mercoledì 18 dicembre 2013

I NOSTRI ATTI DEGLI APOSTOLI

di Christoph Schönborn |
L'arcidiocesi di Milano sta vivendo quest'anno l'anno pastorale scandito dal tema «Il campo è il mondo». Al centro c'è evidentemente il tema della nuova evangelizzazione. Tra le iniziative proposte da Scola c'è anche l'ascolto dell'esperienza vissuta in altre metropoli. Il primo appuntamento ha avuto come ospite a Milano il cardinale arcivescovo di Vienna, Christoph Schönborn. Riportiamo qui sotto alcuni passaggi dell'intervento realizzata da FILIPPO MAGNI per il portale diocesano www.chiesadimilano.it a cui si rimanda per l'intervento completo tenuto dal cardinale Schönborn.

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Nella sua Diocesi la nuova evangelizzazione è già da tempo realtà. Per questo Schömborn, per usare le parole di Scola, «porta la testimonianza di cosa significa evangelizzare la metropoli». A Vienna meno del 40% dei cittadini si dice cattolico. «Il dato è in costante calo principalmente per tre motivi - spiega il cardinale austriaco -. In primo luogo la demografia: crescono nei numeri solo i neocatecumenali e musulmani». In secondo luogo «la possibilità dell'abbandono civile della Chiesa, che si effettua dal magistrato: molti di quelli che lo scelgono non si possono definire apostati, ma lo fanno per non pagare la tassa obbligatoria per gli appartenenti a una religione, o anche perché, sebbene battezzati, non hanno più contatti con la Chiesa». Il terzo punto è la continua perdita di prassi religiosa. Schönborn non nasconde che la sua terra ha vissuto «gravi scandali che hanno ferito molti dei nostri fedeli. Il mio predecessore ha lasciato il magistero a causa delle accuse di pedofilia e diversi hanno lasciato la Chiesa scandalizzati da questi eventi».
E dunque, in ragione di questi presupposti, oggi la situazione è radicalmente cambiata: «Siamo stati Chiesa di Stato per secoli, Chiesa imperiale. E ora siamo umiliati. Poveri, non ancora economicamente, ma umanamente». Ed è proprio «in questa situazione umiliata» che, secondo l'Arcivescovo, «il Signore ci chiama alla missione». Ma come vivere questa situazione di Chiesa diminuita e scoraggiata? «Focalizzando l'attenzione non sui problemi, ma su quello che Dio compie tra di noi». Un'intuizione nata dalla lettura degli Atti degli apostoli, «in particolare tre testi, che per noi sono diventati un faro»; l'ultima parte del capitolo 28, dove si legge che San Paolo, pur prigioniero in una casa a Roma, annuncia il regno di Dio senza impedimento. Il secondo testo è il capitolo 15, quando Paolo e Barnaba si recano a Gerusalemme per discutere con gli apostoli della necessità o meno della circoncisione. E lungo la strada raccontano Cristo a chi incontrano, dando poi conto agli apostoli di ciò che Dio ha operato, tramite loro, durante il viaggio. «Il cristianesimo è una comunità di racconto - sottolinea Schönborn -. Dobbiamo riscoprire il racconto vicendevole di ciò che Dio fa nella nostra vita». Nello stile «di accoglienza, ascolto, preghiera in comune». Quando Papa Benedetto si è recato in visita in Austria nel 2007, ricorda il Cardinale, «abbiamo chiesto ai Consigli pastorali parrocchiali di scrivere la continuazione degli Atti degli apostoli. Col racconto di cosa ha operato Dio nelle parrocchie negli ultimi 5 anni. E il Papa alla fine della visita ha chiesto di continuare a scrivere gli Atti degli apostoli». E infine il terzo testo, il brano evangelico che riporta il naufragio di San Paolo a Malta, lungamente meditato nelle parrocchie viennesi «nel modo in cui voi milanesi siete stati abituati dal cardinale Carlo Maria Martini». Nella sua Lettera pastorale, ricorda l'Arcivescovo austriaco, «Scola scrive della necessità di "non vedere prima la zizzania, ma il buon grano". E su questa base rapportarsi con gli uomini».
Raccontando la propria esperienza Schönborn spiega di «non potervi portare gloriose esperienze di missione, perché la missione va scoperta». E aggiunge di aver avuto una «delusione al recente Sinodo sull'evangelizzazione. I vescovi dovrebbero essere i primi evangelizzatori, ma tutti, nei loro discorsi, hanno aggiunto l'etichetta "evangelizzazione" su tutto ciò che già si fa». Per esempio il Battesimo, i corsi di preparazione al matrimonio. «Certo - ammette il cardinale -, sono un'occasione di primo annuncio, oggi sono missione. Ma non sono evangelizzazione». Se è vero che tutto, nella Chiesa, ha un impulso evangelizzatore, «c'è però una gioia speciale, indimenticabile dell'atto proprio dell'evangelizzazione. E questo si fa solo faccia-a-faccia. In parte anche con twitter, facebook, con i libri. Ma è nell'incontro faccia a faccia che Cristo opera l'evangelizzazione attraverso noi».
La Diocesi di Vienna sperimenta anche metodi non convenzionali per raggiungere chi è lontano dalla Chiesa. "Da alcuni anni a San Valentino - racconta Schönborn - distribuiamo nelle stazioni della metropolitana lettere d'amore di Dio ai passanti. Scritte a mano, contengono affermazioni di questo tipo: "Tu sei la mia più bella idea, ti invito, incontriamoci di nuovo"». Questo, aggiunge, «ovviamente non è il tutto dell'evangelizzazione, ma è qualcosa fatto personalmente tramite chi si rende disponibile a consegnare queste lettere. Scendere nella stazione significa trovarsi in una situazione un po' ridicola, ma questo atto di contatto faccia a faccia cambia noi che lo operiamo, più che chi lo riceve. Ma forse anche loro». Papa Francesco «ci invita a cambiare lo sguardo. Io e i miei fratelli nel sacerdozio cerchiamo di capire come gestire le caselle entro cui cataloghiamo le persone. Sono necessarie per affrontare la società, ma devono essere considerate dopo essersi chiesti chi è la persona che abbiamo davanti». Come catalogare, e dove trovare il Signore, si chiede l'Arcivescovo, «nelle famiglie patchwork? Cioè quelle composte da divorziati, risposati, o da rapporti complicati? Come realizzare un'alleanza tra la verità da propugnare, che libera e salva, e la misericordia? Questa è la grande sfida della nuova evangelizzazione».
Emblematico un caso, di cui si è molto parlato, prosegue, «accaduto nella più piccola nostra parrocchia. Nel Consiglio pastorale fu eletto un giovane che vive con un altro uomo. È un ragazzo che partecipa alla messa, suona l'organo in chiesa. Li ho incontrati e ho visto due giovani puri, anche se la loro convivenza non è ciò che l'ordine della creazione ha previsto». Dall'incontro la decisione «di non toglierlo dal Consiglio pastorale. Attendevo le critiche, ma con quel gesto non volevo dire che sono d'accordo col cosiddetto matrimonio gay. Non sono per niente d'accordo. Ma ci sono situazioni in cui dobbiamo guardare prima alla persona. Papa Francesco ci mette davanti a questa sfida».
A Vienna il 60% dei matrimoni finisce con un divorzio: la famiglia cristiana non è il caso normale, ma l'eccezione, la norma è la patchwork family. «Cosa dice questo a noi preti? - si chiede l'Arcivescovo -. A imparare di nuovo cosa vuol dire vivere nella diaspora». Atteggiamento che Schönborn ha sintetizzato in «5 sì per la nuova evangelizzazione».

«1) Sì all'oggi, al nostro tempo. Lasciamo la nostalgia degli anni '50, '60, '70. Dio ama il mondo di oggi.

2) Sì consapevole e deciso alla nostra situazione, cioè la decrescita dei cattolici. Vediamo buoni semi anche dove non c'è esplicitamente la Chiesa.

3) Sì alla nostra condizione comune di battezzati. La differenza tra il sacerdozio comune dei laici e quello ministeriale dei preti è di sostanza, non di grado. Non c'è un grado superiore dell'essere cristiano. Il sacerdozio comune ci fa fratelli, vicini, amici.

4) Sì a una Chiesa che impara passo passo a essere in diaspora, una diaspora feconda. Dobbiamo imparare una vita di rappresentanza, dove la fede non è vissuta solo per sé, ma anche per gli altri Impariamo dagli ebrei, convinti che se in una città ci sono 10 ebrei, questo è una benedizione per la città. I cattolici sono benedizione per la città.

5) Sì al nostro ruolo per la societa. Anche se siamo minoranza, anche se politicamente in molti campi - per esempio in Europa (penso alle recenti proposte di legge sull'aborto) - non abbiamo il potere di imporre la giurisdizione che ci piacerebbe, quella che risponderebbe al diritto naturale. Il sale è sempre minoranza, nel piatto. Ma i nostri gruppi, le nostre associazioni, sono una grande rete. E quanto più la rete sociale diventa fragile, tanto più diventano importanti le nostre iniziative per i più deboli».

martedì 17 dicembre 2013

PERSONE...

Le persone non sono ridicole se non quando non vogliono parere o essere ciò che non sono.
Giacomo Leopardi

Quando qualcuno può aiutare un'altra persona a conoscere e a capire un uomo, allora quel qualcuno si ritroverà fortemente arricchito.
Herbert Von Karajan

martedì 10 dicembre 2013





"BEATI GLI OPERATORI DI PACE.."

Pochi, come lui, possono essere considerati operatori di pace; e la sua vicenda di uomo pacifico fu risultato di una scelta maturata nel tempo e nel corso di una lotta in cui non esitò a servire un ideale di uguaglianza che, ancora nei primi anni sessanta, in alcune parti del mondo, sembrava improponibile.
...tre brevi considerazioni.
Mandela non fu un pacifista; dopo la strage di Shaperville, durante la quale, nel 1960, la polizia del Sudafrica massacrò alcune decine di civili, non esclusi dei bambini, per una manifestazione contro la segregazione razziale, Mandela non escluse la possibilità di una difesa armata dei diritti conculcati. Non confuse l’opera di pace coll’ideologia di un pacifismo che viene usata come strumento di scontro con gli avversari, fatti nemici. E tuttavia, dopo decenni di detenzione, dalla fine degli anni cinquanta, fino ai primi anni novanta, sia pure con alcune brevi parentesi di libertà, egli si presentò sulla scena politica rifiutando il sistema della violenza; non solo, ma con sensibilità fatta di interiore maturazione, volle precisare che “…provare risentimento è come bere veleno, sperando che ciò uccida il nemico”. Il passato, per quanto ingiusto e feroce va ricordato, ma non vendicato; e chi non crede nei risultati della vendetta, riesce a costruire (parola di papa Francesco nel ricordo del leader scomparso) “su solide basi di non violenza, riconciliazione e verità”.
Mandela fu operatore di pace. Per lui infatti, l’educazione era da ritenersi “…l’arma più potente per cambiare il mondo”. Non serve la rinuncia, non paga l’omologazione alla violenza del potere ed in ultima istanza, alla fine di un percorso di formazione pacifica pagata col proprio sofferto contributo di sacrificio personale, egli non ritenne neppure lecito correre il rischio di rispondere con la violenza alla prepotenza dei forti; in lui si rafforza la fiducia nella formazione delle mentalità, delle coscienze ed, in ultima istanza, delle persone.
Infine una terza ed ultima considerazione. Siamo nel 2013; a cinquant’anni dalla “Pacem in terris” di papa Giovanni, un testo in cui si afferma esplicitamente che non c’è mai “guerra giusta” perché l’uso della guerra come strumento per ristabilire la giustizia offesa è contrario alla ragione “…alienum est a ratione”; siamo però anche nel ventesimo anniversario della concessione del premio Nobel per la pace a Nelson Mandela (1993). Ora ci capita di ricordare un testimone esemplare: coincidenze straordinarie, perché queste varie e diverse occasioni e ricorrenze indicano un difficile percorso di tutti gli uomini, ma in particolare di questi eccezionali “operatori di pace”, verso un traguardo di “non violenza, riconciliazione e verità”.

