mercoledì 26 dicembre 2012

VOGLIA DI AUTENTICITA' NELLA CHIESA

Care amiche e cari amici, ancora una volta, in prossimità del Natale, desideriamo ritessere il dialogo con voi, per condividere tristezze e angosce, gioie e speranze, più che mai convinti che “nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel cuore dei discepoli di Cristo(Gaudium et spes, 1). Questa decima lettera, quindi, per continuare a riflettere con voi sul senso della nostra esperienza di fede, chiamata a tradursi in testimonianza d’amore. Dieci appuntamenti a cui siamo stati fedeli nel corso degli anni. Per noi è stata l’occasione di parlare del nostro amore alla Chiesa, popolo di Dio, voluta dal Maestro di Nazaret. Per chi ci ha letto e ci leggerà, l’opportunità di riflettere su pensieri e idee che attraversano le nostre e le vostre menti per scendere poi nei cuori e farne una vera e propria passione. Siamo un piccolo gruppo di preti. Impegnati in parrocchia, in carcere, sulla strada, nell’accoglienza dei poveri e degli stranieri, per la giustizia e la pace, nell’ascolto di fratelli e sorelle. Non presunzione ma passione, quindi, ci ha stimolato a continuare anche quando il dubbio, la perplessità e la fatica ci avrebbero sconsigliato di scrivere e di comunicare. L’idea di incontrare il pensiero di molti, approvazione e dissenso, per poi dibattere e persistere nel cercare la verità, ci hanno fatto immaginare anno dopo anno la lettera di Natale ….
 Un tempo doloroso e complesso
Condividiamo con tutti voi la complessità della situazione storica presente. La crisi economica, causata da una finanza autoreferenziale e senza etica, provoca ricadute drammatiche sulla vita delle persone e delle famiglie.Decine di migliaia sono i licenziamenti dal lavoro e manca ogni prospettiva per il futuro dei giovani in particolare. La crisi coinvolge tutta l’umanità, a partire dagli impoveriti e affamati che da sempre vivono questa condizione. La causa è strutturale ed esige un’altra visione del mondo, un’economia di giustizia e di uguaglianza reali, una nuova regola di vita.Ventitré paesi d’Europa hanno aderito, uniti, e in modo significativo, alle manifestazioni di mercoledì 14 novembre nella quale sono stati evidenziati i costi perversi del mondo della finanza dichiarati come accessori per far parte della “civiltà mondiale”: il superamento e lo svuotamento delle forme di democrazia come le abbiamo fino ad ora sperimentate; l’irrisione del significato sociale del lavoro; l’impoverimento radicale di popoli e individui in nome del primato del mercato. Ci uniamo a queste proteste, considerando anche come i tagli operati nel nostro Paese non abbiano riguardato denaro e immobili dei ricchi né i cacciabombardieri F35, ma scuola, sanità e welfare, fasce di popolazione già deboli e in difficoltà.
L’attuale crisi viene da lontano e si intensifica: spaesamento rispetto a dimensioni etiche condivise; diffuse forme di individualismo e di materialismo esasperati; minore appartenenza e partecipazione alla casa comune; illegalità e corruzione: ogni anno 60 miliardi di euro di corruzione e 120 di evasione fiscale, quindi 180 miliardi di euro sottratti al bene comune; crisi della politica; chiusura autoreferenziale delle religioni in nicchie sacrali separate dalla storia, compresa la Chiesa a cui con convinzione e consapevolezza critica apparteniamo come preti. Esprimiamo la nostra convinta partecipazione al movimento che si estende in tutta Europa per una riforma urgente e significativa della Chiesa. Ci sentiamo uniti a quanti, sacerdoti e laici, donne e uomini dell’Austria e della Svizzera tedesca, movimenti ugualmente presenti in Germania, Belgio, Olanda, Francia e Italia, operano per una Chiesa dal volto evangelicamente più umano e con insistenza chiedono un dialogo aperto e sincero su alcune questioni fondamentali anche a partire dal Concilio ecumenico Vaticano II: una Chiesa capace di dialogare con le religioni, le culture, soprattutto con i drammi di questa nostra umanità, disponibile a condividere l’Eucarestia con tutti i battezzati e i fratelli riformati, impegnata a ritrovare una comunione reale con i divorziati e risposati, attenta a valutare presenza e partecipazione nella comunità ecclesiale di omossessuali, eterosessuali, transsessuali, capace di interrogarsi responsabilmente sul sacerdozio alle donne, sul celibato dei preti, sull’ordinazione di uomini sposati.
 Una nuova umanità
Quotidianamente condividiamo con tante persone un interrogativo alla cui risposta siamo chiamati non in modo teorico, bensì relazionale e con scelte di vita: qual è il nostro progetto di umanità? Un’umanità nella quale sia affermata e rispettata la dignità di ogni persona, qualsiasi sia la sua condizione e situazione; nella quale sia dichiarata e praticata la giustizia; uguale per tutti; la libertà e la verità siano ricercate e attuate; la pace sia vissuta ed esigita, reclamando con forza la progressiva e riscontrabile riduzione delle armi e delle guerre; nella quale l’accoglienza di ogni altro, con attenzione a chi fa fatica, all’immigrato, al carcerato, al sofferente psichico, a tante situazioni nascoste, diventi vissuto quotidiano; la solidarietà non copra l’ingiustizia e l’emarginazione; la gratuità diventi l’anima dell’agire oltre il dare e il ricevere; la spiritualità sia dimensione della profondità dell’animo per attraversare ogni situazione della storia. Avvertiamo oggi la necessità e l’urgenza di ridare verità a queste parole, proprio perché spesso vengono rubate, manipolate, inquinate quando la giustizia viene pronunciata con solennità da chi spesso la calpesta; le dichiarazioni di pace coprono azioni di guerra; la libertà e la verità troppo spesso diventano individualismo, omertà, impunità, menzogna; l’accoglienza è selezionata, emarginata e reclusa; la solidarietà diventa gesto occasionale e assistenziale; la gratuità è avvertita come idealismo ingenuo e perdita di efficienza; la spiritualità come spiritualismo che fugge dalla responsabilità della storia. Desideriamo condividere con tutti, uomini e donne, la pretesa di attribuire a queste straordinarie parole la verità della vita e della storia delle persone; di smascherare e denunciare il loro uso strumentale e inaccettabile. Sono le scelte e la coerenza della vita a riempire di significato autentico le parole.
 Fragilità e grandezza del nostro essere donne e uomini
Nella nostra vita di preti, ma anche dall’incontro con le storie di tante donne e tanti uomini, sperimentiamo l’ambivalenza dell’essere umano. E’ certamente importante riflettere sul rapporto fra persona e ambiente familiare, sociale, culturale, politico, religioso; sugli insegnamenti e sui condizionamenti, in relazione alla libertà personale. Costruire un’umanità più umana, significa assumere tutta l’umanità nei suoi diversi aspetti, senza fideismi e senza parentesi, senza sconti e omissioni, senza la presunzione di essere gli unici a praticare la carità (come, in forma gravemente antievangelica, afferma uno spot televisivo: “Se non noi chi?… nessuno”). A questo proposito, così ci insegna il Concilio Vaticano II: “Tuttavia la Chiesa non pone la sua speranza nei privilegi offertigli dall’autorità civile anzi essa rinunzierà all’esercizio di certi diritti legittimamente acquisiti, ove constatasse che il loro uso potesse far dubitare della sincerità della sua testimonianza o nuove circostanze esigessero altre disposizioni”(Gaudium et Spes 76).
 La crisi della politica
Che la politica sia indispensabile lo si avverte maggiormente proprio ora. Una delle situazioni più preoccupanti, però, è la crisi della politica che riguarda i contenuti, la rappresentatività, i metodi. Noi continuiamo a credere con don Lorenzo Milani che la politica “è l’arte di uscire insieme dai problemi, perché tutto il resto è egoismo” e con papa Paolo VI che “la politica è la più alta espressione della carità”. La crisi è culturale ed etica e si concretizza in un apparato di privilegi separato dalla società; in modalità, linguaggio e comportamenti troppo spesso offensivi della dignità, del lavoro, delle fatiche, dell’onestà dei cittadini. Siamo a conoscenza di tante donne e di tanti uomini impegnati in politica in modo cosciente e disponibile, vero servizio ai cittadini. Il più delle volte la loro esemplarità viene oscurata da corruzione e illegalità che senza indugi e attenuazioni, andrebbero sempre e prontamente denunciate. Stiamo entrando in un periodo di elezioni a livello nazionale e regionale. Siamo convinti dell’urgenza di un profondo rinnovamento della politica, a cominciare da una legge elettorale che esprima e non mortifichi la democrazia e la libertà di scelta; che concentri nel programma elettorale le questioni decisive per la vita delle persone: istruzione, scuola, formazione, ricerca, cultura; salute; lavoro; attenzione alle persone più deboli, più fragili; attenzione del tutto particolare ai giovani, al loro presente e al loro futuro. Per quanto riguarda i candidati pensiamo a persone, donne e uomini appassionate, esperte o comunque disponibili ad impegnarsi per imparare; in rapporto con le storie delle persone e delle comunità; disinteressate, oneste, trasparenti, motivate dal servizio al bene comune. Dove si collocano i cattolici in politica, proprio a partire dall’insegnamento del Concilio Vaticano II a cinquant’anni dal suo inizio? Siamo convinti che non ci possono essere confessionalismi né di centro destra, né di centro sinistra: la laicità della politica è dimensione sempre da salvaguardare. Chi si ispira al Vangelo e partecipa alla comunità cristiana porterà nella politica tale ricchezza interiore, senza farla diventare partito e schieramento, trasferendola come patrimonio nella intelligente e alta mediazione legislativa, mentre assume come criterio sempre e comunque i poveri, i sofferenti, gli emarginati. Ci pare doveroso evidenziare la pretesa impropria di una parte politica che afferma di rappresentare e di difendere i valori cattolici (ad esempio, i cosiddetti valori non negoziabili) con l’approvazione della gerarchia della Chiesa, mentre manifesta convinzioni, atteggiamenti, comportamenti riguardo al neoliberismo, ai privilegi, alla guerra, all’immigrazione contrastanti il messaggio del Vangelo con evidenze di corruzione e immoralità.
 Le vere ricchezze della Chiesa
Viviamo nella Chiesa come parte del popolo di Dio in cammino nella storia, come preti e ne avvertiamo ricchezze e tribolazioni, coerenze, fragilità e paure. A cinquant’anni dall’inizio del Concilio Vaticano II rileviamo la presenza di persone e comunità che vivono con autenticità il riferimento al Vangelo di Gesù e il tentativo di attuarlo in modo coerente nella vita e nella storia. Constatiamo anche un diffuso conformismo religioso; una gerarchia timorosa che ripete esortazioni senza incarnarsi e assumere la storia; che riafferma in modo automatico che solo la fede può portare salvezza ad una umanità ammalata, senza approfondire quale fede, in quale Dio, in quale Gesù; senza chiedersi come si pre- senti la Chiesa nell’annunciare il Vangelo dell’Uomo di Nazaret.Anche il recente Sinodo mondiale dei vescovi ha rivelato una scarsa incisività dei contenuti. Pure nelle nostre diocesi si avverte distanza fra i vissuti di tante donne e di tanti uomini, giovani e anziani, impegnati nelle comunità parrocchiali, e i momenti istituzionali della Chiesa.Ancora una volta desideriamo condividere la fede umile che, credendo, continua a ricercare profondità e autenticità nel Dio umanissimo di Gesù di Nazaret che, sentiamo, può essere riferimento per tante donne e uomini del nostro tempo, proprio perché ci insegna a vivere e amare, soffrire e morire nel modo più umano possibile. Desideriamo condividere con voi l’esperienza della Chiesa dell’accoglienza di ogni persona; che non consideri nessun valore “non negoziabile”, proprio perché reputa fondamentale ascoltare, e quindi dialogare con le persone sulle loro storie di vita; l’esperienza di una Chiesa povera e abitata dai poveri, liberata dall’abbraccio mortale con il potere economico, politico, militare, mediatico. Di una simile Chiesa c’è bisogno in ogni momento della storia.
 Guardando avanti
Condividiamo una speranza che si nutra della Parola profetica del Vangelo; della testimonianza coerente di tante donne e di tanti uomini nella società, nelle istituzioni, nelle religioni a livello locale e su tutto il Pianeta; del patrimonio dei profeti e dei martiri. Senza attenuare la complessità e la crisi attuali, riteniamo fondamentale nutrire il progetto di un’umanità veramente umana e trovare il senso stesso della vita nella dedizione e nell’impegno per attuarlo nella storia. Libertà, responsabilità, bene comune sono dimensioni costitutive e imprescindibili insieme alla fedeltà, alla coerenza e alla perseveranza. La povertà è espressione di un affidamento radicale a Dio e si manifesta come sobrietà, essenzialità, condivisione, è atteggiamento interiore e pratica da riscoprire e da vivere nelle scelte personali e familiari, comunitarie e sociali, politiche ed ecclesiali.Ci pare di scorgere in noi preti firmatari e in tante persone l’esigenza profonda, irrinunciabile di un risveglio culturale ed etico, politico e spirituale per una nuova visione del mondo. Anche nella complessità e nella crisi individuiamo i segni che ci incoraggiano. Non arrendiamoci dunque, ma disponiamoci a rendere ragione con la vita della speranza che è in noi per un mondo nuovo e una Chiesa del Vangelo.
 Condividere questa speranza è sentirsi parte dello stesso progetto e del medesimo cammino.
 Pierluigi Di Piazza, Franco Saccavini (Udine); Mario Vatta (Trieste); Giacomo Tolot, Renzo De Ros, Piergiorgio Rigolo (Pordenone); Luigi Fontanot, Alberto De Nadai, Andrea Bellavite (Gorizia); Antonio Santini (Vicenza); Albino Bizzotto (Padova)

