mercoledì 23 dicembre 2020

BUON NATALE !

Auguri a tutti perché possiate accogliere

il figlio di Dio che nasce per noi

con la semplicità dei pastori,

con l’umiltà di Giuseppe,

con l’attenzione e la ricerca dei magi,

con l’amore con cui i primi e le prime credenti

lo hanno accolto,

perché anche nella vostra vita

il miracolo del Natale si rinnovi

e splenda su di voi la stella della speranza.


venerdì 11 dicembre 2020

"OGNI PERSONA E' FIGLIA DI DIO!"

 Comunicato diffuso da La Comunità di Vita Cristiana (CVX)* di Spagna il 2 dicembre 2020, tradotto dai volontari de La tenda di Gionata

La Comunità di Vita Cristiana (CVX)*, che raggruppa 1.100 persone in 35 comunità spagnole, ha constatato negli ultimi anni “la presenza di persone LGTB + nella Chiesa e nella stessa comunità” che, “come il resto degli appartenenti al popolo di Dio, vogliono vivere pienamente la loro fede, nell’amore e nel servizio, ma molte volte trovano difficoltà aggiuntive per farlo e persino il rifiuto, che genera grandi sofferenze personali e familiari”.


Come affermato in una dichiarazione resa pubblica mercoledì 2 dicembre 2020, per la CVX è “un dono di Dio essere formata da persone con orientamenti sessuali diversi” e “questa esperienza di diversità nella Chiesa ha fatto scaturire nella comunità una profonda gratitudine e gioia». Consapevole, parimenti, che “ogni persona è, per natura, figlia di Dio, creata a sua immagine e somiglianza“, si è impegnata “ad accompagnare questi processi di fede e di integrazione nella comunità ecclesiale” e nella sensibilizzazione e formazione interne.

L’ufficio Comunicazione di CVX (Spagna) mette a disposizione sia interviste con il presidente di CVX España, Eduardo Escobés, sia testimonianze di persone LGTB+ appartenenti a diverse comunità. Per ulteriori informazioni contattare comunicacion@cvx-e.es

IL TESTO> Dichiarazione della CVX di Spagna “vivere l’unità nella diversità”

Nelle nostre comunità locali si è constatata negli ultimi anni la presenza, nella Chiesa e nella comunità stessa, di persone LGTB + che, come il resto degli appartenenti al popolo di Dio, vogliono vivere pienamente la loro fede, nell’amore e nel servizio, ma che molte volte trovano difficoltà aggiuntive per farlo e persino il rifiuto, che genera grandi sofferenze personali e familiari. Dalle nostre comunità locali, diverse persone si sono impegnate ad accompagnare questi processi di fede e integrazione nella comunità ecclesiale.

Come ricorda Papa Francesco in Amoris laetitita, la Chiesa deve fare suo “il comportamento del Signore Gesù, che in un amore illimitato si offre a tutte le persone, nessuno escluso” e, quindi, non c’è posto per alcun “segno di ingiusta discriminazione” verso “persone con tendenze omosessuali“.

Come risultato dell’esperienza dell’accompagnamento, e insieme a questa riflessione, nell’ultima Assemblea Generale della CVX Spagna, tenutasi nell’agosto 2019 a Pamplona, si è convenuto di approfondire l’argomento e realizzare un manifesto pubblico per affermare che:

  • La nostra comunità vive come un dono di Dio l’essere composta da persone con orientamenti sessuali diversi, persone nelle cui famiglie ci sono membri LGTB +, persone single, sposate e divorziate. In quanto membri della Chiesa quali sono, vi partecipano in uguaglianza, lontani da qualsiasi stigma. Ad esempio, posizioni di responsabilità e rappresentanza della comunità sono aperte a tutti loro.
  • La discriminazione, sempre ingiusta, subita da tante persone a causa del loro orientamento sessuale, è un richiamo alla comunità cristiana per continuare a ricordare che ogni persona è, per natura, figlia di Dio, creata a sua immagine e somiglianza; e per raddoppiare gli sforzi di riconoscimento, accoglienza e accompagnamento.
  • La nostra comunità si impegna a porre attenzione sulla sensibilizzazione e la formazione interna dei suoi componenti su questa tematica, così come a incorporarle nelle distinte aree di lavoro.

Questa esperienza di diversità nella Chiesa ha fatto scaturire nella comunità una profonda gratitudine e gioia.

* La Comunità di Vita Cristiana (CVX) è un’associazione di uomini e donne, adulti e giovani, di ogni condizione, con una presenza in 60 Paesi. Vivono il desiderio di seguire Gesù Cristo più da vicino e lavorano per edificare il Regno. Il carisma e la spiritualità della CVX sono ignaziani. La CVX in Spagna è composta da 35 comunità locali e circa 1.100 persone.

lunedì 7 dicembre 2020

C'E' ANCORA MOLTO DA FARE!

Definire un progetto di inclusione significa conoscere le mappe dell'esclusione. E le aree degli esclusi che costituiscono il grappolo di sofferenze su cui intervenire sono tante. Le povertà, in primo luogo: la terra "di sotto" di chi ha un reddito disponibile inferiore del 40 o del 50% a quello medio, ovvero i poveri in senso relativo (erano quasi 9 milioni nel ‘19) e quelli in condizioni di "povertà assoluta" (chi non ha neppure i mezzi indispensabili per "una vita dignitosa": erano quattro milioni e mezzo prima della pandemia, ora di più). Sono gli esclusi socialmente, tanto inferiori agli altri da apparire figli di un altro Paese. L'Istat parla di un 27% di popolazione «in condizioni di esclusione sociale». Includerli sarebbe, di per sé solo, un impegnativo programma di governo. Vorrebbe dire affrontare una buona volta la questione meridionale: più della metà dei poveri assoluti vive tra meridione e isole, nonostante vi risieda appena un terzo della popolazione nazionale. Metter mano alla questione dei bassi salari (più del 10% delle famiglie operaie è in "povertà assoluta", il 17,4% in "povertà relativa"). Curarsi della questione minorile e della quasi totale assenza di politiche a sostegno della famiglia: abbiamo il record europeo di minori poveri e gli indici di deprivazione per le famiglie numerose fanno spavento. E poi la questione femminile: l'ingiustificabile divario salariale, l'abbandono delle famiglie "monogenitore". E quella migratoria (il 27% degli individui stranieri è in povertà assoluta). Infine - last but not least - c'è l'esclusione territoriale: la solitudine delle aree interne, dei comuni polvere, dei piccoli paesi di montagna, dove le condizioni di vita sono più dure, la mobilità più difficile e le risorse pubbliche più scarse. Includerli vorrebbe dire invertire la scala di priorità finora seguita.

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Marco Revelli in “La Stampa” del 7 dicembre 2020

mercoledì 25 novembre 2020

 








Nella giornata di riflessione sulla violenza sulle donne mi piace accendere una luce sulla "nonviolenza delle donne". Ci sono gesti di coraggio e prese di posizione determinate, che solo le donne riescono a compiere. Nei giorni scorsi è stata scarcerata dopo 56 giorni di detenzione in un programma di rieducazione Hallel Rabin, una ragazza di 19 anni che per motivi di coscienza si è rifiutata al servizio militare in Israele. Col suo gesto chiede che il suo Paese metta fine alle violenze quotidiane perpetrate ai danni delle popolazioni palestinesi e riconosca il diritto al servizio alternativo a quello militare per le obiettrici e gli obiettori di coscienza. Nella lettera di motivazioni inviata a suo tempo alle autorità israeliane scrive tra l'altro: "L'uccisione, la violenza e la distruzione sono diventate così comuni che il cuore si indurisce e lo ignora. (…) Il male è diventato per noi parte della famiglia, lo difendiamo e lo giustifichiamo o chiudiamo gli occhi di fronte ad esso ed evitiamo la responsabilità. (…) Non sono preparata a mantenere e alimentare una realtà violenta. Non sono preparata a far parte di un esercito soggetto alla politica di un governo che va contro i miei valori (…)". Digitate il nome di questa ragazza in YouTube e troverete qualche video che vale una meditazione sul significato di sicurezza, difesa, rispetto e, soprattutto, nonviolenza. Hallel è cresciuta nel Kibbutz di Harduf e i suoi genitori sono fieri di lei. Anche noi.

