martedì 30 giugno 2015

CHIAMATI AD ESSERE DISCEPOLI,NON MAESTRI

Signore,il mondo ci spaventa.
Il potere ci spaventa.
Questo terrore è così forte da farci scordare
quanto potente può essere la tua compassione.
Dimentichiamo che la tua parola può risuonare
nei cuori e nelle menti di chi disprezziamo perché
è più potente di noi,e ci crogioliamo nella nostra debolezza.
Ci ergiamo a giudici,dimentichiamo la nostra
invidia rispetto a chi conta più di noi,illusi
di essere migliori.
Aiutaci a ricordare che non ci chiami a essere
maestri,ma discepoli tuoi.
Amen.


Dal settimanale “Riforma”

CHE COSA E DI CHI E' LA CHIESA?

"Tutto passa, solo Dio resta. Infatti, sono passati regni, popoli, culture, nazioni, ideologie, potenze, ma la Chiesa, fondata su Cristo, nonostante le tante tempeste e i molti peccati nostri, rimane fedele al deposito della fede nel servizio, perché la Chiesa non è dei Papi, dei vescovi, dei preti e neppure dei fedeli, è soltanto di Cristo. Solo chi vive in Cristo promuove e difende la Chiesa con la santità della vita, sull'esempio di Pietro e di Paolo."
Papa Francesco

lunedì 29 giugno 2015

A Trento, il parroco cattolico e la pastora protestante celebrano insieme

Il rapporto tra le chiese cristiane è una delle questioni che sotto papa Francesco molti si attendevano sarebbero state oggetto della “rivoluzione” del pontefice argentino, tanto invocata dai media quanto attesa dall’opinione pubblica laica e cattolica.
Finora, però, anche su questo fronte si è visto pochino. Specialmente in Italia, l’episcopato continua ad essere assai timido nei suoi pronunciamenti. Sul terreno della pastorale e dei gesti concreti poi, nemmeno a parlarne. Soprattutto quando in ballo c’è la cosiddetta "ospitalità eucaristica" o "intercomunione", quella pratica per cui i membri di diverse chiese cristiane condividono il pane e il vino durante la celebrazione. Peggio ancora quando si parla di “concelebrare” assieme tra pastori o presbiteri di altre chiese cristiane. Perché per la Chiesa cattolica un protestante può assistere alla messa, ma non può ricevere l'eucaristia; ed al pastore protestante, non essendo stato ordinato da un vescovo e quindi non rientrando nella successione apostolica, è vietato di concelebrare con il prete cattolico.
In un contesto ancora così contrassegnato da rigidità e diffidenze, tocca così a singoli preti o parroci, oppure a gruppi e realtà di base,realizzare un ecumenismo “dal basso” che ha porta le chiese cristiane ad un confronto, a momenti di dialogo e condivisione, a pratiche liturgiche che a livello istituzionale non sono state sinora adeguatamente recepite, né accompagnate dalla riflessione teologica o dalle scelte pastorali.
L’ultimo episodio in ordine di tempo riguarda la messa concelebrata il 30 maggio scorso da don Lino Zatelli, parroco di San Carlo Borromeo, in zona Clarina a Trento Sud, e Lidia Maggi, teologa, pastora battista a Varese, da sempre impegnata nel dialogo ecumenico e interreligioso. «Chi comanda la chiesa mi ha detto di non parlare di concelebrazione, ma dire semplicemente che Lidia Maggi avrebbe assistito alla messa. Invece non solo lo dico a gran voce, ma prenderà parte anche alla comunione per un altro gesto che non mancherà di far clamore», ha detto con franchezza il parroco, all’inizio della messa. Per la curia, insomma, la presenza della pastora era possibile, ma guai a parlare di concelebrazione. A San Carlo, invece, la concelebrazione si è fatta.Il parroco di San Carlo ha espresso la sua grande emozione per questo evento straordinario e nella sua omelia (don Lino e Lidia Maggi si sono alternati sul pulito) ha evidenziato i molti problemi sui quali la chiesa si sta interrogando circa il ruolo delle donne, il celibato del clero, la funzione concreta del “popolo di Dio” nella vita della Chiesa. Con riferimento alla liturgia della messa, don Lino ha ricordato il valore del sacerdozio universale sancito dal Concilio Vaticano II nella Lumen Gentium di cui sono investiti tutti i membri della Chiesa, affermando di essere favorevole alle donne prete, come anche al celibato opzionale per i presbiteri.
Nella sua omelia, Lidia Maggi ha parlato del soffio dello spirito ecumenico , lieve ma persistente,che ha permesso che il sogno di una riconciliazione tra fratelli scomunicati appartenenti a Chiese che prima nemmeno parlavano diventasse realtà. Così, i “fratelli separati” si sono scoperti “fratelli ritrovati”, in cammino verso l'unità, in cui le differenze vengono accolte senza essere demonizzate. «L'obiettivo è, dunque, quello di una comunione nella diversità», ha dichiarato la pastora Maggi.«Facciamo parte della stessa chiesa,abbiamo tracciato un alfabeto comune, quello della riconciliazione.Per questo-ha spiegato-condivideremo il pane, andando oltre quelle linee di divisione che hanno contraddistinto il nostro passato».
Chi era presente dice di aver visto un Don Lino, visibilmente commosso,soprattutto quando ha stretto davanti all'altare, in un lungo ed intenso abbraccio la pastora e tutti i presenti gli hanno espresso la propria gioia con un lunghissimo applauso.

Da Fonte Adista - Voce Evangelica

domenica 28 giugno 2015

"NOI SIAMO LA NOSTRA MEMORIA"

Che cosa si scatena nella mente e nel cuore di una persona, quando la Memoria un po' per volta vola via e in caduta libera non si riconoscono più luoghi, volti, persone care e abitudini? Che cosa si scatena nella mente e nel cuore di chi, figlio, figlia, marito, moglie assiste impotente a quello che i medici chiamano “peggioramento grave moderato o grave veloce” della Memoria del proprio caro, a seconda dei segnali e degli umori? Ho cercato di dare una risposta senza pretese a queste domande, con lo strumento che mi è più congeniale: la scrittura! Nel Laboratorio teatrale di quest'anno, ho scritto un copione per i miei ragazzi, novelli Attori, sul tema complesso della Memoria. Da figlia, ho provato così ad elaborare il mio dolore e dedico queste mie riflessioni messe in scena a mia Madre, donna intelligentissima, forte, grande, nobile e generosa, che un bel giorno è come se fosse uscita dal cancello di casa senza più tornare. Gli psichiatri, in questi casi, dicono che il soggetto non è più a norma, io preferisco riconoscere che Mamma, stroncata dalla perdita troppo pesante di Papà, morto dopo una lunga malattia, ha abbassato la “saracinesca” e quindi non è più in casa secondo il gergo psicologico ... Non è in casa, perché riconoscere che l'Amore della sua Vita non è più tra noi è insopportabile per lei e rende il vivere fatica troppo onerosa e priva di senso! Seguitemi in pillole negli squarci delle storie che andrò raccontandovi … 
Daniela Villa
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Da “Mi ritorni in mente … Noi siamo la nostra Memoria!”

