martedì 31 dicembre 2019

AUGURI DI UN NUOVO ANNO RISCALDATO E ILLUMINATO DALLA PACE CHE E' IN NOI!

"Gli Hibakusha, i sopravvissuti ai bombardamenti atomici di Hiroshima e Nagasaki, sono tra quelli che oggi mantengono viva la fiamma della coscienza collettiva, testimoniando alle generazioni successive l’orrore di ciò che accadde nell’agosto del 1945 e le sofferenze indicibili che ne sono seguite fino ad oggi. La loro testimonianza risveglia e conserva in questo modo la memoria delle vittime, affinché la coscienza umana diventi sempre più forte di fronte ad ogni volontà di dominio e di distruzione: «Non possiamo permettere che le attuali e le nuove generazioni perdano la memoria di quanto accaduto, quella memoria che è garanzia e stimolo per costruire un futuro più giusto e fraterno»
Il mondo non ha bisogno di parole vuote, ma di testimoni convinti, di artigiani della pace aperti al dialogo senza esclusioni né manipolazioni. Infatti, non si può giungere veramente alla pace se non quando vi sia un convinto dialogo di uomini e donne che cercano la verità al di là delle ideologie e delle opinioni diverse. La pace è «un edificio da costruirsi continuamente», un cammino che facciamo insieme cercando sempre il bene comune e impegnandoci a mantenere la parola data e a rispettare il diritto. Nell’ascolto reciproco possono crescere anche la conoscenza e la stima dell’altro, fino al punto di riconoscere nel nemico il volto di un fratello.

Il processo di pace è quindi un impegno che dura nel tempo. È un lavoro paziente di ricerca della verità e della giustizia, che onora la memoria delle vittime e che apre, passo dopo passo, a una speranza comune, più forte della vendetta. In uno Stato di diritto, la democrazia può essere un paradigma significativo di questo processo, se è basata sulla giustizia e sull’impegno a salvaguardare i diritti di ciascuno, specie se debole o emarginato, nella continua ricerca della verità. Si tratta di una costruzione sociale e di un’elaborazione in divenire, in cui ciascuno porta responsabilmente il proprio contributo, a tutti i livelli della collettività locale, nazionale e mondiale."
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DAL MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO PER LA CELEBRAZIONE DELLA LIII GIORNATA MONDIALE DELLA PACE

lunedì 30 dicembre 2019

LA CARITÀ OVVERO LA RIVOLUZIONE DI PAPA FRANCESCO

Doveva diventare un hotel di lusso in zona Vaticano ma Papa Francesco lo ha trasformato in un dormitorio destinato ai senza fissa dimora. La struttura situata a due passi dal Colonnato di San Pietro è l’ultimo regalo del Papa agli homeless della zona, un esercito di invisibili che aumenta sempre di più e non è difficile scorgerli, la notte, accampati e infreddoliti sotto cumuli di cartoni per proteggersi dal freddo. È a loro che il Papa ha donato un palazzo antico e di pregio, con volte affrescate e stucchi decò, a fianco della chiesa degli Olandesi, a via di Borgo Santo Spirito. L’edificio porta ancora il nome della antica famiglia che fino agli anni Trenta lo possedeva. Palazzo Migliori, da allora, è passato alla Santa Sede e gestito dall’Apsa. 
Il Papa ha così chiesto all’Apsa la disponibilità del palazzo che altrimenti sarebbe stato trasformato in un hotel a cinque stelle. Le stanze per il riposo notturno occupano il terzo e il quarto piano e potranno ospitare sia uomini che donne, fino ad un massimo di 50 ospiti. Il numero potrà aumentare con l’emergenza freddo. La colazione e la cena sono garantite ad ogni ospite grazie ad una attrezzata cucina che potrà preparare fino a 250 pasti caldi. Il palazzo è dotato anche di un ascensore e persino di una cappella interna. Il primo e il secondo piano sono invece riservati ai servizi diurni con sale per l’ascolto, la lettura e l’uso di internet. I lavori per allestire l’ostello sono durati alcuni mesi e sono stati finanziati dall’Elemosineria Apostolica sia attraverso generose offerte di privati, sia dai ricavi della vendita di pergamene con la benedizione papale.
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estratto da www.ilmessaggero.it

venerdì 27 dicembre 2019

NATALE ... L'INFINITO DI DIO IN NOI

Non ci sono distanze col Cielo.
Per ciò che tocca Dio tutto è al suo posto:
nel canto pitagorico degli astri
nell’ ondulata corsa dei minuti
nel seme vivo che fiorisce in frutto.
E anche nel sangue, nella morte assurda
non ci sono intenzioni taciute,
non c’è ragione che non sia l’Amore.
E questo è il segno della Sua imminenza:
dov’è passato, ritornare, è udirlo,
dov’è restato, credergli, è incontrarlo;
e non è un gioco tra illusione e inganno,
un’altalena tra Infinito e Nulla.
Aperti oltre il crepuscolo del pianto,
come la mano che alzerà il sipario,
gli occhi di Dio oramai sono di carne.

