorso così vende una proprietà, se ce l’ha, o chiede un prestito. Dall’altra parte ci sono donne che si sottopongono a cure ormonali e a una gravidanza conto terzi per comprare una casa o pagare l’università ai figli. Intanto medici, cliniche, agenzie, assicurazioni, ospedali e avvocati vedono crescere il proprio conto in banca. In mezzo c’è il desiderio di un figlio. Viene davvero da chiedersi se un bisogno così ha il diritto di essere esaudito a qualunque costo, letteralmente parlando.
Mariangela Mianiti in “il manifesto” del 15 marzo 2016

giovedì 10 marzo 2016

Claude Lévi-Strauss

<<Il mondo è iniziato senza l'uomo e troverà il suo compimento senza di lui.>>

Rita Levi Montalcini

<<Le donne che hanno cambiato il mondo non hanno mai avuto bisogno di mostrare nulla, se non la loro intelligenza.>>

martedì 8 marzo 2016

Rabindranath Tagore

Donna, non sei soltanto l’ opera di Dio,
ma anche degli uomini, che sempre
ti fanno bella con i loro cuori.
I poeti ti tessono una rete
con fili di dorate fantasie;
i pittori danno alla tua forma
sempre nuova immortalità.
Il mare dona le sue perle,
le miniere il loro oro,
i giardini d’ estate i loro fiori
per adornarti, per coprirti,
per renderti sempre più preziosa.
Il desiderio del cuore degli uomini
ha steso la sua gloria
sulla tua giovinezza.
Per metà sei donna, e per metà sei sogno.

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