sabato 28 marzo 2015

PREGO DI ESSERE CONSAPEVOLE DELLA MIA PICCOLEZZA


A volte ci amiamo troppo. Non vogliamo perderci né perdere ciò che amiamo. Amiamo la nostra vita e non vogliamo donarla. Ci dedichiamo a guardare da lontano. Come tanti che hanno visto Gesù agire ma non si sono avvicinati.

Impegnarci ci fa paura. Perdere una libertà che poi doniamo a chiunque passi al nostro fianco. Temiamo che ci chiedano troppo e ci spaventa vivere da soli senza toccare Dio.

Una persona pregava: “Voglio seguirti non essendo nulla, Signore. Mostramelo sempre, anche se mi fa male che mi dimentichino, o che non tengano conto di me, come spesso desidero. Ti chiedo quel dolore per prendere coscienza della mia piccolezza, una piccolezza così reale che solo Tu conosci. Solo allora saprò che sono pronta ad amarti e a seguire i tuoi passi”.

Oggi vogliamo seguire Gesù. Oggi vogliamo amarlo nel profondo del nostro cuore. Vogliamo staccarci da ciò che ci lega. Da ciò che ci impedisce di abbandonare tutto quello che possediamo.

Non vogliamo essere come il giovane ricco che aveva paura di perdere tutto e non l'ha seguito.

Vogliamo essere come San Giuseppe, che è stato sempre pronto a servire, a seguire il progetto di Dio senza paura, con tutta la sua vita. Vogliamo toccare il suo amore per poter seguire i suoi passi, per poter stare con Lui e trovare il senso della nostra vita.

Seguire Gesù non consiste nel fare molte cose, ma nello stare con Lui, sotterrando il seme ogni giorno. Amando, essendo amati.
Padre Carlos Padilla

giovedì 26 marzo 2015

UN'ESPERIENZA RARA

di CINZIA GUBBINI
ROMA - Alla Locanda dei Girasoli, un ristorante che si trova nel quartiere Quadraro a Roma, non solo si mangia pizza e cucina romana ma si vive un'esperienza piuttosto rara: a servire ai tavoli sono 11 ragazzi con disabilità cromosomiche. Alcuni sono persone down, altri sono affetti dalla sindrome di Williams, altri dalla sindrome X fragile.

Anche l'aiuto chef  -  Emanuele Raffaelli, che è stato anche uno dei protagonisti del programma "Hotel 6 Stelle" di Rai 3 - è una persona down. Ed è un cuoco provetto: ha studiato alla scuola alberghiera e ora sta continuando la sua formazione all'Accademia dell'Alta Cucina. La Locanda ha aperto nel 1999 grazie alla volontà di alcune famiglie, che volevano assicurare un futuro lavorativo ai figli. Il peso della crisi finanziaria nel 2012, però, ha rischiato di abbassare la serranda.

Nel 2013 il Consorzio Sintesi ha incorporato la cooperativa originaria, e con un investimento di 400 mila euro ha scongiurato il peggio. Oggi il ristorante, tra alti e bassi, riesce a stare sul mercato nonostante sia collocato in una zona poco centrale e non abbia alcun finanziamento pubblico. Il rifiuto di finanziamenti pubblici, tra l'altro, è uno dei cardini del progetto: "Ci manteniamo da soli e ne siamo orgogliosi. Anche questo è un esempio formativo per i nostri ragazzi", dice il Presidente del Consorzio, Enzo Rimicci. Che però aggiunge: "La Locanda è un gioiellino che ha bisogno di una attenzione continua per vivere: non dimenticatevi di noi e venite a trovarci".

martedì 24 marzo 2015

DALL'OMELIA DI MONS.NOSIGLIA AL FUNERALE DELLE VITTIME DI TUNISI.
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"La strage degli innocenti che si è rinnovata in questi giorni scuota la coscienza di ogni  uomo di buona volontà e ci renda tutti più consapevoli che chi si serve della violenza e sceglie la via del sangue aggredendo cittadini inermi non avrà mai la vittoria, se non nella propaganda strumentale sulla rete e sulle vie mediatiche, perché l’Amore e la volontà di pace e di rispetto di ogni persona, alla lunga, vinceranno, avendo dalla propria parte la potenza di  Dio.
È una speranza che va sostenuta da un concreto e condiviso impegno che rinnovi profondamente il nostro sistema di mentalità e stile di vita che abbiamo promosso in questi decenni. Perché questo cambiamento è oggi la più grande sfida della nostra società occidentale, indebolita dal consumismo dell’avere sempre di più, che ha illuso che la felicità dipendesse dal possesso di beni, di soldi e di potere, una società dove cresce la solitudine e la noia di una vita senza regole etiche condivise, una società sazia e stanca che sta perdendo la sua anima culturale e spirituale."

L'ISLAM DELLE DONNE AFGHANE

Con coraggio e determinazione sono scesi in piazza a Kabul e a Herat chiedendo giustizia per Farkhunda, la ragazza di 27 anni linciata e poi bruciata vicino a una moschea da una folla inferocita che la accusava ingiustamente di avere oltraggiato copie del Corano. Hanno chiesto al Governo di punire severamente gli autori del delitto e hanno mostrato cartelli con la foto della donna con il volto coperto di sangue poco prima di essere uccisa.


La morte della giovane, per decine di attiviste dei diritti umani, non è stata vana: «Portiamo noi la bara di Farkhunda. Era una figlia dell’Afghanistan», hanno scandito ieri a gran voce le donne che in tredici hanno portato sulle spalle il feretro fino al luogo dell’inumazione sfidando il rigido cerimoniale funebre che prevede che siano solo gli uomini a farlo.

lunedì 23 marzo 2015

DIO È DENTRO DI TE

Questa sera mi sono seduto a riflettere e ho pensato a questo. Mi sono detto: “Come posso riconoscere un vero cristiano?”. La risposta è semplice: “Dall'amore”. Dio, che è amore, ci chiede di amare, tutti.

Allora ho cercato dei segni, segnali che aiutino a comprendere e a riconoscere la presenza del Padre. E ho iniziato a scrivere:

1. Un segno chiaro della presenza di Dio: l'allegria.

2. Un segno chiaro della fede che professi: il tuo abbandono.

3. Un segno chiaro della tua fiducia in Dio: la pace interiore.

4. Un segno chiaro del fatto che lo ami: le tue opere buone.

5. Un segno chiaro che sei discepolo dell'amore: la tua croce.

6. Un segno chiaro della santità: l'umiltà.

7. Un segno chiaro della tenerezza di Dio: la sua grazia.

8. Un segno chiaro dell'amore di Dio: Gesù.
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Claudio De Castro

CRESCE E PREOCCUPA IL BULLISMO 2.0

Finirà in tribunale l’episodio di violenza scolastica che ha scosso Vercelli qualche giorno fa: quattro studentesse di Varallo umiliavano con sputi e insulti una compagna disabile davanti ai telefonini dei compagni. «Troppo severa» la bocciatura decisa per due delle responsabili: «Il compito della scuola non è punire, ma rieducare» sostiene una mamma, che ora minaccia denunce e ricorsi per “salvare” la figlia (pentita). 

Genitori, insegnanti, ragazzi: è lì, nel mezzo del più grande dei deserti comunicativi, che prolifera il virus del bullismo, vittime: un adolescente su tre. Chiamarlo così agli educatori non piace: nei centri di ascolto e nelle comunità di recupero – dove approdano gli autori di gesti insensati e crudeli verso i coetanei per brevi percorsi di “riabilitazione” – l’identikit del bullo non esiste. «Ci sono i ragazzi di oggi: confusi, disorientati, abitanti di un Pianeta che non è la realtà», spiegano dal Sermig di Torino, che ogni anno ospita decine di questi casi. «E, sempre più spesso, ci sono le ragazze: aride, insensibili, violente anche fisicamente, proprio come i loro compagni. Senza alcun senso di maternità e di pudore». 