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Giuseppe Centore

martedì 24 dicembre 2019

ANCHE QUEST'ANNO E' NATALE!

E' tornato il Natale! O meglio eccoci nel giorno del ricordo della nascita del nostro Signore Gesù! E come sempre le emozioni, i sentimenti, i colori, le tradizioni si fanno sentire. A Natale siamo tutti più buoni o dovremmo esserlo, secondo la tradizione e le frasi fatte. A questo però si aggiunge, da qualche anno, una serie di polemiche. Quelle sul Presepe, sulle recite natalizie a scuola, su quali siano le modalità più opportune per aiutare tutti i bambini e i ragazzini a festeggiare, a non sentirsi esclusi. 

C'è anche chi non celebra Natale per rispetto verso Gesù, “divenuto ormai un «oggetto/gadget» tra le cianfrusaglie natalizie, mentre chi dovrebbe tutelarlo, almeno come bambino indifeso e rifiutato dai «suoi» e dalla politica al potere, gioca al presepe e «gioisce» al canto di insulse ninne-nanne e ignominiose cantilene come «Tu scendi dalle stelle… al freddo e al gelo». Tutti felici e contenti del «freddo e del gelo». Sadici fino a questo punto…”. 

Qualcuno ha annunciato il <digiuno eucaristico> a Natale, contro la celebrazione del Natale ormai divenuto una minestra riscaldata, un qualcosa di avvolto nella bambagia delle nostre comodità e certezza, senza alcuna attenzione a tutto ciò che produce estromissione, separazione, per rinchiudere in una stalla l’Emmanuele che viene in mezzo a noi. 
Qualche sacerdote in linea con Papa Francesco ha però sottolineato “che la prospettiva della Chiesa, sull'esempio di Giuseppe, è quella di custodire: non la Chiesa, non la dottrina, non i valori non negoziabili, ma di custodirci gli uni gli altri; non in modo generico ma con riferimento concreto agli affamati, agli assetati, ai denudati di vestiti, di verità e di dignità, ai carcerati, agli ammalati, agli stranieri… E insieme custodire tutti gli esseri viventi, l’intero creato..“. Anche questo è Natale!
Sembra quasi che siano gli stessi cristiani i primi ad aver abolito il Natale e ad averlo trasformato in una favoletta magica e sentimentale con uno sfondo edificante che possa spegnere le inquietudini dei tempi moderni!
Un amico,che qualcuno sicuramente conosce, Savino Pezzotta, scriveva:“Da Pechino a Tokyo, da Roma a Palermo, da Berlino a Vienna, a New York e Toronto , ovunque si vedono i segni esteriori di quello che appare ormai come un festival invernale perché diventa sempre più obliata la festa del Natale. Ovunque vediamo sfilare i Babbo Natale con il cappello rosso e bianco accompagnati da una musica che mescola diversi generi. Lentamente ma inesorabilmente le nostre società sembrano dimenticare la dimensione religiosa e umana di questa Festa. Il mio vecchio Parroco , nel sermone della Messa di Mezzanotte era solito criticare le forme e gli strumenti che trasformavano il ricordo della Nascita di Gesù in un evento consumistico e borghese: in una Festa Commerciale. Mi chiedo , con tremore e timore, se ha ancora senso parlare del Natale come una festa , quando il suo contenuto viene da tutti noi svuotato. Resta come appuntamento sognato, come momento di incontro e di convivialità con la famiglia, questa famiglia che resta una protezione simbolica contro il freddo , il maltempo climatico, sociale e politico. Dobbiamo rintracciare sotto gli addobbi che esponiamo nell'illusione di fare festa , il significato vero di questa giornata e collocarla all'interno di ciò che stiamo vivendo, nelle difficoltà del lavoro, della vita, del vivere insieme , la fatica nel riconoscere la ricchezza che ci apporta colui che viene da fuori e la bellezza di vivere un modo di differenze”. 
Che aggiungere? Auguriamoci solo che il Natale sia una festa autentica, rivoluzionaria, davvero evangelica per chi crede, e utile al recupero di atteggiamenti fraterni ed essenziali per chi dice di non credere. 
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Agostino

domenica 22 dicembre 2019

CROCE E SALVAGENTE...IL GRIDO DEL BISOGNOSO!