Agostino Pietrasanta su Appunti Alessandrini.


mercoledì 4 dicembre 2013

Divorziati risposati, la Chiesa tedesca va per conto suo
di Matteo Matzuzzi

Al Sinodo straordinario sulla famiglia indetto da Papa Francesco manca quasi un anno, ma i vescovi tedeschi hanno già molto chiare le idee sull'orientamento da dare all'assise. A nulla sono serviti gli inviti alla prudenza e i richiami all'ordine giunti da Roma. Tutti rispediti al mittente, a cominciare dalle prese di posizione del prefetto della congregazione per la Dottrina della fede, monsignor Gerhard Ludwig Müller. A originare la tensione fu, ai primi d'ottobre, il documento rilasciato dall'Ufficio preposto alla cura d'anime della diocesi di Friburgo, retta fino a settembre dal vescovo Robert Zollitsch – rimasto come amministratore apostolico –, presidente uscente della conferenza episcopale locale. In quel testo si invitava «a rendere visibile l'atteggiamento umano e rispettoso di Gesù nel contatto con le persone divorziate e con chi ha deciso di risposarsi con rito civile». In pratica, il primo passo per la riammissione dei divorziati risposati ai sacramenti, a partire dalla comunione. Non appena lo Spiegel rivelò il contenuto del testo, il Vaticano disse che non sarebbe cambiato nulla, perché quel documento era privo della firma del vescovo di Friburgo. Nulla di nuovo, dunque. Nel frattempo, a frenare voli pindarici e a richiamare all'ordine nell'ottica dell'ortodossia cattolica, arrivava il lungo intervento di Müller pubblicato sull'Osservatore Romano, il 22 ottobre.
Presentandolo, il giornale del Papa definì quell'articolo "un contributo" alla discussione in vista del Sinodo, ma a leggerlo sembrava molto di più, quasi una chiara risposta a quei vescovi pronti ad agire unilateralmente sulla pastorale matrimoniale senza il previo e indispensabile consenso pontificio. Un testo, quello del prefetto dell'ex Sant'Uffizio, ancora più importante se si considera che era già stato pubblicato a giugno sulla Tagespost. Una riproposizione, quattro mesi dopo e sull'organo ufficiale della Santa Sede, assumeva così un valore non trascurabile. Müller chiariva che si rischiava di «banalizzare la misericordia, dando l'immagine sbagliata secondo la quale Dio non potrebbe far altro che perdonare». E questo perché, aggiungeva, «al mistero di Dio appartengono, oltre alla misericordia, anche la santità e la giustizia; se si nascondono questi attributi di Dio e non si prende sul serio la realtà del peccato, non si può nemmeno mediare alle persone la sua misericordia». Sul matrimonio, poi, Müller spiegava che esso rappresenta «l'atto personale e libero del reciproco consenso» attraverso il quale «viene fondata per diritto divino un'istituzione stabile, ordinata al bene dei coniugi e della prole, e non dipendente dall'arbitrio dell'uomo». A scanso di equivoci, il prefetto definiva il matrimonio come "indissolubile". In virtù di tali considerazioni, invitava la diocesi di Friburgo a ritirare il documento "incriminato", giudicato «contrario all'insegnamento e al Magistero della Chiesa cattolica».
Ma Zollitsch diceva no, chiarendo che il testo diffuso dall'ufficio per la cura delle anime rappresentava anch'esso un contributo alla formazione delle linee guida che, verosimilmente, saranno approvate definitivamente dalla conferenza episcopale tedesca la prossima primavera. «Noi abbiamo già le nostre linee guida, e il Papa adesso ha chiaramente specificato che certe questioni possono essere decise a livello locale», aggiungeva Robert Eberle, il portavoce della diocesi di Friburgo. Il riferimento è all'esortazione "Evangelii Gaudium" di Francesco svelata al mondo martedì scorso, e in particolare ai paragrafi in cui si parla della necessità di conferire alle chiese locali "qualche autorità anche dottrinale". Secondo Eberle, "molti punti" del documento papale suggeriscono che la Germania "si sta muovendo nella giusta direzione". Idea condivisa anche dal vescovo di Stoccarda, monsignor Gebhard Fürst, che spiegava come l'episcopato tedesco avrebbe adottato le proposte dell'ufficio diocesano di Friburgo in occasione della sessione plenaria di marzo – che, tra l'altro, sarà l'ultima presieduta da Zollitsch. Alle polemiche e alle accuse mosse dai settori conservatori di aprire la strada quasi alla "protestantizzazione" della chiesa tedesca, il portavoce della diocesi di Stoccarda rispondeva che la strada seguita va "nello spirito dell'insegnamento papale".
A rispondere a Müller c'aveva già pensato l'arcivescovo di Monaco-Frisinga, il cardinale Reinhard Marx, che durante l'ultima assemblea dei vescovi bavaresi aveva chiarito senza mezze parole e senza troppi complimenti che «il prefetto della congregazione per la Dottrina della fede non può fermare il dibattito» e che «al Sinodo si discuterà di tutto». Al momento, aggiungeva il porporato, «non è possibile dire quali saranno i risultati del dibattito». Inoltre, «qualcosa al gran numero di fedeli che non comprende perché una seconda unione non è accettata dalla chiesa andrà detto», sottolineava Marx, che esprimeva altresì un giudizio negativo sulla definizione data da Müller del divorzio come "fallimento morale". È "inadeguato", diceva l'arcivescovo di Monaco e Frisinga.
Se la Chiesa tedesca è intenzionata a imprimere un'accelerata riguardo l'accostamento ai sacramenti dei divorziati risposati, cercando così di orientare il dibattito sinodale, anche a Roma c'è chi dà un peso relativo agli ammonimenti del prefetto dell'ex Sant'Uffizio. Primo fra tutti era stato il presidente del Pontificio consiglio per la Famiglia, mons. Vincenzo Paglia, ancora in attesa di conferma ufficiale nell'incarico da parte di Francesco. Tentando di imitare Bergoglio e il lessico del Papa preso quasi alla fine del mondo, l'ex vescovo di Terni aveva detto in un'intervista ad Avvenire che l'urgenza è «di accogliere e ascoltare le famiglie così come sono, tutte le famiglie, nella complessità delle varie situazioni». E questo perché «dobbiamo essere sempre più in grado di parlare a tutti, con un linguaggio capace di coniugare verità e misericordia». Pazienza, insomma, se il custode dell'ortodossia avesse ripetuto che di famiglia ce n'è una soltanto e che il Pontefice in persona, già ad Assisi, avesse chiarito che la famiglia si concretizza nella «vocazione a formare di due, maschio e femmina, una sola carne, una sola vita».
Per Müller, poi, non valeva neppure portare a esempio la prassi ortodossa, la cosiddetta "seconda possibilità" ai divorziati risposati di accostarsi ai sacramenti: «Questa prassi non è coerente con la volontà di Dio, chiaramente espressa dalle parole di Gesù sull'indissolubilità del matrimonio», scriveva il prefetto sull'Osservatore Romano. Ma anche qui, c'è chi entro le mura leonine non è d'accordo. In un'intervista concessa a Vatican Insider, il segretario generale del Sinodo, monsignor Lorenzo Baldisseri, diceva infatti che «quello dei sacramenti ai divorziati risposati è un tema da affrontare con un approccio nuovo» e che, a tal riguardo, «l'esperienza della Chiesa ortodossa può esserci di aiuto, non solo per quanto riguarda la sinodalità e la collegialità, ma anche nel caso di cui stiamo parlando, per illuminare il cammino».

martedì 3 dicembre 2013

"QUALE AVVENTO?" di Tonino Bello

C'è, nella storia, una continuità secondo ragione, che è il futurum. E' la continuità di ciò che si incastra armonicamente secondo la logica del prima e del dopo. Secondo le categorie di causa ed effetto. Secondo gli schemi biblici, in cui alle voci in uscita, si cercano i riscontri corrispondenti delle voci in entrata: finché tutto non quadra.

E c'è una continuità secondo lo Spirito, che è l'adventus.

E' il totalmente nuovo, il futuro che viene come mutamento imprevedibile, il sopraggiungere gaudioso e repentino di ciò che non aveva neppure il coraggio di attendere.

In un canto che viene eseguito nelle nostre chiese, e che è tratto dai salmi si dice "Grandi cose ha fatto il Signore per noi: ha fatto germogliare i fiori tra le rocce!". Ecco, adventus è questo germogliare dei fiori carichi di rugiada tra le rocce del deserto battute dal sole meridiano.

Promuovere l'Avvento, allora, è optare l'inedito, accogliere la diversità come gemma di un fiore nuovo, come primizia di un tempo nuovo. Cantare, accennadolo appena, il ritornello di una canzone che non è stata ancora scritta, ma che si sa rimarrà per sempre in testa all'hit parade della storia.

Mettere al centro delle attenzioni pastorali il povero, è avvento.

E' avvento, per una madre, amare il figlio handicappato più di ogni altro.

E' avvento, per una coppia felice e con figli, mettere in forse la propria tranquillità avventurandosi in operazioni di affidamento, con tutte le incertezze che tale ulteriore "fecondità" si porta dietro, anzi, si porta avanti.

E' avvento, per un giovane, affidare il futuro alla non-garanzia di un volontario, alla non-copertura di un impegno sociale in terre lontane, all'alea di un servizio umanitario che, se non è mai ricompensato sul piano economico, qualche volta non garantisce neppure su quello morale.

E' avvento, per una comunità, condividere l'esistenza del terzomondiale e sfidare l'opinione dei benpensanti che si chiude davanti al diverso, per non permettere infiltrazioni inquinanti al proprio patrimonio culturale e religioso.

E' avvento, per una congregazione religiosa o per un presbitero diocesano, allentare le cautele della circospezione mondana, per tutelarsi il sostentamento, facendo affidamento sulla "insostenibile leggerezza" della Provvidenza di Dio.

Per Antonella, mia amica, è avvento abbandonare le lusinghe della carriera sportiva per farsi suora di clausura.

Per Karol Tarantelli è avvento perdonare l'assassino di suo marito ...

Per Madre Teresa di Calcutta avvento è stato abbandonare la clausura per farsi prossimo sulle strade del mondo.

Ecco come è avvenuta la nascita di Gesù: per promuovere l'Avvento, Dio è partito dal futuro".

SE NON DIVENTERETE COME BAMBINI...

di Giorgio Bernardelli
La legge che in Belgio sta per aprire all'eutanasia per i bambini. E il bisogno di una difesa della vita che dia ragioni per vivere
Come credo tutti sappiamo il Parlamento del Belgio ha dato un primo via libera in commissione (peraltro ampiamente annunciato) alla legge che ammette l'eutanasia anche per i bambini. Si tratta evidentemente di una di quelle notizie che fanno venire un brivido dietro la schiena. Ascoltata la quale è naturale per ciascuno di noi cominciare con la litania del "Ma dove siamo arrivati?" in tutte le sue declinazioni.
Se ci fermiamo qui - però - domani volteremo comunque pagina e questa ideologia di morte sarà comunque andata avanti. Io credo che la sfida stia diventando ogni giorno di più un'altra: quella di non sventolare più semplicemente una bandiera, ma provare a fare i conti realmente con «il dolore innocente». Ripartire dal fatto che non c'è niente di più dilaniante per un genitore dell'esperienza di vedere un figlio soffrire. Capire che è proprio l'incapacità a sostenere il suo sguardo (e la propria incapacità nel dare le risposte che lui in quel momento ti chiede) a portare qualcuno a ritenere ammissibile un gesto che istintivamente avvertiamo subito come inumano.
Per questo le domande vere oggi possono essere solo quelle più radicali: non possiamo mascherarci davanti alle caricature altrui o alle buone parole. Che ci piaccia o no non bastano più. Non si può più difendere la vita solo in astratto; dobbiamo ritornare a dare ragioni per vivere, anche nelle situazioni più estreme. E questa è la strada più faticosa, perché mette in gioco non un principio, ma le nostre vite concrete: non c'è difesa della vita senza un di più di prossimità verso il fratello. Senza una disponibilità a farci carico della sua fatica nel vivere. Dell'assenza di speranze, dell'orizzonte chiuso a qualunque cosa vada oltre noi stessi.
C'è tutto questo - allora - dentro quell'opposizione radicale alla «cultura dello scarto» di cui Papa Francesco non si stanca di parlare. Ed è una lotta a tutto campo. Perché l'eutanasia ai bambini malati terminali è solo il logico punto di arrivo di un modo di guardare alla propria umanità. Di un'idea di benessere che rigetta tutto ciò che non gli è funzionale. E l'unico modo per combatterlo sul serio non è dipingere un mondo pieno di Mengele (che alla fine sono sempre mostri lontani da noi), ma far arrivare la carezza della tenerezza anche in quella corsia d'ospedale.
«Se non diventerete come bambini non entrerete nel Regno dei cieli», dice il Vangelo. I bambini hanno la capacità di svelare ogni nostra ipocrisia. Ci mostrano le strade che non vediamo più. Quante volte è proprio il loro impuntarsi testardo sulle piccole cose a rimetterci sanamente in discussione?
Ecco: forse anche questa sconcertante vicenda belga ci sta dicendo proprio questo. Speriamo ancora che questa legge ingiusta non passi. Alziamo le barricate contro chi dovesse avere l'idea di proporla anche altrove. Ma preoccupiamoci anche di chi - qui accanto a noi, non in Belgio - tanti bambini li sta uccidendo già proponendo un'idea di felicità in cui l'unica regola è non rimanere indietro. E torniamo a interrogarci sul serio sul dolore e sul suo significato nella vita delle persone. Prima che sia troppo tardi.