Cosa succede? «Si raccoglie quello che si semina, si raccoglie il vuoto e si semina il disastro, si semina il vento e si raccoglie la tempesta, la tempesta di un vuoto interiore »: il cardinale di Genova e presidente della Cei, Angelo Bagnasco, è andato dritto al nocciolo della questione commentando gli episodi, aggiungendo che la documentazione eccessiva e pruriginosa di questi fatti «non fa bene a nessuno». E qui forse si apre la vera piaga del bullismo 2.0: la violenza “social”, che nasce per essere messa in Rete, fatta vedere, diffusa. O che in Rete si sviluppa, con quel cyberbullismo che la Polizia Postale non esita a definire una vera e propria «emergenza sociale». Vittime, stavolta, 2 adolescenti su 3. «Il problema è la percezione assolutamente distorta che i ragazzi hanno delle nuove tecnologie e del web», spiegano dall’ambulatorio dedicato alle vittime del fenomeno, inaugurato un anno fa al Policlinico Gemelli. In primo luogo manca la consapevolezza della dimensione pubblica di Internet: «Si usano WhatsApp o Facebook alla stregua di diari privati, dimenticando completamente che ciò che circola online (su di sé e sugli altri) è destinato potenzialmente a milioni di persone». Secondo, nel mondo virtuale tutto è filtrato, privato di emozioni e colori: risultato, spesso i bulli non hanno la consapevolezza degli effetti che nella realtà ciò che circola o viene detto e mostrato in Rete può avere. 


Già, gli effetti. Che poi sono il nodo reale della questione, il costo sociale che tutti – non solo la scuola – paga e pagherà per il bullismo, in tutte le sue forme. Gli Uffici provinciali e regionali dell’istruzione sono mobilitati, il ministero dell’Interno ha attivato un numero gratuito per le denunce, i progetti di prevenzione nelle scuole si moltiplicano: resta la sensazione che senza una presa in carico comune e coordinata della questione educativa gli episodi di Sestri e Vercelli non faranno che ripetersi, sempre più sconvolgenti. 
Da "Avvenire" del 22 Marzo 2015.

sabato 21 marzo 2015

AUTONOMI,ANCHE SE DISABILI

GIORNATA MONDIALE DELLA SINDROME DI DOWN
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Essere adulti significa diventare autonomi. Lavorare. Avere una casa. Fare la spesa e cucinare. Prendere i mezzi pubblici. Avere il controllo della propria vita. Vale per tutti e può, deve valere anche per le persone con sindrome di Down (sdD). Facile? No, difficile. Anzi impossibile, senza uno specifico percorso formativo, senza una comunità che dia loro fiducia ma garantisca anche, in caso di necessità, aiuto. 

Autonomi, anche se disabili: è l’obiettivo della campagna di Coor-Down (il Coordinamento nazionale delle associazioni delle persone con sdD) per la decima Giornata mondiale della sindrome di Down che si celebra oggi, 21 marzo, data scelta non a caso. La sindrome di Down è nota anche come trisomia 21. L’essere umano ha 23 coppie di cromosomi. In chi è affetto da sdD, la ventunesima coppia possiede un cromosoma in più. Quindi: coppia numero 21, 3 cromosomi: 21 marzo. 

Anche quest’anno, per la Giornata CoorDown, è stato realizzato uno spot che parla proprio della conquista dell’autonomia. E di una coppia. Caterina sta lavorando e Salvatore la raggiunge, accompagnato dai Neri per caso, il gruppo musicale salernitano che canta a cappella. Non le porta in dono un anello ma una chiave, quella della loro casa. Caterina e Salvatore sono persone Down, sono innamorati e coronano il loro sogno: vivere come ogni altra coppia in un proprio appartamento. Uno spot non facile da girare: Caterina era ignara di tutto, altrimenti non sarebbe stato possibile filmare la sua sorpresa, che è autentica, e per questo sono state usate telecamere nascoste; ma così la prima ripresa doveva essere quella buona. 

Metter su casa insieme. Una cosa strana, una forzatura? No. Si tratta semplicemente di quanto previsto negli articoli 19 ('Vita indipendente e inclusione nella società') e 23 ('Rispetto del domicilio e della famiglia') della Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità. I due articoli sanciscono il diritto di fondare una famiglia e di scegliere in autonomia il proprio luogo di residenza, con la stessa libertà di scelta di chiunque altro. 

Un processo non semplice. Caterina e Salvatore stanno seguendo da anni un percorso di autonomia abitativa. E sarebbe bello che ci fosse per davvero una comunità nella quale potessero inserirsi, persone che comunque fossero disponibili a dare una mano, con discrezione, se la coppia lo chiedesse. Nelle città nucleari, nei condomini dove a mala pena ci si guarda in faccia, dove la parola 'solidarietà' è del tutto sconosciuta, una coppia come Caterina e Salvatore potrebbe avere delle difficoltà. I due stanno partecipando a Domus, «un progetto – spiega la psicologa Stefania Mazzotti, che lo coordina – che permette a loro e alle loro famiglie sia di attivare un graduale processo di 'svincolo emotivo', sia di monitorare attraverso gli operatori quali reali esigenze possano presentare nella gestione della quotidianità». 

BENVENUTA PRIMAVERA!

"Con la primavera comincia il lavoro dei campi e cambia il ritmo della vita...E c'è,in questo cambiare,un valore di ascolto,di accettazione: come un modellarsi,attento e docile,sulla stagione che ci fa aderire più intimamente alla vita,con i suoi ritmi e i suoi tempi,un impastarci più denso con la terra,le erbe,la luce,il sole,le cose; un atteggiamento contemplativo che è come l'orizzonte remoto della preghiera vera e propria. Ritengo che la disposizione essenziale alla preghiera sia l'accoglienza; ma l'accoglienza non è un atteggiamento che si improvvisa: ha radici lontane in tutto un mondo di essere e di sentire. Aprirsi,con amorosa attenzione alle cose, è già una forma di accoglienza; disporsi all'attesa della primavera,aspettare i germogli, le erbe, i profumi della terra, è già una forma di accoglienza. La rinnovata meraviglia per il miracolo del mondo che si rinnova a ogni stagione è già un inizio di quello stupore religioso che ci prende, al cospetto di Dio.
Ecco quindi l'aprirsi alle cose, con tutti i pori spalancati a ricevere i messaggi della terra, che può farsi sostanza di preghiera; poiché le cose sono una sorta di sacramento di Dio... Che le sensibilità un po' sacrali mi perdonino ma una visita all'orto è un po' come una visita in cappella: un incontro. Con le cose e con Dio...L'incontro con le cose può prepararci, o conseguire all'incontro con Dio; poi diventa quasi la stessa esperienza...Noi diciamo <<Padre nostro che sei nei cieli>>; ed è legittima immagine,ma potremmo anche dire: <<Padre nostro che sei in terra>>. E il prevalere di un'immagine sull'altra forse misura la distanza-o la prossimità- che ci separa-o ci avvicina- alla pienezza di quel regno che già è e non ancora è; non ancora ci investe e già ci sfiora."
Adriana Zarri in "Erba della mia erba".

venerdì 20 marzo 2015

CATTOLICI,SVEGLIAMOCI!