"Questo è il secondo giubbotto salvagente che ricevo in dono...Questo secondo giubbotto, consegnato da un altro gruppo di soccorritori solo qualche giorno fa, è appartenuto a un migrante scomparso in mare lo scorso luglio. Nessuno sa chi fosse o da dove venisse. Solo si sa che il suo giubbotto è stato recuperato alla deriva nel Mediterraneo Centrale, il 3 luglio 2019, a determinate coordinate geografiche. Siamo di fronte ad un’altra morte causata dall'ingiustizia. Già, perché è l’ingiustizia che costringe molti migranti a lasciare le loro terre. È l’ingiustizia che li obbliga ad attraversare deserti e a subire abusi e torture nei campi di detenzione. È l’ingiustizia che li respinge e li fa morire in mare...
Ho deciso di esporre qui questo giubbotto salvagente, “crocifisso” su questa croce, per ricordarci che dobbiamo tenere aperti gli occhi, tenere aperto il cuore, per ricordare a tutti l’impegno inderogabile di salvare ogni vita umana, un dovere morale che unisce credenti e non credenti.
Come possiamo non ascoltare il grido disperato di tanti fratelli e sorelle che preferiscono affrontare un mare in tempesta piuttosto che morire lentamente nei campi di detenzione libici, luoghi di tortura e schiavitù ignobile? Come possiamo rimanere indifferenti di fronte agli abusi e alle violenze di cui sono vittime innocenti, lasciandoli alle mercé di trafficanti senza scrupoli? Come possiamo “passare oltre”, come il sacerdote e il levita della parabola del Buon Samaritano (cfr Lc 10,31-32), facendoci così responsabili della loro morte? ... Non è bloccando le loro imbarcazioni che si risolve il problema. Bisogna impegnarsi seriamente a svuotare i campi di detenzione in Libia, valutando e attuando tutte le soluzioni possibili. Bisogna denunciare e perseguire i trafficanti che sfruttano e maltrattano i migranti, senza timore di rivelare connivenze e complicità con le istituzioni. Bisogna mettere da parte gli interessi economici perché al centro ci sia la persona, ogni persona, la cui vita e dignità sono preziose agli occhi di Dio. Bisogna soccorrere e salvare, perché siamo tutti responsabili della vita del nostro prossimo, e il Signore ce ne chiederà conto al momento del giudizio."
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PAPA FRANCESCO DURANTE L'INCONTRO CON I RIFUGIATI  ARRIVATI DA LESBO CON I CORRIDOI UMANITARI-Giovedì, 19 dicembre 2019

sabato 21 dicembre 2019

TUTTI I NOSTRI GUAI ...

Come ci si muove, si finisce per sbattere contro la logica del massimo profitto. La catastrofe climatica? Gratta gratta e trovi la logica del massimo profitto. Le aree più travagliate del globo?Gratta gratta e trovi la logica del massimo profitto. Le guerre a catena per portare la democrazia? Gratta gratta e trovi la logica del massimo profitto. Le mafie e il quadro legalillegale dentro cui agiscono ora con delinquenza signorile, ora assassinando al vecchio modo? Gratta gratta e trovi la logica del massimo profitto. Tutti ma proprio tutti i guai di casa nostra e del pianeta, dalla Mittal alle banche disastrate, alla schiavizzazione della forza lavoro, a insopportabili disuguaglianze, derivano dalla logica del massimo profitto. E i politici, la cui dichiarata ambizione di agire per il bene della nazione e casomai dell’Europa e del mondo urta di continuo con gli interessi palesi e segreti che rappresentano, non sono spesso al servizio della logica del massimo profitto? E noi, i singoli individui, non sposiamo ogni possibile porcheria (sì, dagli a Segre, dagli alla sorella di Cucchi, dagli ai giornalisti disobbedienti, dagli a chiunque non abbia capito che il manovratore non va disturbato) sperando di raccogliere così almeno le briciole del massimo profitto altrui? Sicché, se tornassimo a pensare che – forse, eh, forse – quella logica è illogica e va combattuta? 
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Domenico Starnone in “Internazionale” del 21 dicembre 2019

domenica 8 dicembre 2019

EMERGENZA SCUOLA ... DEGLI ADULTI!