lunedì 24 dicembre 2012

IL LINGUAGGIO DEI REGALI

Arriva il Natale, che sembra essere rimasto nel cuore della gente solo per luci e regali. Che poi oggi sono in fase calante visto l’aria che tira e scendono come investimento al 75% rispetto al 2011. Ma nonostante noi pensiamo che il Natale sia altro che le spese rituali, guardiamoli da vicino i regali perché il regalo comunque “significa” qualcosa: svela l’idea che abbiamo sull’elemento ormai rimasto centrale nel Natale, i bambini.

Infatti esistono varie categorie di regali:

La prima sono i “regali-istruttore”, che implicano il seguente messaggio: “Ecco il tuo modello, quello che noi ci aspettiamo da te”. In questa categoria vediamo i regali che modulano il bambino secondo le nostre aspettative sociali e familiari. Non avete notato infatti che ad esempio oggi cagnolini di peluche e gattini hanno sostituito i bambolotti umani negli scaffali dei regali? Non c’è più Cicciobello, ma Fuffi, come a dire ai bambini: “Ci aspettiamo da voi che ci chiediate un criceto e non un fratellino!”. Oppure abbiamo tutta la serie di bambole-fotomodelle dalle misure fisiche impossibili (hanno la pancia dello stesso diametro delle vertebre) come a dire “ecco cosa ci aspettiamo che diventiate”.  Il bello è che queste aspettative genitoriali non sono esplicite ma sono nondimeno normali: quanti si augurano di avere la figlia velina e quanti sperano che l’esperienza di avere un figlio non si ripeta? E attenzione: queste aspettative sono in buona parte non originarie di quello che la gente davvero vuole, ma mutuate dal clima utilitaristico e mercantile dilagante.
A fianco, infatti, di questi due cliché c’è il “regalo intelligente” che sarebbe quello che “insegna divertendo”; ora non si capisce che bisogno abbiano i bambini di essere indottrinati a loro insaputa, facendogli credere che li facciamo giocare e invece li facciamo studiare, quasi che scopo dell’infanzia sia prepararsi ad essere bravi ingranaggi del mondo adulto secondo le esigenze del mercato.

La seconda categoria sono “regali-techno”, regali elettronici, davvero belli e attraenti e anche divertenti, con l’unico problema che sono così belli e attraenti che non ci si stacca più. Anche l’American Academy of Pediatrics ha dovuto dare delle linee-guida per arginare lo strapotere dei videogiochi e del web sulla mente infantile.

La terza categoria sono i “regali-architetto”: elementi creativi come le costruzioni, che però oggi stanno assumendo le caratteristiche del prefabbricato: un tempo con le costruzioni potevi costruire le forme che volevi, anche quelle apparentemente senza senso per tutto il resto del mondo; oggi tanti hanno già un progetto ed elementi così ben definiti e riconoscibili che non sono più duttili e addomesticabili o deformabili a piacere.

Abbiamo poi i “regali-desiderio”, di solito abiti o accessori di marca e “regali-mordi-e-fuggi”, di solito il denaro.

Perché ci interessa parlare di regali? Perché ci dicono che sguardo abbiamo sui bambini, e spesso questo sguardo è poco elastico, poco colmo di fantasia e troppo preordinato utilitaristicamente. La cultura utilitarista passa attraverso piccoli gesti, inconsci, semplici, abitudinari, innocenti.

Bisogna riflettere come genitori e come adulti su una semplice domanda: “Cosa è un figlio?” “Che destino ha?”. Questa domanda è la base della pedagogia e la pedagogia che scegliamo (anche se crediamo di non aver scelto qualcuno lo ha già fatto per noi) influisce su come trattiamo i figli e la dice lunga anche su come giudichiamo noi stessi. Abbiamo così tanta paura di sentirci inutili se non produciamo, che non riusciamo a concepire neanche il gioco dei nostri figli come “non utile”; invece il gioco ha una dimensione inutile e per questo bella, una dimensione costruttiva ma non per questo incasellabile nelle future esigenze del mercato.

Il gioco è proprietà dei bambini che riescono a farlo col minimo indispensabile e gli stiamo sottraendo questo diritto obbligandoli a giocare con quello che vorremmo noi, o a giocare con cose “che già si sa come vanno a finire”, o che li “tengono buoni” e noi possiamo rilassarci in un’altra stanza. Invece il gioco richiederebbe un solo essenziale ed indispensabile ingrediente: gli altri; mentre oggi i giochi e i regali hanno l’illusione di farli sentire soddisfatti lasciandoli invece soli.

Facciamoli allora, i regali; ma riflettiamo un attimo. Riflettiamo su cosa sia il Natale, su cosa sia un regalo e cosa sia un figlio.