L'elezione di papa Francesco ha suscitato un risveglio delle speranze cristiane in un rinnovamento della Chiesa, percepito ben oltre il mondo dei praticanti.Ma ora possiamo chiederci se il popolo cattolico, in un primo momento sorpreso di veder comparire a Roma un papa profetico, non sia un po' troppo lento nel rispondere ai suoi inviti. Molti cattolici non si rendono pienamente conto della grandezza e della novità di ciò che viene loro proposto. Speriamo che questa constatazione sia esagerata. Per uscire dalla passività, abbiamo bisogno di una presa di coscienza all'altezza dello slancio dato da questo papa e dalla novità che porta. Perché quest'uomo diventato vescovo di Roma osa affrontare problemi sensibili che toccano la vita dei credenti, chiama l'insieme dei fedeli a prendere la parola, a osare dire ciò che vivono, quali disagi sentono ascoltando certe parole stereotipate. Per le nostre democrazie un po' logore, ecco un papa profeta che non ha paura di ascoltare il popolo dei credenti e che oltrepassa le speranze del gioco democratico abituale, ponendosi pienamente nella collegialità proposta dal Vaticano II e dal soffio dello Spirito che ne ha permesso l'audacia e l'elaborazione. Insistiamo su questa realtà inaudita: sull'insieme dei problemi riguardanti la famiglia e che si pongono ai cristiani immersi nella società secolarizzata, ognuno è chiamato, se vuole, ad esprimersi. Il collegio sinodale convocato dal papa è invitato ad ascoltare quelle voci che vengono dai popoli dei credenti e a dialogare con loro! È come se fosse stata riscoperta una verità essenziale: che i credenti e le loro comunità possono contare sull'illuminazione dello Spirito donato alla Chiesa per affrontare situazioni nuove.
Osiamo dire ai credenti: svegliatevi e rispondete all'appello che vi è rivolto in vista della seconda sessione del sinodo sulla famiglia. Noi, firmatari di questo appello, invitiamo i fratelli nella fede ad esprimersi numerosi su ciò che è loro proposto da papa Francesco. Le Chiese locali sono chiamate ad un lavoro di discernimento; sono invitate a non temere il dialogo. Questo tempo è favorevole al Vangelo, spetta ai credenti prenderne coscienza.
Partecipare, è già, in sé, una bella approvazione del rinnovamento della vita cristiana a cui il papa ci invita. Dire ciò che forse osavamo appena pensare, contribuire al rinnovamento del linguaggio della fede, in particolare sulle realtà familiari, sostenere le parole e i gesti di apertura del nostro papa, sarà la nostra maniera di partecipare ad una reale rinascita della Chiesa. E, dobbiamo saperlo, la nostra astensione, la nostra passività, spingono la Chiesa ad allontanarsi dalla luce del Vangelo di Cristo.
Il Sinodo dell'ottobre 2014, con i suoi dibattiti, le sue tensioni e le sue esitazioni, ha manifestato una dinamica che non deve interrompersi. Non si tratta di sconvolgere la dottrina cattolica. Si tratta di partecipare a questo lavoro di discernimento del tutto comune e possibile, allo scopo di affrontare tutte “le sfide della vita familiare nel contesto della nuova evangelizzazione”.

Firmatari:
Guy Aurenche, avvocato onorario
Catherine Billet: delegata generale di Pax Christi
Jean-François Bouthors: scrittore e giornalista

martedì 17 marzo 2015

I PROBLEMI DI PAPA FRANCESCO

* * * Ora Francesco deve ancora affrontare problemi molto ardui, finora appena accennati.
Il primo di essi che ancora nessuno si è posto e che però è di palese evidenza riguarda i presbiteri cioè i sacerdoti che amministrano i sacramenti ed hanno il potere di assolvere o punire quelli che giudicano peccatori.I presbiteri, cioè i preti e la gerarchia che tutti li comprende, esistono soltanto nella Chiesa cattolica e hanno divieto di sposarsi.In nessun’altra religione esistono preti e celibato e in nessun’altra religione la dottrina è trasformata in codice. 
Gli ebrei hanno le loro Scritture e i loro precetti, ma i rabbini sono soltanto maestri, non hanno alcun sacramento né obblighi di celibato. Spiegano e interpretano le Scritture, quello è il loro compito non più di quello.
I musulmani hanno anch’essi le loro Scritture e la loro dottrina ma di sacerdoti non c’è traccia. 
Attenzione però: le varie sette musulmane hanno maestri che interpretano il Corano, ma anche tribunali che indicano il nemico da abbattere perché infedele. Potenzialmente sono teocrazie,a volte in modo diretto come in Iran e a volte indirettamente,sicché la tentazione al fondamentalismo è forte e spesso nefasta.
E così, sia pure essendo cristiani, avviene in tutte le varie confessioni protestanti dove non esistono preti, ma pastori. I pastori somigliano in qualche modo ai rabbini, sono maestri, hanno famiglia, amministrano quei sacramenti che le varie confessioni hanno conservato, ma il contatto tra l’uomo e Dio non è obbligatoriamente mediato dai vescovi con cura di anime e comunque dai preti. È un contatto diretto. Questa fu la grande rivoluzione di Lutero: il credente legge le Scritture, la Bibbia, i Vangeli e la fede gli consente il contatto diretto con Dio.
Allora la domanda è questa: riuscirà la Chiesa di Roma a conservare l’Ordine ecclesiastico con i suoi doveri i suoi diritti quasi castali? Il problema è tanto più attuale in quanto alcune confessioni non cattoliche si stanno avvicinando alla Chiesa di Roma e possono anche decidere di unificarsi con essa. È già accaduto per alcuni anglicani può accadere per gli ortodossi. Ma i pastori se decidono di farsi cattolici portano con loro la famiglia che hanno legittimamente costituito, come del resto avviene già da secoli con la Chiesa orientale che è sempre stata cattolica ma senza l’obbligo del celibato.
Eugenio Scalfari su Repubblica del 15 Marzo 2015.
Niente benedizione a scuola: «Ci sono altre religioni»

di Claudia Voltattorni su www.corriere.it
Nel dicembre 2012 don Renzo Aiardi, parroco a Casalguidi, frazioncina di Serravalle Pistoiese (Pistoia), fu chiamato a benedire il nuovo polo scolastico Enrico Fermi. Ma da tre anni, si lamenta durante l’omelia domenicale don Renzo, la scuola non gli autorizza la benedizione pasquale. Lo ha stabilito il consiglio d’istituto: «Hanno deciso di evitare il rito cattolico - ha spiegato don Renzo - come forma di rispetto verso gli alunni che praticano altre religioni». Già. Lo spiega bene la dirigente scolastica Lucia Maffei ricordando che la decisione fu presa proprio tre anni fa «per far fronte alle richieste di un gruppo di genitori».
Il caso ricorda quello di una decina di giorni fa, dove un gruppo di genitori e insegnanti di Bologna si è rivolto al Tar per chiedere la sospensione della delibera di un consiglio di istituto che autorizzava tre parroci a benedire tre plessi scolastici per la Pasqua: «Non è attività didattica o culturale e dunque non è classificabile tra le attività scolastiche e neppure extrascolastiche».
Ma la regola dice altro. Una circolare del ministero dell’Istruzione del 1992 stabilisce che «il consiglio di circolo o di istituto possa deliberare di far rientrare la partecipazione a riti e cerimonie religiose tra le manifestazioni o attività extrascolastiche previste», incluse quindi la celebrazione della messa e le benedizioni pasquali. In virtù dell’autonomia scolastica l’ultima parola resta agli organi collegiali che autorizzano o vietano «ispirandosi sempre al criterio di opportunità, dando particolare rilievo alla sensibilità e al coinvolgimento delle componenti scolastiche».
E poi c’è il decreto legislativo 297 del ‘94 che al comma 2 dice: «Si provvede a che l’insegnamento religioso e ogni eventuale pratica religiosa, nelle classi in cui sono presenti alunni che hanno dichiarato di non avvalersene, non abbiano luogo in occasione dell’insegnamento di altre materie, né secondo orari che abbiano per i detti alunni effetti comunque discriminanti».
Sia la strada al tuo fianco, il vento sempre alle tue spalle, che il sole splenda caldo sul tuo viso, e la pioggia cada dolce nei campi attorno e, finché non ci incontreremo di nuovo, Iddio ti protegga nel palmo della sua mano. [Benedizione del viaggiatore irlandese] May the road rise to meet you, may the wind be always at your back, may the sun shine warm upon your face, and the rains fall soft upon your fields and, until we meet again, may God hold you in the palm of His hand. [Irish journey blessing]

San Patrizio

ESISTE UNA GUERRA GIUSTA?

L’osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite di Ginevra, mons. Silvano Tomasi, ha messo sul tavolo l’opzione della guerra giusta per estirpare dal vicino oriente e dalle metastasi nordafricane il Califfato retto da Abu Bakr al Baghdadi. “Dobbiamo fermare questo tipo di genocidio, altrimenti un domani ci chiederemo a gran voce perché non ci siamo mossi, perché abbiamo permesso che accadesse una simile terribile tragedia”. Il dialogo, ça va sans dire, rimane l’opzione privilegiata. Ma quando l’interlocutore risponde con crocifissioni, decapitazioni, mutilazioni e roghi umani, bisogna valutare le altre soluzioni. “Quel che serve è una coalizione coordinata e ben organizzata che faccia il possibile per raggiungere un accordo politico senza violenza. Ma se questo non è possibile, l’uso della forza sarà necessario”, ha detto il prelato al portale americano Crux, che non a caso parla di “un insolitamente schietto avallo a un’azione militare”. Il tutto, ha aggiunto Tomasi, dovrà avvenire “sotto l’egida delle Nazioni Unite” e dovrà “includere gli stati musulmani del medio oriente”, perché è bene evitare “un approccio occidentale”. Le parole del presule fanno seguito alla dichiarazione congiunta presentata al Consiglio dei diritti umani di Ginevra da Santa Sede, Russia, Libano e sottoscritta da quasi settanta paesi, in cui si afferma la necessità di “sostenere la radicata presenza storica dei cristiani e di tutte le comunità etniche e religiose del medio oriente di fronte alla minaccia terroristica”. Mai, prima d’ora, uno specifico documento per la difesa dei cristiani era stato portato all’attenzione dell’organismo onusiano.
da "IL FOGLIO".

lunedì 16 marzo 2015

VOGLIO ESSERE DEBITORE!