Su ilLibraio.it una parte della riflessione di Enrico Galiano, insegnante e scrittore, dopo la pubblicazione dei risultati del test Ocse-Pisa
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"Sono usciti anche quest’anno i risultati dei test Ocse-Pisa : programma per la valutazione internazionale dello studente (Programme for International Student Assessment).
È un’indagine annuale che valuta gli allievi a cui manca poco per concludere l’obbligo scolastico, per capire come se la cavano con alcune delle conoscenze e delle abilità essenziali del loro corso di studi. Si effettua in circa settanta Paesi in tutto il mondo.
E gli studenti italiani? Come al solito: cioè maluccio, per cui solo un quindicenne su venti sarebbe in grado di comprendere un testo scritto. E' vero, non sono risultati positivi, non ci nascondiamo dietro un dito. Siamo più o meno a metà classifica su 68 Paesi.
Ma purtroppo c'è anche qualcosa di catastrofico: i dati sugli adulti. Eh sì, perché oltre ai test Ocse-Pisa esiste anche l’indagine Ocse Piaac, che fa praticamente la stessa cosa del Pisa, solo con gli adulti.
E lì come andiamo? Malissimo. Malissimissimo. Lì siamo ultimi, ragazzi. Noi qui a puntare il dito sui nostri quindicenni, ma la situazione del mondo adulto è molto, molto peggiore. I dati sull’analfabetismo funzionale della popolazione adulta sono davvero gravi, e ci parlano di un’emergenza ben più impellente, perché mentre un quindicenne che non capisce un testo è terribile ma può causare danni limitati, un trentenne che non sa capire quello che legge è una persona che vota, che fa scelte di vita importanti, che partecipa attivamente alla vita pubblica, magari proprio decidendo quanti fondi dare alla scuola e all’istruzione. Abbiamo bisogno di sistemare la scuola dei nostri figli, è vero. Ma prima ancora di quella, abbiamo bisogno di far capire ai loro genitori quanto è importante non smettere mai di leggere e di studiare."

sabato 7 dicembre 2019

IL CANTO DELL'EMIGRANTE

Ingoia le lacrime, stringi i denti di fronte al dolore, ‎
non dar retta alle ingiurie e alle umiliazioni, ‎
mantieni ferrea la volontà, ‎
così sopravviverai alla sofferenza. ‎

Tutto andrà per il meglio, tutto andrà per il meglio. ‎
Sopporta con pazienza l’attesa, ‎
abbi fiducia nel futuro, ‎
non perdere il coraggio: il mondo tornerà ad essere un giardino!‎

Finirà l’ostilità, ‎
l’odio e la cupidigia ed ogni sofferenza svaniranno
Il tuo nemico tornerà a chiamarti: Fratello, Uomo! ‎
E ti porgerà la mano con vergogna. ‎

E non sarai più solitario in disparte ‎
quando gli altri gioiscono e ridono. ‎
Anche per te il sole sorgerà, ‎
anche per te si risveglieranno gli uccellini. ‎

Per te splenderà il sole, ‎
per te l’albero fiorirà, ‎
avrai di nuovo una patria, dei fratelli. ‎
Il male svanirà come un incubo oscuro e la tua anima tornerà alla vita.‎
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L'AUTRICE.
Ilse Herlinger Weber è stata una poetessa e scrittrice di origine ceca e di religione ebraica.

A Praga, dove viveva, scrisse molti racconti per l’infanzia e condusse anche programmi radiofonici ‎per i bambini. Dopo l’occupazione nazista, nel 1939, riuscì a mettere in salvo il suo primogenito ‎Hanuš mandandolo da amici in Svezia attraverso un “kindertransport”. Poi lei, il marito ed il figlio ‎più piccolo furono rinchiusi nel ghetto di Praga e quindi internati nel campo/ghetto di ‎Theresienstadt. A Terezìn, dove erano stati deportati moltissimi bambini, Ilse Weber svolse ‎l’attività di infermiera nel reparto infantile della locale infermeria. E’ in questo periodo che, per ‎alleviare le pene dei piccoli ospiti, compose molte poesie che improvvisava in canzoni ‎accompagnandosi con la chitarra. Nell’ottobre del 1944 suo marito Willi fu scelto per il ‎trasferimento ad Auschwitz e Ilse chiese di seguirlo: lei ed il figlioletto Tommy vennero subito ‎uccisi al loro arrivo. Willi sopravvisse e potè poi riabbracciare Hanuš, il figlio sopravvissuto.‎