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 Tonio Dell’Olio in “www.mosaicodipace.it” del 25 novembre 2020

sabato 14 novembre 2020

SE L'AVETE PERSA...LEGGETE QUESTA LETTERA!


Caro Joseph, questa è la mia personale lettera di scuse. Anzi: di richiesta di perdono. Parlo a nome mio e di nessun altro, ché sarebbe troppo lungo e faticoso intestarsi la curiosa dicotomia per cui metà mondo ha il problema di come acquistare un plasma a 600 pollici e l’altra metà di come sfuggire a fame, guerre, cambiamenti climatici. Con quelli del plasma che intanto alzano il ditino: "Eh no, caro mio. O scappi dalle bombe o niente. Qualcuno ha visto il telecomando del dolby surround?". Ti chiedo perdono perché mi sono abituato. Perché, magari non scientemente, deve essermi sembrato normale il rischio che qualcuno mi morisse sulla soglia di casa. Perché non sono sceso e non scendo in piazza allo stesso modo, ora che c’è un governo meno nemico di quattro regole democratiche, contro questi decreti inumani che fanno di quelli come te carne da cannone, bambolotti persi nel male e nel mare, notizie marginali, dopo pagina venti. Ti chiedo perdono perché certo, quando il ministro degli esteri derubricava le Ong a taxi del mare, quando i giornaloni che si dicono"ini" facevano loro da grancassa, quando l’intestino del Paese era diventato lo scarico delle cattive coscienze, quando il predecessore di questo presidente, curiosamente omonimo, avallava senza batter ciglio leggi oggettivamente assassine, quando quelli prima avevano smantellato l’operazione Mare Nostrum lasciando il Mediterraneo senza un lampo di misericordia, quando i ministri progressisti avevano costruito le gabbie in cui saresti ritornato se per caso fossi scampato alle onde…ecco: io non ho detto niente. Cioè, l’ho anche detto. Ma flebilmente. Non mi sono strappato le vesti, non ho denunciato ogni giorno, non mi sono battuto perché la mia opinione minoritaria lo fosse di meno. Ho accettato che non la mia parte politica, che non rintraccio da anni, ma la mia area culturale di riferimento rinculasse anche su questo. Si fingesse morta per timore di diventare tappeto su cui pulire, strisciando forte, gli anfibi indossati dagli opinionisti a cottimo. Quelli che urlano e se la prendono con le "dittature degli altri". Quelli che ce la fanno in testa e ci dicono che piove. Quelli che fanno fattura con la violenza verbale. Chiedo perdono a te, Joseph, e alla tua mamma. E agli altri uomini affogati mentre credevano che da queste parti comandasse la civiltà e non il consenso spicciolo, il voto immediatamente successivo, i dieci grammi di decenza da spargere sull’odio ché non si sa mai, poi si perdono le elezioni. Sai, Joseph, credo che i teorici dell’Africa che in Italia non ci sta (e certo che non ci sta: scappano appena possono) forse un morto per annegamento non l’abbiano mai visto. Non sanno quanto sia terribile. Non conoscono quei tessuti rigonfi, il volto divenuto pallone, il colore. O forse vedono, e se ne fregano, perché è stato loro insegnato che odiare non è reato. Anzi. Scrivono "negro", lo rivendicano, poi magari dicono che non abbiamo capito. Vi abbiamo capiti benissimo, invece. Ti chiedo perdono, Joseph, perché alla fine tutta ‘sta storia è una storia di mafia, di omertà, di rassegnazione. Anche e soprattutto la mia. Quando qualche anno fa il ministro Lunardi, nel governo di un signore che oggi diventa padre della patria, le cui televisioni hanno cotto a bassa temperatura il brodo di coltura della psicodestra che oggi ci ottunde, ci circonda, ci spaventa, ci induce a miti consigli lessicali… quando lui, Lunardi, disse che con la mafia si doveva convivere, tutti ci sollevammo. Oggi conviviamo col razzismo. Senza un battito di ciglio. Lo stesso razzismo che la mafia titilla per controllare il territorio, ché più poveri ci sono da controllare, di tasca, di spirito, di consapevolezza, di cuore, da aizzare contro altri poveri, e più quella roba che uccide lo Stato prospererà. Letale. Per tutti noi. Ti chiedo perdono, Joseph, per essere stato zitto. Anche se oggi parlo mentre ti piango. Ma è tardi.

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Luca Bottura in “la Repubblica” del 14 novembre 2020 

venerdì 13 novembre 2020

 Cos’è la giornata mondiale della gentilezza e da chi è stata istituita? Questa giornata mondiale, che si celebra appunto il 13 novembre, è stata introdotta dal World Kindness Movement di Tokyo, un’organizzazione no-profit, senza scopo di lucro, nata da un movimento spontaneo chiamato Japan Small Kindness Movemnet, che si sviluppò nel 1988 e che nel 1966 diventò una vera e propria organizzazione globale. Anche in Italia, dal 2000, esiste questo movimento e ha sede a Parma.

Ma perché si festeggia? Istituendo questa ricorrenza il movimento World Kindness Movement ha voluto ricordare a tutti che dobbiamo essere gentili nei confronti del prossimo, di noi stessi e dell’ambiente.
Infatti durante questa giornata c’è solo un compito che deve essere portato a termine, ossia svolgere una buona azione nei confronti di qualcuno.
Il WKM, inoltre, promuove molti obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite, come porre fine alla povertà e alla fame, garantire un’istruzione paritaria a tutti per abbattere le disuguaglianze e le disparità.

Praticare questo atteggiamento può davvero migliorare la nostra vita e quella di chi ci sta intorno, solo che troppo spesso ce ne dimentichiamo. Infatti la gentilezza, non fa stare bene solo chi la riceve, ma soprattutto chi la compie, perché ci può far sentire davvero migliori.
Purtroppo però la frenesia della vita quotidiana, gli impegni e il nervosismo ci fanno cadere in un egoismo e non è sempre semplice essere generosi, disponibili e cortesi verso il prossimo.
Ma basta davvero poco per essere gentili, e dovremmo ricordacelo tutto l’anno non solo il 13 novembre.

Buona giornata mondiale della gentilezza a tutti!

martedì 10 novembre 2020

NON SONO MAI SOLO PAROLE

Le parole sono importanti. Me ne accorgo oggi, ogni volta che le parole si danno alla latitanza di fronte a chi vive il dramma del contagio o, comunque, della malattia. Le parole contano. Non è vero, come dice qualcuno, che sono solo parole. È vero piuttosto che sono ponti su cui danzano i sentimenti. Veri e propri palcoscenici su cui si apre quotidianamente il sipario della vita. Le parole vanno scelte con la stessa cura con cui si prescrivono le medicine per un paziente impaziente di guarire e con la leggerezza di un soffio per liberare l'occhio dell'altro da un granello di polvere. Le preferisco carezze ma, talvolta, sono schiaffi. Dovrebbero essere scrigni di consolazione e invece le scopri come rigurgito mai digerito di tutto il male stagnante da anni e anni nello stomaco. È un male che indossa il vestito più logoro delle parole. E meno male! Perché se scegliesse invece l'armatura della violenza sarebbe tragico. E a volte penso alle parole non dette oppure a quelle dette dentro. Sussurrate come preghiera che si fa fiore strappato alla terra e deposto in una speranza. Perché le parole sono importanti. Fragili e forti, sono capaci di demolire o costruire. Non sono mai solo parole.