"So bene di dover tutto a tutti e non mi voglio <<sdebitare>>.  Quando qualcuno mi fa un dono e non vuole il <<ricambio>>, io accetto, perché neanche a me piace di <<ricambiare>>, quasi a ristabilire parità improbabili. Io accetto il dono e resto in debito. E se poi, a mia volta, posso fargli un regalo, è un regalo e non una restituzione, un pareggio di conti. <<Così- gli dico, -io resto in debito; e mi piace; adesso sei in debito anche tu. Non siamo in pari: siamo entrambi reciprocamente debitori; e possiamo dir 'grazie'. È molto meglio>>. Così si ottiene l'eguaglianza: parificando la disparità al livello di un debito comune, che esprime meglio la posizione umana e religiosa. La situazione patrimoniale è la stessa, ma la situazione psicologica è diversissima.
Noi siamo costruiti dagli uomini,dagli animali e dalle cose; senza parlare del debito primario col Signore. Il senso religioso è essenzialmente senso di dipendenza riconosciuta e accettata; perché è Dio che fa sempre il primo passo e l'uomo non può fare che il secondo. Ma, per fare il secondo, non può che attendere quel primo: quel Dio che viene e seguita a venire. La fede è soprattutto un'attesa, un ascolto, un'accoglienza: riconoscersi in debito con Dio e non cercare i conti pari. Il fariseo non è giustificato proprio perché cerca di autogiustificarsi con i conti,di pareggiare i bilanci con le decime.
No, no, Signore, non vorrei proprio aver pagato tutto e trovarmi (o presumere) coi conti in pari con Te. Per mia fortuna ho molti debiti; e mi sta bene così: di avere i conti dispari,di essere in debito perenne, di seguitare a indebitarmi con Te."
Da "ERBA DELLA MIA ERBA" di Adriana Zarri.

domenica 15 marzo 2015

IL CARDINAL KASPER SUL GIUBILEO DI PAPA FRANCESCO

«È una iniziativa molto, molto importante. Un annuncio che dà gioia e sorprende allo stesso tempo, grazie alle intuizioni di un grande pontefice come papa Francesco che sta facendo tanto bene alla Chiesa e a tutti gli uomini di buona volontà che lo ascoltano».
Il Giubileo di Francesco sarà paragonabile a quello del 2000 di Giovanni Paolo II?
«Si tratta di eventi diversi e celebrati in altri contesti. Il Giubileo del 2000 fu l’evento principe con cui Wojtyla traghettò la Chiesa nel terzo millennio e milioni e milioni di pellegrini per 12 mesi si dettero appuntamento sulla tomba di San Pietro, in Vaticano, e nei luoghi della cristianità romana.
Ci furono eventi liturgici, spettacoli, meeting. Non credo che per il Giubileo della Misericordia sarà la stessa cosa. Immagino che sarà un anno di meditazione, di riflessione sul senso del peccato e del perdono alla luce della misericordia di Dio. Forse non ci saranno grandi raduni. Ma è ancora presto per fare previsioni. E poi, papa Francesco sorprende sempre”.
Perché la misericordia?
«La Divina misericordia è nel Dna del papa. Fin dalla sua elezione ha predicato sempre e ovunque il senso del perdono, della speranza e della certezza che in Dio nostro Padre c’è sempre accoglienza, ascolto e soprattutto perdono misericordioso. Lo sta predicando alle grandi folle, ma anche negli incontri nelle periferie delle metropoli e nei piccoli centri. Dio è misericordia, Dio perdona, non stancatevi di rivolgervi a lui, ci ricorda sempre, basta cercarlo, aprirsi a lui, confidargli le nostre angosce, i nostri peccati»
Un tema solo religioso?
«Assolutamente no. È un insegnamento che per i cristiani è strettamente legato al Vangelo di Cristo,il figlio di Dio fatto uomo per salvare l’umanità dai peccati, gesto supremo di Divina Misericordia. 
Ma che va al di là dei credenti. Tutta la società civile ne potrà trarre vantaggi. Il senso del perdono, dell’accoglienza dell’altro, dell’ascolto di chi sbaglia e si pente è un modo di vivere che riguarda tutti, ma che specialmente in Occidente si sta smarrendo. Questo nuovo Giubileo potrà servire molto a credenti non credenti, cristiani e non cristiani, a recuperare il senso dell’amicizia, dell’ascolto e del perdono reciproco. È qui la genialità dell’annuncio di Francesco».

DON CIOTTI INTERVISTATO DA "IL FATTO QUOTIDIANO"

Don Ciotti, qual è l’emergenza sociale del nostro Paese e perché?La disoccupazione e la povertà non solo più relativa ma assoluta. Ma l’emergenza, prima che economica, è etica e culturale. È un’emergenza dei diritti e dunque delle responsabilità. Perché i diritti si fondano sull’impegno di tutti – a partire da chi ha responsabilità pubbliche – per il bene comune. Si vede spesso il contrario: l’uso del potere a fine personale o di pochi.

Cosa rimprovera e cosa invece apprezza del governo?È apprezzabile la determinazione, la voglia di rinnovamento. Meno il fatto che a volte questo porti a soluzioni non condivise, oppure – quando la controparte è determinante per mantenere un assetto di potere – a un eccesso di mediazioni. Così buone iniziative come il ripristino del falso in bilancio o la riforma della prescrizione per i reati di corruzione, strada facendo vengono annacquate per la necessità di accontentare questo o quello.

Dal punto di vista della lotta alla povertà e alle ingiustizie vede un ruolo nuovo della Chiesa con il papato di Francesco?Direi che è sotto l’occhio di tutti. Con una politica titubante e in molti casi latitante, Papa Francesco è una delle poche voci che parla della povertà come un problema che va affrontato non solo con la solidarietà e l’accoglienza, ma rimuovendo il vuoto di diritti – e di dignità – che crea disuguaglianza. Questo papato rappresenta uno scossone per una politica che spesso si limita a certificare l’esistente, e un’economia che ha perso di vista i bisogni e le speranze delle persone.

Lei pensa che Libera possa svolgere una funzione di unità delle forze politiche sul piano del reddito minimo perché davvero diventi legge?Quella per un reddito di cittadinanza o minimo, che per noi è una questione profondamente legata alla dignità umana, è la prima proposta del manifesto che abbiamo redatto in conclusione di Contromafie, gli “Stati generali dell’antimafia”, proprio per sottolineare la relazione fra lotta alle mafie e impegno per la giustizia sociale. All’epoca abbiamo inviato a tutti i capogruppo in Parlamento le nostre proposte, corredate da studi e approfondimenti. I primi a rispondere sul tema del reddito sono stati i 5Stelle e subito dopo Sel, che hanno presentato le loro proposte di legge. Abbiamo registrato anche dichiarazioni pubbliche favorevoli da parte di diversi esponenti del Pd. Ciò detto, Libera non aspira a svolgere nessuna “funzione” rispetto alle dinamiche dei partiti: fa delle proposte come chiunque senta la responsabilità di partecipare alla vita pubblica. Se poi una o più forze politiche le accolgono e s’impegnano a realizzarle senza snaturarle o strumentalizzarle, ben venga. Ciò che conta è la proposta, non chi la fa.
Con quali obiettivi Libera vuole costruire una Coalizione sociale con soggetti come la Fiom o Emergency?Libera non può aderire alla coalizione essendo un coordinamento di associazioni, oggi più di 1600, ciascuna autonoma nel costruire i suoi percorsi e nello scegliere i suoi riferimenti. Detto questo, ben venga questo collaborare insieme per rappresentare con maggior forza la richiesta di dignità, di lavoro, di giustizia sociale. Il nostro Paese – Libera lo ripete da vent’anni – ha bisogno di una robusta iniezione di “noi”, cioè di condivisione e corresponsabilità. E io sono molto contento di trovarmi in sintonia su questo con Gino Strada e Maurizio Landini, persone di grande spessore umano per le quali nutro stima e amicizia.
È fiducioso sul futuro dell’Italia?Sono preoccupato. Ma ci risolleveremo imparando a essere più solidali e soprattutto più responsabili.

sabato 14 marzo 2015

"UN GIUBILEO PERCHÉ LA MISERICORDIA TORNI AL CENTRO DEL MESSAGGIO CRISTIANO"

 Secondo il teologo della Pontificia Università Lateranense, Mauro Cozzoli la misericordia è il filo conduttore del magistero. «Misericordia è il cuore che si china su ogni miseria, fisica e morale. Il Papa non ha detto perché ha proclamato un Giubileo straordinario, ma può contribuire alla ricentratura sulla misericordia di tutto il pensare, l’essere e l’operare cristiano». Amare i poveri non è marxismo, è Vangelo. «La Chiesa non rifiuta nessuno», assicura l’ex prete di strada Bergoglio.

