martedì 30 gennaio 2018

Janusz Korczak

JANUSZ  KORCZAK  (Varsavia 1878 - Treblinka 1942)

Mi dici: è faticoso frequentare i bambini.
Hai ragione.
Aggiungi: perché bisogna mettersi al loro livello,
abbassarsi, scendere, piegarsi, farsi piccoli.
Ti sbagli.
Non è questo l’aspetto più faticoso.
E’ piuttosto il fatto di essere costretti
a elevarsi fino all’altezza dei loro sentimenti.
Di stiracchiarsi, allungarsi sulle punte dei piedi,
Per non ferirli

sabato 27 gennaio 2018

EPPURE TUTTI SAPEVANO!

Il 17 dicembre 1942 i governi U.S.A., U.R.S.S., inglese e di vari Paesi democratici dell’Occidente pubblicarono una dichiarazione congiunta in cui si affermava, “…le autorità tedesche non paghe di aver negato a persone di razza ebraica i più elementari diritti umani in tutti i territori sui quali si è esteso il loro barbaro dominio, stanno ora mettendo in atto le intenzioni di Hitler, spesso ribadite, di sterminare il popolo ebraico in Europa”.

In effetti le intenzioni di Hitler erano ben note e dichiarate, prime ancora che i nazisti prendessero il potere in Germania; tuttavia erano state sintetizzate in un discorso del 30 gennaio 1939, pronunciato dal dittatore davanti al Reichstag, “…se il giudaismo internazionale dell’alta finanza dentro e fuori l’Europa fosse riuscito a trascinare i popoli in un’altra guerra mondiale la conseguenza non sarebbe stata il trionfo del giudaismo, bensì l’annientamento della razza ebraica in Europa”
E fu di parola. Scoppiata la guerra nel settembre dello stesso 1939, gli Ebrei, già discriminati in Germania e spesso soppressi, furono posti allo sterminio indiscriminato in tutti i Paesi occupati dalla Wehrmacht. Le notizie dei massacri arrivarono negli Stati Uniti e nell'Inghilterra e sui loro quotidiani molto presto e certamente in numero sempre più cospicuo dal 1941 e a cominciare dall’attacco alla Russia. Tuttavia si trattava di notizie poco ascoltate, di episodi non riconducibili, almeno negli articoli pubblicati, ad un vero e proprio genocidio, ad uno sterminio.
Parecchi pregiudizi ponevano ostacoli precisi. Si temevano le esagerazioni in capo alla propaganda di guerra dei Paesi occupati, Polonia in prima battuta; si temevano reazioni di resistenza filo/patriottica da parte della popolazione tedesca spaventata da eventuali rappresaglie degli alleati; faceva velo la cultura anti/giudaica prevalente in Europa ed in America anche ad opera delle Chiese cristiane, infine si riteneva che le priorità da porre in campo non potessero riguardare la questione ebraica, ma la vittoria militare. Questi ostacoli o pregiudizi furono in parte superati nel 1942 quando alcune fonti di informazione arrivarono in Inghilterra e negli Stati Uniti da testimoni diretti della Shoah. Nell’estate dell’anno succitato arrivarono informazioni da un industriale tedesco anti/nazista, Eduard Schulte; egli possedeva alcune miniere nei pressi di Auschwitz, nei territori occupati della Polonia. Alcuni operai che lavoravano alle sue dipendenze e frequentavano per lavoro i campi di sterminio presso Birkenau gli testimoniarono della soppressione giornaliera di migliaia di Ebrei. Vennero informate le ambasciate americana ed inglese a Ginevra. Tuttavia i rispettivi governi non vollero coinvolgere l’opinione pubblica fino al dicembre del 1942 perché temevano di distogliere l’attenzione dalle finalità prioritarie di vincere la guerra. Quando però la Croce Rossa internazionale prima e l’ufficiale della Resistenza polacca Jan Karski dopo insistettero per una presa di coscienza del problema, si arrivò alla dichiarazione, prova inequivocabile della conoscenza di uno sterminio in atto. Karski, cattolico praticante era stato in incognito nel ghetto di Varsavia, aveva assistito ad esecuzioni aberranti nel campo di Izbica Lubelska, presso Belzec e fuggito prima in Inghilterra e poi in America ne aveva potuto informare i rispettivi governi. Eppure nonostante le informazioni, gli alleati ritennero prioritaria la conduzione delle operazioni militari, E non cambiarono neppure opinione nell’estate del 1944, quando due Ebrei fuggiti da Auschwitz/Birkenau testimoniarono dell’intenzione e dei preparativi per la deportazione degli Ebrei Ungheresi. Lo stermino era ben noto: ne sapevano pressoché tutto, ma non la ritennero questione prioritaria.
Dal blog "Appunti Alessandrini".