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 Tonio Dell’Olio in “www.mosaicodipace.it” 

lunedì 26 ottobre 2020

UNA UMANA POLITICA

 Il 20 ottobre, Josè Mujica, l'ex presidente dell'Uruguay, ha presentato le sue dimissioni da senatore. In quell'occasione ha pronunciato un discorso che vale come un corso di preparazione politica. E umana. Quel discorso dice della levatura superiore di un uomo che ha preso molto sul serio la causa dei poveri, ha compreso la missione della politica e il senso dell'esistenza umana.

Un uomo che ha saputo mettersi al servizio del bene comune e che ha deciso di togliere l'ingombro della sua presenza quando si è accorto di non poter più svolgere bene quello stesso servizio. Una cosa molto rara nel bosco e nel fitto sottobosco delle istituzioni. Di seguito ne trovate una parte: "Voglio ringraziare innanzitutto i miei colleghi. Me ne vado perché la pandemia mi sta gettando nel cestino dei rifiuti. Essere senatore significa parlare con le persone e parlare dappertutto. La partita non si gioca negli uffici e io sono minacciato da tutte le parti: dalla vecchiaia e da una malattia immunologica cronica - se domani appare un vaccino non posso vaccinarmi - . Siete stati pieni di complimenti verso di me, troppo lusinghieri. Ho il mio buon numero di difetti, sono passionale, ma da decenni nel mio giardino non si coltiva l'odio perché ho imparato una dura lezione che la vita mi ha insegnato... quell'odio finisce per farti diventare stupido (estupidizando) perché ti fa perdere l'obiettività di fronte alle cose. L'odio è cieco come l'amore, però l'amore è creatore, l'odio distrugge. E una cosa è la passione e ben altra cosa è coltivare l'odio".

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in “www.mosaicodipace.it” del 26 ottobre 2020 

martedì 13 ottobre 2020

MA C'E' UN POSTO PER LE DONNE NELLA CHIESA?

In genere pochi ascoltano la parola del Papa in occasione dell'Angelus domenicale, ma domenica scorsa il suo dire è stato ripreso da tutti i giornali, dai media. Cosa avrà detto di così importante?            «Preghiamo perché i fedeli laici, specialmente le donne, partecipino maggiormente nelle istituzioni di responsabilità della Chiesa. Perché nessuno di noi è stato battezzato prete né vescovo: siamo stati tutti battezzati come laici e laiche... Dobbiamo promuovere l'integrazione delle donne nei luoghi in cui si prendono le decisioni importanti».                                                                                                              Un messaggio importante. Un messaggio che scuote la Chiesa fin nelle sue fondamenta. Un messaggio che fa barcollare il maschilismo ecclesiale della Chiesa Cattolica. Come non ricordare che fin dagli inizi della Chiesa le gerarchie hanno costruito comunità cristiane sotto la guida di presbìteri e vescovi maschi. Ci furono eccezioni; ma la norma che si impose fu quella.  Da ultimo non possiamo dimenticare l'autoritarismo di Giovanni Paolo II che nel '94, affermò che la "divina costituzione" della Chiesa non ammetteva donne nel sacerdozio o nell'episcopato. La stessa tesi è stata ribadita da Papa Francesco, il quale escludendo donne dai ministeri, diaconato compreso, ha però iniziato a nominare donne in importanti organismi curiali. E così, nel Sinodo per l'Amazzonia, celebrato un anno fa, ha rifiutato che in quell'Assemblea anche una trentina di donne là presenti potessero votare, insieme ai quasi duecento vescovi maschi.  
Circola da sempre l'dea che le donne sono sempre state, e ancor più lo sono oggi, le colonne della Chiesa: senza di esse - catechiste, guide di comunità in molta zone dove mancano preti - il Cattolicesimo scomparirebbe. Ma non si osa rimettere in radicale discussione il "no" alle donne nei ministeri "alti". Quando il muro del maschilismo ecclesiastico sarà abbattuto e saremo di fronte ad una eguale presenza di "padri" e "madri", allora sì che la Chiesa Romano-Cattolica saprà affrontare una vera e sostanziale riforma... Compito immane che Papa Francesco ha abbozzato e che lascia ai futuri successori!!!

sabato 10 ottobre 2020

TI RICORDI "IMAGINE" DI JOHN LENNON ?

 In un mondo lacerato, in un mondo che si ostina a fare la guerra, in un mondo in crisi economica e sociale, in un mondo che sempre più spesso fa paura e toglie aria ai nostri sogni, abbiamo bisogno di tornare a immaginare un mondo diverso, un diverso modo di vivere e di rapportarci gli uni con gli altri. A ricordarci quanto sia fondamentale tornare a immaginare e ad essere consapevoli che l’attuale stato delle cose non sia l’unico possibile ho pensato di tornare indietro nel tempo e di scomodare John Lennon, che quando ha inciso “Imagine” non ha inciso una canzone, ma quella che forse è la più nota poesia al mondo.


Immagina non ci sia il Paradiso, prova, è facile – canta l’autore – Nessun inferno sotto i piedi, sopra di noi solo il cielo“. Immagina che non ci siano divisioni, ci dice Lennon, con una semplicità che mette i brividi. Immagina che non ci siano più divisioni tra inferno e paradiso, tra ricchi e poveri, tra una religione e l’altra. Immagina, ci dice, un mondo unito, “Immagina non ci siano paesi, non è difficile. Niente per cui uccidere e morire e nessuna religione“. Immaginiamo tutto questo e ci renderemo conto che sono le divisioni a portare la guerra, l’odio e la violenza. Un messaggio importante.

Immagina un mondo senza possessi, mi chiedo se ci riesci, senza necessità di avidità o fame – canta Lennon – La fratellanza tra gli uomini, immagina tutta le gente condividere il mondo intero“. Quello che ci spinge a immaginare è un mondo possibile, in cui le persone non si calpestano i piedi ma si aiutano a vicenda, un mondo in cui ciò che importa è la condivisione, un mondo che pensa più a costruire ponti che a edificare mura. Il fatto è che, come dice a un certo punto, siamo in tanti a pensarla in questa maniera ma spesso temiamo di essere soli. “Puoi dire che sono un sognatore ma non sono il solo“. Forse lo sono anch'io e anche tu che condividi questi pensieri di pace e amore.

venerdì 9 ottobre 2020

SE HAI 15 ANNI E SEI IMMIGRATO...PUOI ANCHE MORIRE!

 Se qui di seguito vi parlassi di un ragazzo di 15 anni morto in Italia con segni evidenti di tortura, affaticato, deperito e soccorso con molto ritardo, sarebbero molti a indignarsi. Qualcuno legittimamente si chiederebbe come mai i TG nazionali e la carta stampata non ne abbia raccontato se non nelle pagine locali e la risposta è semplice: si tratta di un immigrato. Abou, 15 anni, proveniva dalla Costa d'Avorio e dopo tutte le traversie tra deserto, Libia e mare, dal 18 settembre era confinato in quarantena sulla nave "Allegra". Già allora stava male ma l'unico medico a bordo non se n'è accorto perché doveva visitare 600 pazienti! Quando le sue condizioni si sono fatte ancora più gravi erano già trascorsi dieci giorni e finalmente è stato disposto il ricovero urgente all'ospedale Cervello di Palermo dove è arrivato il 1 ottobre. Constatato che il ragazzo era ormai in coma lo hanno trasferito alla rianimazione dell'Ingrassia dove è morto il 5 ottobre. Si potrebbero scrivere tante parole a commento di questa vicenda ma Papa Francesco ci ha persuasi a utilizzare il solo paradigma della fraternità. Ciascuno deve chiedersi se Abou è stato trattato come il fratello del medico, del ministro, del capitano della nave, mio.