venerdì 6 dicembre 2019

Antisemitismo,razzismi e nazionalismi

Episodi di antisemitismo – omicidi, aggressioni fisiche, insulti e minacce nei media, profanazioni di luoghi di culto e cimiteri ebraici – segnano un risorgere preoccupante in più paesi d’Europa, in Francia, in Germania, nel Regno Unito e altrove, secondo le statistiche rilasciate dai governi. I dati registrati sono una sottostima del fenomeno perché riflettono le denunce esplicite, e non la miriade di casi che restano ignoti. Anche in Italia, secondo l’Osservatorio antisemitismo del Centro di documentazione ebraica contemporanea, vi è un crescere di minacce, insulti, atti vandalici e violenza digitale. 
È una patologia che persiste, ricorre ancora 75 anni dopo lo sterminio nazista, appare muoversi per l’Europa senza complessi, rimuovendo tabù, riesumando vecchi stereotipi quali il potere finanziario e politico eccessivo degli ebrei e l’invenzione falsificatrice di un complotto mondiale da questi ordito. Nelle società dell’est europeo, in particolare – Polonia e Ungheria in primis – ma anche negli Stati Uniti proliferano falsità fino ad attribuire agli ebrei la volontà di demolire attraverso l’ingresso di immigrati dall’Africa, dal Medio Oriente o dall’America Latina la supremazia dell’etnia “bianca”. Una recente indagine condotta dall’Anti defamation League americana in 18 Paesi fra cui numerosi europei conferma il prevalere di forti stereotipi antisemiti – il potere economico, la “doppia lealtà” rispetto al proprio paese e a Israele, l’ossessione della memoria dell’Olocausto – in Polonia, Ucraina, Ungheria e Russia; assai meno in Svezia, Olanda, Danimarca, Germania e anche Italia.
Dell’antisemitismo, della sua lunga, orribile storia nell’Europa sono gli ebrei a soffrire, ma esso è un indice acuto del malessere di una società, del degrado di forme di convivenza civile e democratica. Riflette partiti e movimenti che esaltano l’identità etno-nazionale o persino razziale, l’intolleranza del diverso, il rifiuto dei diritti delle minoranze. Minoranze come quella ebraica, per la quale una società aperta e plurale in cui le molteplici identità, culture, comunità siano rispettate, è una condizione vitale di esistenza.
Non vi è un antisemitismo di stato come fu nel Novecento; in generale, le istituzioni pubbliche sono impegnate nel combattere rigurgiti antisemiti con un’azione di educazione alla memoria, vigilanza e prevenzione. Vi sono leggi severe contro la discriminazione razziale e religiosa, il negazionismo. Ma l’azione di repressione appare insufficiente: in diversi segmenti della società europea restano zone di connivenza, copertura o sorda passività che alimentano un senso di impunità in coloro che predicano ostilità contro gli ebrei. 
Lo conferma l’indagine condotta dall’Agenzia europea per i diritti fondamentali (www.fra.europa.eu) che ha pubblicato il secondo sondaggio – il primo risale al 2013 – circa la percezione dell’antisemitismo come pericolo, sulla base di interviste con 16.500 cittadini ebrei in 12 paesi dell’Unione europea. Ben l’85% degli intervistati ritiene che antisemitismo e razzismo siano il problema più grave dell’ Europa (l’Italia fa eccezione al riguardo); l’89% che l’antisemitismo, specie quello diffuso dalla rete, si sia accentuato nei loro Paesi. Ne risulta un sentimento di insicurezza fisica che influisce sul modo di vita, una minaccia per il presente e il futuro degli ebrei europei, oggi appena 1,5 milione, solo il 10% degli ebrei del mondo.
Il 70 % degli intervistati ritiene che l’azione dei governi non sia sufficiente nel reprimere la barbarie antisemita. In questo senso l’annuncio fatto alcuni giorni or sono nel corso di un dibattito a Roma dal ministro degli Affari Europei Amendola dell’intento del governo di nominare un Commissario ad hoc contro l’antisemitismo sul modello di quanto avvenuto in Germania è certamente qualcosa di positivo.
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Giorgio Gomel su www.riforma.it

mercoledì 4 dicembre 2019

NEGARE L'OLOCAUSTO?