lunedì 22 gennaio 2018

UN LIBRO PER RICORDARE

Da questo libro è stato tratto il film sulla Shoah Il figlio di Saul di László Nemes, premiato nel 2016 con l'Oscar come miglior film straniero. Un accurato e puntiglioso lavoro di ricerca sul campo di concentramento di Auschwitz, sfata la convinzione che siano stati alcuni ebrei a lavorare nei crematori collaborando con i nazisti, Il libro raccoglie le confessione di una decina di sopravvissuti, non solo ai forni, ma anche all'esplosione finale che doveva distruggere quanto rimasto del campo prima dell'arrivo dei russi. E il ritrovamento di alcuni manoscritti redatti con il sangue, perché non c'erano matite, raccontano le storie di chi doveva scomparire per sempre: ebrei, zingari, comunisti. Sono queste parole di sangue le uniche che hanno diritto di parlare.

venerdì 19 gennaio 2018

“La Memoria è un vaccino prezioso contro l’indifferenza”

Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha nominato Senatrice a vita, ai sensi dell’articolo 59, secondo comma, della Costituzione, la dottoressa Liliana Segre, sopravvissuta ad Auschwitz, per avere dato lustro alla Patria con altissimi meriti nel campo sociale.
Il decreto è stato controfirmato dal Presidente del Consiglio dei Ministri, Paolo Gentiloni. Il Segretario Generale della Presidenza della Repubblica, Consigliere Ugo Zampetti provvederà alla consegna al Presidente del Senato della Repubblica, Pietro Grasso, del decreto di nomina. La Segre è nata a Milano, in una famiglia ebraica nel 1930, quindi ha compiuto 87 anni. Ecco di seguito le parole espresse dalla neo-senatrice in riferimento a questo altissimo riconoscimento.
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<<Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella mi ha chiamato stamattina comunicandomi la decisione di nominarmi senatrice a vita. Lo ringrazio per questo altissimo riconoscimento. La notizia mi ha colto completamente di sorpresa. Non ho mai fatto politica attiva e sono una persona comune, una nonna con una vita ancora piena di interessi e di impegni. Certamente il Presidente ha voluto onorare, attraverso la mia persona, la memoria di tanti altri in questo anno 2018 in cui ricorre l’80esimo anniversario delle leggi razziali.Sento dunque su di me l’enorme compito, la grave responsabilità di tentare almeno, pur con tutti i miei limiti, di portare nel Senato della Repubblica delle voci ormai lontaneche rischiano di perdersi nell’oblio. Le voci di quelle migliaia di italiani, appartenenti alla piccola minoranza ebraica, che nel 1938 subirono l’umiliazione di essere degradati dalla Patria che amavano; che furono espulsi dalle scuole, dalle professioni, dalla società dei cittadini ‘di serie A’. Che in seguito furono perseguitati, braccati e infine deportati verso la ‘soluzione finale’. Soprattutto le voci di quelli, meno fortunati di me, che non sono tornati, che sono stati uccisi per la sola colpa di essere nati, che non hanno tomba, che sono finiti nel vento.Salvare dall’oblio quelle storie, coltivare la Memoria, è ancora oggi un vaccino prezioso contro l’indifferenza e ci aiuta, in un mondo così pieno di ingiustizie e di sofferenze, a ricordare che ciascuno di noi ha una coscienza. E la può usare. Il mio impegno per tramandare la memoria, contrastare il razzismo, costruire un mondo di fratellanza, comprensione e rispetto, in linea con i valori della nostra Costituzione, continuerà ora anche in Parlamento, ma, lo dico sin d’ora, senza trascurare la mia attività con gli studenti.Continuerò finché avrò forza a raccontare ai giovani l’orrore della Shoah, la follia del razzismo, la barbarie della discriminazione e della predicazione dell’odio. L’ho sempre fatto, non dimenticando e non perdonando, ma senza odio e spirito di vendetta. Sono una donna di pace e una donna libera: e la prima libertà è quella dall’odio.>>   LILIANA SEGRE.

martedì 16 gennaio 2018

La chiesa ha davvero ancora bisogno di preti?