lunedì 2 dicembre 2013

C'E' CHI FRENA SUL QUESTIONARIO PER IL SINODO DEI VESCOVI SULLA FAMIGLIA

Pubblicato il 25 novembre 2013 da NOI SIAMO CHIESA
I vescovi italiani, disorientati, non si stanno impegnando seriamente a promuovere la consultazione sul questionario per il sinodo dei vescovi sulla famiglia. Nei fatti è una specie di boicottaggio.
Il questionario predisposto per la consultazione del Popolo di Dio in preparazione del Sinodo sulla famiglia del prossimo ottobre è un fatto nuovo e molto positivo. Per la prima volta in modo formale e generalizzato si riconosce che queste tematiche devono essere affrontate a partire dal vissuto di tutti i credenti nell’Evangelo, donne, uomini e coppie, con le loro gioie e le loro sofferenze. La proposta di discutere di queste grandi questioni esistenziali, in particolare dei loro aspetti più difficili e controversi, apre il cuore alla speranza che finalmente non si proceda più nella Chiesa sulla vecchia strada di precetti imposti e astratti dalla realtà, ma su quella che inizia dalla volontà di ascolto........
Ciò detto, “Noi Siamo Chiesa” ritiene che la consultazione non debba essere ristretta agli organismi diocesani e neppure solo a quelli parrocchiali (consigli pastorali, ecc…), ma coinvolgere la generalità dei credenti. Essa deve essere aperta anche ai cristiani e alle cristiane di altre Chiese nonché a donne e uomini di buona volontà, che siano sensibili alle tematiche relative alla spiritualità e interessati a offrire il loro apporto costruttivo su questioni che coinvolgono la vita e gli interrogativi etici di ogni persona. Per questo ci sembrano saggi quei parroci che hanno deciso di mettere a disposizione nelle chiese i questionari e quei vescovi di altri paesi che hanno chiesto risposte on-line al testo.
Ci dispiace constatare che le strutture della Chiesa italiana si stanno invece muovendo con troppo ritardo e con evidenti reticenze. Il 23 ottobre il segretario uscente della CEI Mons. Mariano Crociata ha inviato tempestivamente, prima ancora che il questionario diventasse pubblico, una lettera ai vescovi per attivarli sulla consultazione. Ma troppe diocesi sono ferme o, peggio, reticenti (a Bologna, per esempio, non è stata diffusa alcuna circolare ai parroci per sollecitarli a far conoscere capillarmente il documento). Un mese è stato perso, solo in questi giorni arrivano ai parroci indicazioni dalle Curie diocesane ed esse prevedono, a quanto ci risulta, l’intervento sul questionario al massimo degli organismi parrocchiali e, in certi casi, neanche di quelli. L’Avvenire tace completamente dall’inizio sulla consultazione mentre è ben noto come sia pronto e assillante in altre “campagne”. Tutto ciò non ci sembra casuale, indica il disorientamento di molti vescovi. I tempi sono strettissimi, l’Avvento e il periodo natalizio sono già densi di impegni di ogni tipo. Ci chiediamo, allora, se non ci si trovi di fronte a un vero e proprio strisciante boicottaggio del questionario o, nel migliore dei casi, alla convinzione che si tratti solo di un dovere burocratico, inutile o quasi, da mettere in coda a tutti gli altri, necessario solo per non dire di NO apertamente al Vaticano.
La nostra opinione è radicalmente diversa. Ogni sede del mondo cattolico, dalle associazioni alle riviste (per esempio “Il Regno”), ai siti internet, è buona per ricevere le risposte, per elaborarle correttamente o non elaborarle e trasmetterle direttamente alla segreteria generale del Sinodo, che è un terminale abilitato a ricevere i questionari anche dai singoli. La possibilità di inviare direttamente i questionari dovrebbe sempre essere fatta presente dai nostri vescovi. Sul questionario si pronuncino i teologi, le facoltà teologiche, gli insegnanti di religione, le comunità di religiose e di religiosi, anche i monasteri di clausura, ma soprattutto le madri e i padri di famiglia, le giovani e i giovani, gli appartenenti alle minoranze sessuali, le coppie di ogni tipo e tutti quanti vivono in prima persona le tematiche esistenziali poste dal questionario. Anche i cristiani e le cristiane delle altre Chiese offrano, in spirito ecumenico, il loro apporto.
“Noi Siamo Chiesa” elaborerà in tempi rapidi una propria risposta al questionario, accogliendo così la richiesta di Papa Francesco di una partecipazione la più ampia possibile a un’iniziativa di per sé storica.


Evangelii Gaudium:il vento della Curia
di Hans Küng su Repubblica il 27.11.13

La riforma della chiesa procede: nell’esortazione apostolica “Evangelii Gaudium” Papa Francesco ribadisce non solo la sua critica al capitalismo e al dominio del denaro, ma si dichiara anche inequivocabilmente favorevole ad una riforma ecclesiastica «a tutti i livelli» . Si batte concretamente per riforme strutturali come la decentralizzazione verso diocesi e parrocchie, una riforma del ministero di Pietro, la rivalutazione dei laici e contro la degenerazione del clericalismo, per una efficace presenza femminile nella chiesa, soprattutto negli organi decisionali. Si dichiara altrettanto espressamente favorevole all’ecumenismo e al dialogo interreligioso, soprattutto con l’ebraismo e l’Islam.
Tutto questo troverà ampio consenso ben oltre l’ambito della chiesa cattolica. Il rifiuto indiscriminato dell’aborto e del sacerdozio femminile dovrebbero suscitare critiche.
Mostrano i limiti dogmatici di questo Papa. O forse Francesco subisce le pressioni della congregazione della dottrina della fede e del suo prefetto, l’arcivescovo Gerhard Ludwig Müller? Quest’ultimo ha manifestato la propria posizione ultraconservatrice in un lungo intervento sull’Osservatore Romano (23 Ottobre 2013), in cui ribadisce l’esclusione dai sacramenti dei divorziati risposati. Dato il carattere sessuale della loro relazione vivono presumibilmente nel peccato, a meno che non convivano «come fratello e sorella» (!)
....E già gli osservatori, preoccupati, si chiedono se il Papa emerito Ratzinger per il tramite dell’arcivescovo Müller e di Georg Gänswein, il suo segretario, anch’egli nominato arcivescovo e prefetto della casa pontificia, effettivamente non agisca come una sorta di «Papa-ombra». Agli occhi di molti la situazione appare contraddittoria: da una parte la riforma della chiesa e dall’altra l’atteggiamento nei confronti dei divorziati risposati.
Il Papa vorrebbe andare avanti— il “prefetto della fede” frena. Il Papa ha in mente l’umanità concreta — il prefetto soprattutto la dottrina tradizionale cattolica. Il papa vorrebbe praticare la carità — il prefetto si appella alla santità e alla giustizia divina. Il Papa vorrebbe che i sinodi episcopali nell’ottobre 2014 trovassero soluzioni pratiche ai problemi della famiglia anche sulla base delle consultazioni dei laici — il prefetto si basa su tesi dogmatiche tradizionali per poter mantenere lo status quo, privo di carità.
Il Papa vuole che i sinodi episcopali intraprendano nuovi tentativi di riforma — il prefetto, già docente di teologia dogmatica, pensa di poterli bloccare in partenza con la sua presa di posizione. C’è da chiedersi se il Papa controlli ancora questa sua sentinella della fede.
...E la credibilità di papa Francesco verrebbe immensamente danneggiata se i reazionari del Vaticano gli impedissero di tradurre presto in azioni le sue parole e i suoi gesti pervasi di carità e di senso pastorale. L’enorme capitale di fiducia che il Papa ha accumulato nei primi mesi del suo pontificato non deve essere sperperato dalla Curia. Innumerevoli cattolici sperano che il Papa esamini la discutibile posizione teologica e pastorale di Müller; che vincoli la commissione per la difesa della fede alla sua linea teologica pastorale; che le lodevoli consultazioni dei vescovi e dei laici in vista dei prossimi sinodi sulla famiglia conducano a decisioni dotate di fondamento biblico e vicine alla realtà.
Papa Francesco dispone delle necessarie qualità per guidare da capitano la nave della chiesa attraverso le tempeste di questi tempi; la fiducia dei fedeli gli sarà di sostegno. Avrà contro il vento della curia e spesso dovrà procedere a zig zag, ma la speranza è che affidandosi alla bussola del vangelo (non a quella del diritto canonico) possa mantenere la rotta in direzione del rinnovamento, dell’ecumenismo e dell’apertura al mondo. “Evangelii Gaudium” è una tappa importante in questo senso, ma non è certo il punto di arrivo.

SE I GIOVANI NON DICONO PIU' ''TI AMO''

Prima la "scoperta" dei femminicidi. Poi quella della prostituzione minorile a Roma e non solo. Si è detto che sono patologie della nostra società.
Ma la fisiologia dei rapporti affettivi, ciò che oggi consideriamo la normalità, qual è? Siamo certi che sia sana e felice?
Mi ha colpito una lettera – rimasta senza risposta – di uno studente del primo anno di liceo classico, uscita su "Repubblica". Era titolata: "Perché tra noi liceali non si usa più 'ti amo!' ".
PAROLONI?Lo studente, Marco D.G., scrive: "ho notato che le parole 'ti amo' stanno progressivamente scomparendo tra i giovanissimi: diverse persone le ritengono 'paroloni', fastidiosi, estranei, barocchi e patetici".
Poi spiega che i suoi coetanei, i quali non usano più queste espressioni d'amore, lo fanno "per motivazioni molto tristi".
Che lui riassume così: "l'amore, a questa età, non esiste, non è importante, non deve essere importante. Sarà qualcosa che verrà più tardi. Dopotutto, mi dice una mia cara amica a proposito delle sue vicissitudini, 'se smetti di amare vuol dire che non hai amato'. Tutti ragionamenti in larga parte appoggiati e incentivati da parenti, più o meno stretti. Questo modo d'agire non vuol dire sminuire gli amori di quest'età? Non è sbagliato?".
Può essere giusto il realismo di chi fa capire al figlio adolescente che la "cottarella" è solo una piccola scintilla dell'immenso mistero che è l'amore. Ma la lettera dello studente forse coglie anche un altro fenomeno: un cinismo diffuso.
RIDOTTI A CORPIDopo un'epoca che ha inflazionato la parola "amore", applicandola assurdamente a una guerra dei sessi che ha lasciato e lascia a terra morti e feriti (non solo in senso metaforico), si è passati a un tale scetticismo che quasi esclude in partenza la "folle" possibilità di amare ed essere amati.
Così abbiamo una giovane generazione ipersessualizzata a cui è precluso l'amore vero e perfino l'uso della parola amore, mentre tutti gli usi del corpo sono permessi, anzi sono imposti come obbligo: alcune liceali intervistate da "Porta a porta", lunedì, spiegavano come sia diventata una vergogna sociale essere ancora vergini a 16 anni.
Si vuole che sia una generazione di corpi senz'anima. E' il prodotto della generazione del '68 e della sua unica, vera rivoluzione: la rivoluzione sessuale (che poi è il vertice del consumismo contro cui, a parole, si battevano).
E questo è l'esito: il panorama di rovine che abbiamo davanti, un colossale discount planetario del sesso che ha l'aspetto di un campo di battaglia cosparso di feriti, di schiavi e di schiave.
LIBERTA' O DEVASTAZIONE?La famosa "liberazione sessuale" aveva promesso la felicità. Ma quella che vediamo è una società ammalata, infelice e violenta. E che non sa più cos'è l'amore. Tanto che consiglia di "rassegnarsi" già a 17 anni.
Si avvera la "profezia" di Max Horkeimer, il fondatore della Scuola di Francoforte, che, pur provenendo dal marxismo, dette ragione all'Humanae vitae di Paolo VI sostenendo che "la pillola", cioè la trasformazione della sessualità in consumo di corpi sempre disponibili, come una merce di supermercato, sarebbe stata "la morte dell'amore" e quindi dell'eros, trasformando Romeo e Giulietta "in un pezzo da museo".
Questa devastazione sta davanti agli occhi di tutti. Mi ha colpito, ad esempio, ciò che, qualche settimana fa, ha scritto Piero Ottone nella rubrica che tiene sul "Venerdì di Repubblica".
Ottone, come si sa, dopo il licenziamento di Spadolini, nel 1972, diventò direttore del "Corriere della sera" per portare clamorosamente a sinistra, in sintonia con la ventata rivoluzionaria, l'antico giornale della borghesia liberale (è appunto per questo che Indro Montanelli si sentì costretto ad andarsene e a fondare "Il Giornale").
Ebbene, Ottone, da distaccato osservatore, qualche settimana fa ha scritto: "nel giro di mezzo secolo, il costume sessuale è cambiato in modo sensazionale (...). Libertà sessuale, un segno di progresso, dunque?".
Il suo giudizio è opposto: "si può vedere nella libertà oggi imperante (...) il segno della graduale disintegrazione della civiltà... L'abolizione delle regole, il ritorno alla licenza assoluta è un nuovo segno di declino".
Questa è oggi la sua pesante sentenza: "disintegrazione della società", "declino". Ma non avevano promesso – con l'abbattimento dei tabù – il paradiso in terra?
Eppure già allora qualcuno l'aveva predetto e continua a ripeterlo. Ma oggi come ieri si prende gli sberleffi e gli anatemi di quel "progressismo adolescenziale" che – come dice papa Francesco – è al servizio del "pensiero unico".
Però non basta lamentare l'oscurità dei tempi. Io voglio qui testimoniare – soprattutto pensando allo studente di cui ho citato la lettera all'inizio – che, nonostante tutto, ci sono luoghi dove il grande abbraccio dell'amore vero fra uomo e donna si insegna, si scopre e si vive.
GIUSSANI SULL'AMOREMi ha colpito, durante una presentazione del mio libro "Lettera a mia figlia", ascoltare un giovane sacerdote, don Andrea Marinzi, che paragonava la mia primogenita e la vicenda che sta vivendo da quattro anni, alla figura della Maddalena quando, nel Vangelo, per il suo Gesù, ruppe il vasetto d'alabastro contenente un preziosissimo olio profumato per ungere i capelli del Maestro, tanto amato, "e tutta la casa si riempì di quel profumo".
Don Andrea attribuiva a don Giussani questa immagine e l'altroieri ho trovato proprio questa sua pagina nella biografia che gli ha dedicato Alberto Savorana. E' la cosa più bella – secondo me – che sia mai stata scritta sull'amore umano.
A quel tempo, attorno al 1952, Giussani era un giovane prete che non aveva ancora iniziato la storia di CL, ma – confessando in una parrocchia di Milano – attirava l'interesse di molti studenti.
Lui restava però colpito dalla superficialità dei loro legami affettivi senza nostalgia, da quel passare da una ragazza all'altra inseguendo soltanto un piccolo piacere effimero. E non la donna amata, non l'amore della vita.
Per questo annota in un suo appunto che così:"il senso della vita si ottunde e il cerchio resta chiuso, freddo, attorno a noi: egoismo. Non si cerca più la persona per la quale sola l'anima si spacca e si apre: si dona. Si sacrifica... La Maddalena spaccò il vaso di alabastro: 'sciupò' il profumo, lo donò. Ogni dono è perdita. Amare veramente una persona appare come uno sciupare: se stessi, energie, tempo, calcolo, tornaconto, gusti. Gli altri, al gesto della Maddalena, scrollarono il capo: 'pazza! Senza criterio! Senza interesse!'. Ma in quella sala solo lei 'viveva', perché solo amare è vivere (...). Quell'aprirsi ad altri: agli altri, a tutti gli altri – attraverso la scorza rotta del proprio io, solitamente c'è un viso che ha funzione di spaccare la corteccia del nostro egoismo, di tenere aperta questa meravigliosa ferita, quel viso è il suscitatore e lo stimolatore del nostro amore; il nostro spirito si sente fiorire di generosità al suo contatto, ed attraverso a quel viso si dona, a fiotti, agli altri, a tutti gli altri, all'universo".
Si può pensare che sia utopistico ciò che scrive Giussani, si può ritenere che nessuno sia capace di amare così, ma non si può negare che tutti, proprio tutti, nel profondo del cuore desiderano essere amati così.
E che questo miracolo sia possibile lo fa intuire la conclusione di Giussani, facendo intravedere Gesù Cristo:
"quel viso è il riverbero umano di Lui. Se quel viso è lontano, la sua nostalgia, oh, non intorpidisce l'attività. La vera nostalgia di lui è la più dinamica malia, è il più potente richiamo alle energie perché compiamo il nostro dovere così da renderci più degni di chi amiamo. Soffrire per Ciò".
Questi sono i maestri di umanità di cui abbiamo bisogno, noi, i feriti di questo campo di battaglia che è la modernità.
Giussani, papa Francesco, uomini che ci affascinano mostrando cosa sono l'amore, il perdono e la grandezza dell'essere uomini e donne. E' così che ci sorprende la gioia. Quella autentica.
Antonio Socci.