Ecco perché ci siamo dilungati a parlare dei regali: perché le grandi ideologie si riflettono nelle piccole cose; l’utilitarismo (l’ideologia nemica della solidarietà), e la religione dell’autonomia (altro modo di chiamare la solitudine) iniziano a entrare nelle menti umane quando hanno ancora solo 5 anni, anche passando attraverso quello che viene regalato ai bambini – e magari su come viene regalato -: è un linguaggio non parlato ma molto esplicito, che passa attraverso i messaggi impliciti che li avvertono su cosa i “grandi” si aspettano da loro e su cosa (e attraverso i “grandi”, i mercati) pretendano, ohimè, dai piccoli, futuri obbedienti consumatori.
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CARLO BELLIENI su "LA NUOVA BUSSOLA QUOTIDIANA".

domenica 16 dicembre 2012

VERITA' PER EMANUELA ORLANDI

Ciao a tutti,
sono Pietro Orlandi.
In primo luogo volevo ringraziarvi per il vostro sostegno e per aver aderito
in tantissimi alla petizione, lanciata lo scorso anno, a Papa Benedetto XVI
(più di 85 mila firme) per la Verità su mia sorella Emanuela, che ci ha
permesso di fare dei passi avanti , fino a poco tempo fa ritenuti
impossibili, come l’apertura della tomba di De Pedis.
Quando la voce di una persona non riesce a farsi sentire, quella di migliaia
arriva alle orecchie di chi troppo spesso non vuole ascoltare.
Per questo sono qui ancora a chiedere il vostro aiuto. Un mese fa ho
lanciato una nuova petizione, alla quale alcuni di voi hanno già aderito,
per ribadire la nostra volontà a non arrenderci .Questa volta il destinatario è
il segretario  di Stato di Papa Benedetto XVI , cardinal Tarcisio Bertone,
perché nonostante siano passati 29 anni, la Santa Sede continua nella sua
opera omertosa, come imporre di togliere la foto di Emanuela dalla
scrivania di mia moglie in ufficio, perché ritenuta un simbolo e può dare
fastidio. Che fastidio può dare? E a chi? La foto di una bambina la cui
unica colpa è quella di essere stata rapita e alla quale è stata negata la
possibilità di scegliere della propria vita fa dunque paura?
Per aderire a questa nuova petizione (SOLO SE NON LO SI E' GIA' FATTO) basta
andare sul sito
                       http://www.emanuelaorlandi.it
dove troverete il testo e la possibilità di aderire
direttamente. C’è anche un numeratore, così in qualunque momento potrete
vedere l’aumento delle adesioni e naturalmente potranno vederlo anche i
destinatari della petizione stessa.
E’ un piccolo gesto che può aiutarci a cambiare le cose, per Emanuela, per
la dignità di questo paese e per la credibilità di questa Chiesa. Ma è molto
importante che siamo in tanti, tantissimi: il mio sogno è arrivare a mezzo
milione, o magari a UN MILIONE di aderenti alla petizione. Per questo vi
chiedo di far girare il più possibile questa lettera a tutti i vostri
contatti e sul web.
Considerate che, seguendo le istruzioni sul sito, si può votare anche PER
CONTO di altri (familiari o amici), a condizione di fornire i dati richiesti.
Se ognuno di voi convincerà a firmare almeno 30 persone, quell'obiettivo che
ora pare irraggiungibile si avvicinerà!

Un forte abbraccio,
Pietro
Per contatti, informazioni o eventuali novità vi lascio la mia mail
personale:
pietro_1959@libero.it

domenica 25 novembre 2012

L'EREDITA' DI CARLO MARIA MARTINI

DAL BLOG DI DANIELE BIACCHESSI.
Ci sono morti soffici come piume e morti che lasciano vuoti enormi.
La morte di Carlo Maria Martini è una di quelle.
Perchè Martini non è stato solo un punto di vista per la storia della Chiesa e del Novecento italiano.
Martini è stato soprattutto uomo di pace e di dialogo che ha sempre affermato in pubblico e in privato i valori di giustizia ed equità sociale.
Ma è stato anche un uomo capace di smuovere le coscienze della società civile negli anni della “Milano da bere”, del pericoloso rapporto tra politica e affari emerso con Tangentopoli.
Diciamo che Martini è stato l’uomo del cambiamento, spesso poco ascoltato e criticato, perchè voleva andare verso il mondo per comprendere i problemi della società moderna.
Non per rinnegare la propria fede, ma per calarsi fino al centro dell’uomo.
La sua militanza durò tutta la vita, interpretando il comando evangelico “essere nel mondo senza essere del mondo” come “essere nel sistema senza essere del sistema”.
Proprio come il suo amico Padre Davide Maria Turoldo, di cui quest’anno ricorre il ventesimo anniversario della morte.
Oggi non c’è un erede spirituale di Carlo Maria Martini.
Vedo il suo spirito critico esprimersi nelle azioni quotidiane di certi umili preti di frontiera.
E osservo invece comportamenti e buone pratiche che proseguono il cammino da lui indicato: l’idea di un cristianesimo vissuto dal basso, dalla parte dei più poveri, gli umili del mondo.

domenica 4 novembre 2012

LA COMUNIONE AI DIVORZIATI?

Parole nuove sembravano emerse dai vescovi che hanno appena terminato il Sinodo a Roma sulla 'Nuova evangelizzazione”. Ma la dura lex rimane inflessibile: “I divorziati risposati civilmente non possono accedere alla comunione eucaristica...non possono esercitare certe responsabilità ecclesiali...non può essere loro accordata l'assoluzione se non si sono pentiti e impegnati a vivere in una completa astinenza” così il Catechismo al n.2384. A nulla valgono altre parole che cercano di stemperare questa dura proposizione: “Ai divorziati risposati – aveva detto il papa al meeting sulla famiglia di Milano - dobbiamo dire che la Chiesa li ama, devono vederlo e sentire che realmente facciamo il possibile per aiutarli'. Martini aveva ricordato l'anno scorso il pericolo di spezzare attraverso questa 'proibizione' il tenue filo che lega ancora i figli di genitori cattolici alla chiesa. L'impressione che abbiamo è che la gerarchia, non riesce a recepire i cambiamenti moderni.
Ma la rigidità delle regole permette situazioni di questo tipo: in un paese della collina modenese ogni domenica il parroco aggredisce i parrocchiani: “Per fare la comunione dovete confessarvi, se no fate sacrilegio. Chi non va a Messa fa peccato mortale e merita l'inferno...” Un altro minaccia, catechismo di Pio X alla mano: “I divorziati non sono ammessi alla comunione e chi interrompe una gravidanza è un assassino ecc...Ma poi nonostante questi inqualificabili interventi terroristici, la domenica tutti tranquillamente fanno la comunione e...non si sono confessati. Sembra dunque che i cristiani ormai, scelgono i loro comportamenti indipendentemente dalle parole dei preti e dei vescovi. Non sono dei disobbedienti, ma dei cristiani adulti.
Oggi ci sono giovani che vanno a convivere, coppie di omosessuali, donne e uomini divisi e risposati, famiglie allargate: molte coppie di fatto insomma. Solo pochi credenti più sensibili, cercano di seguire con angoscia le parole della gerarchia. Dagli interventi dei vescovi in verità si avverte la difficoltà di sposare la 'legge' ai sentimenti evangelici di misericordia e accoglienza. Anche nella nostra città se sei divorziato, e vuoi un'assoluzione e il “permesso” di fare la comunione ci sono preti intelligenti e sensibili che ti ascoltano e assolvano, magari ti consigliano di fare la comunione in un'altra chiesa. Infatti nelle parrocchie la gente si conosce. Il berlusconi di turno diviso, ma non divorziato ufficialmente non convivente, può fare la comunione. Il rossi qualsiasi che ha sposato una donna abbandonata dal marito e ne ha allevato il figlio con amore e dedizione, no. E poi evasori eclatanti, strozzini conosciuti, ladri, mafiosi occulti, inquinatori universali, bugiardi, mentitori, donne non più virtuose...che ne facciamo di tutti questi? Solo ai divorziati neghiamo la comunione?
Io se fossi vescovo.
So che chi si divide dal proprio coniuge fa una cosa non buona per se e specialmente per i figli. Ma alle volte il progetto del matrimonio è fallito. A stare insieme ci si fa solo del male. So che le persone soffrono e sanguinano nel fare certe scelte. E lo fanno responsabilmente. Cercherei umanamente di aiutarli a ricostruire il vincolo spezzato. Ma poi se non c'è più niente da fare, se hai trovato un compagno o una compagna e vuoi essere credente, dopo un congruo tempo di riflessione, ti riammetterei alla comunione chiedendoti come sola (!) condizione di perdonarvi l'un l'altro e di non mantenere sentimenti di astio. Senza sottostare all'umiliante richiesta di 'annullamento' da parte del tribunale ecclesiastico. Poi spenderei una parola per invitare i credenti risposati a mantenere fede alla loro seconda unione: la nuova promessa è valida anche davanti a Dio.
Oppure. Ricevere il pane consacrato non è un premio per i perfetti ma una partecipazione completa all'eucarestia e agli amici che ti sono intorno. Poi ci sono ben altri peccati che meriterebbero un tipo di scomunica e implicherebbero l'auto allontanamento dalla comunità.
Ma in fondo, non sta a me vescovo o parroco o ai parrocchiani moralisti giudicare chi è buono o peccatore.
Beppe Manni ( Pubblicato sulla Gazzetta di Modena il 1 Novembre 2012)

giovedì 1 novembre 2012

L’APPELLO ALLA DISOBBEDIENZA DILAGA: IN SVIZZERA,400 TRA PRETI E SUORE CHIEDONO RIFORME ALLA CHIESA

BERNA-ADISTA. Si allarga sempre di più, in Europa, il fronte della protesta e della richiesta di riforme nella Chiesa. Dopo l’“appello alla disobbedienza” promosso in Austria nel 2011 da circa 300 sacerdoti, che ha raccolto l’adesione di altri gruppi in diversi Paesi (v. Adista Notizie n. 9/12), ora un’analoga iniziativa è stata lanciata nella Svizzera tedesca, sotto il nome di “Iniziativa delle parrocchie”. I firmatari dell’appello, arrivati al momento a quota 400 tra preti, religiosi, religiose e responsabili pastorali laici – ma altri 300 sono i simpatizzanti, secondo quanto si deduce dal sito dell’iniziativa, www.pfarrei-initiative.ch – formulano il loro appello articolandolo in dieci punti; tra i più rilevanti, la possibilità per tutti i battezzati di condividere il “pane della vita”; la condivisione dell’eucaristia con i fratelli riformati; la comunione ai divorziati risposati, ai quali va accordata una benedizione della loro nuova unione; pari diritti e doveri per i credenti a prescindere dal loro orientamento sessuale, e a laici, uomini e donne, il diritto di pronunciare l’omelia, dopo aver ricevuto una formazione e un incarico formale in tal senso, come pure la possibilità di pronunciare parti della preghiera eucaristica.
L’iniziativa, lanciata lo scorso settembre, ha suscitato una reazione di sorpresa tra i vescovi. In un comunicato comune, pubblicato il 20 settembre, mons. Markus Büchel di San Gallo, mons. Vitus Huonder di Coira e mons. Felix Gmür di Basilea esprimono il loro stupore per il fatto che gli operatori pastorali non abbiano cercato un dialogo prima di lanciare pubblicamente la loro petizione. Le soluzioni individuate nell’appello, continuano i vescovi, non costituiscono una strada percorribile per garantire la responsabilità pastorale, poiché la pastorale può essere vissuta esclusivamente in unione con i vescovi e con la Chiesa universale. (ludovica eugenio)

domenica 21 ottobre 2012

UN'AMICO DA NON DIMENTICARE!