Ogni contesto culturale produce i suoi protagonisti a tutti i livelli della società civile. C’è stata l’epoca delle contrade e l’epoca degli artigiani. C’è stato un tempo in cui il mondo romano era diviso tra patrizi e plebei. E mentre l’Occidente inventava la stampa, nelle culture andine dell’America Latina, la civiltà sviluppava una cosmogonia in cui uomo, donna, animali e piante erano in perfetta armonia. Oggi, invece, dominano i super mercati, perché rispondono meglio alle esigenze del nuovo modello globalizzato di società e di economia. Non a caso i supermercati li troviamo in ogni angolo del pianeta. In ogni latitudine del pianeta e in ogni epoca troviamo forme di religiosità con i suoi templi e i suoi sacerdoti. Ci sono dei dati antropologici universali come la religione e dei modi contestualizzati di viverli. Nella storia delle religioni gli attori che ruotano intorno al sacro non sono solo uomini, ma anche donne. Mutano le condizioni sociali, mutano allo stesso tempo gli attori del sacro.
Anche la Chiesa è un’istituzione umana che risponde a logiche del mondo e, di conseguenza, anche lei è soggetta a mutamenti nel corso dei secoli, ha mutato sia la ritualità attraverso cui esprime l’evento originario, sia la tipologia di coloro che sono addetti ai riti religiosi. Certamente la Chiesa ha un mandato divino e si alimenta di Dio, ma il modo di gestirla utilizza criteri umani. Come tutte le istituzioni che durano nel tempo, anche la Chiesa fa fatica ad adattarsi ai mutamenti necessari. Il passare del tempo provoca assestamenti strutturali che vengono identificati come identitari e, di conseguenza, immodificabili. Tutto ciò avviene quando una tradizione culturale o religiosa perde il contatto con la sua origine, oppure quando tra l’origine e il presente della storia s’interpongono tradizioni di provenienza esterna, che modificano l’identità della struttura stessa. La mancanza di un gruppo di sapienti, che mantengono il contatto con l’origine, e che può allertare la base di un movimento politico o religioso circa le distorsioni in atto, provoca lentamente e progressivamente la base identitaria del gruppo.
E così, può succedere e di fatto succede, che una religione o un gruppo politico con il tempo si trasforma, allontanandosi dalla sua origine da risultare pressoché irriconoscibile. Le mutazioni all’interno di una struttura sociale, religiosa e politica sono inevitabili e, per questo, occorre essere in grado di accompagnare i cambiamenti per non correre il pericolo di distruggere il contenuto originario.
Muta, in questa prospettiva, all'interno della religione cattolica in questa epoca denominata di post-cristianesimo, anche la figura del prete, il suo modo d’intenderlo, la sua funzione nella comunità.
Questo cambiamento è nella regola delle cose della società civile. Sono i cambiamenti culturali che dettano le indicazioni per i cambiamenti di tutte le strutture che ne fanno parte e che non vogliono perdere il loro posto. Nelle epoche denominate di passaggio, come quella che stiamo vivendo, il pericolo consiste nel non coglierlo e nel non riuscire a intuire i cambiamenti necessari per permettere alla propria struttura di rimanere dentro. Che cosa, allora, dovrebbe cambiare nella modalità del prete cattolico di esercitare il suo ministero? Ancora di più è possibile chiedersi: è proprio necessaria questa figura nel nuovo quadro culturale e sociale che si sta configurando? Se è vero, come c’insegnano i documenti della Chiesa e una lunga tradizione che deriva dai Padri della Chiesa, che è l’Eucarestia che fa la Chiesa, allora occorre mettere le comunità cristiane in grado di nutrirsi di essa. Nell’attuale contesto culturale è in atto, da alcuni decenni, una progressiva e inarrestabile diminuzione del clero, di coloro chiamati cioè a presiedere le comunità per celebrare l’Eucarestia. In Italia, ma non solo, già da qualche anno sono in atto nelle Diocesi delle proposte per arginare il problema. La più significativa è quella delle Unità Pastorali, che vede il raggruppamento di alcune parrocchie affidate ad un solo parroco.
Con l’andare del tempo, questo nuovo modello di ristrutturazione delle parrocchie non permetterà più alle comunità di avere la possibilità dell’Eucarestia domenicale. Del resto, questo problema è già visibile nelle parrocchie delle nostre montagne e in altri paesi come la Francia. 
Perché non cambiare sistema? Se il problema è permettere alle comunità cristiane di alimentarsi dell’Eucarestia perché insistere con il modello del prete celibe e votato alla Chiesa per tutta la vita? Perché non provare a proporre figure più al passo con i tempi, persone che offrono un servizio limitato nel tempo? Si potrebbero ordinare persone della comunità, di fede provata il cui carisma è riconosciuto dalla stessa comunità. Che tipo di persone? Persone celibi o sposate, uomini o donne. Si anche donne. E’ inutile, infatti, che la Chiesa continui a parlare di genio femminile, se poi esclude le donne dalla possibilità di guidare una comunità. Non può la Chiesa farsi da paladina della lotta contro le ingiustizie causate dalle disuguaglianze sociali, quando esclude le donne dalla possibilità di far parte dei quadri che dirigono le sorti della Chiesa. In fin dei conti si tratta di mantenere viva la fede del Popolo di Dio e, di conseguenza, occorre fare di tutto affinché i fedeli si alimentino del Signore.