Prologo

(Entra in scena la Portinaia Paolina, sta spazzando e, di volta in volta, saluta i condomini del palazzo che le passano davanti)
Portinaia: <<Buongiorno! Buona Giornata! A presto! Sì! Sarà fatto! Non si preoccupi, lasci pure a me le chiavi! I fiori li bagno io, può partire tranquillamente in vacanza! Buon lavoro! Buon riposo! Il piccolino non vi ha fatto chiudere occhio, eh, stanotte?>>
<<Buongiorno a tutti voi! Io sono la Portinaia Paolina e, se volete, potrei aiutarvi a districare la complicata matassa dei vostri ricordi lontani, recenti, esclusivi o patrimonio della memoria di tutti! Vedete, la mia vita si svolge in maniera semplice all'interno di questo palazzo signorile, patinato dal tempo e chiamato Palazzo delle Rimembranze, che si trova in via dei Ricordi ... Nomi ripetuti dalla gente del posto, perché ci vuole molto tempo e tanta pazienza per guidare ogni singolo individuo al filo dei propri ricordi.
Ebbene! Duemila albe, Duemila tramonti, e il Palazzo delle Rimembranze è sempre qui, in via dei Ricordi, sempre dolce e accogliente in tutte le stagioni!
Qualcuno dice che la Memoria è il Tesoro dell'anima e qualcun'altro afferma che il nostro camminare nella Vita non è che una fuga dalle cose amate e perdute … Ma, allora, perché trasmettere e conservare la Memoria? Perché imparare dall'esperienza di tante Memorie diverse?
Che cosa ne pensate di questo? Avete voglia di aprire, insieme a me, qualche finestra della vostra Memoria, del vostro cervello? Scusatemi! Non voglio spaccarvi il cervello in due! Ripeto la domanda: “Avete voglia di aprire, insieme a me, qualche finestra del nostro Palazzo delle Rimembranze in via dei Ricordi?” Non abbiate paura di ricordare! Possiamo farcela insieme, se lo volete!

E' ora di rientrare, altre occupazioni mi aspettano in portineria! Buona Giornata a tutti Voi e soprattutto Buona Riflessione!>>

sabato 27 giugno 2015

SOLIDARIETÀ E NON GLOBALIZZAZIONE

Da Grenoble alla Somalia, passando per Sousse e il Kuwait, questo venerdì 26 giugno lascia un gusto nero di ceneri e di spavento. Questi attentati omicidi hanno un rapporto tra loro? Certo non formalmente, perché non si riesce ad immaginare una “mano invisibile” che guida in questo modo i terroristi di tutti i paesi. Eppure, è ogni volta la stessa messa in scena, con un'abilità mediatica agghiacciante. Scegliere questo venerdì, giorno di grande preghiera per i musulmani, non è un caso. E nemmeno i luoghi sono casuali, una moschea, una zona turistica, una zona industriale a rischio. Senza parlare della firma particolarmente macabra lasciata dall'assassino di Saint Quentin Fallavier, una testa decapitata, pratica usata spesso in Siria e in Iraq dall'IS. Come se, in maniera implicita, ci fosse un accordo sulle modalità del terrore. Il fatto è che questi terroristi del XXI secolo maneggiano perfettamente il linguaggio e i mezzi di comunicazione del loro tempo. Tra questi, la globalizzazione, o viralizzazione delle immagini e della violenza, svolge un ruolo predominante. La globalizzazione del terrore è al centro della nuova strategia dell'islamismo radicale che colpisce. In risposta, indispensabile è la solidarietà...Bisogna evitare di globalizzare la paura, per non cedere a questo terrorismo senza frontiere.