"La festa ebraica della Pasqua si avvicinava e Gesù salì a Gerusalemme. Nel cortile del Tempio trovò i mercanti che vendevano buoi,pecore e colombe. C'erano anche i cambiamonete seduti dietro i loro banchi.
Allora Gesù fece una frusta di cordicelle,scacciò tutti dal tempio,con le pecore e i buoi,rovesciò i tavoli dei cambiamonete spargendo a terra i loro soldi. Poi si rivolse ai venditori di colombe e disse:-Portare via di qua questa roba! Non riducete a un mercato la casa di mio Padre!-". (Gv 2.13-16).
Ho ancora nelle orecchie la voce di mio padre che,appoggiato e sostenuto da mia madre,mi richiamava a fare scelte personali,a non lasciarmi condizionare dagli altri.
In parte,avevano ragione,in quelle situazioni dove gli amici giocano un ruolo determinante,ma,da un altro lato,dimenticavano quanti maestri avrei dovuto ascoltare e,da loro,lasciarmi affascinare,perchè mi avrebbero comunicato il "senso" della vita,la gioia dell'essere uomo.
Avrei forse incontrato persone come don Enzo Mazzi,anima fondatrice della comunità di base dell'Isolotto di Firenze,da un anno scomparso,un po' dimenticato e un po' gelosamente amato da quanti lo hanno conosciuto.
Ho perso un'occasione fondamentale!
In una delle ultime interviste televisive a don Enzo,che ho visto riproposta in tv in questi giorni nel ricordo della sua morte,lui raccontava "l'episodio delle chiavi".
Dopo le sue forti prese di posizione,all'interno della Chiesa,in merito all'occupazione del Duomo di Parma,dopo le sue continue "frustate" alla gerarchia ecclesiale,con l'appoggio di tutta la sua comunità dell'Isolotto,viene sospeso a divinis dall'allora Vescovo di Firenze,Florit.
Ed è il Vescovo stesso,che,di persona,si reca dalla comunità dell'Isolotto e,di fronte ai fedeli riuniti,esige che don Enzo restituisca le "chiavi" della chiesa parrocchiale e quindi si ritiri a vita privata.
Dalle prime file,qualcuno alza le mani,con le sue chiavi di casa e urla:-Prenda anche queste!-.
-Fu un concerto di chiavi,che tintinnavano lungo tutta la navata della chiesa-ricorda,con un bellissimo sorriso,don Enzo,e si commuove,pensando che,lì,era nascosto il segreto della "Buona Novella".
Chi era il sacerdote?
In che via si trovava il Tempio di Dio?
Ecco che cosa vuol dire <<...E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi;e noi vedemmo la sua gloria,gloria come di unigenito dal Padre,pieno di grazia e di verità.>>(Gv1,14).
Ecco l'universalità del sacerdozio di Cristo!!!
Ecco riscritta la storia dell'autentica comunità cristiana:<<...Tutti coloro che erano diventati credenti stavano insieme e tenevano ogni cosa in comune;chi aveva proprietà e sostanze le vendeva e ne faceva parte a tutti,secondo il bisogno di ciascuno.Ogni giorno tutti insieme frequentavano il tempio e spezzavano il pane a casa prendendo i pasti con letizia e semplicità di cuore,...>>(At2,44-46).
Ecco una forma evangelica di religiosità:<<...Ma è giunto il momento,ed è questo,in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità;perchè il Padre cerca tali adoratori.Dio è spirito,e quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità...>>>(Gv4,23-24).
Mi piacerebbe,in questo momento,esporre quel famoso striscione apparso in occasione del funerale di Giovanni Paolo II e riscriverlo così:<<SANTO SUBITO,PERCHE' SANTO DA SEMPRE!!>>.
Eppure penso che sarebbe soltanto meglio ricordare don Enzo come un maestro,perchè cosa rimane nel cuore di ciascuno se non il ricordo della nostra maestra delle elementari che tanto ci ha insegnato e tanto ci ha amato?
ALLORA,GRAZIE DON ENZO,PER LA TUA STUPENDA,COERENTE E CRISTIANA LOTTA CONTRO TUTTO CIO' CHE OFFUSCAVA L'ORIGINALITA' DEL MESSAGGIO DI CRISTO!
DI NUOVO,GRAZIE DON ENZO...PERCHE' CI HAI AIUTATO A CAPIRE,CON IL TUO AGIRE E DIALOGARE,CHE CRISTO E' VISSUTO SOPRATTUTTO PER QUANTI CI STANNO ACCANTO E NON CHIEDONO ALTRO CHE DI ESSERE PRESI PER MANO E ACCOMPAGNATI VERSO LA LUCE:QUELLA LUCE DI LIBERAZIONE E DI COMUNIONE CRISTIANA!!!
CON AFFETTO,
AGOSTINO.

domenica 14 ottobre 2012

In attesa dei frutti del Concilio
di mons. Luigi Bettazzi
da Adista Segni Nuovi n. 36 del 13/10/2012

L'11 ottobre 2012 ricorrono cinquant’anni dall’inizio del Concilio Vaticano II. Come si sa, il Concilio ecumenico è l’assemblea di tutti i vescovi cattolici del mondo, convocati dal papa per affrontare e risolvere con lui i problemi dottrinali e vitali più importanti. Il primo Concilio si era riunito a Nicea, presso Costantinopoli, nell’anno 325. L’ultimo, il ventesimo, era stato convocato da Pio IX a Roma (e per questo denominato Vaticano I) nel 1869 e sospeso nel luglio del 1870 (in previsione dell’arrivo delle truppe italiane, che entrarono difatti a Porta Pia il 20 settembre), con la definizione del primato e dell’infallibilità del papa, quando parla come papa («ex cathedra»). Papa Giovanni XXIII, sollecitato dai suoi interessi giovanili e dalle conoscenze varie del suo servizio diplomatico (in Bulgaria, a Costantinopoli, a Parigi) decise, all’insaputa di tutti, di convocare un Concilio e di presentarlo non come «dogmatico» (cioè che proclama le verità di fede, scomunicando chi non le accetta), ma «pastorale», che si preoccupasse cioè di presentare quelle verità in modo comprensibile e adeguato all’umanità del nostro tempo. E questo non rende il Concilio pastorale meno autorevole del dogmatico, anzi lo valorizza, perché una verità di fede non raggiunge pienamente il suo scopo se non quando viene accolta e vissuta.
Tale aspetto qualifica il Concilio Vaticano II come un richiamo alla responsabilità specifica dei cristiani e delle comunità; ed è evidente, se consideriamo i quattro documenti conciliari, le Costituzioni. Così la prima, sulla liturgia (il titolo viene dalle prime parole del testo latino, Sacrosanctum Concilium), ci fa scoprire nella messa non solo l’atto misterioso – a cui “si assisteva” – della transustanziazione, cioè del cambiamento della sostanza del pane e del vino nella sostanza del corpo e del sangue di Cristo, bensì la presenza di Cristo nella sua eterna offerta pasquale, a cui «si partecipa», ricevendo lo Spirito Santo che alimenta così la nostra vita cristiana. La Bibbia (Costituzione Dei Verbum) non è tanto un deposito di verità a cui attingere per la nostra teologia, bensì la parola viva che Dio continua a rivolgere alla sua Chiesa e ad ogni cristiano per aprirli al suo amore.
Le altre due Costituzioni sono state indicate come «rivoluzioni copernicane», nel senso che come l’astronomo polacco Copernico dimostrò che non è il Sole a girare intorno alla Terra ma la Terra intorno al Sole, così quanto sembrava primario si rivela funzionale e viceversa. E in realtà la Chiesa nel mondo contemporaneo (Costituzione Gaudium et spes) riconosce che non è l’umanità subordinata alla Chiesa, ma è la Chiesa al servizio dell’umanità; e nella Chiesa in sé (Costituzione Lumen gentium) prima ancora di un laicato subordinato alla gerarchia, vi è un primato del popolo di Dio, del quale la gerarchia è al servizio (in latino: ministerium).
Già da qui si evidenzia che, se con Benedetto XVI consentiamo che nella Chiesa v’è una «continuità» dogmatica (non è stato definito alcun nuovo dogma, al massimo ne sono stati richiamati alcuni trascurati, come l’universalità dell’offerta di salvezza o la collegialità, o collaborazione dei vescovi col papa), vi è stata però una forte «discontinuità» pastorale, col richiamo appunto della responsabilità personale, nella formazione cristiana e nell’agire ecclesiale.
Dobbiamo riconoscere che l’entusiasmo e la spinta dei tempi del Concilio e delle speranze immediate si sono affievoliti, un po’ per la maggiore difficoltà di una maturazione comunitaria nei confronti di strutture gestite autoritativamente (a tutti i livelli), un po’ per alcuni eccessi realizzati negli anni ‘68-‘69 che hanno indotto chi era in allarme per i cambiamenti a bloccare tutto (e forse, come dicono i tedeschi, insieme all’acqua sporca abbiamo buttato via anche il bambino).
Una lezione comunque che abbiamo ricevuto da questo Concilio è che la tradizione non equivale alla fissazione del passato, bensì, secondo l’etimologia (tradere è trasmettere, tradizione è trasmissione), è «aggiornare», secondo la formulazione di papa Giovanni, è dire le verità di sempre in modo adatto al giorno d’oggi.
Diceva padre Congar – poi diventato cardinale – che un Concilio ottiene i frutti più pieni dopo cinquant’anni. Preghiamo il Signore che sia proprio così!
* Vescovo emerito di Ivrea; già presidente di Pax Christi e padre conciliare

martedì 2 ottobre 2012

UN SEME O UN SEGNO DEI TEMPI?