venerdì 29 novembre 2013

"LA VITA E' UN DONO CHE DEVE ESSERE OFFERTO"

Martiri di quale verità? di Timothy Radcliffe
Qualche sera fa padre Timothy Radcliffe - già maestro generale dei domenicani - ha tenuto nell'Abbazia di Westminnster una conferenza sul tema «Una verità che disturba: la Chiesa, i poveri e Oscar Romero». Di quest'intervento - tradotto in italiano dal sito www.finesettimana.org - proponiamo oggi la parte conclusiva (rimandando a questo link per la lettura del testo integrale).


«Martire» è la parola greca per «testimone». Circa 100.000 cristiani sono ancora uccisi per la loro fede ogni anno. Ci sono stati più martiri nel XX secolo che in tutti i precedenti secoli della storia cristiana. È passato molto tempo da quando dei cristiani sono morti per la loro fede nel nostro paese. È forse perché la Gran Bretagna è così tollerante o perché siamo così innocui? Forse un po' entrambe le cose. (Abbiamo tabelle con i turni per la sistemazione dei fiori e la pulizia della chiesa. Ma non ci possiamo immaginare una tabella per essere uccisi: «Abbiamo ancora un posto vuoto nella tabella del martirio per venerdì. Qualcuno è libero?»).

Ho predicato sul martirio in una delle nostre grandi cattedrali quest'estate. Ci sono andato pesante come una palla di piombo. Forse, se diventiamo insistenti, caparbi testimoni della violenza sofferta dai poveri nel nostro paese, anche noi potremmo diventare impopolari. Ad esempio, se dovessimo mostrare come la nostra prosperità sia talvolta il frutto della sofferenza delle persone in varie parti del globo, che muoiono prematuramente a causa dell'inquinamento, dello sfruttamento nelle fabbriche, oberati di lavoro e sottoalimentati. William Cavanaugh ha fatto notare quanto il suo Paese, l'America, fosse notevolmente coinvolto nella morte di Romero: «La pallottola che esplose nel petto di Oscar Romero era prodotta negli USA, così come il fucile da cui fu sparata. Entrambi furono pagati con i dollari delle nostre tasse; abbiamo pagato anche per trasportare due dei tre ufficiali responsabili per l'assassinio alla Scuola dell'esercito USA a Fort Benning, in Georgia. Quando guardo il film Romero, vorrei disperatamente che Romero e i poveri salvadoregni fossero "noi". Invece, la verità è che io sono "loro" tanto quanto sono "noi"».

Che cos'è la verità che i martiri testimoniano? La vita di Romero era radicata nella Parola di Dio, una parola di amicizia. Invita ad aprirci, per essere liberati dall'ossessione di sé. Ci chiama a crescere e a trovare la felicità in un amore che non conosce confini. Il cristianesimo non è una spiritualità inoffensiva... Non è accendere una candela... Non è un accessorio stile di vita o un po' di legame sociale. È la pazza follia di essere raggiunti da un amore che è infinito. Se no, non è niente.

...normalmente la nostra testimonianza non è né drammatica né sensazionale. Passa inosservata. Possono essere genitori che faticosamente nella notte lasciano il letto caldo per nutrire un bambino urlante, o che si prendono cura di una persona che ha dimenticato chi ha intorno, persa nella malattia di Alzheimer. Può essere un insegnante che rimane alzato fino a tardi per preparare le lezioni per il giorno dopo, o anche solo qualcuno che si preoccupa di sorridere a chi è spossato, sfinito. Può trattarsi di dire sinceramente ciò che si pensa, anche se questo potrebbe rovinare la carriera o far perdere il lavoro.

Pierre Claverie era un domenicano, era il vescovo di Orano, in Algeria. Fu martirizzato nel 1996, poco tempo dopo i monaci trappisti del film Uomini di Dio. Sapeva che sarebbero arrivati anche a lui. Ma poco tempo prima di morire, disse che ciò che veramente importava era quello che chiamava «martirio bianco»: «Il martirio bianco è ciò che uno cerca di vivere ogni giorno, il dono della propria vita goccia a goccia, in uno sguardo d'amore, nell'essere insieme a qualcuno, in un sorriso, nel prendersi cura di qualcuno, in un lavoro, in tutte quelle cose che fanno sì che un po' della nostra vita è condivisa, donata, offerta. Non ci si può aggrappare alla propria vita».

La vita è un dono che deve essere offerto. "Questo è il mio corpo offerto per voi". Così, forse, questa è l'ultima parola di Romero per noi. Non aggrappiamoci alle nostre vite. Se lo faremo ci inaridiremo. Non dobbiamo aver paura di offrirle mentre ancora possiamo farlo. Gesù ha detto: "Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure nemmeno uno di essi cadrà a terra senza il volere del Padre vostro. Perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati. Non abbiate dunque paura: voi valete più di molti passeri!" (Mt 10, 29-31).

mercoledì 27 novembre 2013

PILLOLE DI STORICA SAGGEZZA

La superbia è de' vizii il più frequentemente punito, e il più difficilmente sanabile.
Nicolò Tommaseo

Il vero castigo di chi compra le lodi è ch'egli finisce col credere alle lodi pagate.
Ugo Bernasconi

Non vi pentirete mai di aver aspettato, potreste pentirvi cento volte di aver fatto troppo presto.
Paolo Mantegazza

lunedì 25 novembre 2013

Bettazzi: «Il Concilio, un già e non ancora»

Per i suoi primi novant’anni, che compie martedì prossimo, non ha previsto niente di particola­re. «La festa l’abbiamo fatta, per i cin­quant’anni di episcopato, lo scorso 4 ottobre a Bologna e il 6 ottobre ad I­vrea ». Monsignor Luigi Bettazzi, ve­scovo emerito di Ivrea, storico presi­dente di Pax Christi (il suo impegno di «costruttore di pace» è al centro del re­cente volume di Alberto Vitali, Luigi Bettazzi, Paoline, 158 pagine, 15 euro), ha una vitalità invidiabile. «Dal set­tembre 2012, ho già tenuto 189 confe­renze sul Concilio. La centonovante­sima prossimamente in Lombardia». Ha viaggiato in Italia, ma anche in Al­bania, Georgia, Germania e Tanzania. «Se mi chiamano – spiega – è per sen­tire una parola d’incoraggiamento al­l’accoglienza del Concilio».