GIUBILEO DEL PIL O DELLA MISERICORDIA?

GRAZIE PAPA FRANCESCO:BEL COLPO PER LA CRISI DELL'ECONOMIA!
SPERIAMO CHE CI SIA ANCHE UN RITORNO DI FEDE!
"Il Giubileo è un evento che farà fare un grande balzo in avanti al Pil di Roma. Quindi è vero che tutti ora si concentrano sulle centinaia di milioni di euro che possono occorrere a migliorare viabilità e infrastrutture, ma non pensano ai miliardi di euro che arriveranno per le decine di milioni di persone che si sposteranno nella nostra città", ha detto ancora Marino a chi gli chiedeva un commento sul 'ritorno economico' della Capitale.

MA COSA STA SUCCEDENDO?


"Ho la sensazione che il mio sarà un pontificato breve": Papa Francesco choc durante l'intervista rilasciata per i due anni dall'inizio del suo pontificato.

È un Papa Francesco a tutto tondo quello che trapela dall'intervista con la tv messicana Televisa.
Il pontefice, secondo quanto riporta la Radio Vaticana, ammette di sentire la mancanza di poter girare liberamente, magari per poter andare in pizzeria senza essere riconosciuto.

Nel colloquio, il Papa ammette di avere la sensazione che il suo sarà un pontificato breve, ma afferma anche di potersi sbagliare. All'intervistatrice che accenna all'eventualità di un ritiro per limiti di età, il Papa risponde di non condividere un'evenienza del genere per la figura del Pontefice (definisce il papato una "grazia speciale") ma dice anche di apprezzare la strada aperta da Benedetto XVI sulla figura del papa emerito. Una "scelta coraggiosa" la definisce, sempre secondo quanto riporta Radio Vaticana, come coraggiosa fu la decisione di avere reso pubblica la gravità degli abusi commessi da esponenti della Chiesa ai Danni dei bambini.

Nel colloquio, pubblicato a due anni dalla elezione - papa Francesco affronta moltissimi temi caldi, tra cui il clericalismo nella curia, l'appello a non girarsi dall'altra parte nei confronti dei mali del mondo, il sinodo sulla famiglia (definendo smisurate le aspettative su temi complessi e delicati come quello della comunione ai divorziati risposati o in materia di omosessualità.

Papa Francesco critica inoltre l'incapacità del clero di coinvolgere i laici a causa di un eccessivo clericalismo. Anche per la curia, dice, ogni cambiamento inizia dal cuore e comporta una conversione nel modo di vivere. Una conversione che coinvolge la stessa figura del pontefice e che è alla base dei fuori protocollo che tanto entusiasmano il popolo di Dio.
 "Così la Chiesa sarà più vicina alle persone deboli e lontane"
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Mons. Fisichella, il Papa affida alla sua guida l'organizzazione del Giubileo straordinario…

«È un atto di fiducia da parte di Papa Francesco: lo ha spiegato anche lui il motivo perché lo affida a noi, perché dice che questo Giubileo dev'essere un cammino di nuova evangelizzazione per la Chiesa: dobbiamo portare l'annuncio essenziale del Vangelo, dobbiamo presentare ancora il volto misericordioso di Gesù».

Come sarà strutturato questo grande evento che coinvolgerà tutta la Chiesa?

«Adesso il Papa ha dato l'annuncio, abbiamo le prossime settimane per prepararci, per studiare tutte le iniziative da avviare e soprattutto per comprendere come quest'Anno Santo possa esser vissuto qui a Roma, come possa diventare concretamente un segno della misericordia. Il primo pensiero che mi viene in mente è che la Chiesa dovrà adesso riscoprire le opere di misericordia corporale e spirituale, che sia pane quotidiano nella vita dei credenti, per le persone più vicine al Vangelo e per questo privilegiate».

Nel 2000 ci furono tanti eventi, ad esempio il Giubileo degli sportivi o quello degli artisti. Con questo Papa ci potrà essere un Giubileo dei poveri o dei senzatetto?

«Dobbiamo pensarci, ma certamente il Giubileo deve dare un'espressione alla Chiesa perché concretamente vada incontro a tutti. Dev'esserci un'attenzione verso le persone più lontane o più deboli. Credo sia importante capire come il Papa intenda realizzare questo Giubileo della misericordia. Vorrei precisare che questo evento non avrà compiti strutturali, l'unico compito è quello della conversione spirituale, su come essere testimoni dei Signore. Le cose strutturali e organizzative verranno dopo».

Il Giubileo si aprirà nel 50° anniversario della chiusura del Concilio Vaticano II. Perché questa scelta?

«Il Papa ha voluto dare questo annuncio all'inizio del terzo anno del suo pontificato e credo che sia intanto una scelta significativa. Ha pensato di aprire la Porta Santa nel giorno di quell'anniversario speciale, perché il Concilio è stato il momento in cui la Chiesa si è rivolta al mondo, in cui ha iniziato a parlare un nuovo linguaggio che è ovviamente il linguaggio del Vangelo, una lingua della misericordia».
DA IL GIORNALE.IT

venerdì 13 marzo 2015

CAMBIAMENTI EPOCALI NELLA CHIESA CATTOLICA ROMANA?

Quando, al suo primo incontro da vescovo di Roma con i rappresentanti dei media, Jorge Mario Bergoglio, eletto il 13 marzo 2013, affermò «Ah, come vorrei una Chiesa povera, e per i poveri», egli stabilì un collegamento con la visione espressa da Giovanni XXIII all’inizio del Concilio Vaticano II (1962-65). Una visione che era sopravissuta nella Chiesa latino-americana, ma che molti martiri dovettero pagare con la loro vita, come accadde all’arcivescovo di San Salvador, Oscar Romero, che fu assassinato sull’altare il 24 marzo 1980, e il cui processo di beatificazione è stato avviato a conclusione da papa Francesco.
Dopo le dimissioni di Benedetto XVI, Francesco ora porta avanti il rinnovamento in molti campi. E’ un fondamentale cambiamento culturale che cerca di attuare oggi ciò che il Concilio Vaticano II prospettò cinquant’anni fa, a proposito delle riforme intra-ecclesiali, la partecipazione dei fedeli, l’apertura al mondo, l’ecumenismo e il dialogo interreligioso. Questo cambiamento culturale comporterà anche un cambiamento di strutture. Per questo, tuttavia, il popolo della Chiesa e le scienze teologiche debbono essere più attivamente coinvolte dai vescovi in una partecipazione che deve crescere sempre di più.
Noi chiediamo che il papa reintegri quei laici, teologi, donne e uomini ingiustamente rimossi, negli ultimi anni, per il loro impegno nella Chiesa. Nel contempo, noi chiediamo un dialogo diretto e stabile con il papa per esprimergli le nostre preoccupazioni e le nostre opinioni riguardo ai problemi che sfidano la nostra Chiesa.
Invece di prendere decisioni «dall’alto», Francesco innesca processi di partecipazione e volutamente sceglie la «via sinodale», come nel caso del doppio Sinodo sulla famiglia del 2014 e 2015. Questo cambiamento da un modo di decidere solitario ad uno interattivo appare strano a molti, nella Chiesa cattolica, eppure corrisponde all’orientamento del Concilio Vaticano II. La lista dei nuovi cardinali scelti da diverse parti del mondo nel febbraio 2015 mostra che le diversità nel mondo sono favorite. La decentralizzazione delle strutture della Chiesa deve continuare. I cardinali ed i vescovi, specialmente quelli implicati nella riforma dela Curia, hanno una grande responsabilità per far sì che l’avvio delle riforme avviato da Francesco abbia successo.
Ma la forza della resistenza ad ogni tipo di riforma all’interno dello stesso Vaticano è dimostrata dal fatto che papa Francesco è stato spinto a rivolgere aspre critiche alla Curia romana in occasione degli auguri natalizi del 2014. Questo sferzante allarme era diretto non solo ai più eminenti membri della Curia, ma anche ai cardinali e vescovi della Chiesa universale che ancora mostrano di sostenere così poco le prospettive di Francesco.
Comunque, fin dall’inizio Francesco ha avuto un grande appoggio dalla gente, come dimostrano i sondaggi. Nel dicembre 2014 lo statunitense Pew Research Centre ha reso noto numeri impressionanti. Un’inchiesta in 43 paesi mostra un alto livello in favore di papa Francesco, con una media del 60%.
Particolarmente alta è stata la percentuale di persone favorevoli a lui in Europa (84%), Stati Uniti d’America (78%) ed America latina (72%).
International Movement We are Church – 11 marzo 2015

