Ho scritto una lettera

E se sul celibato dei preti si esprimessero le

singole comunità?
Cara redazione, esprimo una mia opinione rispetto alla questione del celibato obbligatorio oppure opzionale dei presbiteri. Intanto sono sicuro che Papa Francesco è a conoscenza della situazione reale in cui i presbiteri vivono rispetto al celibato. Sondaggi, studi documentazioni, "narrate" parlano non solo di molte situazioni disagiate, che coinvolgono presbiteri e donne, ma di molte coppie che hanno scelto una relazione più o meno clandestina.
Alla mia bella età di ottant'anni, che compio proprio in questi giorni, conosco in Italia e all'estero molte donne e numerosi presbiteri che hanno scelto questa strada in disaccordo con la disciplina canonica. Hanno deciso, dopo un'attenta riflessione, di mettere al primo posto la coscienza e l'accoglienza dell'amore e etero o omo come dono di Dio. E' comprensibile che tale scelta comporti, in parecchi contesti, un disagio e spesso una sofferenza.
Sono convinto che solo il celibato opzionale permette di valorizzare sia il dono del celibato stesso, sia il dono dell'amore, sia la responsabilità e la felicità delle persone.
Con un po' di fatica riesco a capire che il Papa, anche per il vespaio vaticano che lo stringe da ogni parte, non trovi il coraggio e la convinzione di promuovere il celibato opzionale.
Però, in una comunità ecclesiale che valorizzi le singole chiese locali e le ritenga autentici laboratori di collegialità si potrebbe aprire un sentiero diverso. Siccome le chiese locali e i loro pastori esprimono da tempo sensibilità e opzioni diverse, perché non promuovere la loro libertà e la loro 
responsabilità affinché in appositi sinodi, discutano e decidano in loco le scelte da compiere o da non compiere?
La valorizzazione delle differenze che le varie chiese locali potrebbero esprimere, metterebbero anche in atto una concezione ecclesiologica antropologicamente dinamica e promuoverebbe il volto e la struttura di una comunità che, nell'unità di fede, apprezza e promuove la pluralità dei linguaggi e delle possibilità ministeriali.
E' mia opinione che nelle comunità locali lo Spirito ci aiuterebbe ad accogliere le divergenze e a far nascere delle gioiose sorprese. E' dal basso, dal territorio delle differenze che sono sempre spuntati i fiori più belli nella storia delle chiese cristiane.
Prego Dio che mi aiuti e ci aiuti a inoltrarci oltre le nostre paure, sperando che le chiese locali non si considerino soltanto esecutrici di ordini superiori, ma comunità creative, capaci di mettere in atto cammini nuovi.
Buon lavoro a voi, cari amici e amiche della Redazione di Rocca e un saluto ai lettori e alle lettrici.
Franco Barbero

Pinerolo

in “Rocca” n. 5 del 1 marzo 2019

_____________________________  
La lettera dei 15 teologi: “Nuove procedure per la Chiesa e per la Congregazione per la Dottrina della Fede”
«Deve essere presente colui contro il quale si fa l’inchiesta, a meno che non sia in contumacia; gli si espongano i capi di accusa sui quali verte l’inchiesta, perché possa difendersi; gli si devono far conoscere le accuse portate contro di lui, e anche i nomi dei testimoni, perché sappia di che cosa è accusato e da chi» (Concilio Lateranense IV, 1215).

Introduzione

Oggi vi è ampio consenso nella Chiesa riguardo al fatto che i processi e le procedure della Congregazione per la Dottrina della Fede (Cdf) sono contrari alla giustizia naturale e necessitano di una riforma. Essi rappresentano i principi legali, i processi e la mentalità dell’assolutismo europeo del XVI e del XVII secolo. Non riflettono i valori evangelici di giustizia, verità, integrità e misericordia in cui la Chiesa professa di credere. Non sono adeguati ai concetti contemporanei di diritti umani, responsabilità e trasparenza che il mondo si aspetta dalla comunità cristiana e che la Chiesa cattolica richiede alle organizzazioni secolari. Lo scopo del nuovo approccio che proponiamo è quello di rispecchiare l’atteggiamento di Gesù (Mt 18, 15-17) e di integrare i valori che il mondo considera basilari in una società che funzioni e che sia civile.