venerdì 26 giugno 2015

Ecco i dieci comandamenti per salvare il pianeta che ci consegna papa Francesco:
1. Fa' uscire il mondo dall'indifferenza
“La terra, nostra casa comune, sembra trasformarsi sempre più in un immenso deposito di immondizia”.“Mai abbiamo maltrattato e offeso la nostra casa comune come negli ultimi due secoli”
La diagnosi del papa sulla “continua intensificazione dei ritmi di vita e di lavoro” è impietosa: modi di produzione, distribuzione e consumo diventati folli, si traducono in un costante deterioramento dell'ambiente, in una qualità della vita che si degrada, in una crescita “smisurata e disordinata” di grandi città ormai insalubri, in una rottura dei legami di integrazione, una esclusione e una frammentazione sociale, un accesso all'energia diseguale, nuove forme di violenza e di aggressività sociale. Il papa sottolinea in particolare il degrado dell'ambiente e il dramma attualissimo dei migranti: “È tragico l’aumento dei migranti che fuggono la miseria aggravata dal degrado ambientale, i quali non sono riconosciuti come rifugiati nelle convenzioni internazionali e portano il peso della propria vita abbandonata senza alcuna tutela normativa. Purtroppo c’è una generale indifferenza di fronte a queste tragedie, che accadono tuttora in diverse parti del mondo. La mancanza di reazioni di fronte a questi drammi dei nostri fratelli e sorelle è un segno della perdita di quel senso di responsabilità per i nostri simili su cui si fonda ogni società civile”.Le soluzioni concrete alla crisi ambientale esistono. Ma, deplora il papa, non vengono prese in considerazione davanti alla “globalizzazione dell'indifferenza”, davanti alla coalizione di interessi più potenti, davanti alla “facile rassegnazione”, davanti alla cieca fiducia nel progresso infinito e in una crescita sostenibile e proficua che egli tenta di demistificare.
2. Combatti contro il riscaldamento climatico
“Se la tendenza attuale continua, questo secolo potrebbe essere testimone di cambiamenti climatici inauditi e di una distruzione senza precedenti degli ecosistemi, con gravi conseguenze per tutti noi.
L’innalzamento del livello del mare, ad esempio, può creare situazioni di estrema gravità se si tiene
conto che un quarto della popolazione mondiale vive in riva al mare o molto vicino ad esso, e la
maggior parte delle megalopoli sono situate in zone costiere”. Il riscaldamento climatico è quindi la più grave minaccia che pesa sul pianeta. Il papa regola i conti con i “climato-scettici”. Per lui, il dubbio non è permesso: il riscaldamento è dovuto all'attività umana, alla concentrazione eccessiva di gas a effetto serra (in particolare anidride carbonica,metano), all' “uso intensivo” di combustibili fossili “che sta al centro del sistema energetico mondiale”, alla deforestazione. Il papa prende posizione per un aumento delle fonti di energia alternative e rinnovabili. Di fronte al rischio di rimessa in discussione degli ecosistemi, l'umanità è chiamata, dice, “a prendere coscienza della necessità di cambiamenti di stili di vita, di produzione e di consumo, per combattere questo riscaldamento o, almeno, le cause umane che lo producono o lo accentuano”.
3. Fornisci acqua a tutta la terra
Fornisci acqua a tutta la terra: “l’accesso all’acqua potabile e sicura è un diritto umano essenziale,
fondamentale e universale, perché determina la sopravvivenza delle persone, e per questo è condizione per l’esercizio degli altri diritti umani”. Conseguenze del riscaldamento climatico, gli episodi più numerosi di siccità e l'esaurimento delle risorse d'acqua e di altre risorse naturali fanno parte delle minacce più gravi. Il papa dedica lunghi passi alle difficoltà di approvvigionamento di acqua potabile di popolazioni del globo tra le più diseredate. Per lui, il mondo ha un “grave debito sociale” verso le popolazioni che non hanno risorse d'acqua, perché “ciò significa negare ad essi il diritto alla vita radicato nella loro inalienabile dignità”. Nel giro di pochi decenni, le carestie e la battaglia per il controllo dell'acqua rischiano di precipitare il mondo in uno dei più duri conflitti di questo secolo. Francesco manifesta una preoccupazione altrettanto viva per l'inquinamento dei mari, i rischi di estinzione della biodiversità e mette in discussione in particolare la deforestazione, le monoculture agricole, i gli scarti industriali e i “metodi distruttivi” della pesca.
4. Rimetti al centro i poveri
“Il cibo che si butta via è come se lo si rubasse dalla mensa del povero”.“I poveri e la terra stanno gridando”.Il livello attuale dei consumi dei paesi sviluppati e dei settori più ricchi della società si traduce in“un'abitudine a spendere e a buttar via che raggiunge livelli inauditi”. Ma il papa non affronta solo lo spreco e l'utilizzo egoista delle risorse del pianeta. Indica le principali vittime: i poveri. Sposando così i temi “altermondialisti”, mostra che le lotte per la difesa del pianeta sono
indissociabili dagli impegni contro le disuguaglianze economiche di sviluppo. È la forza della sua
enciclica: “Un vero approccio ecologico diventa sempre un approccio sociale”.Contro un certo discorso “verde”, ricorda che la preoccupazione per la giustizia internazionale deve essere al centro
di tutte le discussioni sull'ambiente.“I limiti massimi di sfruttamento del pianeta, senza che sia stato risolto il problema della povertà. Gli esclusi sono la maggior parte del pianeta, miliardi di persone. Oggi sono menzionati nei dibattiti politici ed economici internazionali, ma per lo più sembra che i loro problemi si pongano come un’appendice, come una questione che si aggiunga quasi per obbligo o in maniera periferica,se non li si considera un mero danno collaterale”. “Professionisti, opinionisti, centri di potere, mezzi di comunicazione sono ubicati lontano da loro,in aree urbane isolate, senza contatto diretto con i loro problemi. Vivono e riflettono a partire dalla comodità di uno sviluppo e di una qualità di vita che non sono alla portata della maggior parte della popolazione mondiale. Questa mancanza di contatto fisico e di incontro aiuta a cauterizzare la coscienza e a ignorare parte della realtà in analisi parziali”.
5. Combatti il mito del progresso illimitato
“Nessuno vuole tornare all’epoca delle caverne, però è indispensabile rallentare la marcia per guardare la realtà in un altro modo, raccogliere gli sviluppi positivi e sostenibili, e al tempo stesso
recuperare i valori e i grandi fini distrutti da una sfrenatezza megalomane”.Il papa denuncia così “l'onnipresenza del paradigma tecnocratico” secondo il quale tutti i problemi ambientali saranno, un giorno, risolti dalla crescita sostenibile e dai progressi della tecnologia. E non si è ancora completato, scrive, l'esame delle radici profonde dei cambiamenti attuali, legati all'orientamento, ai fini, al senso e al contesto sociale della crescita. In effetti, la scienza e la tecnologia non sono mai “neutre”. Mirano alla costituzione di profitti, senza un'attenzione sufficiente alle conseguenze negative. Il risultato è che si giunge, nelle parti ricche del mondo ad una “sorta di super sviluppo dissipatore e consumistico” e, nelle parti povere, “a perduranti situazioni di povertà, e, malgrado i programmi sociali, di miseria disumanizzante”. Eppure, la fiducia ingenua nella crescita indefinita e nel progresso tecnologico impedisce ogni riflessione economica e politica. Il papa ironizza su coloro che pensano che la sola crescita del mercato finisca per risolvere tutti i problemi della fame e della miseria. “Il mercato da solo però non garantisce lo sviluppo umano integrale e l’inclusione sociale”, scrive. Lo sviluppo integrale passa attraverso la lotta a favore di una giusta dimensione della produzione, di una migliore ripartizione delle ricchezze, di una salvaguardia responsabile dell'ambiente e dei diritti delle generazioni future.
6. Resisti all'onnipotenza
“qualunque cosa che sia fragile, come l’ambiente, rimane indifesa rispetto agli interessi del mercato divinizzato, trasformati in regola assoluta”. “Perché si vuole mantenere oggi un potere che sarà ricordato per la sua incapacità di intervenire quando era urgente e necessario farlo?”
Per il papa, il deterioramento dell'ambiente e il degrado umano ed etico sono intimamente legati. Si
mostra molto critico verso poteri economici e politici che continuano a difendere un sistema
ultraliberale “in cui prevalgono una speculazione e una ricerca della rendita finanziaria” indipendentemente da una riflessione sugli imperativi dell'ambiente. Per lui, la crisi mondiale non ci
è servita di lezione e le finanze soffocano l'economia reale. I “vertici mondiali” per l'ambiente
falliscono perché i poteri finanziari resistono e i progetti politici non sono all'altezza della situazione.
La sottomissione dei responsabili politici alla tecnologia e alla finanza è la causa, secondo Francesco, dei continui ritardi nel trarre le conseguenze dal degrado dell'ambiente e nell'adottare i mezzi che permetterebbero ai più poveri di accedere alle risorse di base. “È fondamentale cercare soluzioni integrali, che considerino le interazioni dei sistemi naturali tra loro e con i sistemi sociali. Non ci sono due crisi separate, una ambientale e un’altra sociale, bensì una sola e complessa crisi socio-ambientale. Le direttrici per la soluzione richiedono un approccio integrale per combattere la povertà, per restituire la dignità agli esclusi e nello stesso tempo per prendersi cura della natura”.
7. Entra nella logica del dono gratuito
“Quando pensiamo alla situazione in cui si lascia il pianeta alle future generazioni, entriamo in un’altra logica, quella del dono gratuito che riceviamo e comunichiamo. Se la terra ci è donata,
non possiamo più pensare soltanto a partire da un criterio utilitarista di efficienza e produttività
per il profitto individuale. Non stiamo parlando di un atteggiamento opzionale, bensì di una questione essenziale di giustizia, dal momento che la terra che abbiamo ricevuto appartiene anche a coloro che verranno”. Per il papa, la crisi ecologica è una manifestazione della crisi etica, culturale e spirituale della “modernità”. Non possiamo pretendere di curare la nostra relazione con la natura e l'ambiente,
dice, senza sanare tutte le relazione fondamentali dell'essere umano. Non possiamo risolvere la crisi
ecologica senza una riflessione profonda sullo sviluppo dell'essere umano e dei suoi valori. Non
possiamo ignorare che il mondo del consumo esagerato è allo stesso tempo quello del cattivo
trattamento della vita sotto tutte le sue forme e che l'ecologia integrale presuppone di rompere “con
la logica della violenza e dello sfruttamento”. “Quando non si riconosce nella realtà stessa l’importanza di un povero, di un embrione umano – il papa è contro l'aborto -, di una persona con disabilità (...) difficilmente si sapranno ascoltare le grida della natura stessa. Tutto è connesso”.
8. Favorisci la transizione energetica
“In attesa di un ampio sviluppo delle energie rinnovabili, che dovrebbe già essere cominciato, è
legittimo optare per il male minore o ricorrere a soluzioni transitorie”. Per il papa è urgente un accordo a livello mondiale, che miri a sviluppare forme di energia rinnovabili e poco inquinanti, a promuovere un miglior rendimento energetico, a sviluppare un'agricoltura diversificata, una gestione più adeguata delle risorse forestali e marine, ad assicurare l'accesso all'acqua potabile per tutti. Auspica,in particolare, la sostituzione progressiva, “senza indugio”, della produzione energetica basata sui combustibili fossili molto inquinanti come il carbone, ma anche il petrolio e il gas.
“La politica e l’industria rispondono con lentezza, lontane dall’essere all’altezza delle sfide
mondiali. In questo senso si può dire che, mentre l’umanità del periodo post-industriale sarà forse
ricordata come una delle più irresponsabili della storia, c’è da augurarsi che l’umanità degli inizi
del XXI secolo possa essere ricordata per aver assunto con generosità le proprie gravi responsabilità”.
Questo è un pio desiderio per il papa che denuncia gli ostacoli a questa transizione energetica, l'impotenza della comunità internazionale a trovare accordi sufficienti e a indicare coloro che devono sopportare i costi di questa transizione. L'economia e la finanza transnazionali tendono a predominare sulla politica, deplora. In questo contesto, lo sviluppo di istituzioni internazionali diventa indispensabile. Esse devono essere più forti ed efficacemente organizzate, con autorità designate per accordo tra i governi nazionali e dotate di poteri per sanzionare.
9. Accetta una certa decrescita
“Di fronte alla crescita avida e irresponsabile che si è prodotta per molti decenni, occorre pensare pure a rallentare un po’ il passo, a porre alcuni limiti ragionevoli e anche a ritornare indietro prima che sia tardi”. Il papa è preoccupato delle disuguaglianze di sviluppo e della sorte dei poveri per preconizzare, come fanno tanti ecologisti, una società di “decrescita”. Ma conosce troppo – e denuncia – “il discorso della crescita sostenibile” divenuto spesso “un diversivo e un mezzo di giustificazione che assorbe valori del discorso ecologista all’interno della logica della finanza e della tecnocrazia, e la responsabilità sociale e ambientale delle imprese si riduce per lo più a una serie di azioni di marketing e di immagine”. Il comportamento di coloro che consumano e “distruggono” sempre di più non è più sostenibile,mentre altri non possono vivere degnamente. Quindi, il papa afferma che “è arrivata l’ora di accettare una certa decrescita in alcune parti del mondo procurando risorse perché si possa crescere in modo sano in altre parti”. In altre parole, le società tecnologicamente avanzate dovrebbero favorire comportamenti più sobri, ridurre i loro bisogni di energia e migliorare le condizioni del suo utilizzo.
10. Cerca di promuovere una “sobrietà felice”
“La crisi ecologica è un appello ad una profonda conversione ecologica ed interiore”. “Nella Bibbia, tutto è in relazione, e la cura autentica della nostra stessa vita e delle nostre relazioni con la natura è inseparabile dalla fraternità, dalla giustizia e dalla fedeltà nei confronti degli altri”.
L'enciclica di papa Francesco intende mobilitare i credenti e i non credenti alla conversione
ecologica. Secondo il racconto biblico della Genesi, ricorda, gli uomini creati a immagine di Dio
avrebbero ricevuto come missione di “dominare” la terra e le altre creature. Ma “dominare la
terra” non vuol dire favorire lo sfruttamento selvaggio, né che l'uomo è un essere “dominatore e
distruttore”. Questo si basa su un'interpretazione sbagliata della Bibbia e del pensiero ebraicocristiano. La missione dell'uomo è, al contrario, “coltivare e custodire la terra”, cioè proteggere,salvaguardare, preservare, curare, sorvegliare la natura. C'è una relazione di reciprocità responsabile tra l'essere umano e la natura. Questo implica un cambiamento radicale dei nostri modi e stili di vita. Il papa si rivolge in particolare ai cristiani poco mobilitati per le urgenze dell'ambiente o che fanno fatica a cambiare le loro abitudini. Li invita a fare la loro parte di sforzi per proteggere la
natura e condurre una vita di “sobrietà felice”, secondo la formula del militante ecologista e scrittore francese Pierre Rahbi. Per lui la spiritualità cristiana propone “una crescita nella sobrietà e una capacità di godere con poco”. Ricordando Francesco d'Assisi, Francesco propone un ritorno alla semplicità di vita, “quella che ci permette di fermarci a gustare le piccole cose, di ringraziare delle possibilità che offre la vita senza attaccarci a ciò che abbiamo né rattristarci per ciò che non possediamo. Questo richiede di evitare la dinamica del dominio e della mera accumulazione di
piaceri”.
di Henri Tincq , in “www.slate.fr”