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Tonio Dell’Olio in “www.mosaicodipace.it”

sabato 3 ottobre 2020

PER LE ARMI I SOLDI CI SONO SEMPRE!

 Il Recovery fund, che in tutto il resto d'Europa si chiama molto più opportunamente Next generation EU, in qualche modo è lo specchio della società che vogliamo costruire. In questi giorni vengono resi noti i capitoli di spesa che i vari ministeri propongono per comporre il progetto complessivo da presentare all'Unione Europea. I progetti presentati sono 557 per un totale di 667 miliardi (l'Europa ce ne darebbe 209!). Tra le pieghe delle proposte del Ministero dello sviluppo economico e di quello della Difesa, si nascondono incentivi consistenti per l'acquisto di armamenti nuovi e costosi e per finanziamenti all'industria bellica. In pratica il MISE chiede 12,5 miliardi per efficientare in senso ecologico i sistema d'armi di esercito, aeronautica e marina e di aumentare le quote destinate a ricerca e innovazione nel settore. Particolarmente inquietante è l'introduzione dell'intelligenza artificiale che si traduce nei temibili killer robots. Altri 15 miliardi per le armi li chiede il Ministero della Difesa. "Con 12,5 miliardi, pari al costo per l'impiego annuale di circa 300mila insegnanti, - fa notare la portavoce di Greenpeace - potremmo finalmente risolvere alcuni dei problemi più urgenti della scuola italiana. Ma per il nostro Governo la priorità è produrre elicotteri e aerei di attacco". È inquietante che un progetto proposto ai Paesi europei più colpiti dalla pandemia perché possano programmare e sostenere la vita delle "prossime generazioni" sia orientato alla guerra invece che alla "svolta green", alle politiche sociali, alla cultura e alla difesa dalle future possibili minacce alla salute.

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 Tonio Dell’Olio in “www.mosaicodipace.it” 

lunedì 28 settembre 2020

UNA NUOVA ECONOMIA PER UN NUOVO MONDO

 “IL BENE COMUNE È UNA VISIONE DI BENESSERE E PROSPERITÀ PER LE GENERAZIONI PRESENTI E FUTURE RAGGIUNGIBILE NELLA MISURA IN CUI L’INTERESSE COLLETTIVO È ANTEPOSTO A QUELLO INDIVIDUALE”

Passano i mesi ma la notizia di prima pagina è sempre la stessa:la pandemia da Covid-19. Ci sono le statistiche, ci sono i racconti e le esperienze di chi l'ha vissuto sulla propria pelle, ci sono gli scontri tra gli esperti, i medici, i virologi, i politici, i … “parlatori”. Ci sono le mille teorie che spiegano che cosa è successo e dove andremo a finire. Sicuramente però questa situazione ci ha fatto perdere il nostro benessere, o meglio ha fatto emergere che da qualche tempo il mio benessere è stato sostituito dal profitto.  L’abbiamo fatto dando al benessere una definizione materiale che potesse giustificare tanto affanno. Tutto ciò che non è quantificabile, misurabile, riconducibile a cifre, esula dalla definizione e quindi poco importante. Ci sono voluti secoli per rendersi conto che non è così. Per toccare con mano e vivere sulla propria pelle che il benessere è un concetto molto più ampio e in quanto tale non può esaurirsi in misurazioni e cifre. Non può perché l’essere umano non può essere “misurato” così.
Intanto questa idea si è ben radicata dentro di noi. E in un certo senso ci ha tenuto a galla nel lungo periodo del primo Novecento quando due guerre mondiali avevano messo intere nazioni in ginocchio. Ma oggi c’è bisogno di altro e in questo “altro” il benessere assume connotazioni profonde. La rivoluzione diventa un’evoluzione a partire da chi siamo e da come stiamo con noi stessi. Non più contro qualcosa o qualcuno, ma per qualcosa e qualcuno. Il benessere è un bene comune e, in un circolo virtuoso, il bene comune genera benessere.
Da questo presupposto parte l’evoluzione dell’economia in una direzione chiara in cui il fine è inscritto nell’originale parola oikonomìa che sta ad indicare “la cura della casa” (comune). L’accumulo di denaro in modo illimitato non è economia, ma crematistica e già ne parlava Aristotele. 
A questo proposito interessante è la proposta del Movimento “L'economia del bene comune” che propone un modello socio-economico etico in cui l’economia mette al centro il benessere delle persone e del pianeta, basato su 5 valori fondamentali orientati al bene comune:Dignità umana – Solidarietà Giustizia sociale – Eco-sostenibilità – Trasparenza e condivisione democratica. Diverse aziende hanno aderito a questo modello alternativo del bene comune, facendo da apripista, e sembra che i risultati ci siano: buon lavoro a tutti! 


domenica 27 settembre 2020

ANCHE PAPA FRANCESCO SCOMUNICA CHI SCEGLIE LA DOLCE MORTE

Eutanasia, suicidio assistito e aborto sono «crimini contro la vita umana», con tali atti «l’uomo sceglie di causare direttamente la morte di un altro essere umano innocente». I legislatori che li consentono, i medici che li praticano e tutti coloro che collaborano sono «complici». È estremamente dura la lettera Samaritanus bonus «sulla cura delle persone nelle fasi critiche e terminali della vita», approvata da papa Francesco lo scorso 25 giugno e pubblicata ieri dalla Congregazione per la dottrina della fede, guidata dal cardinale gesuita spagnolo Luis Ladaria. Nulla di nuovo: la Chiesa cattolica ribadisce la propria dottrina tradizionale su eutanasia, suicidio assistito e aborto – il documento è pieno di citazioni di Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco – e conferma qualche apertura sulle «cure palliative» e contro l’«accanimento terapeutico», con molti se e tanti ma. Il titolo della lettera, «il buon samaritano», rimanda alla parabola evangelica e invita all’«accompagnamento della persona malata nelle fasi terminali della vita, in modo da assisterla rispettando e promuovendo sempre la sua inalienabile dignità umana». Ma il testo, dopo qualche paragrafo dedicato «all’etica del prendersi cura» delle persone colpite da «malattie inguaribili», è fortemente prescrittivo. L’assunto di partenza è «il valore inviolabile della vita», «una verità basilare della legge morale naturale ed un fondamento essenziale dell’ordine giuridico». Pertanto eutanasia, suicidio assistito e aborto, «anche in quei contesti dove le leggi nazionali hanno legittimato tali pratiche», sono «attentati contro l’umanità» e «atti intrinsecamente malvagi in qualsiasi occasione o circostanza», che non valorizzano l’«autonomia» della persona, ma al contrario «disconoscono il valore della sua libertà, fortemente condizionata dalla malattia e dal dolore». Alla base, secondo l’ex Sant’Uffizio, vi è una fuorviante concezione della vita («considerata degna solo se ha un livello accettabile di qualità», mentre «ha un valore in se stessa»), «una erronea comprensione della compassione» («sarebbe compassionevole aiutare il paziente a morire») e «un individualismo crescente». Ai malati terminali inguaribili bisogna fornire adeguate «cure palliative», compresa la sedazione profonda, purché non si configurino come «pratiche eutanasiche». È da evitare l’«accanimento terapeutico» (che non significa «desistenza terapeutica»), ma i confini sono stretti: «Non è lecito sospendere le cure efficaci per sostenere le funzioni fisiologiche essenziali, finché l’organismo è in grado di beneficiarne», quindi idratazione, nutrizione e termoregolazione non vanno interrotte, nemmeno nei pazienti in «stato vegetativo». Chi sceglie eutanasia e suicidio assistito – compreso chi è iscritto a un’associazione che la sostiene – non può ricevere i sacramenti. Come dire: ha fatto bene il cardinal Ruini, quattordici anni fa, a vietare il funerale cattolico a Piergiorgio Welby. 

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 Luca Kocci in “il manifesto” del 23 settembre 2020

sabato 26 settembre 2020

UN PECCATO TROPPO DIMENTICATO:QUELLO DI RAZZISMO!