Perché la Chiesa resiste così tanto al cambiamento? Non è un problema di Vangelo, ma di potere. Abituata da secoli ad essere significativa e incisiva in Occidente sul piano politico e sociale, avere totalmente a disposizione un schiera di uomini celibi per tutta la vita, qualificati e sottopagati, vuole dire molto. Togliere questo esercito di uomini che firma un giuramento di totale obbedienza all’istituzione, significa privarsi di quella struttura specifica che ha espresso il modo della Chiesa di stare nel mondo. A mio avviso la Chiesa non rinuncerà mai a loro. Si terrà stretta questa schiera di uomini celibi votati fino alla morte a Lei, sino al momento in cui ne rimarrà uno solo. Chi è abituato a comandare, fa fatica ad attorniarsi di persone con cui interloquire alla pari. Nel frattempo sarà la base, il Popolo di Dio che si organizzerà per mantenere viva la fede. L’ho visto fare in America Latina. Siccome il prete passa raramente nelle comunità, sono le persone stesse che vivono in comunità che si organizzano per leggere settimanalmente la Parola di Dio e celebrare alla domenica. La fede è più forte di qualsiasi istituzione. Questo lavoro di base contaminerà anche la struttura della Chiesa. Per ora, sarà importante modificare lentamente il cammino delle comunità per metterle in grado di sopravvivere. In questo modo la notizia della caduta del palazzo sarà meno rumorosa.
Per le Unità Pastorali, che avranno la tendenza in futuro di aumentare di dimensioni, si potrebbe pensare ad una figura che coordini il lavoro pastorale ed economico delle parrocchie coinvolte. Mentre per la guida della comunità, scelta tra il popolo delle comunità, si potrebbe pensare ad una remunerazione frutto del contributo della stessa comunità, per i coordinatori delle Unità Pastorali, che potrebbero essere svolti da laici debitamente preparati, si potrebbe pensare ad uno stipendio con il contributo dell’otto per mille. In questo modo, si uscirebbe dallo schema prevalentemente monastico della guida della comunità, che la vede separata dal popolo di Dio, per uno più conforme alle esigenze del tempo. Due figure, allora, si delineano nel cammino della Chiesa futura: quello del presidente dell’assemblea eucaristica, che celebra l’Eucarestia e quello del coordinatore delle Unità Pastorali. Queste figure pastorali esigono anche una spiritualità nuova che le alimenti e cammini formativi differenziati. Se le guide della comunità sono scelte tra coloro che vivono nella stessa e che probabilmente sono sposate, la spiritualità dovrà rafforzare il significato e il vissuto della vita matrimoniale. In questa prospettiva i seminari, così come oggi sono concepiti, non saranno più necessari, perché la formazione delle guide delle comunità avverrà all’interno della comunità stessa.
Senza dubbio, si potranno prevedere percorsi formativi specifici, ma la maggior parte del percorso formativo è bene che sia realizzato nella comunità. Se fino ad ora la figura della guida della comunità aveva nel celibato il segno di un’appartenenza esclusiva a Dio e, per questo, viveva distante come stile di vita dal resto della comunità, ora è sempre più richiesta una figura di guida che condivida lo stile di vita della comunità.
Cambiando il tipo di figura della guida della comunità, cambia anche la spiritualità. Un presidente dell’Eucarestia preso fra il popolo e probabilmente sposato, non può alimentarsi con una spiritualità di stampo monastico, com’è quella del prete. La Chiesa dovrà provvedere ad elaborare una teologia laicale capace di andare incontro alle nuove esigenze. Oltre a ciò, pensando anche a presidenti dell’eucarestia donne, come del resto avviene da decenni anche in alcune chiese protestanti, si dovrà sviluppare sempre di più una teologia femminista capace di raccogliere le sfide dello sguardo femminile sulla realtà. Ci sarà, quindi, bisogno di una spiritualità meno di élite e più incarnata nella vita della gente. Probabilmente il tipo di teologia che elaborerà questo stile di Chiesa incarnato in mezzo al popolo di Dio, sarà meno esigente, meno propensa a porre dei pesi insostenibili alle persone – si pensi alla morale sessuale cattolica – e più al passo con la vita della gente. Ci troveremo dinanzi ad un cristianesimo che lavora meno sul sacro, ma avrà un volto più umano, molto più simile, cioè, al Gesù dei vangeli. Il mondo scristianizzato della nostra epoca post cristiana avrà la possibilità di vedere una chiesa più aderente al Vangelo, più alla ricerca dell’essenziale che della pompa. Come in tutte le cose e in tutte le istituzioni sociali e politiche, dallo stile dei capi si capisce il valore di un’istituzione. 
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di don Paolo Cugini,prete della diocesi di Reggio Emilia, già missionario in Brasile 
in “NotiCum” - Il volto della missione – anno 55 – n. 1 del gennaio 2018