giovedì 25 giugno 2015

IN RICORDO DI P.SILVANO FAUSTI

«La gente non ascolta quello che dici, ascolta quello che senti. Per questo durante una lectio non sono mai io a leggere il Vangelo. L’efficacia della parola orale è in questo sentire interiore. Altrimenti puoi fare considerazioni vuote o dotte, o ripetere ciò che hanno pensato altri, e sarà tutto finto».
Nel libro autobiografico Sogni allergie benedizioni aveva scritto: «Sogno un papa che convochi un concilio. Non un terzo Vaticano ma un secondo Gerosolimitano. Per de-religionizzare la Chiesa in senso barthiano, o almeno de-clericalizzarla in senso cristiano, o almeno de-occidentalizzarla in senso cattolico, o almeno de-romanizzarla in senso evangelico, o almeno de-curializzarla in senso apostolico». (Pubblicato quando fu eletto Papa Francesco).
Le scuse che le donne aspettano 
Kiko Arguello spiegherà forse di essere stato frainteso. Ma non c’è molto da interpretare nelle parole che l’esponente di Cammino Neocatecumenale ha pronunciato sabato scorso dal palco del Family Day. Non ci sono sofismi possibili quando si afferma che l’uomo abbandonato dalla donna amata sente istintivamente «il moto di ucciderla». Certo, Arguello non ha mica giustificato il femminicidio. Ci mancherebbe altro. Le sue parole lasciano però intravedere lo spettro di un pregiudizio culturale arcaico che decenni di conquiste sociali non hanno abbattuto: la colpa sotto sotto è della vittima, specialmente se donna. È un punto da tenere a mente quando si punta l’indice contro l’Islam reo in primo luogo di discriminare l’altra metà del cielo. Così come è da tenere a mente che la nostra occidentalissima Italia ha abolito il delitto d’onore solamente nel 1981, ossia ieri. L’emancipazione femminile al pari di quella politica procede a scatti e non sempre l’aggiornamento delle leggi va di pari passo con quello dell’opinione pubblica. L’occidente ha ragione di essere fiero dei suoi progressi. Eppure ascoltando Arguello pare di udire l’eco irritante dell’imam algerino Hamada, che ha appena chiesto la messa al bando della minigonna, delle autorità pakistane capaci di scarcerare 8 dei 10 killer di Malala Yousafzai perché in fondo il processo è stato condotto in modo approssimativo sotto la pressione internazionale, del vicepremier turco Bulent Arinc con la sua intemerata contro le donne che ridono in pubblico. Al Cairo, capitale mondiale delle molestie sessuali, una ragazza abusata come la giornalista Hania Moheeb viene invitata a tacere da medici e poliziotti per non essere stigmatizzata. Il marito di Hania però, uomo libero dai complessi, l’accompagna in tv a raccontare la violenza del branco accusando la società anziché la moglie. Se il signor Arguello è stato frainteso lo dica forte e chiaro, altrimenti si scusi con le donne e con tutti gli altri. Lo scontro delle civiltà vaticinato da Huntington era un falso mito, quello delle inciviltà invece rischia di diventare routine.
di Francesca Paci
in “La Stampa” del 24 giugno 2015

martedì 23 giugno 2015

DIO SALVI IL RE E LA REGINA!!!