 I buoni esempi vanno sempre seguiti. La Conferenza Episcopale della California ha deciso di iniziare "un cammino volto a convertire i nostri cuori per comprendere più a fondo la natura e la portata del peccato di razzismo in noi stessi, nella nostra Chiesa e nella nostra nazione". Si tratta quindi di un percorso, un itinerario, in cui saranno coinvolti innanzitutto i 26 vescovi di quello Stato insieme ai preti, ai religiosi e ai laici. Un contributo essenziale nel tentativo di estirpare la zizzania del razzismo dal terreno della società statunitense. Nato forse perché qualche prete si è accorto che, nonostante la cronaca riferisca quotidianamente di episodi di razzismo in cui restano vittime i cittadini e le cittadine di pelle nera, quasi mai si è verificato che un fedele confessasse di essersi lasciato andare a gesti, considerazioni, atteggiamenti razzisti. Da qui la proposta di una vera e propria catechesi con l'apporto dello studio della Scrittura e della Teologia, ma anche delle scienze umane. Un esempio da seguire anche in altri luoghi e anche su altri temi cruciali che non sempre vengono avvertiti come "peccato". Pensate se dalle nostre parti proponessimo un cammino di questo genere sulla legalità o sul pagamento delle tasse o sul rispetto della natura, ovvero del creato. Crescerebbe la qualità della comunità cristiana e contribuirebbe a far crescere la società in cui vive.

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 Tonio Dell’Olio in “www.mosaicodipace.it” del 23 settembre 2020

martedì 22 settembre 2020

I RISCHI DELL' AIUTARE IL PROSSIMO

 “Cercate prima il regno e la giustizia di Dio” (Matteo) dice Gesù in una serie di insegnamenti conosciuti come il sermone sulla montagna. In questo brano, in particolare, il maestro di Nazareth parla delle ansie e preoccupazioni che accompagnano l’esistenza umana, specie in una società in cui non è scontato trovare i mezzi di sussistenza, salvaguardare la propria vita, avere un domani... Attenzione: Gesù non dice cercate “solo” il regno e la giustizia di Dio, come se fosse un predicatore di un ideale ascetico, né si riferisce al senso temporale del “prima” e del “dopo” (la politica dei due tempi, che non funziona quasi mai), ma intende “prima” nel senso di “priorità”. C’è una priorità nella vita, c’è qualcosa che devi mettere in cima alla tua scala di valori e impegni personali e sociali, qualcosa che vale la pena di porre come fine e non solo come mezzo della tua esistenza, qualcosa per cui vale la pena anche di sacrificarsi: “il regno e la giustizia di Dio”, cioè qualche cosa che non è mercantile ed economico, che non si inquadra nella paura e nell’autodifesa ma, al contrario, nella gratuità e nell’amore, in quel principio di equilibrio contenuto nel suo disegno creatore...
Credo che fossero queste le motivazioni di don Roberto Malgesini, il “prete di strada” ucciso martedì scorso a Como da un senzatetto che conosceva e che aveva disturbi mentali, tanto da rivoltarsi verso la mano amica, forse l’unica, che lo aiutava. Il suo assassino era di origini tunisine e con vari decreti di espulsione sulle spalle. Un vero “scarto della società” per chi ha scatenato la solita indegna polemica politica. Ma per don Roberto, quell’uomo era solo l’ultimo degli ultimi, un poveraccio che forse aveva già superato la fase dell’ansia e della preoccupazione per il domani, perché già il suo oggi era impossibile. Aiutare il prossimo non è una passeggiata, l’amore cristiano ha dei costi, può essere rischioso avvicinare e affrontare l’esclusione e il disagio. Ringraziamo chi lo fa, spesso al posto nostro, anche perché ci indica una giustizia più grande.
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Estratto di Eugenio Bernardini in “il Fatto Quotidiano” del 20 settembre 2020

lunedì 21 settembre 2020

"IL PRIMO GIORNO DI SCUOLA" di Gianni Rodari

 Suona la campanella

scopa scopa la bidella,
viene il bidello ad aprire il portone,
viene il maestro dalla stazione
viene la mamma, o scolaretto,
a tirarti giù dal letto…
Viene il sole nella stanza:
su, è finita la vacanza.
Metti la penna nell’astuccio,
l’assorbente nel quadernuccio,
fa la punta alla matita
e corri a scrivere la tua vita.
Scrivi bene, senza fretta
ogni giorno una paginetta.
Scrivi parole diritte e chiare:
Amore, lottare, lavorare.
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Sembra un mondo lontano e diverso, anche un po' antico.
Ma in fondo non c'è molto da commentare. Il primo giorno di scuola coincide con la fine delle vacanze e con l’inizio di nuovi ritmi giornalieri. La routine quotidiana prevede che la mamma svegli il bambino, il maestro arrivi dalla stazione e i bidelli infervorati a preparare la scuola per l’arrivo degli alunni.
Rodari raccomanda agli alunni di affrontare questa fondamentale esperienza di vita con calma e precisione perché in essa si rivelano valori fondamentali:l’amore in tutte le sue forme, il lottare per i diritti e per i propri valori e per ultimo, non di certo per importanza, il lavoro.
Gli anni passano, il mondo cambia, le sofferenze premono, ma la scuola rimane luogo e forma essenziale di crescita e di conoscenza che "fanno" l'uomo.
BUON ANNO SCOLASTICO!!

lunedì 10 agosto 2020

LA VULNERABILITA'

Se c’è una cosa che il Covid ci ha insegnato, imprimendola dolorosamente nei corpi di tanti, è la nostra vulnerabilità. Di tutto il resto – degli effetti economici, sociali, politici – si può discutere. Ma non di questo. Siamo esposti alla sofferenza e alla morte. Certo, lo sapevamo da sempre, di dover soffrire e morire. Ma non così. Di potere essere travolti, all’improvviso, tutti, senza riparo. Quello che nel giro di qualche mese è cambiato non è la nostra vulnerabilità, ma la percezione di essa: non siamo anche, ma essenzialmente, vulnerabili. Gli esseri umani non sono solo caratterizzati, ma definiti dalla vulnerabilità. Ma per penetrare ancora più a fondo nel tema in questione bisogna risalire all’esperienza di una pensatrice,donna ed ebrea, in fuga dalla Francia occupata dai nazisti e morta in esilio: Simone Weil. Al centro della sua esperienza l’esposizione dell’essere umano alle ferite fisiche e morali. Il rischio estremo – ben presente, non solo negli anni in cui Simone scriveva – è costituito dalla spoliazione integrale che lascia la vita nuda, priva di ogni qualifica propriamente umana. Ciò accade quando la sopravvivenza, in una condizione disperata, diventa l’unico obiettivo perseguibile. Allora la vita si raggomitola su se stessa, perdendo ogni attenzione nei confronti dell’altro. Del resto è difficile rivolgere vera attenzione a chi soffre – alla carne nuda, inerte, sanguinante. Alla vita sul ciglio di un baratro, accatastata nei carnai senza nome nelle periferie del mondo o anche annidata nei crepacci delle nostre società. L’attenzione sfugge la sventura. La scorge appena, prima di volgere altrove lo sguardo: «Il pensiero prova ripugnanza a pensare alla sventura – scrive Simone – così come la carne prova ripugnanza di fronte alla morte». Eppure solo da quel punto, ignorato, rimosso, cancellato, si delinea l’altro polo che caratterizza l’essere umano, originato proprio della consapevolezza della vulnerabilità: l’obbligo nei confronti dell’altro sofferente. L’essere umano, proprio perché essenzialmente vulnerabile, è sempre in obbligo verso chi condivide la stessa sorte. È il punto decisivo che fa di Simone Weil la maggiore pensatrice contemporanea: il primato dell’obbligo sul diritto. Solo perché gli uomini sono in obbligo verso i propri simili, questi hanno dei diritti. Non viceversa: «Un uomo che fosse solo nell’universo, non avrebbe dei diritti, ma avrebbe degli obblighi», qualcuno verso se stesso. L’obbligo nei confronti dell’essere umano precede ogni relazione. Non è relativo, ma assoluto. Bastano queste parole di Simone Weil è rivelare la modestia intellettuale ed etica delle polemiche politiche sui migranti. Non si comprende che essi vanno salvati non perché abbiano dei diritti – difficili da definirsi – ma perché noi abbiamo un obbligo assoluto verso di essi. Poi la politica può fare scelte diverse, in considerazione del contesto, delle situazioni, dei rapporti di forza. Ma senza confondere i piani. L’obbligo non si basa su situazioni contingenti, sulla giurisprudenza, sui costumi. Esso non risponde al diritto, ma alla giustizia. Certo il diritto può, e anzi deve, tendere ad approssimarsi alla giustizia, ma sapendo di non essere mai giusto. Diritto e giustizia si rivolgono allo stesso oggetto – la società umana. Ma cambia il punto di vista da cui la guardano: il diritto dalla prospettiva dell’immunità, la giustizia da quello della comunità. L’incomparabile grandezza di Simone Weil sta nel rivolgersi, senza mai sovrapporli, al reale e al giusto: «Su questa terra non c’è altra forza che la forza». L’unica forza, non di questa terra, che la contrasta è la giustizia.