lunedì 15 gennaio 2018

Martin Lutero

<<La superstizione, l'idolatria e l'ipocrisia percepiscono ricchi compensi, mentre la verità va in giro a chiedere l'elemosina.>>

sabato 13 gennaio 2018

GIORNATA MONDIALE DEL MIGRANTE E DEL RIFUGIATO

O Dio, Padre Nostro, amante
della pace, che conosci il cuore, la
ricchezza e la fragilità di ciascuno,
ascolta la mia preghiera.
Molti migranti hanno seguito la
stella della speranza di una vita
degna. Per i più il cammino è stato
lungo e difficile, spesso disumano,
e ancora non è terminato. Molti
non ce l'hanno fatta.
Aiutaci a costruire una
comunità accogliente. Aiutami
a dare il mio contributo. Fa' che
il mio contributo, per quanto
piccolo, possa essere significativo.
Sostieni chi viaggia, sostieni che
accoglie, apri il cuore di chi non
vuole accogliere, apri il mio cuore
quando io non voglio accogliere.
Signore, io per primo ho bisogno
di essere accolto da Te, nella mia
fragilità, nella mia unicità e
particolarità. Donami di poter
restituire al prossimo quello che
ricevo da te.
Nel nome di Gesù, il rifugiato in
Egitto, noi ti preghiamo.
Amen.

venerdì 12 gennaio 2018

UN PICCOLO E VERO...MIRACOLO!

Non conta tanto chi si prega, ma frequentare i luoghi di culto aiuta a vivere più a lungo. Una ricerca su Plos mostra che le persone che partecipano a funzioni religiose sono più protette dal rischio di morte per qualsiasi causa.

Come noto, condizioni sociali ed economiche hanno un impatto sulla salute. Per capire se anche le attività religiose potessero essere un valido predittore di mortalità, i ricercatori della Emory Rollins School of Public Health hanno reclutato 18.370 statunitensi di età pari o superiore ai 50 anni. I partecipanti allo studio sono stati intervistati nel 2004 e seguiti fino al 2014. Si è così scoperto che chi aveva frequentato funzioni religiose almeno una volta a settimana aveva un rischio di mortalità inferiore del 40% rispetto a chi non aveva mai partecipato.