MI PERMETTO DI SEGNALARE UNA PROPOSTA DELLA CHIESA DI LODI CHE MERITA UN'ATTENZIONE PARTICOLARE PERCHE' SI POSSA ALLARGARE A MACCHIA D'OLIO.
  Oltre: percorso spirituale per persone separate, divorziate o risposate
Signore Ascolta la mia preghiera
Riparte Venerdi 12 ottobre, OLTRE… Momenti per separati divorziati e risposati
Riprende per il quinto anno il cammino di Oltre… che la Diocesi di Lodi propone alle persone separate, divorziate e risposate.
Questo è un ulteriore segno che le famiglie che vivono una ferita nella loro storia o un cammino di nuova unione non sono al di fuori della realtà pastorale familiare.
Questa è una proposta fortemente voluta dal nostro vescovo ed è in linea anche col pensiero di Benedetto XVI che ha richiamato in termini di sofferenza di chi vive questa realtà e di vicinanza delle comunità cristiane , questa pastorale durante l’incontro di Bresso del 3 Giugno scorso nell’ambito della festa mondiale delle famiglie. La chiesa è vicina a coloro che per le vicissitudine più differenti, dolorose e personali si sono trovati a fare i conti nella loro vita con un sogno e un progetto che si spezzato.
In questi anni abbiamo incontrato ed accompagnato nei nostri cammini oltre 50 persone che hanno colto il senso di questa proposta. Qualcuno prosegue con noi e qualcuno ha fatto ritorno nella vita della propria comunità e qualcuno e passato
Oltre...
Perché abbiamo chiamato Oltre… il nostro percorso? Perché questo titolo nasce dall’idea che il nostro Dio sa andare oltre i nostri limiti sa vedere oltre i nostri fallimenti e ci chiede di avere speranza oltre i nostri errori e le nostre infedeltà, perché nessuno è escluso dall’Amore che salva!
Gli incontri spirituali sono pensati come momenti di preghiera in cui si legge la Parola di Dio e dopo un momento di riflessione personale con la possibilità di fare Adorazione Eucaristica, si condivide con gli altri la propria esperienza di vita e di fede. E’ quindi l’occasione di trovare un momento di tranquillità per pregare, un momento da dedicare a se stessi ma è anche un momento in cui non ci si sente soli perché ci si può confrontare con chi vive una situazione analoga alla nostra e si fa anche esperienza di una Chiesa che vuole essere “vicina a chi ha il cuore ferito” e si sente abbandonato.
I brani scelti per il cammino di quest’anno ci porteranno a rifletere sul tema della Preghiera. Infatti il nostro percorso ha come titolo
“Signore ascolta la mia preghiera”.
Ogni uomo ha il bisogno e sente il desiderio di poter avere un dialogo personale ed intimo con Dio, dialogo che scaturisce da una fede a volte incerta, da un bisogno di amore da un senso di abbandono umano, ma che Dio raccoglie ed ascolta e poi per vie misteriose esaudisce.

Inoltre vista la bella esperienza vissuta in questi anni anche il percorso di quest’anno si concluderà con un
week end presso l’Eremo di Caresto, ove avremo la possibilità di incontrarci, confrontarci e riflettere assieme ad altri amici di altre diocesi che vivono questa esperienza di famiglia ferita.


domenica 30 settembre 2012

Vangelo: Mc 9,38-43.45.47-48

In quel tempo, Giovanni rispose a Gesù dicendo: «Maestro, abbiamo visto uno che scacciava i demòni nel tuo nome e glielo abbiamo vietato, perché non era dei nostri».
Ma Gesù disse: «Non glielo proibite, perché non c'è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito dopo possa parlare male di me. Chi non è contro di noi è per noi.
Chiunque vi darà da bere un bicchiere d'acqua nel mio nome perché siete di Cristo, vi dico in verità che non perderà la sua ricompensa.
Chi scandalizza uno di questi piccoli che credono, è meglio per lui che gli si metta una macina da asino al collo e venga gettato nel mare.
Se la tua mano ti scandalizza, tagliala: è meglio per te entrare nella vita monco, che con due mani andare nella Geenna, nel fuoco inestinguibile. Se il tuo piede ti scandalizza, taglialo: è meglio per te entrare nella vita zoppo, che esser gettato con due piedi nella Geenna. Se il tuo occhio ti scandalizza, ca valo: è meglio per te entrare nel regno di Dio con un occhio solo, che essere gettato con due occhi nella Geenna, dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue» .

Vorrei condividere con voi la riflessione dell’esegeta francese Jean Debruynne: “Immediatamente, il gruppo degli Apostoli, per bocca di Giovanni, reclama la superiorità esclusiva di Gesù. Vogliono l’esclusività dei diritti d’autore sui fatti e sui gesti di Gesù. Pretendono di essere i soli a poter dare il passaporto, la carta d’identità cristiana. Gesù, al contrario, annuncia loro il superamento del possesso. Voler pretendere di rinchiudere il Vangelo, significa voler impedirgli di essere vangelo. Lo Spirito di Dio è libero. Nessuno potrà obbligarlo a seguire la via gerarchica. La preoccupazione degli Apostoli è di escludere. Quella di Gesù è di chiamare e di aprire”.

domenica 23 settembre 2012

UNA CHIESA IN CAMMINO

Spesso parliamo del popolo di Dio ma fatichiamo a vederlo concretamente. Dove sta? Com'è composto? Che cosa spera? Che cosa teme? Altrettanto spesso all'immagine di popolo di Dio si sovrappone l'immagine della Chiesa istituzionale e gerarchica, che nasconde i volti delle persone con i volti del potere e i tratti dell'organizzazione burocratica. Sabato 15 ottobre a Roma, all'auditorium dei gesuiti dell'Istituto Massimo, il popolo di Dio si è invece visto in tutta la sua consistenza. All'incontro Chiesa di tutti, Chiesa di poveri (dove erano attese circa quattrocento persone e ne sono arrivate il doppio, da ogni angolo d'Italia) non è avvenuto nulla di eccezionale: non ci sono state manifestazioni eclatanti, non sono risuonate parole d'ordine e nessun personaggio si è impadronito della platea. C'è stato, semplicemente, un confronto fraterno tra persone unite da una fede e da una passione. La fede nel Cristo dei poveri e degli oppressi, la passione per la giustizia e per la Chiesa del Concilio Vaticano II. Dalle dieci del mattino alle sei di sera il confronto è andato avanti sereno, serrato, sincero. E alla fine il popolo di Dio è tornato alle proprie case rinfrancato, non esaltato, non sovreccitato, ma semplicemente consolato da tanta partecipazione e da tanta condivisione. E ancor più determinato a proseguire nel cammino.
Sul palco non c'erano monsignori di curia, vescovi o cardinali. Non ce n'erano neppure nella prima fila dell'affollatissima platea, come di solito succede nei convegni organizzati dalle strutture ecclesiali. Né c'erano politici o altre autorità. Non si sono viste auto blu né tonache nere filettate di rosso. Qualcuno ha lamentato la mancanza di telecamere, ma in fondo è stato meglio così, perché il clima di familiarità ne ha guadagnato. Promosso da decine e decine di realtà cristiane che si spendono quotidianamente nel mondo, in mille forme diverse, nello spirito della Gaudium et spes, condividendo sogni e paure, speranze e angosce degli uomini e delle donne del nostro tempo, l'incontro ha preso ispirazione dal cinquantesimo anniversario dell'inizio del Concilio, ma soprattutto è stato esso stesso un momento conciliare.
Le parole con le quali Giovanni XXIII aprì il Concilio, Gaudet Mater Ecclesia, sono risuonate più volte, specie nella relazione introduttiva della teologa Rosanna Virgili, e hanno fatto da sfondo all'intera giornata: anche nel momento della critica e della contestazione, l'orizzonte è rimasto quello della fiducia e della gioia. Nessuno ha parlato "contro". Ogni parola è stata spesa "per". Per una Chiesa veramente dei poveri e con i poveri. Per una Chiesa del Vangelo. Per una Chiesa "sciolta", come amava dire il cardinale Martini. Per una comunità di fedeli adulti, obbedienti stando in piedi, come diceva Scoppola.
Grazie all'inquadramento storico di Giovanni Turbanti e all'analisi di Carlo Molari sulle diverse interpretazioni del Concilio, è stato possibile impostare il confronto su basi solide. La riflessione di Molari sull'idea di tradizione, in particolare, è stata efficace e piena di spunti bisognosi di ulteriori approfondimenti. L'idea di tradizione uscita dal Concilio, come realtà vivente e come processo (si veda la Dei Verbum, 8) merita di essere meditata nel momento in cui dentro la Chiesa cattolica si assiste all'offensiva, non soltanto da parte dei cosiddetti tradizionalisti, di chi vede nella tradizione l'immobilità e l'immutabilità (Semper idem era il motto del cardinale Ottaviani, grande oppositore dello spirito conciliare). Ma l'incontro, soprattutto, ha evitato di cadere nella disquisizione accademica circa le diverse ermeneutiche (continuità o rottura?), preferendo dare come asserito che nel Concilio ci fu sia la continuità sia la rottura, sia la riaffermazione delle verità fondanti sia la necessità di proporle meglio, più genuinamente e più efficacemente, in relazione ai nuovi tempi. Nello studiare un Concilio che Giovanni XXIII volle pastorale e non dogmatico sarebbe veramente un controsenso alquanto bizzarro, mezzo secolo dopo, arenarsi attorno a una questione che rischia di cadere nel formalismo.
Il Concilio lo si capisce e lo si interpreta a partire dai mondi vitali, non dalle formule, e sono stati proprio i mondi vitali a fare irruzione nel convegno con tutta la loro carica di verità, spesso sofferta. Come quando è intervenuto il padre Felice Scalia, apprezzato da tutti per la sua sincerità nel delineare il dramma attraversato dalla Compagnia di Gesù, visto che per alcuni dei suoi membri la fedeltà al Concilio e lo schierarsi con i poveri ha voluto dire da un lato andare letteralmente incontro al martirio e dall'altro affrontare la spaccatura con la gerarchia. E ugualmente appassionato è stato l'intervento del rappresentante di un gruppo che riunisce omosessuali cristiani.
Se dom Giovanni Franzoni è salito sul palco per ricordare il tempo in cui Paolo VI, spogliandosi del triregno, non fece soltanto un gesto all'insegna della povertà e dell'aiuto verso le Chiese più bisognose, ma volle dichiarare anche visivamente la rinuncia a ogni forma di potere temporale e di seduzione di quel tipo di potere sulla Chiesa, altri testimoni del Concilio, come Luigi Bettazzi e Arturo Paoli, hanno mandato messaggi.
Il nome del cardinale Martini è risuonato spesso, fin dai saluti introduttivi di Rosa Siciliano, direttrice di Mosaico di pace. E in generale la definizione di "piccolo gregge", tanto cara a Martini, può essere utilizzata per esprimere lo spirito dell'assemblea, animata dalla volontà non di contarsi per contare, ma di spendersi nel mondo, ovunque ci sia da chinarsi su una ferita e su un'ingiustizia.
Nella sua semplicità, lo spirito del Concilio è stato rievocato con grande efficacia da Paolo Ricca, che ha ricordato tutto lo stupore e la meraviglia dei protestanti quando si resero conto di essere passati dallo status di eretici a quello di "fratelli separati", nella cui esperienza di fede i cattolici possono ritrovare elementi di verità utili per la salvezza. E piena di suggestioni per il futuro è stata la relazione di Cettina Militello sulle prospettive di un vero aggiornamento.
L'intervento finale di Raniero La Valle, giocata sulla necessità di uscire dalla contrapposizione tra le varie ermeneutiche del Concilio per fare piuttosto del Concilio l'ermeneutica alla luce della quale interpretare la stessa storia della Chiesa, è suonato non tanto come chiusura ma come premessa di altre tappe.
Il titolo dell'incontro è stato preso dal radiomessaggio di Giovanni XXIII dell'11 settembre 1962: "In faccia ai paesi sottosviluppati la Chiesa si presenta qual è, e vuol essere, come la Chiesa di tutti, e particolarmente la Chiesa dei poveri".
Ha scritto Bettazzi nel suo messaggio: "La sollecitazione per la piena attuazione del Concilio è affidata al popolo di Dio, del quale la gerarchia è al servizio. Che la vostra premura di popolo di Dio possa influire sul sinodo episcopale dell'ottobre e su tutto l'anno della fede".
Recitando la preghiera composta da Marco Campedelli della Comunità San Nicolò di Verona, il popolo di Dio si è espresso così: "Continua a soffiare, vento dello Spirito, nuova Pentecoste sul mondo, continua a inventare lingue nuove, alfabeti inediti, capaci di tradurre le sorprese di Dio. Non è la Chiesa che vogliamo celebrare, ma lo Spirito di Dio che soffia in mezzo al mondo. Chiesa di tutti, Chiesa di poveri".
Il popolo di Dio si è riunito. In libertà, senza ipocrisie. Si è confrontato con fiducia, senza calcoli dettati dall'opportunismo, senza prudenze innescate dalla paura, senza equilibrismi dovuti ai giochi di potere. Lo Spirito ha soffiato.
ALDO MARIA VALLI su "Vino Nuovo".

