E
SE LA COLPA FOSSE DI TUTTI ?
L’11
aprile del 1961 a Gerusalemme iniziò il processo contro il criminale
tedesco Adolf Eichmann che si concluse poi con la sua condanna a
morte per impiccagione.
È
il primo processo che in Israele, alla presenza di testimoni, i
sopravvissuti alla Shoah, che facilitò anche l’apertura in Europa
di altri processi contro criminali nazisti, come quello di
Francoforte del 1963.
Adolf Eichmann, era considerato il
principale responsabile e organizzatore delle deportazioni degli
ebrei nei campi di concentramento nazisti, e al termine della guerra
si era rifugiato sotto falso nome in Argentina, come altri ufficiali
delle SS.
Qualche anno dopo, nel 1959, gli agenti del Mossad
all’oscuro del governo di Buenos Aires, lo catturarono e lo
portarono in Israele (non esistevano problemi di
estradizione!).
Durante tutto il processo la sua difesa resterà
sempre la stessa: si dichiarò “non colpevole” e dirà di “avere
solo eseguito degli ordini” ai quali non poteva sottrarsi.
Doveva
essere un processo “storico”. Un processo che non si limitava a
giudicare i crimini e la degradazione morale di uomo e perfino di un
sistema, ma doveva definire, illuminandola brutalmente, tutta
un'epoca che tendeva a sfuggire alla comprensione umana: come aveva
potuto vincere la bestia sull'uomo? Come avevano potuto due popoli
trasformarsi uno in assassino e l'altro in vittima docile e
silenziosa?
Che
Eichmann fosse colpevole nessuno lo aveva mai dubitato: tutti ne
erano convinti fin dall'inizio. In fondo non sarebbe stato necessario
impostare un processo per averne le prove. Ma questo processo era
fondamentale, perché facendo rivivere il passato si poteva
dimostrare che un crimine può superare i suoi limiti, al punto che
la colpa ricade anche su chi si tiene a distanza.
Ma
tutto ciò non venne portato a galla e le domande rimasero soffocate,
in parte per la presunzione dell'imputato e in parte per i troppi
silenzi dei testimoni.
Eppure
nel cuore e nella mente di qualcuno i perché sono rimbombati con
rabbia e dolore.
Perché
la maggior parte dei campi di sterminio furono aperti nelle zone
orientali dell'Europa nazista? Forse perché i tedeschi trovarono più
facilmente aiuto e tacita approvazione tra le popolazioni di quelle
zone? Qualcuno addirittura (ungheresi!) esercitò pressioni su
Eichmann perché accelerasse i trasporti e altri (slovacchi!)
pagavano una certa cifra per ogni ebreo che i tedeschi deportavano: e
i carri bestiame con il loro carico umano correvano senza ostacoli
verso la notte!
La
stessa accusa vale per le reazioni in quella parte del mondo libera.
A Washington e a Londra, e anche a Gerusalemme, erano al corrente di
ciò che stava accadendo fin dal 1942. I nazisti si aspettavano una
valanga di proteste e di minacce, ma poi capirono che l'Occidente
lasciava loro ogni libertà d'azione.
E'
veramente curioso annotare come il mondo libero e osservatore della
storia non si sia indignato che dopo, quando ormai era troppo tardi e
quando ormai non c'erano più ebrei da salvare.
E
poi, diciamola tutta: gli ebrei stessi non fecero nulla per gli
ebrei. In Palestina la gente si comportava come se ciò che accadeva
<<lassù>> non la riguardasse. Con un distacco
stupefacente, incomprensibile e inconscio dicevano a se stessi: “di
chi è la colpa? Avrebbero potuto venir qui da noi; avrebbero dovuto
seguire il nostro esempio: ma hanno mancato di coraggio,d'idealismo;
ed ora tanto peggio per loro!”
Qualcuno,
preso dalla curiosità, è andato ad esaminare negli archivi i
giornali di Tel Aviv degli anni 1943-44: “In un angolo sperduto
della pagina (forse neppure la prima!) un piccolo trafiletto di poche
righe: I tedeschi hanno cominciato a sterminare gli ebrei del
ghetto di Lublino, o di Lodz....”
Il
processo ad Eichmann si concluse inevitabilmente con la condanna a
morte dell'imputato, ma mancò il coraggio ai giudici, ai politici,
agli uomini tutti di abbassare la testa e di urlare a voce alta
perché potesse essere udito anche dalle generazioni future: <<
Prima di giudicare gli altri dobbiamo riconoscere i nostri errori,
le nostre debolezze. Non abbiamo tentato l'impossibile, non abbiamo
neanche esaurito il possibile
(Elie Wiesel)>>.
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