I frequentatori più assidui avevano infatti meno probabilità di fumare o bere alcolici, erano più propensi a effettuare screening sanitari e a fare attività fisica. Non c'erano invece differenze per il tipo di religione seguita. I dati sono stati depurati da fattori 'confondenti', in quanto anch'essi associati a un miglior livello di salute, come il reddito elevato e il genere femminile.

"La religiosità attiva è un marker che caratterizza una popolazione che ha minor rischio di morte, in virtù di un insieme di fattori protettivi, come migliori stili di vita e maggiore propensione alle relazioni sociali", spiega all'ANSA Raffaele Antonelli, professore di professore di Medicina interna e geriatria presso l'Università Campus Biomedico di Roma e, dal primo gennaio 2018, presidente della Società Italiana di Geriatria e Gerontologia (Sigg). "Lo spirito religioso - prosegue - si associa in genere ad un'attitudine mentale positiva, che 'protegge' da malattie che si associano a personalità poco duttili, come ictus o colite ulcerosa. Ed è infine documentato che la religiosità protegge dalla depressione, notoriamente a sua volta associata a malattia e morte".(ansa)

giovedì 11 gennaio 2018

ECUMENISMO BERGAMASCO

Si chiamerà “Parco Martin Lutero alla Trucca” il polmone verde più esteso della città di Bergamo, in via Martin Luther King. A darne notizia l’Assessore all’innovazione del Comune di Bergamo Giacomo Angeloni, che giovedì 21 dicembre ha presentato la delibera con cui la Giunta ha dato il via libera ufficiale all’intitolazione: «Ci sembra una scelta doverosa, in linea con la politica di un’amministrazione che negli anni si è distinta per avere dato voce a più culti e culture» ha dichiarato Angeloni che ha proseguito: «La scelta è ricaduta sul parco più grande e bello della città. Un luogo molto frequentato che speriamo possa interrogare gli avventori sulla storia di un personaggio così importante». Il Consiglio comunale aveva già votato all’unanimità, lo scorso giugno, un ordine del giorno proposto dal consigliere Nicola Eynard, membro della locale chiesa valdese. La cerimonia d’intitolazione è prevista nella primavera 2018.

PUNTI DI VISTA

Riporto dal sito "Riforma.it-Il quotidiano on line delle Chiese evangeliche battiste,metodiste e valdesi in Italia".
Finalmente il Parlamento ha approvato la legge su «consenso informato e disposizioni anticipate di trattamento» per permettere al malato l’esercizio della propria volontà sul trattamento e sul «fine vita». Non saranno più solo i medici a decidere su questa materia così delicata. In verità il consenso informato (e il rifiuto) era già adombrato nella Costituzione (art. 32, §b), anche se con limitazioni di legge. La prassi dell’accanimento terapeutico è finalmente tramontata. Non si tratta di eutanasia, ma del rifiuto di terapie che prolungano all’infinito una vita vegetativa. Questa la nuova situazione.

Questa impostazione ci avvicina alla parola di Gesù che commentiamo: «chi può con le sue preoccupazioni aggiungere un’ora sola alla durata della sua vita?». Questa parola indica con semplicità l’idea che la vita (alla nascita e al termine) è «materia indisponibile»: nessuno può manipolarla a piacimento. Il principio alla base di questa indicazione è che tutto ciò che appartiene al mondo naturale (umano, animale e vegetale) ha un inizio e una fine. Ma spesso medico o paziente vogliono rimandare il fine vita. La visione biblica è molto più ampia: non solo la vita, ma anche la morte è nelle mani di Dio. Dio infatti è, nello stesso tempo, il Signore della vita e il Signore della morte.

Per motivi spesso inconfessabili, noi ricordiamo continuamente che la vita è nelle mani di Dio, un suo dono, quindi intoccabile, ma dimentichiamo nello stesso tempo che anche la morte è similmente nelle mani di Dio. L’accettazione di questi limiti ci reca serenità: noi siamo sempre, dal momento della nascita a quello della morte, nelle mani di Dio. In questa chiave comprendiamo facilmente che la vita e la morte costituiscono due aspetti specifici della dignità umana, due caratteri indisponibili di ogni persona umana.

martedì 9 gennaio 2018

lunedì 8 gennaio 2018

Appello perché Erasmo sia veramente riconosciuto come maestro per tutti di umanità e di universalità