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Estratto di Roberto Esposito in “la Repubblica” del 8 agosto 2020


mercoledì 15 luglio 2020

PREGHIERA

Signore, nostro Dio,
quando nelle pieghe della storia riusciamo a scorgere la presenza e l'agire del tuo Spirito, è pura grazia.
In Te ritroviamo la possibilità di una nuova nascita che rigeneri la nostra anima stanca.
Con Te facciamo memoria del dolore delle tante vittime della pandemia,
di ogni saluto mancato tra genitori e figli/e,
di ogni abbraccio impedito tra nonni/e e nipoti, di ogni lacrima. Sta' con noi!
Vieni, Dio d'amore, e rivelaci, dentro questa crisi sanitaria, non solo errori e responsabilità,
ma anche opportunità personali e globali.
Aprici gli occhi sulla Tua creazione,
per farci ritrovare la nostra vocazione alla sua salvaguardia.
Fa' che riprendiamo a respirare col polmone della pace come con quello della giustizia.
Concedi alle tue Chiese, ovunque raccolte,
la stessa passione che hai avuto in Cristo Gesù, per i poveri e le deprivate.
Metti in noi lo slancio solidale del Samaritano, che non passò oltre dal lato opposto.
Aiutaci a ricercare le vie della giustizia e a smascherare i meccanismi
di un'economia mirata all'accumulo delle risorse nelle mani di pochi,
che tiene il suo ginocchio sul collo di popoli interi.
Tu che sei migrato dal cielo alla terra per venirci incontro,
aiutaci ad aprire le nostre case allo straniero, alla straniera,
e insegnaci che accoglienza e futuro procedono insieme al diritto,
e che l'alternativa crea paralisi, solitudine, decadenza.
Che il corridoio della nostra accoglienza
conduca esuli e richiedenti asilo al soggiorno del ristoro.
Lascia che la nostra mano si stenda per benedire i bambini, le bambine
e le persone fragili nel corpo e nella psiche,
e che le acquisizioni della medicina d'avanguardia non siano riservate a pochi
ma tutelino la salute di tutti e di tutte sganciandole da logiche di profitto.
Ti preghiamo perché le nazioni trovino accordi veri
per modificare l'attuale modello di sviluppo e scongiurare crisi climatiche
le cui conseguenze altrimenti continueranno ad abbattersi sui popoli più esposti.
Dacci il coraggio di contrastare egoismi nazionali
e smascherare la seduzione di nuovi autoritarismi.
Che si svuotino gli arsenali e si riempiano i granai.
Che il nostro riconoscerci Chiese sorelle sia sale di fraternità e sororità,
a cominciare dall'Europa ma anche oltre.
Soffi il tuo Spirito e ci porti la brezza di una nuova primavera, rigeneri le nostre relazioni,
trasformi i conflitti sociali in solchi di giustizia, ispiri nella verità chi annuncia il Vangelo
e dia saggezza a chi ha responsabilità di governo.
Te lo chiediamo nel nome del Padre di ogni giustizia,
del Figlio, dono d'amore,
e dello Spirito Santo, caparra di libertà. Amen

lunedì 6 luglio 2020

"LA PIETÀ DEL MARE"

Il ragazzo africano, magro e spaventato, guarda fisso verso il telefonino. Scende le scalette del ponte tra le braccia di un marinaio in tuta blu e mascherina anti-Covid. La foto fa il giro della Rete, rilanciata dalle ong che da anni si occupano di salvare i disperati in fuga dall’Africa e dal Medio Oriente. «Sembra la Pietà», commenta più di qualcuno sui social. La Pietà del Mediterraneo è a bordo della nave «Talia», un mercantile libanese che di solito trasporta bestiame (maiali, buoi, cammelli, pollame) e che da qualche giorno accoglie una cinquantina di migranti, recuperati in condizioni estreme.

giovedì 25 giugno 2020

LA FEDE E' PERSA O IN FASE DI RECUPERO?

Da decenni si continua a dire che la religione è in crisi. E ora, con la pandemia del coronavirus, la crisi religiosa è diventata più evidente e sfacciata. Si abbandonano le cerimonie, i costumi e le pratiche religiose (messe, battesimi, matrimoni, processioni ...); si stanno lasciando vuoti i seminari e i conventi, ecc. ecc. Il fatto è evidente e non ammette discussioni. E non mi interessa neppure pensare in continuazione alle ragioni che possano spiegare perché questo collasso religioso si sta verificando. Forse non mi importa e non mi interessa questa crescente crisi del “fatto religioso”? Niente di tutto ciò. Sono interessato. E molto. Succede che vedo l’intera questione a partire da un altro punto di vista. La religione non sta scomparendo. Si sta spostando. Sta uscendo dai templi. Sta sfuggendo di mano ai preti. Si svincola dal “sacro”. E ogni giorno che passa, la vediamo e la avvertiamo in modo sempre più palpabile nel “profano”. Il centro della religione non sta più “nel tempio”, sta “nella vita”. E nella difesa, nella protezione della vita e nella capacità di darle dignità. Inoltre, la religiosità sta nel progetto di vita e nel modo di vivere che ognuno assume, fa suo e mette in pratica...
Cosa faceva Gesù? Cosa ci dice il Vangelo? Gesù non ha parlato di templi o conventi e non ha organizzato una religione come quella che abbiamo. Se il Vangelo ha ragione, ricordiamo ciò che Gesù disse a una donna samaritana: “Credimi, donna, viene l’ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre….viene l’ora - ed è questa - in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità” (Gv 4, 21-24). Gli esperti discutono il significato esatto di questo testo. Di sicuro Gesù afferma che l’adorazione di Dio non è associata a un luogo specifico. Che tu abbia un tempio o meno, la cosa veramente importante è la rettitudine, l’onestà, la bontà, la lotta contro la sofferenza e lo sforzo di umanizzare questo mondo e questa vita. È questo ciò che stiamo vivendo? È questo ciò che la gente applaude? È questa la nuova svolta che (a partire dal modo di essere e di vivere di papa Francesco) sta avendo la Chiesa? La cosa più logica è pensare che la religione non affondi. Si sta spostando. E mi sembra che sta lasciando il tempio. E sta recuperando il Vangelo. Non come credenza religiosa (questa la conoscevamo bene), ma come stile di vita. Uno stile di vivere da cui siamo molto lontani. E che è urgente recuperare il prima possibile.
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Estratto di José María Castillo in “Religión Digital” - (www.religiondigital.com) – del 24 giugno 2020