Don Luigi, in famiglia eravate sette fratelli, cosa impensabile oggi. Quan­to ha inciso in lei il fatto di vivere in una famiglia numerosa?«Eravamo in tanti, ma quella di avere tanti figli fu una delle grazie che mia madre chiese prima di sposarsi. Io? Forse ho imparato a essere sottomes­so ». Sottomesso lei? Sta scherzando… «No, ho sempre chiesto il permesso prima di fare qualche cosa. Anche per la famosa assemblea sul Vietnam, nel 1973. E quando con altri volevamo proporci come ostaggi alla Br in cam­bio di Aldo Moro, ci fu proibito, e non facemmo nulla».
Intanto a 40 anni era già vescovo. Dif­ficile che accada oggi, quando un qua­rantenne viene guardato come fosse ancora un “bambino”.
«Vescovo ausiliare a Bologna. Sotto­messo, sia pure con un uomo mite e timido come il cardinale Lercaro...».
E giovanissimo partecipò al Concilio.Siamo rimasti in molti pochi in Italia (gli altri sono i cardinali Angelini e Ca­nestri, i vescovi Leonardo e Nicolosi più l’allora abate di San Paolo Fuori le Mura, Franzoni) e 32 in tutto il mon­do, i dati sono aggiornati a fine mar­zo. Ne muoiono una ventina all’anno, di “reduci”…».
Che cosa è stato sicuramente realiz­zato, del Concilio, e che cosa invece resta da fare?«Il Concilio è un “già e non ancora”. Ad esempio, la Parola di Dio si legge di più, ma non è ancora fondamentale nella vita di tanti cristiani. La liturgia è più partecipata ma tutt’altro che compiuta. La collegialità è cresciuta ma non abbastanza, e i fedeli laici con­tano ancora pochissimo. Certo, è un segnale positivo il gruppo di otto car­dinali che papa Francesco ha voluto accanto a sé».
Lei è uno dei tanti mancini costretto a scrivere e a stare a tavola usando la destra. C’è qualcos’altro che fu “co­stretto” a fare di malavoglia?«Il vescovo! Quando Lercaro me lo chiese, obiettai che avevo scarsa e­sperienza pastorale, ero un insegnan­te, solo per poco tempo parroco. “Pos­so rifiutare?”, domandai. “Solo in due casi potresti – replicò Lercaro – se hai ammazzato qualcuno o hai dei figli”. E io: “Quanto tempo mi dà?”. Finii con l’accettare».
Nella Chiesa lei è stato protagonista di confronti molto franchi, a volte per­fino aspri. Ne ricorda uno tutto som­mato finito bene, tra fratelli, di idee diverse ma che si stimano?«Da presidente di Pax Christi assume­vo posizioni “insolite”. Sul Vietnam. O sull’obiezione di coscienza: era il 1971 e mi guardavano come un marziano. Adesso è data per scontata. Sulla Let­tera a Berlinguer , il patriarca Luciani scrisse cose severe. Ci “chiarimmo” quasi casualmente, incrociandoci al­la stazione di Terontola alla volta di As­sisi. Accettò di fare il viaggio con me in seconda classe, e mi chiese di “non tur­bare la fede della gente”».
Lei è uno dei firmatari della “Lettera dei 500 padri”, pochi giorni prima del­la chiusura del Concilio, in cui assu­mevate impegni molto rigorosi, tutti nel segno della povertà. Papa France­sco sta facendo molte cose simili…«Fa quello che faceva a Buenos Aires. Spero vivamente che il suo stile si diffonda. D’altronde l’ha detto: quel che deve fare lo farà in fretta, subito. E quando sentirà le forze venir meno, sono convinto che anche lui lascerà il posto a un altro».
Di che cosa la Chiesa cattolica do­vrebbe liberarsi?«Dovrebbe modificare la sua struttu­ra, e mi sembra che proprio questo ab­bia chiesto Francesco. Ad esempio, se il presidente della Cei non è scelto dai vescovi ma dal Papa, è solo al Papa che dovrà rispondere, e a quel punto il dia­logo e il confronto potrebbero anche diventare difficili. Non è colpa di nes­suno, sia chiaro. È lo statuto da modi­ficare. Poi c’è ancora troppo clericali­smo. E se lo scrive perfino Sviderco­schi nel suo recente Il ritorno dei cle­rici… Infine i movimenti: molto effi­caci, dovrebbero insieme sforzarsi di aprirsi».
E dove la Chiesa dovrebbe indirizza­re innanzitutto le proprie energie?«In questo momento, contro la corru­zione! Lo hanno ricordato anche il Pa­pa e Bagnasco. Peggio d’ogni peccato, essa rovina l’anima e il tessuto socia­le. Se non la estirpi, sarà impossibile costruire la solidarietà, che per me è il vero principio non negoziabile, sul quale si fondano la tutela della vita e la promozione della famiglia e del la­voro ».
Giochiamo con la fantasia. Quale pro­posta voterebbe con entusiasmo a un’assemblea della Cei?«Qualsiasi proposta contribuisse a da­re più spazio e rilievo alla collabora­zione dei laici, a ogni livello, compre­si i giovani. Non basta dir loro che co­sa devono fare, occorre saper cogliere le spinte di rinnovamento che sorgo­no dal popolo di Dio. Noi pastori ab­biamo l’ultima parola; ma sarà l’ulti­ma se ce ne saranno state altre prima».
C’è qualcosa che non rifarebbe?«Ho sempre rimpianto di non essere partito missionario. E poi avrei voluto potermi impegnare di più in parroc­chia ».
E qualcosa di cui invece va partico­larmente orgoglioso?«Fui così ingenuo da accettare la no­mina a presidente di Pax Christi. Pri­ma di me avevano rifiutato in cinque. Ma ciò che più mi ha riempito il cuo­re sono le parole degli alcuni che mi hanno detto: “La ringrazio perché se sono ancora nella Chiesa è per lei”».
Per che cosa le piacerebbe essere ri­cordato?«Per la fede nel Signore, l’amore alla Chiesa e la fiducia negli uomini di buo­na volontà».
​Umberto Folena su Avvenire.

martedì 19 novembre 2013

Vaticano, lettera ai vescovi tedeschi: “No comunione ai divorziati risposati”
Monsignor Gerhard Ludwig Müller, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, ha bocciato l’apertura della diocesi di Friburgo. Una mossa concordata con Bergoglio, che su un tema così delicato non vuole nessuna "fuga in avanti"
di Francesco Antonio Grana (il Fatto quotidiano, 12 novembre 2013)


Questa comunione non s’ha da dare, né domani, né mai. È questo in sintesi il pensiero del “custode della fede” di Santa Romana Chiesa, monsignor Gerhard Ludwig Müller, parafrasando i “Promessi sposi” di Alessandro Manzoni, uno dei pochi libri che Papa Francesco tiene gelosamente sulla sua scrivania nella suite 201 di Casa Santa Marta. Il prefetto della Congregazione per la dottrina della fede - e curatore dell’opera omnia di Joseph Ratzinger - ha bocciato senza appello l’apertura ai divorziati risposati espressa da un ufficio della diocesi di Friburgo. Müller che, secondo le indiscrezioni è al secondo posto dietro il Segretario di Stato Pietro Parolin nella lista dei cardinali che Papa Francesco creerà nel suo primo concistoro del 22 febbraio 2014, ha inviato una lettera durissima a tutti i vescovi della Germania. Una mossa concordata con Bergoglio che su un tema così delicato non vuole nessuna “fuga in avanti”, espressione adoperata dal portavoce vaticano padre Federico Lombardi, delle chiese particolari a dispetto del dibattito sinodale che coinvolgerà per due anni i rappresentati dell’episcopato mondiale.
Una discussione che, proprio per volontà del Papa, sarà preceduta dalla più ampia consultazione di fedeli mai avvenuta nella storia della Chiesa di Roma su temi così delicati come i matrimoni gay e “l’utero in affitto”. Nella sua lettera, Müller sottolinea che nel documento della diocesi di Friburgo viene utilizzata una “terminologia non chiara” e in alcuni punti esso si allontana dal magistero della Chiesa, in particolare quando affronta la possibilità che una coppia di divorziati risposati arrivi responsabilmente, attraverso una decisione di coscienza, ad accostarsi alla comunione. In questo caso, secondo gli autori del documento, il parroco e la comunità devono rispettare tale decisione. Müller, invece, ribadisce che i divorziati risposati devono essere invitati a partecipare alla vita della Chiesa, ma non possono essere assolutamente ammessi alla comunione. Il farlo, secondo il “custode della fede”, creerebbe uno smarrimento dei fedeli relativamente al magistero della Chiesa sulla indissolubilità delle nozze.
Un’altra critica riguarda la preghiera e la benedizione delle coppie di divorziati risposati. “Cerimonie di questo tipo - scrive Müller - sono state espressamente vietate da Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Pertanto, a causa delle citate divergenze il progetto di linee-guida deve essere ritirato e rielaborato in modo che non vengano avallate vie pastorali contrarie al magistero della Chiesa”.
La dura bocciatura del prefetto della Congregazione per la dottrina della fede ha suscitato subito la reazione del cardinale di Monaco e Frisinga, sede episcopale che fu di Ratzinger, Reinhard Marx, uno degli otto “saggi” scelti da Papa Francesco per aiutarlo nel governo della Chiesa ed elaborare la riforma della Curia romana. Il porporato ha bollato la lettera di Müller come “un’eruzione di dottrina” e un “recinto” posto attorno all’ospedale da campo della misericordia, immagine che aveva utilizzato Bergoglio per definire la Chiesa nella sua intervista alla Civiltà cattolica.
“Il prefetto della Congregazione per la dottrina della fede non può chiudere la discussione”, ha ribattuto duramente Marx. Da cardinale di Buenos Aires, Bergoglio precisava che “oggi nella dottrina cattolica si rammenta ai fedeli divorziati e sposati in seconde nozze che non sono scomunicati, sebbene vivano una condizione al margine di quanto esige l’indissolubilità matrimoniale e il sacramento stesso del matrimonio, e si chiede loro di integrarsi comunque nella vita parrocchiale. Le Chiese ortodosse - aggiungeva il futuro Papa - hanno un’apertura anche più grande in merito al divorzio”. Non a caso Francesco vuole invitare proprio i “fratelli ortodossi” ai due sinodi che si occuperanno della famiglia, nel 2014 e nel 2015, e che dovranno decidere se dare o no la comunione ai divorziati risposati.

OMAGGIO

È dai falliti e dagli sconfitti di una civiltà che se ne possono meglio giudicare le debolezze.
Doris Lessing
Vista dal basso
di Aldo Maria Valli | 15 novembre 2013
In un libro una mappa ragionata di esperienze ecclesiali di frontiera, gruppi di base non allineati. Sono davvero ancora etichettabili come «i cattolici del dissenso»?
«Vista dal basso, è tutta un'altra Chiesa». Lo sostengono Valerio Gigante e Luca Kocci, note firme dell'agenzia Adista, nel libro La Chiesa di tutti (Altra economia, 192 pagine, 14 euro), ed è difficile dar loro torto. Il libro è una mappa ragionata di esperienze ecclesiali di frontiera, gruppi di base, movimenti, comunità, preti e laici non allineati, un arcipelago composito e ricco, all'interno del quale il Vangelo è vissuto con passione, spesso con radicalità, attraverso scelte e testimonianze che fanno avvertire come lontanissimo il mondo della Chiesa gerarchica.
La Chiesa italiana è plurale e multiforme, e questo è il primo dato con il quale occorre confrontarsi. Un dato che però quasi sempre resta nascosto, perché la Chiesa istituzionale, diciamo ufficiale, tende ad attrarre su di sé i riflettori della comunicazione e ad emarginare tutte le esperienze segnate dall'autonomia dei percorsi.
Questa "Chiesa dal basso", nascosta ma viva e vegeta, è una Chiesa che sta decisamente dalla parte degli ultimi dei più poveri. È una Chiesa che vive con i malati, i disabili, i rifiutati, i discriminati di ogni tipo. Una Chiesa che gira scalza e non scende a compromessi con il potere.
Gigante e Kocci hanno quindi deciso di ribaltare la piramide con la quale di solito è raffigurata la Chiesa: anziché partire dai vertici, sovraesposti dal punto di vista mediatico e politico, sono partiti dalla base, ricostruendo radici, storie e volti di un mondo molto più vasto di quanto si possa immaginare, un mondo che, nel suo peregrinare, avverte tutto lo scarto creatosi nel tempo tra il Vangelo vissuto per le strade e dentro le case e il magistero ufficiale di una Chiesa istituzionale che invece è troppo spesso rinchiusa nei suoi palazzi o troppo contigua ai palazzi della politica.
Democrazia nella Chiesa, patrimoni e privilegi ecclesiastici, morale sessuale, rapporti Chiesa-finanza-politica: ecco i temi con i quali gli autori si misurano senza reticenze, soffermandosi in particolare su due questioni calde come i patrimoni della Chiesa e i cosiddetti "principi non negoziabili".
Segue la mappa dei cattolici che un tempo erano definiti "del dissenso", ma che oggi potremmo definire "della coerenza evangelica". Anonimi cattolici che si spendono per la pace, stanno dalla parte dei lavoratori e dei loro diritti, accolgono profughi, esuli ed emigrati, si dimostrano dialoganti e misericordiosi verso gli omosessuali. Cattolici conciliari, perché continuano a prendere sul serio lo spirito del Concilio Vaticano II e a credere che la creatività e la coerenza del piccolo gregge non sono barattabili con alcun tipo di privilegio e di garanzia, e che il cristiano è chiamato a essere sempre segno di contraddizione, mai segno di acquiescenza verso i poteri e di moderatismo politico.
I padri di questa Chiesa sono tanti: da don Mazzolari a don Milani, da don Zeno Saltini a padre David Maria Turoldo, da Gustavo Gutierrez a Leonardo Boff, da Ignacio Ellacuría a Jon Sobrino. Se ne potrebbero citare molti altri. Nomi che ci riportano a stagioni che possono sembrare tramontate e che invece continuano a vivere e ora, con il pontificato di Francesco, vedono forse finalmente la possibilità di un riscatto, dopo tante ingiustizie subite.
Perché quando il papa arrivato dal Sudamerica mette al primo posto il messaggio della misericordia rispetto all'obbligazione morale, quando raccomanda ai vescovi e ai preti di essere pastori accoglienti e non doganieri pastorali, quando raccomanda alla Chiesa di aprirsi e di non tenere Gesù prigioniero in sacrestia, quando sospira di desiderare una Chiesa povera e dei poveri, sembra proprio parlare lo stesso linguaggio della Chiesa di base.
Che cosa succederà ora? La domanda non è al centro del libro di Gigante e Kocci, ma quando don Paolo Farinella, nella prefazione, parla di Francesco come di un "meteorite extraterrestre", piombato a sconvolgere lo stagno, fa capire quali e quante siano le attese.
Intanto, a prescindere dalle analisi dei pontificati di Wojtyla e Ratzinger, che non si possono esaurire in poche battute, è certo che ora, con papa Bergoglio, quando diciamo Chiesa non pensiamo più, in prima istanza, a un'istituzione gerarchica, ma incomincia a venire spontaneo pensare al popolo di Dio, all'ekklesia così come era stata pensata alle origini e ripensata nel Concilio: comunità e assemblea, all'interno della quale (Francesco sul punto è stato molto chiaro) c'è uguaglianza, c'è rispetto per i carismi di tutti e c'è spazio per i laici credenti e per la donna.
Ce la farà papa Francesco? La domanda, ripetiamo, aleggia sull'intero libro. Ma il fatto stesso che oggi sia possibile porre il quesito autorizza la speranza e dà coraggio a tutte le espressioni in cui si articola la ricchezza della "Chiesa dal basso".