Nel 1501 Erasmo da Rotterdam scriveva l'Enchiridion militis christiani in cui formulava succintamente le sue proposte di riforma della Chiesa (pubblicato nel 1503 e ripubblicato a Lovanio nel 1515). Nel 1517 Martin Lutero pubblicava le sue “novantacinque tesi” suscitando le rimostranze dei conservatori e del Vaticano ed Erasmo il 14 agosto 1518 faceva precedere la riedizione in Basilea (Froben) dell'Enchiridion da una importante prefazione di 25 pagine, in cui - non ravvisando alcun elemento di eresia nella posizione luterana - volle ribadire l'urgenza di una riforma di cui si avvertiva il bisogno da almeno tre secoli.
Erasmo nella comunità degli specialisti è riconosciuto come maestro (Programma Erasmus e Praemium Erasmianum), ma le culture confessionali cristiane risentono ancora di una “damnatio memoriae” di cui fu vittima nella Chiesa romana per non aver voluto prendere posizione contro Lutero a favore della “Controriforna”, e per le ragioni opposte, per non avere aderito alla “Riforma”, oltre che per l'utilizzo dell'umorismo e della satira in argomenti ritenuti “religiosi”.
Anche nei recenti incontri di papa Francesco con i Valdesi e i Luterani, Erasmo non è stato ricordato.
Un'incoerenza che, se la Chiesa è “semper reformanda”, va risolta con la libertà della ricerca teologica e la cattedra dottrinale estesa ai laici senza previa santificazione, secondo la definizione equiparatrice del laicato data dal Vaticano II.
Il coraggio della Chiesa di autoriformarsi avrebbe potuto evitare la Riforma e, soprattutto la Controriforma: Erasmo da Rotterdam, inattaccabile per la sua grande fama di intellettuale, si era espresso tempestivamente perché la Chiesa evitasse conseguenze prevedibili. Un dottore della Chiesa mancato? In futuro la Chiesa vorrà imparare solo da "dottori" consacrati dalla santità riconosciuta e dal Sant'Uffizio o accetterà di imparare anche da un Erasmo, che già credeva nella libera ricerca teologica? A questo interrogativo ci aspettiamo dia una risposta esplicita chi, nella Chiesa cattolica, cerca di testimoniare l’Evangelo senza essere prigioniero di direttive o di preclusioni di alcun tipo.
Erasmo da Rotterdam conclude il Medio Evo e inaugura la Modernità – è il padre dell'Illuminismo - ma il suo universalismo è stato tradito: in questo tempo di violenza il mondo (e non solo le Chiese e le Religioni) ha bisogno di un Maestro quale è stato Erasmo che assuma i valori universali di una spiritualità della Pace contro tutti i particolarismi – anche ti tipo religioso - che lo dividono.
Deve essere valorizzato il messaggio erasmiano per contrastare ogni tentazione di considerare la guerra e le armi come mezzi adeguati a risolvere i conflitti tra i popoli e la conquista come legittimo titolo di proprietà territoriale e supremazia culturale.
Soprattutto gli va riconosciuta la valorizzazione delle spiritualità per uscire dal dogmatismo delle religioni e dalle contrapposizioni confessionali.
In particolare ci sembra che egli possa essere ispiratore di un’Europa diversa da quella attuale, attraversata da troppi particolarismi ed egoismi.
Questo lavoro di riconoscimento, recupero e valorizzazione spetta certamente a tutti coloro che hanno a cuore le sorti dell'umanità e soprattutto a coloro che hanno un ruolo nella ricerca, nella scuola e nei mezzi di comunicazione.
Tempi di fraternità metterà a disposizione di tutti un numero monografico “Ripartiamo da Erasmo” dal prossimo giugno per rilanciare la figura di Erasmo da Rotterdam come fattore unificante della civiltà nel Terzo Millennio.
Gianfranco Monaca, Giorgio Saglietti, Danilo Minisini, Davide Pelanda, Riccardo Cedolin, Giorgio Bianchi, Andreina Cafasso, Daniele Dal Bon, Luisa Vigna, Giancarla Codrignani.Vittorio Bellavite, Enrico Peyretti , Alberto Simoni ecc

giovedì 4 gennaio 2018

VICTOR HUGO

<<Se fosse dato ai nostri occhi terreni di vedere nella coscienza altrui, si giudicherebbe molto più sicuramente un uomo da quel che sogna, che da quel che pensa.>>

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