Principi base di ogni nuovo processo della CDF

Alla base di qualsiasi procedura della Chiesa vi deve essere una serie di principi che comportino un processo giusto ed equo, credibilità da parte della Cdf e delle Conferenze episcopali, presunzione di sincerità, di innocenza, e fedeltà alla Chiesa da parte della persona investigata, così come trasparenza e coinvolgimento più ampio della comunità cattolica locale e del Sinodo dei vescovi che rappresenta la Chiesa universale. Un processo che discenda da questi principi potrebbe evitare alcuni degli aspetti più negativi delle attuali investigazioni della Cdf, così come sono stati vissuti dai firmatari e da altri che hanno avuto a che fare con la Cdf negli ultimi decenni.

1) Il principio fondamentale deve essere quello di evitare la denuncia anonima di persone sconosciute a coloro che vengono investigati. Nominandoli pubblicamente si bloccano denunce inconsistenti lanciate da individui o organizzazioni spesso del tutto incompetenti.

2) Lo stesso si applica ai consultori della Cdf nominati in segreto. I consultori devono essere noti e le loro qualifiche o competenze negli ambiti in esame devono essere vagliate. Ciò dà la possibilità a chi è oggetto di investigazione di conoscere i pregiudizi e l’esperienza/formazione o altro di ognuno dei consultori nominati dalla Cdf.

3) Tutta la questione dell’obbligo al segreto e dell’isolamento spesso insostenibile delle persone sotto inchiesta deve essere superata obbligando la Cdf a confrontarsi direttamente e di persona con esse. Non devono più essere trattate per interposta persona, terza o quarta, attraverso una rete di vescovi o superiori, i quali potrebbero persino essere stati gli accusatori principali della persona sotto inchiesta

4) Le persone sotto inchiesta hanno spesso rilevato come la loro opera sia stata interpretata dai consultori della Cdf in modo erroneo o ingiusto, o come frasi od opinioni siano state totalmente estrapolate dal contesto, e come i chiarimenti che esse hanno addotto siano stati del tutto ignorati. Consultori di cui non hanno mai sentito parlare o del tutto sconosciuti diventano i soli arbitri della corretta interpretazione della loro opera. Vengono attribuite loro persino opinioni che non hanno. Il coinvolgimento delle persone sotto inchiesta e la loro difesa in qualche misura evita tutto questo. E garantisce che i consultori, la cui unica esperienza è quella delle scuole romane di teologia con la loro enfasi sugli approcci proposizionali alle posizioni dottrinali, vengano messi in discussione e non siano accettati come normativi per coloro che lavorano sul crinale profetico delle frontiere teologiche e ministeriali.

5) Le persone sotto inchiesta spesso si sono lamentate della totale rozzezza e della mancanza della più elementare buona educazione (per non parlare della carità cristiana) del personale della Cdf. Le lettere vengono ignorate o perse. I processi vengono tirati per le lunghe nel tentativo di logorare la resistenza di chi è investigato. Sono state poste sotto inchiesta e obbligate a rispondere ad accuse spesso stupide anche persone molto malate o vicine alla morte. Limiti temporali più rigidi e una comunicazione personale e diretta de visu eviterebbe tutto questo. Il supporto della difesa de visu e la consapevolezza che tutta la documentazione e i nomi degli accusatori e di tutto il personale implicato sarà rivelato alla più ampia comunità cattolica e ai media apporteranno in qualche misura una credibilità che al momento è totalmente assente nei processi della Cdf.

6) Si deve evitare che nei processi le stesse persone svolgano il ruolo di investigatori, pubblico ministero e giudici. Riportare i casi in corso al Sinodo dei vescovi fa sì che il processo decisionale venga sottratto alla Cdf e ricolloca le posizioni in esame all’interno del più ampio contesto culturale nel quale erano state originariamente elaborate.

7) La più ampia comunità dei teologi, del popolo di Dio e il sensum fidelium sono coinvolti nel discernimento della fede e del credere della Chiesa. La Cdf e i suoi consiglieri di stanza a Roma non devono più essere i soli arbitri della corretta dottrina e della fede

8) Il processo non deve essere più caratterizzato dalle presunzioni assolutiste di un sistema giuridico antiquato che non ha nulla a che fare con il Vangelo. Il processo sarà mitigato dalla misericordia e dal perdono di Dio, e dal dialogo aperto che deve caratterizzare la comunità di Gesù. Esso integra in parte l’enfasi contemporanea sui diritti umani e la necessità della libertà di parola, del pluralismo, della trasparenza e della credibilità all’interno della comunità ecclesiale.