TU SEI DENTRO O SEI FUORI ?

O dentro o fuori. Mi stupisce come sempre più, nella prassi della Chiesa cattolica, prevalga la logica tipica della setta: o stai con noi, oppure vattene. Per dir la verità, questa è stata una tentazione cui il cristianesimo (come del resto parecchie tradizioni religiose) si è raramente sottratto, dal tempo delle eresie e degli anatemi a oggi. Tuttavia con le puntualizzazioni del Concilio - e quelle della sociologia, che ha distinto sacro da religioso - si pensava che il clima fosse diventato diverso. E più evangelico.
Invece, fateci caso: da una parte si assiste all'esaltazione più acritica e «miracolistica» di qualunque conversione al cattolicesimo, soprattutto se di vip e/o personaggio noto (calciatore o giornalista, pornostar e nobildonna); dall'altra - compreso Vino Nuovo, vedi certi commenti sulla questione Martini - si verifica il fenomeno opposto, ovvero la pubblica «cacciata» di quanti per qualche motivo «non ci stanno»: e che contestino il dogma della resurrezione o invece l'opportunità di votare Berlusconi in fondo fa poca differenza. Così si registra un duplice e contrario movimento, centripeto e centrifugo, intorno al messaggio che più di tanti altri nella storia volle rivolgersi all'intimità e alla libertà delle coscienze; senza confini di sorta.
Forse però non è un caso che lo stesso Nuovo Testamento cada in contraddizione su se stesso, accogliendo in materia due citazioni opposte: «Chi non è con me, è contro di me» (Lc 11, 23 e Mt 12, 30), ma anche «Chi non è contro di noi, è per noi» (Mc 9,40). Abbiamo infatti un connaturato bisogno di «appartenere». Di più: di sapere con certezza che apparteniamo. Ancora meglio: di sapere con chi esattamente apparteniamo. Abbiamo necessità di sapere di quale gruppo (lobby, casta) siamo, chi sta con noi e magari anche quanti sono; per lo stesso motivo preferiamo espellere chi non ci rassicura, chi ha dubbi, chi dissente: se non ci stai, vattene. Altro che dialogo e missione: chi sgarra, è fuori. Così noi saremo più tranquilli.
Piccinerie che contrastano con l'idea stessa di «cattolicità». Non che non sia importante l'appartenenza alla Chiesa; ma chi e che cosa la stabiliscono davvero? Quando si ha il diritto ­- per esempio ­- di dire «sei fuori» a un battezzato, anche qualora esponesse idee eterodosse sul fine vita o sul matrimonio dei gay? Ed è più «dentro» l'ateo devoto o il credente critico, il dissenziente o l'indifferente, il tradizionalista o il prete pedofilo? Ancora: l'«extra ecclesia nulla salus» come va interpretato, giuridicamente o estensivamente?
Chi è «dentro» e chi è «fuori»: sciogliere il dilemma è una tentazione sempre presente nelle religioni, ma è anche un gioco che un cristiano non può risolvere davvero; «Lasciate che il grano e la zizzania crescano insieme...». E forse non è neppure importante. Mi sembra che una volta qualcuno abbia detto più o meno (chi trova la citazione esatta mi aiuti) che «non bisognerebbe dire "sono cristiano", bensì "mi sforzo di essere cristiano"». Era il cardinale Martini, ancora lui.
ROBERTO BERETTA su "VINO NUOVO".

COMUNIONE AI DIVORZIATI SPOSATI !!

I preti tedeschi si ribellano al Vaticano. Duecento preti e diaconi della diocesi di Friburgo hanno firmato un appello su Internet, sostenendo la legittimità della comunione ai divorziati risposati. Il luogo è simbolico. La diocesi di Friburgo è retta dall’arcivescovo Robert Zollitsch, presidente della Conferenza episcopale tedesca. È come se aGenova, sede del cardinale Bagnasco presidente della Cei, duecento sacerdoti comunicassero ufficialmente di dare regolarmente l’ostia ai fedeli in secondo matrimonio. A Friburgo i duecento contestatori dichiarano che verso i divorziati risposati bisogna usare “misericordia” e non nascondono la loro scelta: “Nelle nostre comunità i divorziati risposati prendono parte alla comunione con il nostro consenso. Sono presenti nel consiglio parrocchiale e partecipano ad altri servizi pastorali”. È una contestazione frontale delle istruzioni vaticane, ma soprattutto una rivolta contro l’inazione del pontefice che da anni – già da prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede – si occupava della questione e non ha mai preso una decisione per superare un divieto, che colpisce dolorosamente proprio i fedeli più assidui.
A Friburgo il vicario generale della diocesi ha tentato di persuadere il clero a non firmare o a ritirare il consenso. Soltanto due dei firmatari lo hanno ascoltato. In realtà dietro l’appello c’è una galassia di preti in tutta la Germania, ma anche in tante parti del mondo. Italia compresa, dove molti parroci non infieriscono contro i divorziati risposati negando loro l’eucaristia. Stephan Wahl, uno dei preti più noti in Germania per avere predicato il vangelo alla televisione per dodici anni nella popolare trasmissione “La parola della domenica” (Wort am Sonntag), ha commentato in maniera pregnante: “Come cattolico e come sacerdote mi è insopportabile che, secondo l’attuale normativa (ecclesiastica), è più facile che un sacerdote colpevole di abusi possa distribuire il sacramento (dell’eucaristia) piuttosto che un divorziato riceverlo”. I preti contestatori tedeschi rimarcano di essere ben consapevoli di “agire contro le norme canoniche attualmente in vigore nella Chiesa cattolica romana”, ma sostengono che in base all’attuale Codice di diritto canonico il principio supremo, a cui orientarsi, è la “salvezza delle anime”. Perciò ribadiscono: “Consideriamo urgentemente necessaria una nuova normativa canonica per i divorziati risposati”.
Lo stesso Ratzinger, da teologo, era del parere che di fronte ad un primo matrimonio “spezzatosi da lungo tempo e in maniera irreparabile”, e alla luce di una seconda unione rivelatasi negli anni un’autentica “realtà etica”, fosse giusto – su testimonianza del parroco e della comunità – “concedere la comunione a coloro che vivono un simile secondo matrimonio”. Correva l’anno 1972, quando Ratzinger difendeva tesi del genere. Da allora il pontificato di Giovanni Paolo II e quello diBenedetto XVI hanno battuto ossessivamente sul tasto dell’indissolubilità del matrimonio, rifiutando qualsiasi soluzione. Benché – come ha fatto notare lo scrittore cattolico Messori durante le giornate della famiglia a Milano, benedette dal Papa – il cattolicesimo sia l’unica tra le confessioni cristiane e le religioni mondiali a negare la possibilità del divorzio. Di una presunta “legge naturale”, in proposito, è inutile parlare. Il presidente dell’episcopato tedesco Zollitsch, sebbene attaccato a sua volta dai preti tradizionalisti riuniti nella “Rete dei sacerdoti cattolici”, ha deciso dopo qualche esitazione di ricevere una delegazione dei contestatori. Dovrebbe accadere oggi. Un atteggiamento molto diverso da quello del cardinale Scola, il quale – come riferito dall’agenzia Adista – ha impedito nel gennaio scorso al consiglio presbiterale milanese di mettere all’ordine del giorno anche la mera analisi e discussione del tema “divorziati risposati e accesso ai sacramenti”. Dopo un netto intervento contrario del cardinale la proposta avanzata dai sacerdoti Aristide Fumagalli eGiovanni Giavini ha ottenuto 7 sì, 13 no e 27 astensioni (segno evidente di come tanti preti attendano un cenno dall’alto per parlare finalmente liberamente). Il caso di Friburgo è solo la punta dell’iceberg dell’insoddisfazione per lo stallo totale di ogni riforma. Si sono già mobilitati i preti austriaci con l’“Iniziativa dei parroci”. Chiedono la riforma della Chiesa, la fine del cumulo di parrocchie affidate a un solo parroco, l’accesso al sacerdozio di sposati e donne.