venerdì 15 novembre 2013

Il termine utopia è la maniera più comoda per liquidare quello che non si ha voglia, capacità, o coraggio di fare. Un sogno sembra un sogno fino a quando non si comincia da qualche parte, solo allora diventa un proposito, cioè qualcosa di infinitamente più grande.
Adriano Olivetti

Vi sono momenti in cui ci si trova nella necessità di scegliere fra il vivere la propria vita piena, intera, completa, o trascinare una falsa, vergognosa, degradante esistenza quale il mondo, nella sua grande ipocrisia.
Oscar Wilde

Sii servo del sapere se vuoi essere veramente libero.
Lucio Anneo Seneca
Chi si ostina a voler capire più di quel che c'è da capire capisce meno di tutti.
Nicolás Gómez Dávila

giovedì 14 novembre 2013

DONNE E CHIESA:intervista a Maria Voce,Presidente del Movimento dei Focolari

Alle donne nella Chiesa serve molto di più del titolo di cardinale (ipotesi peraltro già seccamente smentita dal portavoce della Sala Stampa della Santa Sede padre Federico Lombardi). L’emancipazione femminile che riprende gli spazi all’uomo non sarebbe una soluzione, anzi, consisterebbe in “un disastro per le donne”. E la strada giusta non è neanche quella delle “quote rosa”. Dove invece occorrerebbe una presenza femminile più determinante sarebbe nell'"assise in cui si prepara l'elezione del papa". Maria Voce, presidente del Movimento dei Focolari, in un’ampia intervista sul numero di Città Nuova – a cura di Paolo Lòriga - in uscita questa settimana, riflette e avanza proposte sulla presenza femminile all’interno della Chiesa.
L’avvicinarsi del primo concistoro di papa Francesco, fissato per il 24 febbraio, ha suscitato particolari attese, partendo dal presupposto che il primo Pontefice sudamericano e gesuita ha abituato a significative novità – e a volte sorprese - in vari ambiti. Sebbene queste attese siano diventate prive di fondamento dopo la smentita ufficiale comunicata dal Vaticano, sono prodighi di commenti, previsioni e interventi a sostegno della creazione di una donna cardinale anche quotidiani come l’inglese Sunday Times, lo spagnolo El Pais, lo statunitense Washington Post, che esprimono pure nomi.
La presidente dei Focolari, considerata una delle donne più influenti della Chiesa, ritiene invece che in realtà “c’è bisogno che tutta la compagine ecclesiale sia disposta ad accogliere l’autorevolezza di persone di sesso femminile anche laddove si prendono le decisioni più importanti della Chiesa”.
“La donna deve essere riconosciuta prima di tutto come donna, non come sacerdote o vescovo, perché non è quello che ci interessa”: la constatazione di Voce è che “la donna è scarsamente considerata nel suo contributo di pensiero”.
Partendo dallo stile del Papa, ritenuto dalla Voce frutto di “contatti profondi e autentici con le donne”, la figura che nel 2008 ha raccolto l’eredità di Chiara Lubich auspica che Francesco “si affidi a quelli, oggi, per tirare fuori il meglio dalle donne nella Chiesa”.
“E’ poco considerata nel suo contributo di pensiero – analizza Voce - anche perché ha avuto scarse possibilità di svilupparlo. Solo di recente è stata ammessa nei collegi pontifici, dove si studia la teologia. Certo, è vero che ci sono state donne sapienti e donne che hanno dato un contributo di pensiero, ma qualche volta più per ispirazione diretta dello Spirito Santo – come le grandi donne che sono state fatte dottori della Chiesa – che non per aver sviluppato il loro pensiero attraverso lo studio e il confronto con altri pensatori. La donna ha dovuto sempre ricoprire altri ruoli nella Chiesa e nell’umanità”.
Alla domanda su un’ipotetica iniziativa del Pontefice per dare vita a un comitato permanente, un “F8”, formato da donne con grandi responsabilità nella Chiesa, la presidente risponde: “Reputo che ci sia ancora da aspettare per vedere un corpus solo femminile a disposizione del magistero della Chiesa. Preferisco comunque che la donna stia insieme con gli uomini, non staccata a manifestare la propria differenza. Serve perciò entrare negli organismi di consultazione, di pensiero o di decisione, che piano piano si stanno sviluppando nella Chiesa e far ascoltare la sua voce femminile”. La Presidente focolarina non pensa dunque “a un F8 ma a un 8 di qualche tipo dove siano rappresentati uomini e donne, perché ognuno ha la sua peculiarità, ed è quella peculiarità che serve alla Chiesa. Un organismo del genere – dice - mi entusiasmerebbe”.
Ecco poi il tema Conclave e la relativa possibilità auspicata da molti in queste settimane di una presenza di superiori e superiore generali di ordini religiosi e di presidenti di aggregazioni ecclesiali internazionali alla scelta ed elezione del pontefice: “Vorrei distinguere il Conclave come assise in cui si prepara l’elezione del papa e il Conclave come momento di votazione per l’elezione del papa. Mi sembrerebbe particolarmente utile se nella prima fase ci fosse la presenza anche di persone che svolgono un ruolo nella Chiesa e possono apportare il contributo della loro esperienza, sicuramente diverso ma non meno importante di quello dei cardinali”.
Voce sottolinea che “da quello che riferisce papa Bergoglio, le riunioni precedenti l’elezione si sono rivelate determinanti per le sue attuali prese di posizione e per il suo modo di condurre la Chiesa verso determinati traguardi. Allora – argomenta - se quelle analisi fossero maturate in un contesto ecclesiale più vasto di quello limitato ai soli cardinali, sono sicura che sarebbero stati offerti all’attuale Papa contributi più preziosi. Poi, che queste persone siano ammesse a votare per l’elezione del papa, è al momento secondario”.
Ipotizzando un dialogo con Francesco su donna e Chiesa, Voce immagina quali priorità metterebbe in evidenza al Papa: “Proprio a lui che ci ha parlato della sua nonna e di sua mamma, chiederei se questa esperienza con le donne della sua famiglia non lo aiuti a ispirare anche un’apertura alle donne nel magistero della Chiesa”; alla Voce “piacerebbe se si rifacesse a quegli esempi domestici per mettere in luce che le donne possono avere un’influenza pure maggiore di quella di un direttore spirituale o di un professore. Inoltre, nel suo lungo servizio pastorale in Argentina avrà pure conosciuto tante donne, anche responsabili di ordini religiosi. Il suo tratto, infatti, il suo modo di relazionarsi e di comportarsi mi fanno ritenere che abbia avuto contatti profondi e autentici con le donne. Si affidi a quelli oggi – è il suo appello – per tirare fuori il meglio dalle donne nella Chiesa”.

Domenico Agasso jr
Torino

I DEVOTI NEMICI DEL PAPA

di Vito Mancuso, da Repubblica, 11 novembre 2013Fin dalla sua elezione papa Francesco sta producendo una serie di benefici per l’azione della Chiesa che non accennano a diminuire, come è dato riscontrare dall’aumento dei fedeli alle udienze e agli angelus domenicali.
"Il mondo è innamorato di papa Francesco - ha scritto il cardinale di New York - e se io avessi avuto un dollaro per ogni newyorkese, cattolico e non, che mi ha detto quanto ama l’attuale Santo Padre, avrei pagato il conto salato dei restauri della cattedrale di St. Patrick! Lungo i nostri 2000 anni di storia abbiamo avuto ben pochi papi così degni dell’alto officio".
Ci sarebbe quindi da essere molto felici di papa Francesco, ma per non pochi cattolici cosiddetti "doc" e per qualche "ateo devoto" in passato solerte difensore di Ratzinger, le cose non stanno affatto così: anzi hanno iniziato a dar vita ad un’esplicita contestazione, punta dell’iceberg di una campagna conservatrice che vede in Bergoglio il simbolo da colpire. Proprio ciò che per il mondo risulta affascinante, per tali cattolici è causa di scandalo, e giungono a descrivere il Papa come il più dozzinale dei populisti.
Il primato della coscienza personale, l’apertura alla cultura moderna, la scelta di non insistere su valori cosiddetti non negoziabili di vita-scuola-famiglia, il non volere ingerenze nella vita dei singoli (come quando disse "chi sono io per giudicare?" a proposito dei gay), l’istituzione di una consultazione popolare in tutto il mondo sui temi spinosi della morale familiare, la preferenza verso i poveri e il conseguente riaccredito della teologia della liberazione condannata da Wojtyla e Ratzinger, il parlare della Chiesa come di "un ospedale da campo", lo stile conciliare permanente auspicato dal cardinal Martini, l’attacco al clericalismo e alla cortigianeria della curia, la condanna di ogni forma di proselitismo, la simpatia verso i media fino a concedere un’intervista al fondatore di questo giornale, lo stile di vita austero che lo porta a rifiutare l’appartamento papale e la villa di Castelgandolfo e a camminare sulle sue scarpe nere portandosi da sé la borsa di lavoro, la preferenza per le piccole autovetture, il chinarsi a lavare i piedi a una donna e per di più musulmana… ecco alcuni elementi che affascinano molti contemporanei e che invece risultano fonte di disappunto per quei cattolici di solito impegnati nella fedeltà "senza se e senza ma" al papa e al papato. Ma non in questo caso.
Tra essi uno dei più moderati è Vittorio Messori che..sul Corriere criticava quanto definiva "un mito antico e sempre ricorrente", cioè il sogno suscitato in molti dall’azione di papa Francesco "di un ritorno alla Chiesa primitiva, tutta povertà, fraternità, semplicità, assenza di strutture gerarchiche, di leggi canoniche", un sogno che per Messori non è altro che un mito privo di fondamento biblico e storico. La posta in gioco nell’azione di papa Francesco però è, a mio avviso, molto più semplice di tale mito e consiste nel diritto di tutti i battezzati di avere una Chiesa semplicemente normale, di cui ci si possa fidare, una Chiesa dove i vescovi non abbiano residenze lussuosissime e costose auto blu, dove la banca vaticana sia per lo meno al livello etico di un’ordinaria banca italiana, dove il carrierismo e la sporcizia (termini utilizzati da Benedetto XVI) non siano così plateali da condizionare il governo papale, dove le nomine dei vescovi avvengano per effettive qualità umane e pastorali e non per servilismi che promuovono incolori yes-men, dove gli scandali di pedofilia non siano insabbiati e i colpevoli protetti, dove nella curia non volino corvi fino alla scrivania papale a testimonianza di velenose lotte intestine al cui confronto un qualsiasi condominio con tutte le sue beghe diviene un’immagine della concordia paradisiaca, una Chiesa dove gli ordini religiosi non siano guidati da personaggi colpevoli di pedofilia come nei Legionari di Cristo oppure di sequestro di persona e truffa come nei Camilliani, eccetera, eccetera.
Questa è la posta in gioco dell’azione papale: non il mito della Chiesa primitiva, ma la realtà della Chiesa attuale, perché possa tornare a essere una Chiesa normale, pulita, affidabile, degna della fiducia dei genitori di mandare all’oratorio i loro figli e di tutti i credenti di affidare le loro risorse per soccorrere i bisognosi. Ne viene che il Papa che oggi governa la Chiesa è, come dice il Vangelo, "un segno di contraddizione", nel senso che è destinato a manifestare la vera natura di chi si dice credente, se cioè è tale per amore della Chiesa oppure per amore del mondo.
Nel primo caso la religione è una delle tante ideologie tese alla conquista del potere, nel secondo è il segnale di un modo nuovo e rivoluzionario di stare al mondo e trasmette l’aria fresca del Vangelo.


mercoledì 13 novembre 2013

LA DONNA NELLA CHIESA SECONDO CARLO MARIA MARTINI

DOCUMENTO DI CARLO MARIA MARTINI CHE, INTERVENENDO AD UN CONVEGNO NEL 1981, ESPRESSE IN MODO STRAORDINARIAMENTE EFFICACE IL SENSO CHE DEVE AVERE IL TARDIVO RICONOSCIMENTO DELLA POSIZIONE DELLE DONNE NELLA CHIESA.