Le firme

Paul Collins (scrittore e opinionista, Australia);
Charles Curran (docente, Southern Methodist University, Dallas, Usa);
Roy Bourgeois (prete e attivista, Usa);
p. Brian D’Arcy (scrittore e opinionista, Irlanda);
p. Tony Flannery (scrittore e opinionista, Irlanda);
suor Teresa Forcades (suora benedettina e medico, Spagna);
suor Jeannine Gramick (suora di Loreto, cofondatrice di New Ways Ministry, Usa);
suor Elizabeth A. Johnson (docente di Teologia, Fordham University, New York, Usa);
Paul Knitter (docente emerito di teologia, religioni e culture del mondo, Union Theological Seminary, New York, Usa);
p. Gerard Moloney (direttore di giornale, Irlanda);
mons. William Morris (vescovo emerito di Toowoomba, Australia);
p. Ignatius O’Donovan (storico della Chiesa, Irlanda);
p. Owen O’Sullivan (cappellano e scrittore, Irlanda);
mons. Patrick Power (vescovo ausiliare emerito di Canberra-Goulburn, Australia);
p. Marciano Vidal (già docente ordinario, Pontificia Università Comillas, Madrid, Spagna; docente Accademia Alfonsiana, Roma).


Fr. Iggy O’Donovan.tel. 00353877989731
______________________________________________