Correva il tempo delle elezioni dei membri del Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione. Per intenderci: le elezioni, indette per la giornata del 28 aprile 2015, sarebbero servite all'individuazione di 15 rappresentanti di tutto il personale delle scuole statali di ogni ordine e grado atti a garantire, con il ministro Giannini, l'unitarietà in termini di Sistema Nazionale di Istruzione.Nell'atrio vociante della mia scuola, tra il chiacchiericcio generale e i saluti diretti dei miei studenti, vengo avvicinata, con aria circospetta, da una collega, che, senza preamboli, mi mette sotto il naso la lista dei Probi degni di comparire nella “rosa dei beati”, aggiungendo in maniera sentenziosa : - Capisci, Daniela, è importante votare bene e sapere chi votare, perché, con il pericolo di questi Gender, a scuola, i nostri ragazzi non sono più al sicuro! - La guardo sbalordita, tra l'indignato e l'ironico, mi viene da ridere e riaffiorano reminiscenze manzoniane da “Storia della Colonna Infame”, ma non è una pagina da romanzo d'appendice quella, non siamo nel '600, e il retrogusto amaro è dato dalla “cozzaglia” delirante di castronate che mi vengono riportate lì per lì, del tipo: - Un ragazzo deve avere un padre e una madre per crescere! La famiglia tradizionale non può essere sostituita da altre formule preconfezionate di famiglia! In caso di un figlio con due papà o due mamme, chi sarà la componente maschile e chi quella femminile? Ma guarda gli stilisti Dolce e Gabbana, che bravi che sono a non aver messo su famiglia con figli, non come Elton Jhon … - E via di questo passo. La grancassa delle preoccupazioni espresse da quella mia collega non ha forse trovato una degna risonanza nella manifestazione di piazza a Roma con un milione di voci, di mani e di braccia alzate, di gambe che hanno urlato e sbandierato gli stessi diritti per quei poveri bambini e per quelle bambine, che guai a loro se gli capita l'immane sfortuna di avere due papà e due mamme, perché cresceranno senz'altro sviati, confusi e problematici!!! Che venga bandita allora ogni altra forma di unione all'infuori di quella sacrosanta, meglio se benedetta da Santa Madre Chiesa, tra un uomo e una donna. L'Amore, quello con la A maiuscola, non può essere così totale, esclusivo, unico, assoluto e vivificante se nato nel cuore di due persone dello stesso sesso, che pertanto saranno sicuramente dei “cattivi” genitori, incapaci di accudire, educare, indirizzare e amare i loro figli! Si paventano, come se fossero untori, le colonie di padri, madri, insegnanti omosessuali! Meglio allora schedarli sbrigativamente con un triangolo rosa di memoria nazista o confinarli sull'isola di Ponza secondo le comuni restrizioni fasciste! Tutto potrà così rientrare nella norma, nell'ordine, nel regime di un sistema di regole e di consuetudini che lasciano poco o niente a chi viene ritenuto “diverso”, “altro” da me, e finalmente il grido liberatorio e rassicurante: “Dio salvi il Re e la Regina!”, non importa se anche due Re o due Regine possano comunque essere bravi Genitori e bravi Insegnanti!!!

Daniela Villa

domenica 21 giugno 2015

A PROPOSITO DEL FAMILY DAY

Non riesco mai a comprendere perché per esprimere un'idea,un'opinione,e in seguito anche difenderla e sostenerne la validità,devo per forza schierarmi contro qualcosa o qualcuno.
Poteva essere un momento utile e costruttivo per vivere una giornata all'insegna della Famiglia.
E' sicuramente importante affermare la fondamentalità dell'agenzia Famiglia nella costituzione di uno Stato sociale,politico,economico e umano. Ma è altresì vero che lo stesso Stato si è costituito e deve fondarsi sulla Famiglia.
E allora perché la manifestazione di sabato? Perché per affermare che è bello essere Famiglia devo sconfessare,denunciare e denigrare il diverso? Ma il nucleo portante della Famiglia,o meglio la sua sacramentalità non è l'Amore? E questo Amore non ha il potere forse di unire le diversità oltre pelle,religione,sesso e scelte di vita?
E allora qual è il problema? Che cosa dobbiamo temere? Di che cosa abbiamo paura?
Io non ho partecipato a questa giornata per la Famiglia. Non potrò mai essere tra coloro che sanno sempre qual'è la Verità,soprattutto quando m'invita a schierarmi contro l'altro che non ha il diritto di essere tale perché altro!!!
A.B.

sabato 20 giugno 2015

MANCA QUALCOSA....

«Tutto dipende da me... e se dipende da me sono sicuro che non ce la farò», diceva Nanni Moretti in Caro Diario, riferendosi alla sua condizione di malato apparentemente incurabile. Leggere l’enciclica Laudato Si’ di Francesco mi ha gettato nello sconforto del personaggio morettiano. Tutto dipende da noi, esseri umani, come individui e come collettività. Tutto dipende da noi, se vogliamo salvare questo mondo ammalato, se vogliamo salvare il Creato che Dio ci ha affidato. E se tutto dipende da noi, sono sicuro che non ce la faremo. Però, si dice, finalmente un’enciclica del papa che parla dei temi ambientali...... E la chiesa cattolica non è rimasta a guardare in questi decenni, ma ha partecipato attivamente a questo processo di riscoperta del legame con la terra. Colpisce però il pessimismo che pervade l’enciclica. Il mondo va male, il mondo va peggio. Già Francesco aveva espresso questa opinione in pubblico. Ma non è così: la situazione è molto più complessa. Ne dico due: la percentuale dei poveri nel mondo è calata rispetto a trent’anni fa e mai nella storia si è verificato che cittadini privati donassero soldi per cittadini poveri di altre nazioni come avviene ora. La povertà non è stata sconfitta e troppa gente sta male al di là di quanto noi (occidentali in poltrona) possiamo immaginare, ma ridurre a “si va sempre peggio” non è dire la verità. Insomma, in questo testo, che mette finalmente il magistero cattolico in linea con quanto già dibattuto a livello ecumenico, manca la speranza. Manca la speranza che, nonostante il peccato degli uomini e delle donne, contro Dio, contro il prossimo e contro il Creato, il Padre amorevole non ci abbandonerà. Manca la speranza che, alla nostra responsabilità di custodi del Giardino, corrisponda la responsabilità di chi ci ha chiamati a questa vocazione....Forse, non è un caso che del canto di Francesco d’Assisi, papa Francesco nell’enciclica citi tutto, eccetto la lode finale: «Laudato si’ mi’ Signore per sora nostra morte corporale, da la quale nullu homo vivente pò skappare: guai a quelli ke morrano ne le peccata mortali; beati quelli ke trovarà ne le tue santissime voluntati, ka la morte secunda no 'l farrà male». Il frate di Assisi non si compiaceva della morte, ma sapeva che la grazia del Signore era più forte.
Peter Ciaccio in “www.riforma.it” del 19 giugno 2015