Perché, si chiede ad esempio la donna, identificare l'immagine di Dio con quella trasmessaci da una cultura maschilista? Quale l'annuncio kerigmatico per lei, non rinchiuso in una visione moralistica? Quali indicazioni per un cammino spirituale e di santità che la stimolino adeguatamente? Quali indicazioni per una rinnovata prassi pastorale, per un cammino vocazionale per il matrimonio, per la consacrazione religiosa, la famiglia, in considerazione della nuova coscienza di sé che la donna ha acquisito? Quali indicazioni per un linguaggio globale, anche liturgico, che non faccia sentire esclusa, nella sua elaborazione, la donna?
Perché così poche e inadeguate risposte alla valorizzazione del proprio corpo, dell'amore fisico, dei problemi della maternità responsabile?
Perché la pur grande presenza delle donne nella Chiesa non ha inciso nelle sue strutture? E nella prassi pastorale perché attribuire alla donna solo quei compiti che lo schema ideologico e culturale della società le attribuiva, e perché non esplicitare i suoi carismi "opera dello Spirito Santo"?
I ruoli ecclesiali affidati alle donne sono allora secondo i carismi di una Chiesa condotta dallo Spirito oppure ancora frutto di una mentalità maschile?
Le donne si chiedono tutto questo. Non sempre lo esprimono. Sentono ancora timore a infrangere una “iconografia” della donna cristiana, dentro la quale peraltro stentano a riconoscersi e non riescono più ad adattarsi.
La Chiesa deve porsi in ascolto. Deve lasciarle esprimere da protagoniste. Il loro modo di leggere, interpretare la vita ha una rilevanza che deve segnare un cammino pastorale che non può vedere le donne perennemente soggette o brave e fedeli esecutrici, quasi vergognose o timide di fronte alla forza che potrebbero esprimere in novità.
I ministeri, carismi, servizi, sono doni per la comunità ed esigono una profonda e attenta rilettura che apra nuove vie alla comprensione del ruolo delle donne nella Chiesa.
La filosofia e la teologia nelle loro varie branche, l'esegesi biblica, la pastorale hanno un compito urgente da svolgere con gli strumenti che a loro sono propri.
Le scienze umane aprono loro ampi spazi di documentazione e di fondazione. Ma anche la vita delle donne, anzi, dalla loro vita parte un richiamo fortissimo di novità. Le più mature non esprimono vane rivendicazioni di false parità: chiedono di costruire in pienezza e con coraggio, mettendo in discussione se stesse, la società e la Chiesa.

LETTERA A PAPA FRANCESCO SULLA POSIZIONE DELLE DONNE NELLA CHIESA,DI GIANCARLA CODRIGNANI

RENDO PUBBLICA LA LETTERA INVIATA A PAPA FRANCESCO: SONO STATA SOLLECITATA DALL' INTERESSE CHE DIMOSTRA PER RIFORMARE LA POSIZIONE DELLE DONNE NELLA CHIESA. ALCUNI INDIZI (divieto al sacerdozio femminile, intervento ai convegno dei ginecologi, scomunica di un prete americano favorevole all'ordinazione delle donne) E DALLA NOTIZIA, FORNITA DA "EL PAIS" E RIPRESA DA "FAMIGLIA CRISTIANA", CHE ANTICIPA L'IPOTESI DELL'INSERIMENTO DI UNA DONNA NEL COLLEGIO CARDINALIZIO. SE FOSSE VERO, PAPA FRANCESCO OTTERREBBE UN GRANDE SUCCESSO MEDIATICO, MA NON INCONTREREBBE IL FAVORE DELLE DONNE, CHE NON CHIEDONO UN POSTO NELLA GERARCHIA CHE LE OMOLOGHI AL MODELLO MASCHILE ANCHE NELLA CHIESA, MA IL RICONOSCIMENTO DELLA LORO SOGGETTIVITA' AUTONOMA.

Bologna, 9 ottobre 2013
Caro Papa Francesco,
come non provare sentimenti di amicizia e di fraternità nei suoi confronti e non solidarizzare con i segnali che viene lanciando attraverso l'infittirsi di relazioni con persone più o meno note della società italiana? Non intendo accrescere il numero dei corrispondenti che incomincia, forse, a farsi molesto; ma sono indotta a interpellarla dopo la notizia del suo intento di pronunciarsi sullo spazio da assegnare alle donne nella Chiesa. Presumo sia anche per lei un dato di realtà che non i disegni di Dio, bensì i ruoli gerarchicamente diversi che uomini e donne hanno storicamente assunto comportano differenze che non vanno sottovalutate, soprattutto se si ricercano nuovi equilibri.
Essendo anche lei un uomo come gli altri, sa bene che difficilmente agli uomini capita di dire parole adeguate quando parlano con noi, soprattutto se pensano di parlare "per" noi. Anche la Chiesa ci conosce solo attraverso una convenzione che non corrisponde alla nostra ermeneutica, di credenti e di non credenti: senza una donna non ci sarebbe stata nascita, senza un'altra donna non ci sarebbe stato annuncio (sarebbero mai arrivati al sepolcro vuoto gli apostoli senza Maria di Magdala?). Come "genere" siamo meno sensibili alle ambizioni di potere che sono incoerenti, almeno nella Chiesa, anche per un uomo. Tuttavia non siamo così stolte da non esser state sempre consapevoli che, anche se in dottrina non si ritrovano giustificazioni alla discriminazione, la Chiesa è rimasta maschile fin da quando la tradizione dei primi secoli ha trasmesso gli scritti dei "padri" della Chiesa e non delle madri, menzionate solo in quanto viri dimidiati. Carlo Maria Martini fin dal 1981 ha posto l'urgenza di un nuovo riconoscimento della presenza femminile nella Chiesa, ma non ne sono seguite innovazioni. Anzi l'attribuzione al nostro genere di uno speciale "genio femminile" è rimasto nel tradizionalismo e non sono sembrate amicali le misure adottate dal suo predecessore per accertare l'ortodossia della Federazione delle suore americane (LCWR). Per questo sono certa della sua informazione previa sull'ormai imponente letteratura specifica di teologhe e filosofe e dell' opinione femminil-femminista (uso l'aggettivo, anche se riprovato da rappresentanti della gerarchia poco attenti alle dinamiche sociali) del popolo di DIo e anche della condivisione delle idee con donne religiose e laiche cattoliche (ma non solo). Tuttavia oso esprimerle la mia preoccupazione: in tempi in cui la Chiesa soffre abbandoni "di genere", le donne si aspettano di ottenere non rappresentanza, ma riconoscimento di soggettività. Non le deluda.
Perdoni la confidenza nella sua disponibilità. La ricordo con sentimenti di fiducia e affetto
G.C.
Per sapere se un pensiero è nuovo non c'è che un mezzo: esprimerlo con la massima semplicità.
Luc de Clapiers de Vauvenargues
La misura dell'amore è amare senza misura.
Sant'Agostino
Pensa a tutta la bellezza ancora intorno a te e sii felice.
Anna Frank

sabato 9 novembre 2013

Chi ha la testa riflette, chi non ce l'ha chiacchiera.

Oreste Del Buono

venerdì 8 novembre 2013

COMUNIONE AI DIVORZIATI RISPOSATI?
di Antonella Mariani
Accoglienza ai divorziati risposati, nella chiarezza. Se si potesse ridurre a uno slogan l'articolato intervento di monsignor Gerard Ludwig Mueller, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, pubblicato dall'Osservatore Romano, sarebbe proprio questo.
La domanda esplicita da cui parte l'articolo dal titolo "Indissolubilità del matrimonio e dibattito sui divorziati risposati e i sacramenti", è quella che ha fatto e fa discutere maggiormente: "Non può la Chiesa consentire, a determinate condizioni, l'accesso ai sacramenti per i fedeli divorziati risposati? Rispetto a tale questione la Chiesa ha le mani legate per sempre?". L'obiettivo sembra essere proprio quello di attenuare il rumore sollevato nelle ultime settimane intorno alla questione delle coppie ricostituite, richiamando i testi fondamentali del magistero, a partire dai Vangeli di Marco, Matteo e Luca (dai quali si comprende che il patto tra un uomo e una donna è posto da Dio stesso), fino, in epoca recente, alle esortazioni apostoliche Familiaris Consortio e "Sacramentum Caritatis", rispettivamente del 1981 (Giovanni Paolo II) e del 2007 (Benedetto XVI), arrivando a citare il discorso di Papa Ratzinger a Milano all'Incontro mondiale delle famiglie nel 2012 e il messaggio finale del Sinodo dei vescovi sulla Nuova evangelizzazione dell'ottobre 2012.
In questi e altri documenti, osserva monsignor Mueller, si ribadisce un pensiero che è in sostanza costante nel tempo: ai fedeli divorziati risposati si debbono rivolgere ancora più gli sforzi pastorali, ma per l'intima natura dei sacramenti l'ammissione a essi non è possibile. "Il matrimonio dei battezzati ha un carattere sacramentale e rappresenta, quindi, una realtà soprannaturale", in contrasto con la mentalità corrente, che ha contagiato molti credenti, che giudica il matrimonio "esclusivamente secondo criteri mondani e pragmatici".
Nelle situazioni in cui la convivenza matrimoniale risulta impossibile per gravi motivi, come la violenza fisica o psichica, i coniugi possono vivere separati, ma il vincolo coniugale "rimane stabile davanti a Dio" e le due parti "non sono libere di contrarre nuovo matrimonio finché l'altro coniuge è in vita".
Quanto alla comunione eucaristica, monsignor Mueller vuole fugare i dubbi aperti con il documento apparso il 7 ottobre sul sito della diocesi di Friburgo, a cura dell'Ufficio della pastorale familiare, in cui si presentavano dei percorsi di accompagnamento spirituale per i separati, i divorziati e i divorziati risposati che prevedevano, alla fine, una sorta di "riconciliazione"
con la Chiesa fino ad arrivare all'eucaristia. Il documento fu poi descritto dal portavoce vaticano come "fuga in avanti" senza il carattere di ufficialità.
"Sempre più spesso - scrive Mueller a tal proposito - viene suggerito che la decisione di accostarsi alla comunione eucaristica dovrebbe essere lasciata alla coscienza personale dei divorziati risposati. Questo argomento, che si basa su un concetto problematico di 'coscienza', è già stato respinto nelle lettera della Congregazione del 1994". Se i divorziati risposati infatti pensano che in coscienza che il precedente matrimoni non era valido, "ciò deve essere oggettivamente dimostrato dalla competente autorità giudiziaria in materia matrimoniale".
Nemmeno l'argomento della misericordia è decisivo, perché al "mistero di Dio, oltre alla misericordia, appartengono anche la santità e la giustizia"; occorre inoltre prendere sul serio "la realtà del peccato".
L'articolo si conclude con il richiamo alla cura pastorale : "Il percorso indicato dalla Chiesa per le persone direttamente interessate non è semplice, ma queste devono sapere e sentire che la Chiesa accompagna il loro cammino come una comunità di guarigione e di salvezza". La cura pastorale però non si riduce alla questione dell'Eucaristia: "Ci sono altri modi di entrare in comunione con Dio": nella fede, nella speranza e nella carità.

giovedì 7 novembre 2013

Se la libertà significa qualcosa, allora significa il diritto di dire alla gente cose che non vogliono sentire.
George Orwell

GLI AMERICANI ANCHE IN VATICANO!

Gli americani vigilano sui soldi d'Oltretevere. Il Promontory financial group, della cui filiale italiana fu presidente l'ex ministro Tommaso Padoa Schioppa, ha ricevuto l'incarico per la due diligence sull'attività economica e finanziaria delle due sezioni dell'Amministrazione del patrimonio della sede apostolica (Apsa), un nuovo e delicato compito che si aggiunge a quello ricevuto a luglio per l'esame sullo Ior.
Gli esperti Usa sono guidati da Raffaele Cosimo, ex top manager di Bnl, ed Elizabeth McCaul, partner-in-charge del New York office e amministratore delegato di Promontory europe, con alle spalle una lunga esperienza nel settore bancario statunitense, tra cui spicca un decennio in Goldman Sachs.
Le prime mosse dei consulenti riguardano la piena collaborazione con gli inquirenti romani e la trasparenza sui bilanci, puntando alla distensione nei rapporti tra l'Istituto e la magistratura e a prendere le distanze con la gestione passata. Le polemiche sui compensi si sono placate, meno quelle sulla lesa sovranità vaticana: non si può gestire lo Stato papale come un'azienda, dicono Oltretevere, e bisogna considerare ruoli e posizioni. Come quella dei potenti Cavalieri di Colombo, guidati da Carl Anderson, membro del board dello Ior e indicato come uno dei registi del brusco allontanamento di Ettore Gotti Tedeschi.
Incontrando l'influente associazione l'11 ottobre, il pontefice ha usato toni accorati: "Vi affido in modo speciale all'intercessione di san Giuseppe, custode della santa famiglia di Nazareth, ammirevole modello di quelle virtù virili di stabile fortezza, integrità e fedeltà, che i Cavalieri di Colombo si impegnano a preservare, coltivare e trasmettere alle future generazioni di uomini cattolici". A quanto pare le "virtù virili" di Anderson e soci accompagnano anche Promontory financial group e gli americani stanno riuscendo ad allontanare dai sacri palazzi l'ombra di del connazionale Paul Marcinkus.
Dal Blog "CADO IN PIEDI".