Una suora scrive al Papa: liberiamo il volto della Chiesa dalla sua schiavitù maschile
Caro Francesco,
sono suor Rita Giaretta di Casa Rut, una suora Orsolina del S. Cuore di Maria da vent’anni in missione a Caserta dove, insieme alle mie consorelle, abbiamo dato vita a Casa Rut, una casa di accoglienza per donne, a volte minorenni, spesso incinte o con figli piccoli, per lo più vittime di quell’infamia che è “la tratta delle donne” e da circa 10 anni alla Cooperativa Sociale newHope – un laboratorio di sartoria etnica per la formazione e addestramento al lavoro – che, con nostra grande sorpresa e gioia, sta dando oggi lavoro e dignità a 7 socie lavoratrici, per lo più giovani mamme, di 5 nazionalità diverse. Davvero un miracolo!
Domenica, mentre ero in treno per ritornare a Caserta da Roma, dopo aver partecipato in diretta alla trasmissione di RAI1 “A sua immagine”, dove si è parlato delle “opere di misericordia”, o meglio dei “gesti” di misericordia da te tanto praticati e continuamente proposti a tutte/i noi, ero presa da pensieri, inquietudini e passioni, che sentivo provocati dalla forza della Parola e soprattutto dalla vita di Gesù, il mio amico e fratello, il mio tutto. E pensavo a te, caro papà Francesco (lo preferisco a papa), ai tuoi gesti, alle tue parole ma anche ai tuoi silenzi, al tuo coraggio, alla tua tenerezza d’amore, al tuo essere oggi per noi, trasparenza, cuore e cammino dell’amore di Dio manifestatosi in Gesù, che, per amore, si è fatto servo per noi.
Ma pensavo anche alle parole, non certo benevole, dette da qualcuno vicino a te il quale affermava «che presto questa ricreazione finirà». E mi son detta, ma quale “ricreazione”? Se tu, come Gesù, non ti stanchi di chiamarci continuamente a lavorare nella vigna del Signore, perché la messe è molta ma – anche oggi come 2000 anni fa – gli operai sono pochi? E allora nel mio cuore forte e vivo il desiderio, la gioia e la passione di essere con te, semplice contadina che zappa e fertilizza la vigna a cui il Signore oggi ci invia.
Anche altri pensieri attraversavano la mia mente e il mio cuore. Nella trasmissione affermavo che nella Sacra Scrittura di Dio si dice che ha viscere di misericordia o, per essere esatti con la traduzione, che Dio ha utero di misericordia. Si dice quindi che Dio è anche donna, che Dio è anche madre e pertanto non solo è Padre, ma Dio è Padre e Madre, come già aveva affermato papa Luciani. E allora perché il volto della chiesa ufficiale è espresso unicamente al maschile?
Caro papà Francesco, io non sono teologa, non ho fatto grandi studi, non frequento scuole accademiche, mi sento semplicemente una “salvata-amata”, che ha sentito l’inarrestabile bisogno di cingersi i fianchi con il grembiule del servizio, ma nella mia “ignoranza” e nella semplicità del cuore, sento di dire che questa unicità maschile, questa assenza di donne, oso dire questa disuguaglianza, tradisce il Vangelo di Gesù. Dio all’atto della creazione ha detto: non è bene che l’uomo sia solo e senza forzature sono certa che oggi direbbe: non è bene che la chiesa sia solo di maschi. In Gesù la chiesa non è più una proprietà esclusiva di alcuni, ma “casa” di tutti e per tutti. Con viva partecipazione penso con quanta convinzione umana e di fede l’amato padre Raffaele Nogaro, oggi vescovo emerito di Caserta, ha continuamente affermato, e tutt’oggi afferma, che sarà la donna a salvare il mondo.
Gesù è nato da donna, si è lasciato provocare e anche illuminare da loro, ha creato e coltivato legami significativi di amicizia, penso a Marta e Maria; Gesù ha valorizzato e rese protagoniste e missionarie le donne incontrate sul suo cammino, sono state loro, perché donne e madri, intimamente a contatto con il mistero generante della vita, a restare in piedi sotto la croce. E infine alla donna amica, Maria di Magdala, l’apostola degli apostoli, Gesù si è lasciato toccare da risorto, inviandola poi come annunciatrice del grande evento pasquale.
Quando questa realtà evangelica prenderà vita?
È da tempo che si dice che la chiesa deve respirare con i due polmoni, riferendosi alla chiesa orientale e occidentale, ma io credo, anche e soprattutto oggi, che la chiesa deve sapere e voler respirare con i due polmoni: maschile e femminile. Solo così il “fiato” dello Spirito che ne scaturisce sarà trasparenza dell’amore di Dio che è misericordia per tutte le sue creature. Caro papà Francesco, fra le tante “rivoluzioni” che sei chiamato a portare avanti credo che questa è una delle sfide più importanti e necessarie: liberare il volto della chiesa dalla sua schiavitù maschile.
Liberare la chiesa da quell’immagine che sa di autorità, privilegio, potere sacrale, dominio e restituirle il volto bello, luminoso e trasparente di Dio madre e padre; il volto divino- umano di Gesù che parla di vita, di compassione, di misericordia. È tempo di nuove risurrezioni e queste potranno avvenire solo e quando sull’altare quotidiano della vita, di relazioni liberate, di misericordia accolta e donata, apriamo la “porta” del cuore a Cristo, impaziente di farsi pane vivo per la fame di tutte e di tutti, felice di chinarsi a lavarci i piedi, senza far preferenze di persone, tanto meno di genere.
A quando questa rivoluzione?
Noi donne, con te Francesco, siamo pronte a metterci la faccia e a “svegliare il mondo”. Mi permetto un suggerimento: quando fai i tuoi viaggi missionari scegli, non per concessione ma perché è giusto e bello, anche delle donne per il tuo seguito. La forza delle immagini è importante nell’iniziare a far passare una nuova “immagine” di Chiesa.
Certa di essere accolta, sempre unita nella preghiera (come comunità abbiamo preso sul serio il tuo invito a pregare per te e lo facciamo ogni mattina alle lodi), un abbraccio filiale colmo di affetto e gratitudine.
Suor Rita Giaretta
unitamente alle sorelle Assunta e Nazarena
Caserta, 14 febbraio 2016, prima Domenica di Quaresima

[in “www.adista.it” del 20 febbraio 2016]
____________________________

“Lettera di sostegno a Papa Francesco” 
di partecipanti del II Congresso Continentale di Teologia 