domenica 9 settembre 2012

PRIMAVERA NELLA CHIESA

Una folla enorme (più di 40.000??) ha reso l’ultimo saluto ad un grande e saggio uomo della Chiesa Cattolica.
E non vi è dubbio che  la figura del Cardinale Martini,oltre ad essere stata una presenza risuonante del Vangelo per l’uomo contemporaneo,rimarrà una via maestra anche per i cristiani cattolici del futuro.
Da quando arrivò in mezzo a noi,o meglio da quando ci accorgemmo del suo essere,del suo sostare in mezzo a noi in quel di Milano,ci siamo buttati nell’acquisto ,nella lettura, nella meditazione e nella preghiera dei suoi innumerevoli opuscoli pastorali,nei suoi libri,nelle sue lettere apostoliche:per ciascuno di noi c’era un ricordo,un consiglio,un’indicazione.
Eravamo quasi arrivati al punto di desiderare che il suo insegnamento e la sua persona potessero avere una valenza universale ( un sogno papale?? ).
Quanta ricchezza è stata infusa nei nostri cuori grazie all’amicizia stretta con questo “cristiano”.
Però un pizzico di egoismo e di rabbia a volte ha attraversato il nostro rapporto,per cui ci siamo sentiti orfani e quasi abbandonati quando la sua età biologica lo obbligò a scelte diverse : perché non eravamo stati capaci di approfittare nello spingere l’acceleratore e costruire una nuova Chiesa?
In varie occasioni ci aveva raccontato di quei due discepoli sulla via di Emmaus,ma noi ci siamo solo fatti entusiasmare e dopo lo spezzare del pane,non abbiamo invaso il mondo con la gioia del Risorto!
Qualche amico in questi giorni mi ha ricordato che , molto probabilmente , abbiamo perso una grande occasione di rinnovamento, di rivoluzione spirituale,umana e sociale.
Io penso però che è proprio dalla presenza di quella folla variopinta, spesso contraddittoria e manifestante carismi diversi,che ha presenziato al saluto al Cardinale Martini che ci viene da dire :<<Non ardeva forse il nostro cuore quando egli,lungo la via,ci parlava e ci spiegava le Scritture?>>(Lc  24,32).
E a chi per secoli ha affermato che è Dio che fa crescere il seme della fede,non dimentichi che l’uomo da sempre èn il terreno,è il veicolo dove l’umanità incontra il suo Dio,e per essere il Dio dell’uomo,Dio stesso ha dovuto farsi uomo.
Qualora questo rapporto dovesse guastarsi o interrompersi,non scordiamo che come insegnavano gli antichi,”verba volant,scripta manent”.
In fondo Dio non ha pronunciato che una sola Parola: GESU’ CRISTO!!!!
AGOSTINO.

domenica 2 settembre 2012

L'ULTIMA "PAROLA" DEL CARDINALE MARTINI

in “Corriere della Sera” del 1 settembre 2012
 
Padre Georg Sporschill, il confratello gesuita che lo intervistò in Conversazioni notturne a Gerusalemme, e Federica Radice hanno incontrato Martini l'8 agosto: «Una sorta di testamento spirituale. Il cardinale Martini ha letto e approvato il testo».
 
Come vede lei la situazione della Chiesa?
 
«La Chiesa è stanca, nell'Europa del benessere e in America. La nostra cultura è invecchiata, le nostre Chiese sono grandi, le nostre case religiose sono vuote e l'apparato burocratico della Chiesa lievita, i nostri riti e i nostri abiti sono pomposi. Queste cose però esprimono quello che noi siamo oggi? (...) Il benessere pesa. Noi ci troviamo lì come il giovane ricco che triste se ne andò via quando Gesù lo chiamò per farlo diventare suo discepolo. Lo so che non possiamo lasciare tutto con facilità. Quanto meno però potremmo cercare uomini che siano liberi e più vicini al prossimo. Come lo sono stati il vescovo Romero e i martiri gesuiti di El Salvador. Dove sono da noi gli eroi a cui ispirarci? Per nessuna ragione dobbiamo limitarli con i vincoli dell'istituzione».
 
Chi può aiutare la Chiesa oggi?
 
«Padre Karl Rahner usava volentieri l'immagine della brace che si nasconde sotto la cenere. Io vedo nella Chiesa di oggi così tanta cenere sopra la brace che spesso mi assale un senso di impotenza. Come si può liberare la brace dalla cenere in modo da far rinvigorire la fiamma dell'amore? Per prima cosa dobbiamo ricercare questa brace. Dove sono le singole persone piene di generosità come il buon samaritano? Che hanno fede come il centurione romano? Che sono entusiaste come Giovanni Battista? Che osano il nuovo come Paolo? Che sono fedeli come Maria di Magdala? Io consiglio al Papa e ai vescovi di cercare dodici persone fuori dalle righe per i posti direzionali. Uomini che siano vicini ai più poveri e che siano circondati da giovani e che sperimentino cose nuove. Abbiamo bisogno del confronto con uomini che ardono in modo che lo spirito possa diffondersi ovunque».
 
Che strumenti consiglia contro la stanchezza della Chiesa?
 
«Ne consiglio tre molto forti. Il primo è la conversione: la Chiesa deve riconoscere i propri errori e deve percorrere un cammino radicale di cambiamento, cominciando dal Papa e dai vescovi. Gli scandali della pedofilia ci spingono a intraprendere un cammino di conversione. Le domande sulla sessualità e su tutti i temi che coinvolgono il corpo ne sono un esempio. Questi sono importanti per ognuno e a volte forse sono anche troppo importanti. Dobbiamo chiederci se la gente ascolta ancora i consigli della Chiesa in materia sessuale. La Chiesa è ancora in questo campo un'autorità di riferimento o solo una caricatura nei media?
 
Il secondo la Parola di Dio. Il Concilio Vaticano II ha restituito la Bibbia ai cattolici. (...) Solo chi percepisce nel suo cuore questa Parola può far parte di coloro che aiuteranno il rinnovamento della Chiesa e sapranno rispondere alle domande personali con una giusta scelta. La Parola di Dio è semplice e cerca come compagno un cuore che ascolti (...). Né il clero né il Diritto ecclesiale possono sostituirsi all'interiorità dell'uomo. Tutte le regole esterne, le leggi, i dogmi ci sono dati per chiarire la voce interna e per il discernimento degli spiriti.
Per chi sono i sacramenti?
Questi sono il terzo strumento di guarigione. I sacramenti non sono uno strumento per la disciplina, ma un aiuto per gli uomini nei momenti del cammino e nelle debolezze della vita. Portiamo i sacramenti agli uomini che necessitano una nuova forza? Io penso a tutti i divorziati e alle coppie risposate, alle famiglie allargate. Questi hanno bisogno di una protezione speciale. La Chiesa sostiene l'indissolubilità del matrimonio. È una grazia quando un matrimonio e una famiglia riescono (...).
 
L'atteggiamento che teniamo verso le famiglie allargate determinerà l'avvicinamento alla Chiesa della generazione dei figli. Una donna è stata abbandonata dal marito e trova un nuovo compagno che si occupa di lei e dei suoi tre figli. Il secondo amore riesce. Se questa famiglia viene discriminata, viene tagliata fuori non solo la madre ma anche i suoi figli. Se i genitori si sentono esterni alla Chiesa o non ne sentono il sostegno, la Chiesa perderà la generazione futura. Prima della Comunione noi preghiamo: "Signore non sono degno..." Noi sappiamo di non essere degni (...). L'amore è grazia. L'amore è un dono. La domanda se i divorziati possano fare la Comunione dovrebbe essere capovolta. Come può la Chiesa arrivare in aiuto con la forza dei sacramenti a chi ha situazioni familiari complesse?»
 
Lei cosa fa personalmente?
 
«La Chiesa è rimasta indietro di 200 anni. Come mai non si scuote? Abbiamo paura? Paura invece di coraggio? Comunque la fede è il fondamento della Chiesa. La fede, la fiducia, il coraggio. Io sono vecchio e malato e dipendo dall'aiuto degli altri. Le persone buone intorno a me mi fanno sentire l'amore. Questo amore è più forte del sentimento di sfiducia che ogni tanto percepisco nei confronti della Chiesa in Europa. Solo l'amore vince la stanchezza. Dio è Amore. Io ho ancora una domanda per te: che cosa puoi fare tu per la Chiesa?».

A LEZIONE DAL CARDINAL MARTINI...NELLA LINGUA DI TUTTI!