venerdì 19 giugno 2015

I MURI DELL'EUROPA ... UNITA

Quando all'inizio degli anni Novanta la Spagna cominciò a costruire della barriere con filo spinato attorno a Ceuta e Melilla, alte prima quattro poi sei metri, costo finale 30 milioni di euro, quella decisione sembrò una bizzarria della Storia, un anacronismo post-muro di Berlino giustificato dall'eccezionalità della situazione geografica: le due città, spagnole dal XV secolo, sorgono sulla costa mediterranea del Marocco, e costituiscono la sola frontiera terrestre dell’Europa in Africa. 
Ogni tanto, nella madrepatria, qualche migliaio di spagnoli scendono in piazza per protestare contro le due barriere, lunghe quasi 10 chilometri ciascuna e munite sulla sommità di lame affilate che adempiono almeno in parte al loro scopo: non scoraggiano, ma tagliano esseri umani tanto disperati da arrampicarsi lo stesso. Manifestazioni per esempio nel 2005, quando 15 migranti arrivati dall’Africa subsahariana persero la vita nel tentativo di superare le fortificazioni. All’inizio nei cortei si gridava lo slogan «basta muri, più ponti», una frase che oggi fa quasi sorridere per la sua ingenuità. In Europa il clima politico e intellettuale prevalente consiglia fermezza, e disincanto, nei confronti dei migranti. Mai come in questi giorni in Francia viene ripetuta la storica frase pronunciata in tv il 3 dicembre 1989 dall’allora premier Michel Rocard: «Non possiamo accogliere tutta la miseria del mondo». I muri funzionano o quasi, via libera ai muri.
Il muro vero in costruzione a Calais, per esempio. La Gran Bretagna ha concluso con la Francia un accordo per finanziare con 15 milioni di euro una palizzata che sta rendendo il porto inaccessibile ai migranti. Nel 2002 l’allora ministro dell’Interno Nicolas Sarkozy chiuse il centro di Sangatte come se si potesse cancellare l’immigrazione per decreto, ma i migranti somali, sudanesi, eritrei ovviamente non hanno mai smesso di arrivare a Calais per tentare di raggiungere con ogni mezzo la terra promessa, l’Inghilterra. Le barriere tengono lontani dalle navi i circa 3000 clandestini. Allora ieri, per esempio, dalla collina ormai nota come «New Jungle» hanno lanciato sacchi di rifiuti in mezzo alla strada per fare rallentare i camion, e permettere a circa 200 compagni di dare l’assalto ai rimorchi. «Scene apocalittiche», ha detto una fonte della polizia. Scene che potrebbero finire quando le fortificazioni saranno completate. Quello di Calais è l’unico muro all’interno dell’Unione europea, pensato per proteggere la Gran Bretagna (che non fa parte di Schengen) dai flussi migratori in arrivo dal resto dell’Ue. L’Inghilterra quindi ha spostato in avanti il suo confine, il più lontano possibile da Londra. Addirittura in Francia. 
Poi ci sono i muri invisibili e provvisori, come quelli di Ventimiglia e del Brennero, avvisaglia di quello che ci aspetta - il ripristino delle frontiere all’interno dell’Europa - se i Paesi membri non trovano un’intesa. Nonostante i dinieghi, a Ventimiglia la Francia di fatto blocca il confine, non limitandosi a condurre controlli puntuali e a campione come prevede Schengen ma fermando gruppi interi di persone, sulla base dell’aspetto esteriore. Come ha detto a Mediapart Laurent Laubry, del sindacato di polizia Alliance, «generalmente le persone con la pelle bianca non vengono dall’Africa». La frontiera è tornata, sia pure selettiva. 
I più colossali muri fisici sono quelli che cercano di difendere le frontiere esterne dell’Unione europea. Per esempio quello iniziato nel 2012 e ormai concluso, 12 chilometri di barriere e filo spinato tra la città greca Nea Vyssa e la turca Edirne. Il governo di Atene decise di seguire l’esempio di Ceuta e Melilla per fermare il gigantesco afflusso di migranti del Medio Oriente (soprattutto siriani e iracheni in fuga dalla guerra) che usavano il fiume Evros per provare a entrare in Europa. La Grecia ha speso tre milioni di euro per costruire il muro. La Ue non ha contribuito al finanziamento, ma Francia e Germania hanno sostenuto politicamente la scelta di Atene.
Ma la storia forse più incredibile è quella della Bulgaria: dopo avere finalmente buttato giù le barriere di epoca sovietica che servivano per tenere la gente chiusa dentro, il governo di Sofia è passato a costruirne un’altra, stavolta per tenere la gente chiusa fuori. Anche qui il confine da fortificare e rendere invalicabile è quello con la Turchia. Nel settembre scorso è stata completata la prima tratta di 32 chilometri, il progetto complessivo arriva a 160. Ma già così, nel 2014 solo quattromila persone sono riuscite a entrare illegalmente in Bulgaria; l’anno prima erano state 11 mila. Il nuovo muro annunciato ieri tra Ungheria e Serbia potrebbe quindi non essere l’ultimo della serie. A Melilla, dove tutto cominciò, l’artista italiano Blu ha dipinto una gigantesca bandiera europea: al posto delle 12 stelle, filo spinato.
da "Corriere.it"
«Qui è morta anche l’umanità» 
«Se si ripeteranno episodi come quelli cui abbiamo assistito a Ventimiglia, se la Francia, pur negandolo, continuerà a violare il trattato di Schengen, se l’Ungheria alzerà i suoi muri, allora vuole dire che non solo è morta l’Europa, ma anche la nostra umanità». Emma Bonino arriva all’ExpoMilano 2015, allarga la braccia: «Quattro milioni di siriani sono stati espulsi dal loro Paese. In centinaia di migliaia sono arrivati via terra in Bulgaria, ma nessuno si emoziona per la Bulgaria, lasciata sola a fronteggiare il loro arrivo. Basta lamentarci: l’Italia è un Paese capace di inventarsi sempre una soluzione, di cavare il sangue dalle rape. Dove andavano i nostri nonni? Dove c’era lavoro o dove già era emigrato qualcuno della famiglia. Così faceva anche l’emigrazione irlandese o polacca. È sempre stato così». 

lunedì 15 giugno 2015

UNO SCAMBIO DI ... IDEE!!!

Ma i preti sposati faranno un po' di casino per il giubileo????il polacco non li cagò nemmeno nel 2000!!!non ti ho visto all'assemblea del clero e pensare che uno era presente!!!fuori i coglioni e lotta continua al sistema del regime del polacco!!!Marcel garibaldino
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Carissimo don Marcello,in arte Marcel garibaldino,
vorrei sperare che tu stia bene,ma i tuoi deliranti messaggi non me lo fanno pensare.
Ma il "polacco" non è già morto e con lui tutta la sua compagnia?
Io sono rimasto all'idea che morto un papa se ne fa un altro,e non solo fisicamente ma anche in tutto l'impianto aziendale. Per cui se qualcosa ancora persiste vuol dire che c'è qualche errore nel DNA stesso della Chiesa,e allora sì che sarà difficile cambiare qualcosa!
Non ho proprio capito cosa c'entro io con la tua assemblea del clero,visto che non abito più a Bergamo né appartengo a quella casta!
E poi se vogliamo proprio parlare di "coglioni",siete voi preti che dovreste incominciare ad usarli visto che i più li hanno arrugginiti,mentre i preti-sposati hanno possibilità di utilizzo normale e adeguato!!!
Infine,non è questione di giocare a chi fa la voce più grossa o la lingua più affilata o a chi usa maniere sempre più forti,ma esserci nella condivisione e nella quotidianità,schierati o affiancati,sempre pronti a far emergere la verità e l'umanità del mondo,in qualunque stato,condizione e situazione ci si trovi.
Comunque un saluto e un abbraccio forte.
AGOSTINO.

venerdì 12 giugno 2015

QUAL E' LA VERA RICCHEZZA?