Carissimo papa Francesco, 
in America Latina, in Brasile e nel Caribe ed in altre parti del mondo siamo in molti che seguiamo preoccupati l’ottusa opposizione e gli attacchi che ti portano minoranze conservatrici, ma potenti, dentro e fuori la Chiesa. Abbiamo assistito, perplessi, a qualcosa di insolito negli ultimi secoli: la ribellione di alcuni cardinali conservatori contro il tuo modo di condurre il Sinodo e, soprattutto, la Chiesa Universale. La lettera strettamente personale di un gruppo di cardinali, a te diretta, è trapelata alla stampa, come era successo prima con la tua enciclica Laudato Si’, in chiara violazione dei principi di un giornalismo etico. Tali gruppi conservatori pretendono un ritorno al modello di Chiesa del passato, concepita come una fortezza chiusa piuttosto che come “un ospedale da campo con le porte aperte per accogliere qualsiasi persona che bussi”; Chiesa che dovrà “cercare e accompagnare l’umanità di oggi con le porte aperta, perché con le porte chiuse tradirebbe se stessa e la sua missione e, invece di essere un ponte, diventerebbe una barriera”. Queste sono state le tue parole coraggiose. Gli atteggiamenti pastorali del tipo di Chiesa proposto nei tuoi discorsi e nei tuoi gesti simbolici si caratterizzano per l’amore caldo, per l’incontro vivo tra persone e il Cristo presente tra noi, per la misericordia senza limiti, per la “rivoluzione della tenerezza” e per la conversione pastorale. Questa implica che il pastore abbia “odore di pecora” perché convive con lei e l’accompagna lungo tutto il percorso. Ci dispiace che tali gruppi conservatori sappiano al massimo dire no. No alla comunione dei divorziati risposati; no al riconoscimento degli omoaffettivi; no a qualsiasi apertura al mondo che comporti cambiamenti di sostanza. Vorremmo ricordare a questi fratelli le cose più ovvie del messaggio di Gesù. Lui non è venuto a dire no. Al contrario Lui è venuto a dire sì. San Paolo nella seconda lettera ai Corinzi ci ricorda che “Il Figlio di Dio è stato sempre sì…perché tutte le promesse di Dio sono sì in Gesù” (2 Cor 1,20). Nel Vangelo di San Giovanni Lui afferma esplicitamente: “Se qualcuno viene a me io non lo manderò mai via” (Gv 6,37). Poteva essere una prostituta, un lebbroso, un teologo pavido come Nicodemo: ha accolto tutti con il suo amore e la sua misericordia. La caratteristica fondamentale del Dio di Gesù, “Abba”, è la sua misericordia illimitata (Lc 6,36) ed il suo amore preferenziale per poveri, per gli ammalati ed i peccatori (Lc 5,32; 6,21). Più che fondare una nuova religione con fedeli devoti, Gesù è venuto a insegnarci a vivere ed a realizzare il messaggio centrale del Regno di Dio, i cui beni sono: l’amore, la compassione, il perdono, la solidarietà, la fame e sete di giustizia e il farci sentire tutti figli e figlie amati da Dio. I tentativi di delegittimare la tua maniera di essere Vescovo di Roma e Papa della Chiesa universale guidando la Chiesa più con la carità che con il Diritto Canonico, più con la collegialità e la cooperazione che con l’uso solitario del potere sacro non approderanno a nulla, perché niente resiste alla bontà e alla tenerezza delle quali ci dai uno splendido esempio. Dalla storia abbiamo imparato che, quando prevale il potere, sparisce l’amore e si estingue la misericordia, valori centrali della tua predicazione e di quella di Gesù. In questo contesto, di fronte alla nuova fase planetaria della storia ed alle minacce che pesano sul sistema-vita e il sistema-Terra, coraggiosamente segnalate nella tua Enciclica Laudato Si’ sulla “Cura della Casa Comune”, vogliamo serrare le file intorno a te e mostrare il nostro totale appoggio alla tua persona, al tuo ministero, alla tua visione di Chiesa pastorale e aperta e alla forma carismatica con la quale tu ci fai sperimentare nuovamente la Chiesa come nostro focolare spirituale. E ci sono tanta gente di altre chiese, religioni e del mondo laico che ti appoggiano e ti ammirano per il tuo modo di parlare e agire. Non è senza significato il fatto che la grande maggioranza dei cattolici viva nelle Americhe, in Africa e in Asia, dove si constata una grande vitalità e creatività in dialogo con le diverse culture, che mostrano vari volti della stessa Chiesa di Cristo. La Chiesa cattolica è oggi una chiesa del Terzo Mondo, poiché soltanto il 25 % dei cattolici vive in Europa. Il futuro della Chiesa si gioca in queste regioni dove soffia fortemente lo Spirito. La Chiesa cattolica non può rimanere ostaggio della cultura occidentale, che è una cultura regionale, per quanto grandi siano i meriti che ha accumulato. C’è bisogno che si disoccidentalizzi e si apra al processo di mondializzazione che favorisce l’incontro delle culture e dei cammini spirituali. Caro papa Francesco, tu partecipi dello stesso destino del Maestro e degli Apostoli, che anche loro furono incompresi, calunniati e perseguitati. Ma siamo tranquilli perché sappiamo che tu accetti tali tribolazioni nello spirito delle Beatitudini. Tu le sopporti con umiltà. Tu chiedi perdono per i peccati della Chiesa e continui sulle orme del Nazareno. Vogliamo stare con te, appoggiarti nella tua visione evangelica e liberatrice di Chiesa, darti coraggio e forza interiore perché prendiamo coscienza, nelle parole e nei gesti, della Tradizione di Gesù fatta di amore, di misericordia, di compassione, di intimità con Dio e di solidarietà con l’umanità sofferente. Infine, caro papa Francesco, continua a mostrare a tutti noi che il Vangelo è una proposta buona per tutta l’umanità, che il messaggio cristiano è una forza ispiratrice per la “cura della Casa Comune” e generatrice di una piccola anticipazione di una Terra riconciliata con se stessa, con tutti gli esseri umani, con la natura e soprattutto con il Padre che ha mostrato di avere caratteristiche di Madre di infinita bontà e tenerezza. Alla fine, tutti insieme potremo dire: “Tutto è molto buono” (Gen 1,31). 