giovedì 18 giugno 2020

IL PREZZO DELL’UOMO

Quanto vale la vita di un uomo? Che prezzo ha? Quanto si è disposti a spendere per la sua salute? La pandemia ha reso attuali i drammatici interrogativi che accompagnano la storia dell’umanità dalle sue origini. I bollettini che documentavano quotidianamente l’espandersi del virus erano ogni giorno un doloroso elenco di morti, dapprima centinaia, poi migliaia, decine di migliaia, centinaia di migliaia… una strage. Perché? Certo, su queste morti, hanno influito la sorpresa e l’aggressività di questo virus, ma bisogna domandarsi anche se le strutture ospedaliere, e tutta la sanità, anziché essere sistematicamente smantellate, con tagli al personale, ai macchinari, fosse stata negli anni potenziata, forse ci sarebbe stato un esito diverso? Si continuano a finanziare forze di morte come gli armamenti, mentre indispensabili macchinari salvavita non sono sufficienti per tutti ma solo di pochi. E i medici si sono trovati di fronte all’atroce dramma di dover decidere chi salvare e chi lasciar morire, immolato sull’altare di mamona, l’interesse che da sempre richiede sacrifici umani. Una triste conferma che quando l’economia prevale sul benessere dell’uomo, quando la Borsa è più importante della salute, quando l’attività industriale non può essere fermata, anche se si sa che causerà delle vittime, la bilancia penderà sempre a favore dell’interesse economico a scapito del bene dell’uomo. Quanto vale dunque un uomo, la sua libertà, la sua salute? Qual è il prezzo che si è disposti a pagare?

Nella Bibbia, si legge che Giuseppe fu venduto come schiavo dai suoi stessi fratelli, per venti sicli d’argento (Gen 37,28) e, Gesù fu tradito da Giuda, un suo discepolo, per pochi di più, “trenta monete d’argento” (Mt 26,15), corrispondenti a circa quattro mesi di salario di un operaio, il valore della vita di uno schiavo (Es 21,32). Dal punto di vista meramente economico, doveva valere veramente ben poco la vita di quel Cristo dal quale siamo “stati comprati a caro prezzo” (1 Cor 6,20; 7,23).
Secondo il Libro del Levitico, è il Signore stesso che fissa il valore delle persone, definendone il prezzo, un Dio che, probabilmente, dimentico di aver creato a sua immagine sia il maschio che la femmina (Gen 1,27), decide che il valore della donna sia la metà di quello dell’uomo: “per un uomo dai venti ai sessant’anni, il valore è di cinquanta sicli d’argento… per una donna, il valore è di trenta sicli… Dai cinque ai venti anni, il valore è di venti sicli per un maschio e di dieci sicli per una femmina…” (Lv 27,3.5).
Se è vero che il cinismo della società porta a constatare che “ogni uomo ha il suo prezzo” (H. Hugues), il credente che ha accolto Gesù il suo messaggio, sa che per il Signore, come valore assoluto, prima viene il bene dell’uomo, il suo benessere, la sua salute. Per questo Gesù pone, come condizione ai suoi, per seguirlo, la rinuncia di tutti i loro averi (Lc 14,33), perché non è possibile seguire “Dio e mamona” (Mt 6,24), vivere per il bene degli altri e pensare al proprio interesse.
Ma, quanto si è disposti a dare per il benessere dell’uomo? L’evangelista Marco sviluppa questa tematica nel pittoresco episodio dell’ “uomo posseduto da uno spirito impuro” nel paese dei Gerasèni (Mc 5,1-20). Sbarcato in terra pagana, Gesù si incontra con un individuo tre volte impuro, in quanto pagano, indemoniato, e abitante nei sepolcri. Si tratta di un soggetto che non viene ritenuto un essere umano, e per questo è trattato come una bestia (“legato con ceppi e catene”), ridotto in forzata prigionia. Un individuo che si sta di­struggendo, esercitando violenza su se stesso. Il personaggio è anonimo, in quanto rappresentativo di quelli che vivono la sua stessa drammatica situazione. Nello stesso tempo, l’evangelista attira l’attenzione del lettore sul fatto che nel luogo c’era “una numerosa mandria di porci al pascolo” (Mc 5,11), immagine di grande ricchezza e prosperità. Gesù è il liberatore, e come nella sinagoga di Cafàrnao, ha liberato l’uomo posseduto dallo spirito impuro (Mc 1,21-28), così in terra pagana, libera colui che aveva la sua dimora nelle tombe. Effetto della liberazione è che “gli spiriti impuri, dopo essere usciti, entrarono nei porci e la mandria si precipitò giù dalla rupe nel mare; erano circa duemila e affogarono nel mare” (Mc 5,13). La liberazione dell’uomo implica la rovina del sistema economico, che evidentemente basava la sua fortuna sull’oppressione di chi viene sfruttato e trattato come una bestia. Sorprendentemente, non appare nessun segnale di allegria da parte della gente del luogo, che trova vestito e sano di mente colui che era stato posseduto, ma solo paura che nasce dal veder minacciato il proprio capitale dagli effetti del messaggio di Gesù. Di fatto il ritorno del posseduto alla condizione umana, e la restituzione della dignità all’individuo ha distrutto il loro enorme capitale e nuoce ai loro interessi economici, per questo “si misero a pregarlo di andarsene dal loro territorio” (Mc 5,17). Ironia dell’evangelista: se prima era lo spirito impuro a scongiurare Gesù di poter entrare nei porci (Mc 5,10), ora sono i proprie­tari dei porci che supplicano il Signore di allontanarsi. Que­sta loro richiesta li smaschera e manifesta che è da costoro che procedeva lo spirito impuro che imprigionava l’uomo. Dovendo scegliere tra il bene dell’uomo e il proprio capitale, senza esitazione i proprietari dei porci scelgono quest’ultimo.
Tra il Dio che libera l’uomo, e il dio denaro che lo schia­vizza, preferiscono adorare mamona. Un messaggio di libertà e uguaglianza è inaccettabile per una classe sociale che deve la sua fortuna allo sfruttamento degli oppressi. I potenti antepongono sempre il loro interesse al bene dell’uomo, ma è compito dei seguaci di Gesù rovesciarli dai troni per innalzare gli ultimi (Lc 1,52), sia rinunciando a “quella cupidigia che è idolatria” (Col 3,5), sia attraverso scelte sociali e politiche che pongano la salute dell’uomo come valore assoluto.
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Da ilLibraio.it : una riflessione del biblista Alberto Maggi

mercoledì 10 giugno 2020

Egitto il baratto della vergogna

Caro presidente Giuseppe Conte. Voglio unire la mia voce al dispiacere e alla rabbia di Paola e Claudio Regeni dal momento che persino le forze di opposizione al suo governo che pure non perdono occasione per dissentire, di fronte all'operazione egiziana, tacciono o esprimono soddisfazione. Non sono soltanto profondamente deluso ma anche addolorato per questa ennesima ingiuria, non alla memoria di Giulio e alla sua vicenda umana, ma alla democrazia del nostro Paese. E mi perdoni se aggiungo che non bastano affatto due parole in un comunicato che si riferiscono alla cooperazione giudiziaria se questa è soffocata da quella commerciale e della difesa. Con disapprovazione e disgusto devo ammettere che c'ero cascato anch'io. Avevo creduto nella buona fede sua e del suo governo rispetto alla legittima richiesta di giustizia per una vita calpestata e per quella di Patrick Zaki ancora in bilico. E invece dobbiamo amaramente constatare che ancora una volta le ragioni economiche prevalgono sui diritti umani, sul rispetto della democrazia e, ancora peggio, sul dolore di una madre e di un padre. Due fregate Fremm costano tanto, mi dicono non meno di 400 milioni l'una. Ma sicuramente meno, molto meno, di una vita umana. Se questo è l'orientamento della politica italiana, vuol dire che non vi è alcuna credibilità nemmeno sulle altre decisioni rispetto all'istruzione, alla sanità, al welfare. D'ora in poi sarà ancora più legittimo chiedersi: "Chi ci guadagna? Cosa c'è sotto? Sarà vero?". Caro presidente, penso che siano tanti gli italiani disposti anche a stringere la cinghia rinunciando ai "benefici" di questa turpe operazione pur di non vedere il dolore, la memoria e la vita oggetto di un così vergognoso baratto.
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9 giugno 2020 - Tonio Dell'Olio