La negazione dell'Olocausto non è protetta dal diritto alla libertà d'espressione: lo ha stabilito la Corte di Strasburgo rigettando il ricorso di Udo Pastors, ex capo del partito Npd, contro la sua condanna in Germania. L'uomo negò l'Olocausto durante un discorso fatto davanti al Parlamento del lander di Meclemburgo-Pomerania Anteriore nel 2010, il giorno dopo la giornata della memoria. Il politico disse che "il cosiddetto Olocausto è utilizzato per ragioni politiche e commerciali", che "dalla Seconda Guerra Mondiale i tedeschi sono stati esposti a un'infinita raffica di critiche e bugie propagandistiche" e che gli eventi organizzati per il giorno della memoria "non sono che una proiezione di Auschwitz imposte sui tedeschi". Secondo la Corte di Strasburgo l'uomo ha volutamente dichiarato falsità per diffamare gli ebrei e la persecuzione che hanno subito. Parti del suo discorso devono essere "definite come negazioniste perché mostrano disprezzo per le vittime e si contrappongono a fatti storici accertati". La Corte ha rigettato il ricorso spiegando che Udo Pastors "ha cercato di usare il suo diritto alla libertà d'espressione per diffondere idee contrarie nel testo e lo spirito alla Convenzione dei diritti umani".
Da Ansa.it del 4/12/2019

martedì 3 dicembre 2019

COSTRUIRE UN'IDENTITÀ DIALOGANTE E CONDIVISA

Nell'estate del 1954, ventidue ragazzini di età compresa tra gli undici e i dodici anni parteciparono ad un campeggio presso il parco di Robbers Cave nella parte meridionale dello stato dell'Oklahoma. Nessuno di loro si era mai incontrato prima di allora. Undici di loro vennero alloggiati in una zona del parco e gli altri undici in un'altra zona. Le due aree erano così distanti e separate che nessuno dei membri di un gruppo sospettava dell'esistenza dell'altro gruppo. Ma quando si incontrano scoppia il conflitto: bandiere bruciate, alloggi razziati, risse, spedizioni punitive. Poi i problemi si aggravano. Iniziano a scarseggiare l'acqua e il cibo. Le divisioni fittizie e le differenze artificiali allora scompaiono. I ragazzi imparano a collaborare e a risolvere, insieme, problemi comuni.
Era un esperimento di psicologia sociale. Solo un esperimento ma, pur con tutti i limiti metodologici della scienza di quegli anni e le indubbie ambiguità morali ed etiche, ci appare ancora oggi come una potente rappresentazione della vita sociale, delle sue patologie e, forse, anche delle sue possibili terapie. La divisione, alimentata ad arte da un linguaggio, da atteggiamenti, da un armamentario ideologico volto a creare un malinteso senso di identità. L'identità che si forgia contro chi ci viene descritto come diverso da noi e che non produce nient'altro che conflitti evitabili, sprechi di risorse umane e ideali, malessere e inefficienze. In fondo questo vecchio esperimento ci insegna quanto, spesso, queste divisioni possono essere artificiose e strumentali.
Diffidiamo di chi, in ambito politico, o in tv, o sui social o sui giornali usa espressioni come «grillino»,«buonista»,... perché costoro difficilmente sono in buona fede. La strategia è quella di creare identità e quindi divisione, sulla base di differenze che sono artificiose e innaturali, ma, allo stesso tempo, potenti ed efficaci. 
Proviamo a riflettere su questo esperimento del campeggio. Uscire dalla falsa partigianeria e, come i ragazzi del campo, iniziare a cooperare in misura maggiore, perché i problemi comuni da tentare di risolvere insieme, certo non ci mancano. L'esperimento del campeggio mostra anche che il conflitto tra gruppi viene aggravato quando le risorse sono scarse o che siano anche soltanto percepite come scarse.
Diffidiamo, allora, di chi ci fa sentire privati di qualcosa, depredati, di chi alimenta l'insicurezza e di chi rappresenta la realtà più fosca di quanto sia. Diffidiamo di chi crea divisione e conflitto con atti e con parole, con la finta ironia o con studiata superiorità. Diffidiamo di chi vuole metterci l'uno contro l'altro; di chi afferma la propria identità, appartenenza, storia e perfino la propria religione, contro quelle di qualcun altro; per differenza.
Certamente non abbiamo bisogno di chi, in questo modo, alimenta conflitti e divisioni creati ad arte. Ciò che ci serve è altro: dialogo vero, rispetto reciproco e fiducia, anche in chi la pensa diversamente.

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