LA CHIESA DEL DIBATTITO

Ma dove sta andando papa Francesco? Due anni dopo l'elezione sorpresa di un vescovo venuto “dalla fine del mondo”, si sentono, a Roma, preoccupazioni, addirittura critiche di responsabili cattolici. Tanto basta perché certi media si mettano a parlare di “complotto”, altri di “lupi” che vorrebbero divorare il successore di Pietro, e altri, ancora, di rischi di scisma.
Significa non dar peso all'immensa popolarità di questo papa sia tra i cattolici, che tra i non-cattolici. Significa non capire un pontificato il cui obiettivo non è dividere la Chiesa, ma metterla “in funzione operativa” di fronte alle sfide del mondo. La crisi che si trova ad affrontare il papa non è solo una crisi di governance. È la crisi più generale del cattolicesimo di fronte alla globalizzazione, scosso dalla secolarizzazione, tentato dal ripiegamento su se stessa e dall'atteggiamento minoritario. Se i cardinali hanno scelto, due anni fa, di eleggere un papa del Sud, è proprio per rispondere a questa sfida. Jorge Bergoglio non viene da un “altro pianeta”. Ha vissuto in una megalopoli al centro della globalizzazione, una città confrontata con la violenza, con l'estrema povertà, la droga, il traffico di esseri umani, e dove si creano ogni giorno nuove religioni.
Sa che, di fronte a questo, la Chiesa non può accontentarsi di guardare solo a se stessa, un atteggiamento che ha chiamato, proprio prima della sua elezione, “autoreferenzialità”, che ci fa diventare “cristiani da museo”.
Il papa affronta con determinazione questa situazione, obbligando i cattolici ad andare avanti, non a partire dal centro, ma dalle periferie. Questo processo che parte dalle frontiere necessariamente scuote e mette agitazione. La Chiesa assume su di sé la complessità del mondo, e questa complessità provoca dibattiti. È un segno di buona salute. È a questa condizione che si realizzerà il vero senso di comunione, che non è il ripiegamento su di sé, ma “il fatto di saper fare spazio al fratello”, come aveva scritto papa Giovanni Paolo II nella sua esortazione apostolica Novo millennio ineunte dove tracciava già la tabella di marcia per la Chiesa del terzo millennio.

di Isabelle de Gaulmyn in “La Croix” del 13 marzo 2015

"CERCARE LA SAGGEZZA DEL CUORE"


L’11 marzo Jean Vanier, ispiratore anche delle 1500 comunità “Fede e luce”, il movimento per diffondere la fraternità tra persone normodotate e disabili, ha ricevuto il premio Templeton, uno dei più prestigiosi riconoscimenti mondiali per personalità in campo religioso.
 
Nel discorso tenuto a Londra per l’accettazione Vanier si è soffermato sulla cultura della competizione che domina nella nostra società e implica che “ci siano pochi vincitori e tanti perdenti”. Quelli che non possono vincere, come i disabili, vengono messi da parte e si crea un abisso tra “i vincitori e i perdenti, quelli che vengono chiamati normali e quelli detti anormali, quelli che producono soldi e beni e quelli che devono essere presi in carico”. Solo che tra progressi della medicina e giovani che si perdono tra droga e alcool a causa della disillusione, le persone di cui “farsi carico” saranno sempre di più. La tentazione di “eliminare i deboli per risolvere i problemi” e il rischio di cadere in una “ideologia di perfezionamento” è sempre in agguato (L’Osservatore romano 13 marzo).
 
La pedagogia profonda dell’Arca, invece, ha spiegato Vanier in un’intervista, è dire alle persone che sono state respinte e umiliate e per questo possono provare molta rabbia: “Sono molto contento di vivere con te”. (Unimondo.org 14 maggio 2008). Non dare denaro o delegare ai professionisti, ma entrare in relazione. “Non si tratta – ha sottolineato Vanier - di essere generosi verso le persone con handicap. Di fare per loro grandi cose. Si tratta invece di entrare in relazione con loro. Mangiare alla stessa tavola, fare loro il bagno, celebrare la vita, danzare con loro”. L’importante “non è trovare soluzioni a tutti i problemi, ma creare legami e scoprire che questo legame mi cambia e mi apre”.
 
L'Arche nasce nel 1964 quando Jean Vanier - classe 1928, una carriera nella Marina militare inglese interrotta nella ricerca di “qualcosa di più grande”, una laurea in filosofia nel 1962 – lascia l’insegnamento di filosofia morale a Toronto e si trasferisce inFrancia su invito di P. Thomas Philippe, cappellano della casa per disabili mentali Val Fleuri, a Trosly-Breuil. Qui decide di proporre a Raphael Simi e Philippe Seux, due uomini con un handicap mentale, di andare a vivere insieme in una casa diroccata che aveva acquistato. E’ il primo seme – di cui non immagina lo sviluppo, Vanier fa fatica a considerarsi un “fondatore” - dell’Arca. “L’Arca è una storia di stupore – ha detto Vanier – cresciuta perché un tale è venuto ad aiutarci e a sua volta è stato ricambiato. Ha scoperto che la persona con disabilità è un messaggero di Dio” (Radio Vaticana 21 marzo 2014).
 
A partire dalla prima comunità nata in Francia nella tradizione cattolica, sono state create molte altre comunità in contesti religiosi e culturali diversi e oggi l’Arca è una realtà ecumenica e interreligiosa.
 
Chi fa l’esperienza dell’Arca “scopre che diventare amico di qualcuno che è stato rifiutato ci trasforma. Quando entro in relazione con qualcuno di più povero, scopro che dono vita e che l’altro, che mi chiama, mi dona vita trasformandomi” (Unimondo.org14 maggio 2008). Vanier la chiama la “spiritualità della trasformazione grazie ai poveri, a contatto con i poveri” che caratterizza anche l’ecumenismo e il dialogo interreligioso sperimentato nelle comunità dell’Arca: “Io amo i musulmani non perché voglio essere vicino a loro ma vivendo con musulmani, ortodossi, protestanti, comincio ad amare le loro origini, le loro intenzioni. E’ la vita insieme che ci conduce all’ecumenismo e al dialogo interreligioso” (Unimondo.org 14 maggio 2008).
 
In un mondo che vive una situazione critica, minacciato dalla guerra e dal terrorismo, bisogna puntare, ha detto Vanier a Londra, all’unità profonda tra i popoli. La pace universale si può ottenere, secondo il fondatore dell’Arche “solo se risvegliamo e sviluppiamo quelle capacità umane profonde nascoste dietro ai nostri bisogni superficiali di potere e di successo, le quali ci portano ad accettare la realtà. Sono le qualità legate al cuore: la capacità di amare, di rispettare, di vivere autentiche relazioni con gli altri, di aspirare alla verità e alla giustizia nella grande famiglia umana, le qualità di umiltà, di perdono e di compassione per quanti sono vulnerabili e nel bisogno, in poche parole: cercare la saggezza del cuore” (L’Osservatore romano 13 marzo).