PERCHE' NON OSARE DI PIU'?

La Chiesa italiana ha cominciato la marcia di avvicinamento verso il Convegno
ecclesiale ... l'appuntamento che dal 9 al 13 novembre 2015 vedrà la Chiesa italiana riunita per il suo Convegno che - nel decennio dell'educare - verterà sul tema "In Gesù Cristo il nuovo umanesimo". Meno enunciazioni di principio o partite al Risiko-ecclesiale ("Come schierare al meglio le nostre forze? Su quali ambiti andare in avanscoperta?"...). E più storie, più volti, più celebrazione di quella quotidianità dell'umano di cui grondano i Vangeli.
Non che non si veda la voglia di tutto questo nel testo diffuso l'altro giorno, che chiede a diocesi, organismi ecclesiali, associazioni e movimenti di preparare un loro contributo per il Convegno di Firenze. Mi sembra - ad esempio - che emerga abbastanza chiaramente la voglia di andare un po' oltre una certa ritualità di questo tipo di eventi. Come pure mi pare interessante che la prima cosa richiesta a chi invierà il proprio contributo sia quella di indicare un'esperienza positiva vissuta nel proprio contesto: siamo tutti stanchi di un pessimismo ecclesiale che porta solo a chiuderci su noi stessi.
Eppure - proprio per questo motivo - io mi chiedo se non varrebbe la pena di osare un po' di più. Intanto sul linguaggio: non c'è niente di più lontano dall'umanesimo dell'ecclesialese. Proporrei agli uffici Cei di adottare un metodo drastico: almeno per tutto ciò che avrà a che fare con l'appuntamento di Firenze ciascuno scelga come consulenti un paio di ragazzi tra quelli che sono andati alla Gmg di Rio - quelli che abbiamo detto che rappresentano la speranza e il futuro della nostra Chiesa. Chiediamo loro un piccolo servizio: facciamogli leggere in anteprima i documenti prima di diffonderli. Se non arrivano in fondo, però, poi li riscriviamo insieme a loro. Perché o cominciamo sul serio a fare così, oppure a chi è che rivolgiamo i nostri inviti?
Osiamo di più sulle forme. Proviamo ad esempio a ragionare su un Convegno che vada al di là del pensatoio, dello schema relazioni-lavori di gruppo-sintesi. Immaginiamo un percorso in cui si vive anche qualche esperienza forte insieme e in questo modo si celebra l'umano. Inoltre in vista di Firenze vedo che non si è voluto dare uno strumento di lavoro pre-confezionato ma invitare piuttosto a un percorso di partecipazione in cui ciascuno da qui a maggio 2014 porta liberamente il suo contributo sul tema dei percorsi per far incontrare Cristo. Questo è molto bello. Però, allora, se mettiamo in circolo tutta questa ricchezza bisogna mettere in conto anche che il Convegno ecclesiale non può esaurirsi nei cinque giorni in cui i delegati sono tutti fisicamente a Firenze. Perché non immaginare fin da subito uno sbocco che non sia solo l'ennesimo documento? Perché non prevedere una serie di percorsi da costruire a partire dalle esperienze positive messe in comune, che rendano in qualche modo permanente l'idea che si cammina insieme sostenendosi a vicenda? Alla fine non è stato questo ciò di cui più si è sentita la mancanza dopo il Convegno di Verona?
Sono idee forse un po' impertinenti... Ma nascono dalla convinzione che il Convegno di Firenze sia una grande opportunità per la Chiesa italiana. Provochiamoci a vicenda per farlo diventare realmente qualcosa che tutti nelle nostre comunità possano ricordare.
GIORGIO BERNARDELLI su "VINO NUOVO".

martedì 5 novembre 2013

INTERVISTATI E FILMATI DALLE TV INGLESE E AMERICANA

di Ernesto Miragoli.

Sono particolari momenti di Grazia quelli che sta vivendo la chiesa cattolica: papa Francesco sembra sconvolgere schemi e sistemi vaticani che provocano allergia a molti credenti e stimolare tutti verso la ricerca di una chiesa cattolica più povera, più umile, più attenta alle grandi attese di un popolo di Dio che avvertiva da troppo tempo una forte dicotomia fra gli uomini del sacro e del potere (che allungavano sempre più non solo le loro filatterie, ma anche le loro mani su tesori materiali, donne e bambini) e i credenti nel Dio di un Cristo che "è in mezzo agli uomini come colui che serve".
Dal marzo scorso l'attenzione dei media si è fatta più viva verso questa "nuova" chiesa cattolica, alimentando speranze che sembravano sopite ed attese spesso conculcate.
In questo contesto, oltreoceano, nell'America degli States dove una chiesa cattolica ha sofferto (e soffre) più che altrove esperienze umilianti (non si dimentichi che parecchie diocesi hanno dovuto dare fondo alle proprie sostanze per risarcire enormi cifre alle vittime della pedofilia clericale) è nata l'idea di realizzare un film documentario su possibili prospettive che la chiesa cattolica può cominciare a vivere da quando alla sua guida è papa Francesco.
Il film documentario ha il carattere del reportage ed è nato dalla joint venture fra la BBC americana e la CBS inglese.
Gli autori hanno pensato di raccogliere testimonianze su temi scottanti che coinvolgono la chiesa cattolica quali la pedofilia, il sacerdozio obbligatoriamente celibatario del clero cattolico, le difficoltà di dialogo con non credenti e realizzare così un filmato che è previsto della durata di due ore negli U.S.A e di un'ora nel Regno Unito. Non si parla, per ora, della diffusione del film documentario in lingua italiana e, quindi, anche in Italia.
Ma dell'Italia si parla, eccome.
I corrispondenti italiani dei network americani ed inglesi, Sabina Castelfranco e Giulia Paravicini, hanno contattato preti sposati italiani che da anni cercano di sensibilizzare i Pastori sul tema del sacerdozio uxorato e, dopo vari incontri con il regista, si sono realizzate le riprese a Milano e Roma.
...il film documentario (di cui è prevista l'uscita sugli schermi americani ed inglesi nei primi mesi del prossimo anno) sembra profondamente sentito dagli autori i quali non intendono realizzare un prodotto pruriginoso (si sa: il sesso fa sempre notizia, soprattutto se a praticarlo sono i tabuisti per eccellenza del sesso stesso) e colpevolmente denunciatario, ma documentare disagi e sofferenze che il popolo di Dio vive per colpa della pedofilia clericale (troppo spesso colpevolmente sopita dalla gerarchie ecclesiastiche) e dell'obbligatorietà della legge sul celibato che costringe ipocriti rapporti clandestini fra preti e donne, è spesso argomento di cronache scandalistiche, sottrae al ministero della Parola e del Pane di Vita risorse che sono inibite all'esercizio del ministero sacerdotale attivo solo perché hanno una colpa, quella di amare.

CHISSA' SE NEI CORRIDOI DELLE SEDI DEL PD QUALCUNO CONOSCE QUESTA FRASE...SAREBBE DA INCORNICIARE E DA APPORRE NELLE SEGRETERIE ORGANIZZATIVE DEI CANDIDATI ALLE PRIMARIE....

"Ci si salva e si va avanti se si agisce insieme e non solo uno per uno."
Enrico Berlinguer

QUALE FAMIGLIA?...VERIFICHE PRE-SINODALI.

DA "L'ECO DI BERGAAMO".
Il Vaticano ha inviato ai vescovi di tutto il mondo 38 domande che serviranno come preparazione per il Sinodo straordinario sulla Famiglia che avrà luogo nell'ottobre 2014. I vescovi hanno a disposizione fino alla fine di gennaio per rispondere al questionario, come ha chiesto il segretario del Sinodo, monsignor Lorenzo Baldisseri. Con tutte le risposte verrà elaborato un documento preparatorio sulla situazione nella società e nella Chiesa, con cui il Sinodo lavorerà per dare le risposte finali.
Il direttore della Sala Stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi, ha spiegato che si tratta solo di un documento inviato alle Conferenze Episcopali di tutto il mondo. È un testo di carattere consultivo e non è nulla di insolito né di innovativo, fa parte della prassi abituale del Sinodo dei vescovi.
Il questionario appare in appendice al documento preparatorio del Sinodo sulla Famiglia convocato per il prossimo ottobre da Papa Francesco. Le 38 domande riguardano i temi più problematici della pastorale familiare, nel quale si chiede ai fedeli di esprimersi su temi come la contraccezione, le coppie di fatto, etero e gay, e la comunione ai divorziati risposati.
L'intento della Segreteria del Sinodo è quello di raccogliere proposte e non solo di fotografare la realtà nella quale la Chiesa è chiamata oggi a proporre il Vangelo di Cristo.
"Le seguenti domande - spiega una nota - permettono alle Chiese particolari di partecipare attivamente alla prearazione del Sinodo Straordinario, che ha lo scopo di annunciare il Vangelo nelle sfide pastorali di oggi circa la famiglia".
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DA "AVVENIRE".
Non era mai capitato nella storia della Chiesa che si avvertisse l’esigenza di indire due Sinodi a un anno di distanza l’uno dall’altro sullo stesso argomento. In realtà la doppia convocazione decisa da papa Francesco per il biennio 2014-2015 sul tema della famiglia rientra nello stesso grandioso progetto. Verificare innanzi tutto lo "stato di salute" della famiglia nel mondo, indagare le conseguenze determinate su genitori e figli da una certa cultura del relativismo e del disimpegno, dare voce al malessere espresso da tante famiglie cristiane che vorrebbero trovare nuove strade per testimoniare la fedeltà alla propria vocazione.
Questa amplissima ricognizione sfocerà nel Sinodo straordinario dell’ottobre 2014 che permetterà ai vescovi di ragionare sulla base di un quadro certo di dati e di situazioni. La seconda tappa sarà poi il Sinodo ordinario del 2015, in cui si cercheranno le linee operative per la pastorale. Si darà insomma concretezza di proposte e di decisioni con l’obiettivo di rispondere al male oscuro che minaccia le radici della cellula fondamentale della società e della Chiesa. Prevedere oggi se e come cambierà la teologia del matrimonio e della famiglia, sarebbe fare torto alle capacità di analisi e di riflessione dei pastori e degli esperti che saranno impegnati nel biennio 2014-2015. Per la raccolta delle informazioni sulle condizioni delle famiglie è già stato inviato ai vescovi di tutto il mondo un documento, comprendente anche questionario con 38 domande che dovrà essere compilato entro i primi mesi del prossimo anno.
Per fornire risposte esaurienti e dettagliate, i vescovi sono stati invitati anche a consultare associazioni, movimenti, gruppi che lavorano per e con la famiglia. In ogni comunità, già dalle prossime settimane, sarà quindi avviata una sorta di verifica allargata sulla base della traccia fornita dal documento preparatorio. Il testo si apre con un’analisi dei problemi più urgenti del panorama familiare. Elenca le situazioni di disagio, auspica il rinnovo della pastorale, richiama le famiglie che ricoprono incarichi ecclesiali ad ogni livello a farsi carico delle situazioni più difficili. Non si rinuncia ad elencare tutta una serie di snodi problematici – convivenze tra persone che escludono l’idea stessa del matrimonio, matrimoni misti, madri surrogate, unioni tra persone dello stesso sesso, nuclei monoparentali – ma il tono non è di condanna aprioristica né di esclusione.
L’attenzione verso le famiglie ferite in uno spirito di misericordia e di apertura, secondo le indicazioni più volte espresse in questi mesi da papa Francesco, appare il filo conduttore della riflessione. D’altra parte il vangelo del matrimonio e della famiglia non si fonda su una dottrina artificiosa ma ha radici bibliche ben solide, se è vero che una delle più luminose chiavi di lettura della storia della salvezza individua proprio nel filone nuziale – Cristo sposo della Chiesa sposa – uno percorso privilegiato. Non a caso la seconda parte del documento inviato ai vescovi si apre ripercorrendo i fondamenti biblici del magistero coniugale e familiare. Al termine ecco le domande. Innanzi tutto si chiedono informazioni sulla diffusione e sull’incidenza della pastorale familiare. Ambito che permetterà di mettere in luce gli aspetti positivi dell’esistente.
Molti interrogativi riguardano le situazioni matrimoniali difficili. Si punta innanzi tutto a valutare il grado di consapevolezza delle persone che hanno fatto scelte disarmoniche rispetto alle indicazioni della Chiesa ma, allo stesso tempo si cerca di capire se e come il digiuno eucaristico imposto ai divorziati risposati rappresenti motivo di sofferenza e di disagio. Non mancano neppure domande sulla nullità matrimoniale e sulla possibilità di snellire le procedure canoniche. Importanti infine le domande che puntano a comporre un quadro più dettagliato sugli aspetti della sessualità e della vita di relazione.
Luciano Moia

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