____________________________
"LA LETTERA SCARLATTA"
ROMA, 12 ottobre 2015 – Lunedì 5 ottobre, all'inizio dei lavori del sinodo sulla famiglia, il cardinale George Pell ha consegnato a papa Francesco una lettera, firmata da lui e da altri dodici cardinali, tutti presenti in quella stessa aula sinodale.
I tredici firmatari ricoprono ruoli di prima grandezza nella gerarchia della Chiesa. Tra di essi vi sono, in ordine alfabetico:

- Carlo Caffarra, arcivescovo di Bologna, Italia, teologo, già primo presidente del Pontificio istituto Giovanni Paolo II per studi su matrimonio e famiglia;
- Thomas C. Collins, arcivescovo di Toronto, Canada;
- Timothy M. Dolan, arcivescovo di New York, Stati Uniti;
- Willem J. Eijk, arcivescovo di Utrecht, Olanda;
- Gerhard L. Müller, già vescovo di Ratisbona, Germania, dal 2012 prefetto della congregazione per la dottrina della fede;
- Wilfrid Fox Napier, arcivescovo di Durban, Sudafrica, presidente delegato del sinodo in corso come già della precedente sessione dell'ottobre 2014;
- George Pell, arcivescovo emerito di Sydney, Australia, dal 2014 prefetto in Vaticano della segreteria per l'economia;
- Robert Sarah, già arcivescovo di Konakry, Guinea, dal 2014 prefetto della congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti;
- Jorge L. Urosa Savino, arcivescovo di Caracas, Venezuela.

Nella lettera, concisa e chiarissima, i tredici cardinali sottoponevano all'attenzione del papa le serie "preoccupazioni" loro e di altri padri sinodali circa le procedure del sinodo, a loro giudizio "configurate per facilitare dei risultati predeterminati su importanti questioni controverse", e riguardo all'"Instrumentum laboris", ritenuto inadeguato come "testo guida e fondamento di un documento finale".

Ecco qui di seguito il testo della lettera, tradotto dalla stesura originale in inglese.

__________


Santità,

Mentre ha inizio il sinodo sulla famiglia, e con il desiderio di vederlo fruttuosamente servire la Chiesa e il Suo ministero, rispettosamente Le chiediamo di prendere in considerazione una serie di preoccupazioni che abbiamo raccolto da altri padri sinodali, e che noi condividiamo.

Il documento preparatorio del sinodo, l'"Instrumentum laboris", che pure ha degli spunti ammirevoli, ha anche sezioni che trarrebbero vantaggio da una sostanziale riflessione e rielaborazione. Le nuove procedure che guidano il sinodo sembrano assicurare un'influenza eccessiva sulle deliberazioni del sinodo e sul documento sinodale finale. Così com'è, e poste le preoccupazioni che abbiamo già raccolto da molti dei padri sulle sue varie sezioni problematiche, l'"Instrumentum" non può adeguatamente servire da testo guida o da fondamento di un documento finale.

Le nuove procedure sinodali saranno viste in alcuni ambienti come mancanti d’apertura e di genuina collegialità. Nel passato, il processo di presentare proposizioni e di votarle serviva allo scopo prezioso di misurare gli orientamenti dei padri sinodali. L'assenza di proposizioni e delle relative discussioni e votazioni sembra scoraggiare un dibattito aperto e confinare la discussione ai circoli minori; quindi ci sembra urgente che la redazione di proposizioni da votare dall'intero sinodo dovrebbe essere ripristinata. Il voto su un documento finale arriva troppo tardi nel processo di completa revisione e di aggiustamento del testo.