FRANCESCO PAPA DA DUE ANNI

Se qualcuno ci avesse raccontato in anteprima quello che in questi 24 mesi abbiamo visto e sentito, avremmo pensato a un film, o a una storia nata dalla fantasia. E invece è la realtà. “Siamo qui”, disse lui quella sera del 13 marzo di due anni fa. “Siamo qui”, continua a dire, implicitamente, ogni giorno, nelle circostanze più diverse.
Dopo due anni ci sono riforme in corso, la chiesa come un cantiere: il gruppo dei 9 cardinali, le commissioni, il sinodo che il papa vorrebbe rendere permanente, una “macchina” pensata dal concilio e rimessa in movimento. Sinodalità e collegialità, perché le decisioni importanti si prendono all’interno di un cammino condiviso, questione di metodo ma anche di sostanza.

Hanno aperto tanti cammini, questi primi due anni di Papa Francesco, dentro e fuori la chiesa. Un papa “normale” ma instancabile, mosso da una fede che un giorno definì “la dolce e unica ossessione di ogni giorno per tutti i giorni”.
Per capire cosa ha smosso è centrale la questione della fede, e non tanto del concetto quanto dell’esperienza della fede. Condottiero che è condotto, Papa Francesco ha spesso lo sguardo fisso al tabernacolo, la mano che spesso accarezza la croce semplice che gli pende al collo.
Non è prevista una festa per i due anni di pontificato ma una celebrazione penitenziale: la gioia del perdono, del resto, si può provare solo riconoscendosi peccatori. “Siamo ministri della Misericordia”, ha ricordato ai confessori. “Anche il più grande peccatore davanti a Dio è terra sacra”. Alla chiesa, ai cristiani, ha indicato che due sono le strade possibili: o l’amore o l’ipocrisia. Altra strada non c’è.

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domenica 8 marzo 2015

LA FORZA DELLE DONNE

"Tieni sempre presente che la pelle fa le rughe, i capelli diventano bianchi, i giorni si trasformano in anni... Però ciò che è importante non cambiare; la tua forza e la tua convinzione non hanno età. Il tuo spirito è la colla di qualsiasi tela di ragno. Dietro ogni linea d'arrivo c'è una linea di partenza. Dietro ogni successo c'è un'altra delusione. Fino a quando sei viva, sentiti viva. Se ti manca ciò che facevi, torna a farlo. Non vivere di foto ingiallite. Insisti anche se tutti si aspettano che abbandoni. Non lasciare che si arrugginisca il ferro che c'è in te. Fai in modo che invece che compassione, ti portino rispetto. Quando a causa degli anni non potrai correre, cammina veloce. Quando non potrai camminare veloce, cammina. Quando non potrai camminare, usa il bastone. Però non trattenerti mai!"

Madre Teresa di Calcutta

AUGURI!!!


sabato 7 marzo 2015

RESPINGERE L'AUTOREFERENZIALITÀ

PAPA FRANCESCO HA INCONTRATO IL MOVIMENTO DI COMUNIONE E LIBERAZIONE E SENZA PELI SULLA LINGUA HA RICORDATO QUALE DEVE ESSERE LA PRESENZA DEI MOVIMENTI CATTOLICI NELLA CHIESA E NEL MONDO...E BRAVO IL NOSTRO PAPA FRANCESCO!...VAI AVANTI COSÌ E NON FERMARTI!...QUESTA È LA VERA ESSENZA DELLA CHIESA E DEL NOSTRO ESSERE CRISTIANI E QUINDI SUOI AUTENTICI TESTIMONI!...GRAZIE!
A.B.
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"Dopo sessant’anni, il carisma originario non ha perso la sua freschezza e vitalità. Però, ricordate che il centro non è il carisma, il centro è uno solo, è Gesù, Gesù Cristo! Quando metto al centro il mio metodo spirituale, il mio cammino spirituale, il mio modo di attuarlo, io esco di strada. Tutta la spiritualità, tutti i carismi nella Chiesa devono essere “decentrati”: al centro c’è solo il Signore! Per questo, quando Paolo nella Prima Lettera ai Corinzi parla dei carismi, di questa realtà così bella della Chiesa, del Corpo Mistico, termina parlando dell’amore, cioè di quello che viene da Dio, ciò che è proprio di Dio, e che ci permette di imitarlo. Non dimenticatevi mai di questo, di essere decentrati!

E poi il carisma non si conserva in una bottiglia di acqua distillata! Fedeltà al carisma non vuol dire “pietrificarlo” – è il diavolo quello che “pietrifica”, non dimenticare! Fedeltà al carisma non vuol dire scriverlo su una pergamena e metterlo in un quadro. Il riferimento all’eredità che vi ha lasciato Don Giussani non può ridursi a un museo di ricordi, di decisioni prese, di norme di condotta. Comporta certamente fedeltà alla tradizione, ma fedeltà alla tradizione – diceva Mahler – “significa tenere vivo il fuoco e non adorare le ceneri”. Don Giussani non vi perdonerebbe mai che perdeste la libertà e vi trasformaste in guide da museo o adoratori di ceneri. Tenete vivo il fuoco della memoria di quel primo incontro e siate liberi!

Così, centrati in Cristo e nel Vangelo, voi potete essere braccia, mani, piedi, mente e cuore di una Chiesa “in uscita”. La strada della Chiesa è uscire per andare a cercare i lontani nelle periferie, a servire Gesù in ogni persona emarginata, abbandonata, senza fede, delusa dalla Chiesa, prigioniera del proprio egoismo.

“Uscire” significa anche respingere l’autoreferenzialità, in tutte le sue forme, significa saper ascoltare chi non è come noi, imparando da tutti, con umiltà sincera. Quando siamo schiavi dell’autoreferenzialità finiamo per coltivare una “spiritualità di etichetta”: “Io sono CL”. Questa è l’etichetta. E poi cadiamo nelle mille trappole che ci offre il compiacimento autoreferenziale, quel guardarci allo specchio che ci porta a disorientarci e a trasformarci in meri impresari di una ONG."
Como, bufera sul parroco dopo la messa: "L'ideologia gender è più pericolosa dell'Isis"
di DAVIDE CANTONI in Repubblica.it

"L'ideologia gender è più pericolosa dell'Isis. La prima ci attacca dall'interno, la seconda dall'esterno". Una frase pronunciata a fine messa da don Angelo Perego, parroco di Arosio, piccolo comune in provincia di Como. Poche parole per presentare un incontro aperto ai fedeli, in programma il 27 marzo, sul tema delle identità di genere. Un uomo a fine funzione lascia l'assemblea, raggiunge il parroco, vuole capire. E' un omosessuale e quanto ha sentito non gli piace. Chiede spiegazioni. "Ci conosciamo bene - spiega il sacerdote - e ci siamo confrontati. Non è vero che siamo finiti quasi alle mani, come ha detto qualcuno".

Il confronto, pacifico o meno, serve comunque a poco. E l'uomo torna a casa. Evidentemente lo scambio di opinioni non lo ha rincuorato: pubblica su Facebook le proprie riflessioni. Tanto è bastato perché il pensiero del sacerdote facesse il giro del paese e ovviamente andasse oltre i confini, il racconto è diventato notizia: ripresa, scritta, condivisa tra social e stampa locale. Un putiferio, con Arosio diviso fra chi difende il sacerdote e chi lo condanna per quanto detto. Contattato, don Angelo ripete continuamente: "Io non sono omofobo, per nulla. E' una sciocchezza quella di cui mi chiedete conto, è una piccola cosa. Non sono contro l'omosessualità, ho parlato di ideologia gender e ho detto chComo, bufera sul parroco dopo la messa: "L'ideologia gender è più pericolosa dell'Isis"e è più pericolosa del terrorismo Isis o islamico".

Che cosa sia però quella che definisce "ideologia" don Perego non lo chiarisce. E a domanda precisa non risponde. "E' pericolosa come ogni ideologia. Non ne parliamo ora, ne parleremo durante l'incontro in parrocchia. Vogliamo ragionare su queste cose. Ma sia chiaro a tutti, io non voglio giudicare, il sacerdote ha il compito di spiegare la morale cristiana. Non si giudica l'uomo, ma il peccato". Eppure la frase è forte, crea un accostamento tra terrorismo e identità sessuale. Forse un po' eccessivo come ragionamento. "Forse. Ma ripeto: non parlavo di omosessuali". Quindi un pensiero fraintendibile. "Tutti siamo fraintendibili, lo è anche il Papa".