venerdì 5 giugno 2020

Boris Pasternak

“Io non amo la gente perfetta, quelli che non sono mai caduti, non hanno inciampato. La loro è una virtù spenta, di poco valore. A loro non si è svelata la bellezza della vita.”
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Boris Leonidovic Pasternak è stato uno scrittore e poeta di fama internazionale. Il suo unico romanzo “Il dottor Zivago” è stato al centro di uno scandalo politico, che coinvolse i servizi segreti occidentali, ma gli valse la candidaura al Nobel per la Letteratura. Esordì nel 1914 con una raccolta di poesie, che lo fece conoscere al pubblico sovietico, e aderì alla rivoluzione russa, dalla quale prese le distanze proprio in occasione della pubblicazione del suo romanzo e all’obbligo da parte del Regime di rinunciare al prestigioso premio. Da quel momento Pasternak si trasferirà nella sua dacia di Peredelkino, vicino Mosca, e si chiuse nella delusione e nel completo silenzio.


Questa sua citazione è un inno alla vita, alla bellezza delle imperfezioni, alle cadute, all’emozione che fa tremare la voce e che però non impedisce di esprimersi e di voler comunicare, tentando anche se in modo goffo un contatto con l’altro. 
Diceva Beckett in un modo magistrale, che non è possibile raggiungere alcun risultato nella vita se prima non si impara a fallire e a fare del proprio fallimento una forza, un motore che ci spinge a migliorare. La bellezza di ciò che possiamo raggiungere non può non passare attraverso le cadute e l’osservazione dei propri errori. La bellezza non esiste, ma si conquista con sforzo e dedizione, attraverso l’umiltà di riconoscere la propria condizione come perfettibile, mai perfetta. Per concludere, ecco a voi l’invito di Beckett: “Mai provato, mai fallito. Prova ancora, fallisci ancora, fallisci meglio”

martedì 26 maggio 2020

Raymond Carver

"Le parole sono tutto ciò che abbiamo,
 perciò è meglio che siano quelle giuste."
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Proveniente da famiglia di umili origini, fin dalla giovane età Carver si barcamena tra le più disparate occupazioni, coltivando al tempo stesso una grande passione per la lettura e la scrittura. La sua vita ci insegna che non esistono scuse per dedicarsi ai propri talenti e inseguire i propri sogni. Come suggerisce la frase, infatti, Raymond Carver ha affidato il suo riscatto personale unicamente alle parole, riconoscendone il potere incredibile. 
Se la civiltà nasce e si costruisce sulla parola, abbiamo il dovere di interrogarci sul potere che essa esercita nella nostra vita. Parola che da una parte influenza il nostro modo di pensare e conseguentemente di agire, ma che è anche lo specchio di chi siamo e di come scegliamo di definirci agli occhi degli altri. Come dice la sociolinguista Vera Gheno, ognuno di noi è le parole che sceglie. “Conoscerne il significato e saperle usare nel modo giusto e al momento giusto ci dà un potere enorme, forse il più grande di tutti”.

martedì 19 maggio 2020

UN GIOVANE MONTALE ISPIRA LA NOSTRA RIPARTENZA

A galla di Eugenio Montale

Chiari mattini,
quando l’azzurro è inganno che non illude,
crescere immenso di vita,
fiumana che non ha ripe né sfocio
e va per sempre,
e sta – infinitamente.

Sono allora i rumori delle strade
l’incrinatura nel vetro
o la pietra che cade
nello specchio del lago e lo corrùga.
E il vocìo dei ragazzi
e il chiacchiericcio liquido dei passeri
che tra le gronde svolano
sono tralicci d’oro
su un fondo vivo di cobalto,
effimeri…

Ecco, è perduto nella rete di echi,
nel soffio di pruina
che discende sugli alberi sfoltiti
e ne deriva un murmure
d’irrequieta marina,
tu quasi vorresti, e ne tremi,
intento cuore disfarti,
non pulsar più! Ma sempre che lo invochi,
più netto batti come
orologio traudito in una stanza
d’albergo al primo rompere dell’aurora.

E senti allora,
se pure ti ripetono che puoi
fermarti a mezza via o in alto mare,
che non c’è sosta per noi,
ma strada, ancora strada,

e che il cammino è sempre da ricominciare.
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 È una delle prime poesie di Eugenio Montale (1896-1981), datata 1919, scritta mentre era allievo ufficiale al 158º Reggimento di Fanteria Liguria. Una poesia che nasce dai sentimenti di amore/amicizia di Montale per Anna degli Uberti, e per certi aspetti ne segna l’allontanamento. Una poesia non molto conosciuta, rispetto ad altre le opere del grande poeta italiano.
Ciò che colpisce della poesia è che sembra scritta per raccontare i giorni che stiamo vivendo in questo periodo di pandemia da Coronavirus. “A galla” è una svolta generazionale, una svolta epocale: “il cammino è sempre da ricominciare” afferma il poeta alla fine della poesia.
Una poesia che se letta bene è uno stimolo motivazionale. Stiamo tutti per ripartire con le abitudini che avevamo, per tornare a lavorare, per incontrare gli amici, per poter scegliere liberamente dove andare, per viaggiare.
Nel testo di “A galla” la mattina è come un universo liquido nel quale il poeta è immerso, anzi meglio galleggia mentre tutto intorno trascorre la vita. Si fluttua sospesi nel tempo, ma non è consentito rimanere fermi nel momento, sostare nell’attimo. L’inquietudine ci spinge continuamente, ci sprona a riprendere il viaggio, a ricominciare, diventando nostra alleata e non nostra nemica.

lunedì 18 maggio 2020

Ezio Bosso: “Io li conosco i domani che non arrivano mai”

Un saluto speciale e particolare a Ezio Bosso usando un suo stesso eccezionale, fra gli altri, dono, quello della scrittura. Esattamente un mesa fa, sulla sua pagina Facebook, il compositore aveva postato una riflessione su quanto stava accadendo. Una poesia sulla fragilità della vita, sull'incertezza del domani, sulla possibilità di rinascere quanto tutto sembra perduto. La sua sensibilità straordinaria, la sua capacità di cogliere i suoni e le vibrazioni del mondo e del cuore umano, non saranno cancellate e continueranno a vivere nella sua musica e nelle parole che ci ha lasciato.
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Io li conosco i domani che non arrivano mai
Conosco la stanza stretta
E la luce che manca da cercare dentro

Io li conosco i giorni che passano uguali
Fatti di sonno e dolore e sonno
per dimenticare il dolore

Conosco la paura di quei domani lontani
Che sembra il binocolo non basti

Ma questi giorni sono quelli per ricordare
Le cose belle fatte
Le fortune vissute
I sorrisi scambiati che valgono baci e abbracci

Questi sono i giorni per ricordare
Per correggere e giocare
Si, giocare a immaginare domani

Perché il domani quello col sole vero arriva
E dovremo immaginarlo migliore
Per costruirlo

Perché domani non dovremo ricostruire
Ma costruire e costruendo sognare

Perché rinascere vuole dire costruire
Insieme uno per uno

Adesso però state a casa pensando a domani

E costruire è bellissimo
Il gioco più bello
Cominciamo…

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