Dopo una lunga vita spesa a farsi eco della Parola di Dio, era rimasto quasi senza parole. Quando gli ultimi suoni che dovevano esserci consegnati – puri respiri, quasi – sono stati consegnati, il cardinale Martini ha consegnato anche lo spirito. L’ha consegnato a Dio, certamente. Ma tutte le sue parole, fino all’ultimo respiro, le ha prima consegnate a noi. Che cosa ci dicevano queste parole? E chi le eredita? E come deve fiorire il seme, ora che ha assolto il suo compito fino a nascondersi nella terra e morire?

Le sue parole dicevano, alla fine, una cosa sola: che c’è una sola Parola veramente degna di ascolto. Non era ancora stata così semplice e così possente, nei tempi della nostra giovinezza, questa primavera della Parola di Dio. Negli anni del nostro indecifrabile scontento, del nostro conflitto civile, delle nostre nevrosi ecclesiogene, questo primato dell’ascolto della Parola sull’eccitazione dei nostri progetti rivoluzionari, ci arrivò – in un primo momento – come una pietra lunare. E poi, poco a poco, si fece domestica. Incominciò a insegnarci la differenza fra la paura e la fede. Fra il giudizio degli uomini e il giudizio di Dio. Fra la stizza per il nostro sentirci abbandonati ai giochi delle potenze mondane, e la conquista di una indomabile determinazione a custodire la fede che vince il mondo. Amandolo, persino. Di fronte alla persuasiva suggestione di questa fiducia incrollabile nella Parola di Dio, alcune coscienze stravolte dalla convinzione di dover consegnare all’odio e alla violenza la regìa di una storia diversa, consegnarono – letteralmente – le armi. E molti, che avevano archiviato lo smarrimento di Dio, imparando a convivere con il vuoto, si persuasero di poterne parlare di nuovo.

Il primo erede delle parole di Carlo Maria Martini è, di diritto, la Chiesa. Nessuno, meglio della Chiesa, sa che cosa fare di questa eredità, e con questa eredità. La Chiesa, custode della Parola di Dio, discerne la sua tradizione. E sa che c’è un solo Maestro. Anche questo rispetto e questa obbedienza ecclesiale ereditiamo da Martini. La parola “discernimento” è diventata famosa proprio come una cifra caratteristica del suo insegnamento. Essa rimanda, per definizione, alla necessità di non farci presuntuose controfigure dell’autorevolezza della Parola di Dio, fronteggiando la Chiesa. Noi siamo parte, affettuosa e solidale, del discernimento della Chiesa. Non lo rendiamo più difficile, lo agevoliamo con le mille risorse dell’intelligenza di agape (1Cor 13, 4–13).

Ma l’eredità che la Chiesa riceve dai suoi servitori fedeli non è un geloso possesso, un orgoglioso sequestro. Molti uomini e donne proprio questo impararono dallo stile evangelico e umano di Martini. Furono colpiti con loro sorpresa dall’immagine di una Chiesa che non è avara dei suoi beni, a cominciare proprio dalla Parola di Dio. Impararono – e noi fummo costretti a ricordare – che la Chiesa non ha bisogno, né intenzione, di proteggere la Parola di Dio affogandola nel gergo di un linguaggio esoterico. Scoprirono che, dalla Pentecoste sino ad ora, l’autentica predicazione cristiana si fa intendere nella lingua di ciascuno. E dunque tutti possono rendersi conto che c’è, per ciascun essere umano, una Parola buona di Dio.

Questo ci basti, per dire una buona parola – una benedizione – su questo vescovo della Chiesa, e fratello nostro, che ha faticato al “remo della parola” di Dio (Lc 1, 2), fino a quando non ebbe finite le parole per insegnarcele. Le nostre parole, passano e muoiono, come devono. La Parola di Dio, però, se ne riscalda e vive. (Caro Cardinale Martini, tu sai che io sono stato il tuo teologo arruffaparole, al confronto con te, impareggiabile narratore della Parola. Eppure, non mi hai mai tolto la parola. Dio sa se non è un buon esempio di agape, questo. Dio ti benedica, indimenticabile fratello vescovo).
Pierangelo Sequeri

IL CARDINALE CARLO MARIA MARTINI:UN RICORDO.

È stato un riferimento per molti, anche nella Chiesa il cardinale Carlo Maria Martini. Soprattutto per il suo coraggio e per la sua libertà, alimentata dalla forza del Vangelo, di parlare all’uomo contemporaneo. Da qui anche la sua fedeltà al Concilio Vaticano II e la sua capacità di guardare con fiducia al futuro. È il biblista che si fa pastore e profeta. Così lo ricorda monsignor Luigi Bettazzi, vescovo emerito di Ivrea e uomo del Concilio.

Monsignor Bettazzi, come risponderebbe a una delle ultime domande poste dal cardinale Martini: perché la Chiesa ha paura di avere coraggio?

«Perché cercando di incarnare il Vangelo nelle situazioni storiche che è un suo dovere troppo spesso si è rimasti fermi al passato. Quando il Papa era anche re, si dava un’impronta alla Chiesa adatta a quei tempi, ma non certo all’oggi. La Chiesa invecchia quando perde il rapporto con la storia che muta. Per questo Giovanni XXIII ha voluto un Concilio Vaticano II pastorale e non dogmatico. Che aiuti la Chiesa a camminare con la gente. Forse abbiamo avuto paura che ciò portasse ad eccessivi rinnovamenti e tutti assieme gerarchia e popolo di Dio abbiamo avuto paura ad andare avanti. Questo avrebbe richiesto una purificazione dei nostri modi di pensare e di agire che forse richiedevano troppo sacrificio. A questa purificazione e al superamento di certi modi del passato ci ha chiamato il cardinale Martini, lui così radicato nella Parola di Dio, da sentire quanto forte fosse il richiamo a viverla nel nostro tempo».

Cosa è stato per lei?

«Un punto di riferimento. Non ho avuto molte occasioni di contatti personali con lui. Era un uomo di grande levatura, sia per la sua profonda conoscenza delle scritture, che per la sua preparazione. Sapeva illuminare le situazioni. Ho avuto modo di frequentarlo negli ultimi tempi a Gallarate, quando gli abbiamo presentato un progetto di rilancio del Concilio. Abbiamo trovato una certa consonanza, una simpatia. Durante uno di questi incontri mi ha chiesto di presiedere l’eucarestia familiare. Lo ricordo con molta commozione e gratitudine».

Cosa è stato per la Chiesa in Italia?

«Lo ripeto. Un punto di riferimento. L’insieme della Chiesa ufficiale gli riconosceva la sua grande personalità. Ma restava molto legata all’idea della tradizione come continuità da conservare. In latino tradere vuole dire trasmettere, quindi saper rinnovare i principi forti secondo le situazioni di un mondo che si sviluppa. Come dicevano gli antichi: nelle cose necessarie bisogna essere uniti, in quelle opinabili liberi, purché in tutte ci sia la carità. Era questo lo stile di Martini: da una parte l’attenzione alla Bibbia e dall’altra il dialogo con “la cattedra per i non credenti”. Il rinnovamento che cercava di vivere nella sua diocesi a Milano, non poteva non diventare motivo di attenzione per il resto della Chiesa. Il dialogo con i non credenti, ad esempio, che allora creò scalpore, alla fine è stato riproposto da papa Benedetto XVI all’incontro di preghiera per la pace tra le religioni tenutosi ad Assisi lo scorso anno. Ha voluto che ci fosse anche un non credente».

Ma intervenendo nel 2005 alla riunione dei cardinali che precedette l’elezione del successore di Giovanni Paolo II ha posto con chiarezza l’esigenza di un rinnovamento nella Chiesa...

«Non da candidato al pontificato. D’altra parte era già malato. Pare che abbia invitato tutti i porporati a votare per Ratzinger, chiedendo però al futuro Benedetto XVI di impegnarsi per il Concilio, per la collegialità e per l’ecumenismo. Sono i punti che il nuovo Papa affronterà nel suo primo discorso dopo l’elezione al Conclave. Quando due anni fa Martini si è recato in udienza dal Papa, non avrebbe parlato della successione alla diocesi di Milano, ma posto l’esigenza di un rilancio del Concilio a 50 anni dalla sua apertura».

Ha avuto ascolto...

«Non poteva non averlo. Poneva le sue idee con moderazione. Ed anche chi divergeva da lui, non poteva non guardare alla sue idee. Non poteva ignorare che nascevano da un uomo profondamente radicato nella parola di Dio. Una parola che, ci ha aiutato a capire, non è un deposito delle verità di fede, ma l’invenzione di Dio per metterci a tu per tu il popolo antico e quello nuovo composta da ciascunodinoi-conLui. E se sei“atupertu con Dio” hai la forza anche per sacrificare modi di valutare le cose che in passato potevano essere utili alla Chiesa, ma che oggi non lo sono più. È così che può parlare al cuore del tempo e quindi anche ai giovani, con le loro sensibilità e mentalità diverse dalla nostra. Lo chiede il Concilio che con il documento sulla Chiesa pone con nettezza la centralità del popolo di Dio nella Chiesa. Il laicato, prima di di dover obbedire alla gerarchia, deve vedere questa mettersi al suo servizio».

Sono stati punti fermi per Martini...


«...Che non chiese mai la convocazione di un Concilio Vaticano III. Sapeva bene che vi era il rischio che si mettessero in discussione punti importanti del Vaticano II. Quello che ha chiesto è che su alcuni punti particolari, come la sessualità, la bioetica, la pastorale dei divorziati e sui punti oggi caldi per la Chiesa tutti i vescovi del mondo venissero a Roma per decidere con l’autorevolezza del Concilio e con il Papa. Sarebbe il modo di vivere la collegialità superando i limiti dei Sinodi».

Saranno accolte queste richieste poste da un profeta che ha avuto la libertà di guardare oltre?

«Me lo auguro. A volte i profeti da morti hanno più influenza che da vivi. Direbbe Martini: è il principio evangelico, quello del frutto di frumento che in terra se vive resta solo,se muore dà molto frutto>>.

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