Chi ama l’argento non è saziato con l’argento; e chi ama le ricchezze non ne trae profitto di sorta 
(Ecclesiaste 5, 9)

La vostra condotta non sia dominata dall’amore del denaro; siate contenti delle cose che avete; perché Dio stesso ha detto: «Io non ti lascerò e non ti abbandonerò» 
(Ebrei 13, 5)

L’essere umano può scoprirsi ricco sotto molti aspetti: ci si può ritenere ricchi di tante cose… di cultura, di esperienza, di capacità manuali, di riconoscimenti, di affetti, di rapporti interpersonali, di stima, di simpatia, di amici, di radici storiche e di tanto altro…. Per tutto questo non c’è certamente da sentirsi in colpa o mancanti rispetto alla volontà di Dio.
Il vero rischio che si corre è quello dell’insuperbirsi, di cadere in un’esaltazione di sé e di ritenere, come purtroppo spesso accadde, di poter fare a meno di Dio, di dire a Dio: «Fatti da parte che me la so cavare da solo».
da "Riforma"

martedì 9 giugno 2015

UNA MOSTRA DA NON PERDERE ALLA REGGIA DI VENARIA

Pregare. Un’esperienza umana

L’incontro con il divino nelle culture del mondo

Ogni preghiera è un frammento di religione, un pezzetto di letteratura, di musica, di arte...
La preghiera accomuna culture e culti diversissimi tra loro in quanto fenomeno antichissimo e universale che corrisponde all'anelito verso la divinità, l'ascesi, la perfezione, ma anche alla richiesta di aiuto, di protezione e di conforto; potentissima manifestazione dell’umanità, si ritrova ad ogni latitudine e geografia: la mostra vuole raccontarla attraverso oggetti, immagini, video e opere provenienti da musei di tutto il mondo. La “continuità”, la “ripetizione” e la “circolarità” sono i tre fenomeni che accompagnano i visitatori in questo viaggio.
L'umanità prega creando magnifiche coreografie, ruotando, saltando, inginocchiandosi e prostrandosi, intonando canti e cori, cadendo in trance o in profonda meditazione. Il pubblico è invitato ad entrare in questi mondi attraverso gli oggetti che aiutano la preghiera, i suoni e le musiche che l'accompagnano, la partecipazione agli stessi riti nella profondità di una multiproiezione avvolgente.
Promossa sotto il Patronato dell’Arcivescovo di Torino, S. Ecc. Monsignor Cesare Nosiglia,  con il Patrocinio del Comitato per la solenne Ostensione della Sindone 2015 
Sotto l'Alto Patronato di Sua Maestà Mohammed VI, Re del Marocco
A cura di: Lucetta Scaraffia e Franco La Cecla
In collaborazione con: Associazione Sant’Anselmo – Imago Veritatis
DOVE
Sale delle Arti, II piano
QUANDO
Dall’11 aprile al 28 giugno 2015
Il Giovedì dell'Abbonato
Visita guidata esclusiva della mostra "Pregare" dalle ore 17 alle 18.30, ogni giovedì dal 21 maggio al 25 giugno 2015.
Iniziativa riservata a chi possiede l'Abbonamento Musei (ingresso alla mostra: gratuito; visita guidata: 4 euro). 
È necessaria la prenotazione al numero di tel. +39 011 4992333

UN ERRORE CHE SPERIAMO SI RIPETA SPESSO !!

PORCIA. Messa celebrata senza prete nel duomo di San Giorgio. Un fatto più unico che raro nella diocesi di Concordia-Pordenone. I parrocchiani, dopo alcuni minuti di attesa, si sono organizzati per procedere con la messa “autogestita” visto il protrarsi dell’assenza del sacerdote designato. Così, a presiedere la celebrazione della parola è stata una suora.
L’assenza del presbitero è stata causata da un errore di cui si è assunto la responsabilità il parroco don Daniele Fort, errore – vale la pena sottolinearlo – scusabilissimo per un sacerdote che in 17 anni di reggenza della parrocchia di Porcia ha celebrato qualcosa come 6.258 messe e che ogni settimana deve provvedere ad organizzare la “copertura” di una decina di celebrazioni eucaristiche, occupandosi anche della parrocchia di Rorai Piccolo.
La messa senza prete è stata quella prefestiva di sabato, in programma alle 18. «Anzitutto va sottolineato che la suora, come ministro straordinario dell’eucarestia, può presiedere legittimamente alla celebrazione della parola – premette il parroco –. Sabato, l’altro presbitero aveva in programma anche la messa alle 19 a Rorai Piccolo e allora, piuttosto che far aspettare la gente fino al termine di quella funzione, è stato giusto procedere così. Mi è stato riferito che la suora, tra l’altro, è stata efficientissima. Tutto si è svolto secondo le regole, ci sono stati i canti e le preghiere come una normale celebrazione, e la messa è assolutamente valida per il precetto festivo».
«Quanto al sacerdote da me incaricato – prosegue don Daniele –, il problema è consistito in una data sbagliata quando ho stilato il programma delle messe. Dopo tanti anni, un errore di stampa può capitare a tutti». In questi ultimi anni non risultano casi analoghi di messe celebrate senza prete nella diocesi: «Forse in qualche chiesa di montagna è accaduto – spiega don Daniele –. Nella nostra diocesi è un fatto inusuale ma in Carnia, ad esempio, questa prassi è consolidata. Tecnicamente, si chiama celebrazione della parola in attesa del presbitero»....
Qualche parrocchiano ha espresso disappunto ma, come detto, la celebrazione senza presbitero è legittima, seppure non siano in molti a saperlo, anche tra i fedeli. Può svolgersi nella chiesa abituale utilizzando i ruoli ministeriali e i libri liturgici ordinari sotto la responsabilità dei laici delegati dal parroco secondo le norme diocesane. «Anche a Porcia abbiamo persone perfettamente formate per far fronte a questa necessità – conferma don Daniele Fort –, anche se non è stato costituito un gruppo liturgico specifico».
Da "Messaggero veneto" del 8/6/15.

domenica 7 giugno 2015

UN CONTRIBUTO DAGLI AMICI DI TORINO PER IL SINODO SULLA FAMIGLIA

In vista del prossimo Sinodo dei vescovi dedicato alla famiglia, anche la Comunità
Nascente di Torino ha deciso di offrire un piccolo contributo di riflessione, a partire dal
Questionario contenuto nel documento preparatorio del Sinodo.
Premessa: la nostra Comunità nasce dall’incontro di alcuni credenti, che iniziarono a
sentirsi stretti entro i limiti delle strutture ecclesiastiche, desiderando intraprendere un
cammino di ricerca a più ampio raggio, senza dover abbandonare la propria comunità
ecclesiale. In breve tempo, diverse realtà e storie individuali (pluralismo religioso, differenti
orientamenti sessuali, divorziati, singoli e famiglie, etc.) si sono intrecciate, creando una
matrice eterogenea di persone, ognuna con la propria fede e con l’obiettivo di camminare
e crescere insieme.
Partendo dal questo tipo di realtà, vorremmo offrire un contributo che non si tradurrà in
risposte legate ai quesiti posti ma che vuole rappresentare, invece, una proposta di:
- Riflessione sul questionario in oggetto. Pur apprezzando la volontà del Vaticano
per lo spiraglio di apertura nell’inviare il questionario, riteniamo che questo, più che
un tentativo di ascolto autentico, rappresenti una richiesta di aiuto a proseguire su
“modelli precostituiti” che non rispondono più alla società contemporanea nella
sua interezza. Le domande, formulate in maniera eccessivamente articolata, ci
sembra abbiano già insite in se stesse risposte, giudizi etico-morali e dogmi che,
oggi più che mai, dovrebbero essere ridiscussi.
- Revisione del concetto di famiglia. Il modello “uomo-donna, uniti nel sacro
vincolo del matrimonio, indissolubile e aperto alla procreazione” viene proposto,
nelle domande, come l’unico corrispondente “alla disposizione originaria di Dio”. La
nostra esperienza quotidiana di comunità è testimonianza di realtà familiari che
nella loro diversità sono chiare evidenze di pienezza, amore e progettualità al pari
di famiglie composte da un uomo e una donna uniti nel matrimonio cristiano.
- Revisione del concetto di pastorale. Riteniamo che una pastorale più efficace e
autentica debba necessariamente subire un processo di rinnovamento. I “preti”
dovrebbero riscoprire il loro ruolo di “pastori” del popolo, vivere non a fianco della
Comunità ma nella Comunità, potersi unire in matrimonio ed esperire in prima
persona gioie e difficoltà della vita di coppia. Questa esperienza personale
potrebbe arricchire e fornire nuovi spunti per i corsi di preparazione al matrimonio e
di accompagnamento delle famiglie. Auspichiamo inoltre, che ai pastori venga data
la possibilità di accedere ad una formazione permanente, che comprenda una
conoscenza degli attuali percorsi teologici e che sia realmente aperta al confronto e
al dialogo con le altre confessioni religiose e con tutte le componenti, anche laiche,
della società. È scandaloso il fatto che nella chiesa cattolica non si riconosca pari
opportunità di ministero alle donne.