Nonostante questo, un uomo si è sentito ferito dalle parole udite in chiesa. "E' una persona che conosco bene, un emarginato che trova conforto tra i miei volontari in oratorio. Prima ha chiacchierato con me, poi mi ha insultato su Facebook". Nel dubbio, rileggiamo a don Angelo le sue parole: "L'ideologia gender è più pericolosa dell'Isis. E' corretto?". "Si. Ma non capisco perché la cosa interessi tanto".

venerdì 6 marzo 2015

L'ABBANDONO È LA MALATTIA DEGLI ANZIANI!

"Il comandamento biblico che ci chiede di onorare i genitori, in senso lato ci rammenta l’onore che dobbiamo a tutte le persone anziane. A questo comandamento Dio associa una duplice promessa: «perché si prolunghino i tuoi giorni» (Es 20,12) e – l’altra - «tu sia felice» (Dt 5,16). Infatti, la sapienza che ci fa riconoscere il valore della persona anziana e ci porta ad onorarla, è quella stessa sapienza che ci consente di apprezzare i numerosi doni che quotidianamente riceviamo dalla mano provvidente del Padre e di esserne felici. Il precetto ci rivela la fondamentale relazione pedagogica tra i genitori e i figli, tra gli anziani e i giovani, in riferimento alla custodia e alla trasmissione dell’insegnamento religioso e sapienziale alle generazioni future. Onorare questo insegnamento e coloro che lo trasmettono è fonte di vita e di benedizione."


"Al contrario, la Bibbia riserva una severa ammonizione per coloro che trascurano o maltrattano i genitori (cfr Es 21,17; Lv 20,9). Lo stesso giudizio vale oggi quando i genitori, divenuti anziani e meno utili, rimangono emarginati fino all’abbandono; e ne abbiamo tanti esempi!"

"Gli anziani hanno bisogno in primo luogo delle cure dei familiari – il cui affetto non può essere sostituito neppure dalle strutture più efficienti o dagli operatori sanitari più competenti e caritatevoli. Quando non autosufficienti o con malattia avanzata o terminale, gli anziani possono godere di un’assistenza veramente umana e ricevere risposte adeguate alle loro esigenze grazie alle cure palliative offerte ad integrazione e sostegno delle cure prestate dai familiari. Le cure palliative hanno l’obiettivo di alleviare le sofferenze nella fase finale della malattia e di assicurare al tempo stesso al paziente un adeguato accompagnamento umano (cfr Lett. enc. Evangelium vitae, 65). Si tratta di un sostegno importante soprattutto per gli anziani, i quali, a motivo dell’età, ricevono sempre meno attenzione dalla medicina curativa e rimangono spesso abbandonati."

"L’abbandono è la "malattia" più grave dell’anziano, e anche l’ingiustizia più grande che può subire: coloro che ci hanno aiutato a crescere non devono essere abbandonati quando hanno bisogno del nostro aiuto, del nostro amore e della nostra tenerezza."

PAPA FRANCESCO

mercoledì 4 marzo 2015

Chiesa, che cosa fai del tuo linguaggio?
di Gershom Leibowicz
in “www.baptises.fr” del 2 marzo 2015 (traduzione: www.finesettimana.org)
Nonostante le apparenze, la Chiesa parla una sola lingua, quella della dottrina. La prima fase del sinodo sulla famiglia ha messo in evidenza che la preminenza del linguaggio dottrinale ne costituiva sempre la principale posta in gioco.
Una lingua dottrinale legittima, ma morta
Certo, la lingua del magistero è legittima, perché razionalizza a posteriori la fede della Chiesa. Ma essa non può essere l'unica lingua parlata nella Chiesa, perché si rivela incapace di esprimere senso nelle situazioni che vivono gli uomini e le donne di oggi.
Rifiutando la distinzione e la distanza tra natura e cultura, inglobando queste due nozioni in un solo concetto che è quello della “legge naturale” e che è alla base di questa lingua dottrinale, la Chiesa la condanna a restare teorica, concettuale, atemporale, astratta e cristallizzata. Essa è strutturalmente incapace di tenere in considerazione la storia, inadatta ad integrarla, cioè a rivolgersi alla vita in perpetua evoluzione. Non può quindi raggiungere gli uomini e le donne la cui vita concreta si inscrive in una storia, è un momento di una storia.
La sua logica consiste esclusivamente nel tentare, senza mai riuscirvi, a far entrare una realtà vissuta inserita in una storia, in casi fissati di concetti e di nozioni astratte presentati come un ideale da raggiungere.
Come mettere in relazione dottrina e vita concreta, condizione della testimonianza?
I protestanti hanno risposto alla domanda con il primato della coscienza personale. L'ebraismo ricorre alle possibilità dell'interpretazione senza fine che gli permette anche di raggiungere le persone nella loro storia. La Chiesa cattolica ha preferito aggirare il problema distinguendo dottrina e pastorale. Ma questa manovra di elusione mostra presto i suoi limiti. Da un lato perché la pastorale è sempre subordinata alla dottrina e dall'altro lato perché oggi, essendo la dottrina accessibile a tutti, la pastorale non ha più spazio per dispiegarsi, tenuto conto che la mediazione obbligatoria del confessore che era il suo principale vettore è caduta in desuetudine.
Per una “lingua viva” dei battezzati
Quando Sant'Agostino riflette sul linguaggio e tenta di rispondere alla domanda “di che cosa è segno la parola?”, distingue due nozioni complementari:
– il verbum, parola la cui sola finalità è di essere pronunciata indipendentemente dal suo
senso. Una parola fuori del tempo e della storia, una “parola parlata” senza rapporto con la
realtà, la cui solo funzione è di essere pronunciata. In materia di sacramento, essa esprime la
dimensione “già là” del sacramento stesso. Esempio: il matrimonio sacramentale è
indissolubile. La lingua della dottrina procede dalla dimensione verbum.
– il dictio, parola la cui finalità è di essere totalmente a servizio del significato. È la “parola
parlante”, inscritta nella storia, capace di inserirsi nella nostra storia, di darle un senso, di
aprirle un avvenire. In materia di sacramento, è la dimensione “non ancora” che orienta la
vita.
È nel registro del dictio, quello della vita concreta, capace di raggiungere ciascuno in un momento della sua storia, che si gioca oggi la credibilità della testimonianza. Questa è la lingua dei battezzati.
Legittimare una lingua vivente diversa da quella del magistero
Si può certamente obiettare: che ne è dell'unità della Chiesa, se essa parla diverse lingue?
Effettivamente, se si presuppone che la comunione che è la Chiesa procede obbligatoriamente da un'organizzazione gerarchica piramidale, la pluralità delle lingue è una minaccia per l'unità. E la preminenza del linguaggio dottrinale è giustificata.
Se al contrario si ritiene che la Chiesa comunione risulta dalla tensione feconda e organizzata tra i tre poli di uguale importanza che sono il magistero, i teologi e i fedeli battezzati, la pluralità delle lingue, ciascuna adatta alla sua funzione e alla sua missione a servizio della comunione, è allora possibile e auspicabile.
Questa Chiesa è esistita, non solo nel racconto degli Atti degli Apostoli in cui ciascuno comprende il messaggio nella propria lingua, ma anche, come ha mostrato Yves Congar, all'epoca in cui il sensus communis fidelium era preso in considerazione per ponderare il carattere astratto della lingua magisteriale.
Nel suo funzionamento attuale, la Chiesta sottostima la dimensione dictio del proprio linguaggio subordinandola di fatto alla dimensione verbum da cui tutto dipende. È ciò che contribuisce a squalificare il suo linguaggio, anzi a costituirlo in contro-testimonianza. A questo proposito basta pensare a Humanae Vitae o alla condizione dei divorziati risposati nell'accesso ai sacramenti.
Con molti cattolici, oso dire che i battezzati possono testimoniare l'amore incondizionato di Dio per ciascuno, indipendentemente dalla loro situazione, impegnando la Chiesa, senza indebolirne l'unità né nuocere alla comunione, parlando la loro lingua viva che non è obbligatoriamente una semplice declinazione di quella del magistero. È la posta in gioco del sinodo sulla famiglia, è la mia risposta alla consultazione avviata.

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