Dalla nostra esperienza, appare evidente un sempre più crescente bisogno di una
Chiesa autenticamente inclusiva e non escludente. “Includere l’altro” significa
accettarlo pienamente per quello che è, apprezzando il contributo unico che può
apportare, senza chiedergli di modificare la propria essenza per conformarsi ad un
unico modello prestabilito.
Dio è un Dio d’amore, fondamento dinamico che ci mobilita, ci scuote e ci chiama ad
una speranza attiva. La nostra speranza è quella di un risveglio delle coscienze della
gerarchia cattolica, che trovi il coraggio di abbandonare le paure che la imprigionano in
torri dogmatiche, moralistiche e liturgiche. Non si distruggono le nostre radici se si ha il
coraggio di guardare in faccia la nuova realtà con i suoi problemi. Invece si soffoca la
fede se non si crede che, attraverso il messaggio di Gesù, Dio ci accompagna verso il
futuro. E' la nostra "tradizione", nel senso vivo della parola, che esige un coraggioso
andare oltre. In questo cammino Gesù ci precede. "Andate dunque" (Mt 28, 19) è per
noi l'esortazione, la chiamata a rinnovare la nostra testimonianza cristiana nelle vie del
mondo, nell'esistenza quotidiana. Gli errori del passato possono essere superati e urge
oramai, un’apertura alle richieste della contemporaneità, come già fatto, per altro, da
diverse confessioni “cristiane” a noi vicine.
La Comunità nascente

venerdì 5 giugno 2015

CHE COS'È' LA NORMALITÀ' ?


LA CHIESA E LA MISERICORDIA

Di Papa Francesco parlano un po’ tutti e, quasi tutti, ne rilevano sia le aperture alla modernità, sia gli intoppi che gli provengono dalle reazioni della curia e degli episcopati più conservatori. Si tratta però di valutazioni che corrispondono ad una parte delle situazioni di fatto, ma per l’appunto solo ad una parte. La realtà è molto più complessa ed attiene il problema storico dei rapporti del Cristianesimo con la modernità; sia pure di una modernità che oggi e da pochi decenni interpella la Chiesa in un modo drammatico; basti pensare alle nuove frontiere delle immigrazioni, alle provocazioni di una sensibilità etica in divenire tumultuoso, alla sfida di una concezione dei rapporti familiari in rapporto di netta contrapposizione a quelli tradizionali, ad una diversa attenzione alla centralità della persona umana resa problematica dalla crisi di fiducia  per mancanza di lavoro nelle società più evolute. Tutto questo accompagnato da una domanda fatta urgente alle responsabilità ecclesiastiche, alle quali viene chiesto un aggiornamento inedito rispetto ad un messaggio dottrinale tanto obsoleto, quanto inatteso, nelle sue forme consolidate, dalla quasi totalità degli stessi cristiani: basti pensare alla morale sui comportamenti sessuali all’interno dello stesso matrimonio..........

Il problema potrebbe indicare approcci diversi, ma se si volesse ridurre il ragionamento ad estrema sintesi si potrebbe osservare che le culture che più incidono sulla mentalità corrente soprattutto nell’Occidente “cristiano”, si ispirano al rifiuto di una morale oggettiva; il riferimento dei comportamenti correnti si ispira ad un estremo e radicale soggettivismo etico; l’esperienza e le scelte quasi esclusive si ispirano alla totale “libertà” dalle norme oggettive che tradizionalmente avevano influenzato i costumi. Da alcuni decenni le scelte sessuali, le decisioni sulla vita, sulla salute, sui rapporti affettivi sono cosa del tutto “sciolta” dalle indicazioni di una morale oggettiva: sono “cosa mia” per tutti o quasi tutti. Si tratta di una componente specifica della modernità e, tanto nel bene, quanto nel male, costituiscono la sfida per ogni autorità morale, per la Chiesa cattolica innanzitutto.

Sorge una domanda: perché la Chiesa innanzitutto? Per i suoi ritardi, peraltro denunciati da eminenti personalità ecclesiastiche (si pensi al card. Martini), nel porsi il problema del suo ruolo pastorale e del suo dialogo culturale col moderno. Il tutto reso anche più drammatico ed urgente considerato il grande prestigio del cristianesimo nel mondo, al netto di tutte le riserve e le contraddizioni storicamente inevitabili. Sottoposto ad una osservazione sistematica conseguente da parte di amici ed avversari, diventa ovvia la critica soprattutto nei confronti della Chiesa cattolica: ed ovviamente senza affrontare gli episodi, ormai diffusissimi, delle persecuzioni contro i cristiani; cosa che attiene un diverso ordine di considerazioni. Qui resta da osservare che essendo il Cristianesimo una religione incarnata nella storia, si fa drammatica una condizione di ritardo rispetto ai processi storici in atto e tra tutte le condizioni da valutare non stupisce che la più problematica sia proprio quella della Chiesa cattolica che tra tutte le confessioni cristiane ha fortemente sentito la questione dei rapporti con la società civile e con le civiltà di riferimento..............

Ora il problema sta in una necessaria ripresa del valore soggettivo; non perché la Chiesa ed il Cristianesimo non possano avere una dottrina, ma nel senso che si tratta di dottrina che deve aiutare i percorsi personali e non servire di condanna alle scelte di coscienza; perché in ultima istanza va riconosciuto che il supremo giudice di ciascuno è sempre la coscienza. Mi pare significativo, al riguardo quanto rispondeva Tommaso Moro (protettore dei politici: Dio li perdoni!) a chi lo consigliava di giurare fedeltà all’atto di supremazia del re sulla Chiesa anglicana, in disobbedienza alle indicazioni della S. Sede: una risposta che non condannava i suoi interlocutori perché se in coscienza loro avevano giurato non erano condannabili, ma sarebbe stato da condannare lui se, non permettendoglielo la sua coscienza, avesse giurato. Seguendo la propria coscienza, giudice soggettivo per ciascuno, alla fine (concludeva Moro, prima della decapitazione) si sarebbero trovati tutti in Paradiso.

Qui sta il punto, il recupero di un’evangelizzazione che individua in una formata e matura coscienza il percorso capace di ripresa di un dialogo col mondo e, per la Chiesa, con la modernità. Va da sé, giova ripetere, che si tratta di “coscienza formata” e la formazione non può avvenire che con gli strumenti culturali di riferimento (e dunque attenzione al pluralismo delle culture) e con i condizionamenti del proprio percorso occupazionale o della propria vicenda lavorativa (e dunque attenzione al mondo del lavoro).

Il tutto nella convinzione fatta propria dal Cristianesimo, in religioso ascolto della Parola di Dio, che la salvezza non è nelle capacità degli uomini, ma nell’intervento di misericordia del Padre comune: forse una traccia per un diverso e più convincente dialogo con le Chiese riformate. L’esempio di papa Francesco potrebbe essere decisivo.
da APPUNTI ALESSANDRINI del 02-06-15

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