Inoltre, la mancanza di una partecipazione dai padri sinodali alla composizione della commissione di redazione ha creato un notevole disagio. I suoi membri sono stati nominati, non eletti, senza consultazione. Allo stesso modo, chiunque farà parte della redazione di qualsiasi testo a livello dei circoli minori dovrebbe essere eletto, non nominato.

A loro volta, questi fatti hanno creato il timore che le nuove procedure non siano aderenti al tradizionale spirito e finalità di un sinodo. Non si capisce perché questi cambiamenti procedurali siano necessari. A un certo numero di padri il nuovo processo sembra configurato per facilitare dei risultati predeterminati su importanti questioni controverse.

Infine, e forse con più urgenza, vari padri hanno espresso la preoccupazione che un sinodo progettato per affrontare una questione pastorale vitale – rafforzare la dignità del matrimonio e della famiglia – possa arrivare ad essere dominato dal problema teologico/dottrinale della comunione per i divorziati risposati civilmente. Se così avverrà, ciò solleverà inevitabilmente questioni ancora più fondamentali su come la Chiesa, nel suo cammino, dovrebbe interpretare e applicare la Parola di Dio, le sue dottrine e le sue discipline ai cambiamenti nella cultura. Il collasso delle chiese protestanti liberali nell’epoca moderna, accelerato dal loro abbandono di elementi chiave della fede e della pratica cristiana in nome dell'adattamento pastorale, giustifica una grande cautela nelle nostre discussioni sinodali.

Santità, offriamo questi pensieri in uno spirito di fedeltà, e La ringraziamo per la loro presa in considerazione.

Fedelmente suoi in Gesù Cristo.
(Dal Blog di Sandro Magister)

_____________________________________________

UNA LETTERA PER CHIEDERE DI MODIFICARE IL CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA 
di Carmelo Dini
La notizia: “Alla vigilia del Sinodo sulla famiglia, Krysztof Charamsa, sacerdote polacco con alti incarichi in Vaticano, ha dichiarato di essere gay, di avere un compagno. Che anche l'omosessualità è amore e merita una famiglia....  che è pronto per la stampa, in italiano e in polacco, un libro in cui mette la sua esperienza a nudo. Il sacerdote ha definito papa Francesco fantastico, giacché ci ha fatto riscoprire la bellezza del dialogo... ha dichiarato che chiederà al Papa di modificare il Catechismo, aggiungendo che informerà personalmente il Pontefice”. Modificare il Catechismo. Ecco che cosa scrivevo il 16 agosto 2015 sul blog “Come Gesù” del prete e scrittore Mauro Leonardi: “Ho lanciato una petizione online a Papa Francesco, affinché siano modificati o eliminati i paragrafi del Catechismo dedicati all’omosessualità. La ragione è che questi paragrafi sono offensivi nei riguardi degli omosessuali, e la Chiesa è in grandissima parte responsabile dei pregiudizi sull’omosessualità. Una petizione che è in realtà solo una provocazione, giacché anche se fossero in milioni a firmare, difficilmente, molto difficilmente la Chiesa ne terrebbe conto”. Il prete gay farà al Papa la mia stessa richiesta. Forse la mia petizione non è solo una provocazione. Forse dopo la dichiarazione di questo coraggioso sacerdote, la Chiesa dovrà tenerne conto.
________________________
Lettera di Vocatio a papa Francesco
di Giovanni Monteasi
Caro papa Francesco,
Sono un prete sposato e vivo nella diocesi di Sessa Aurunca nella provincia di Caserta. Ti scrivo questa lettera con la stessa semplicità con la quale, negli anni della fanciullezza, i nostri bravi e indimenticabili maestri ci invitavano, in particolari ricorrenze a scrivere messaggi augurali a papà e mamma.
Anche io, con tanti anni sul groppone vissuti con slancio apostolico al servizio della Chiesa che amo, voglio esprimerti la mia gioia e dire un “grazie” allo Spirito Santo che ti ha scelto per guidare la chiesa e ti ha convinto a farti chiamare “Francesco”: nome ideale ed appropriato per una rinnovata rotta della “barca di Pietro”.
Grazie, perché la tua elezione ha acceso nei credenti di tutte le religioni (ed anche in alcuni “non credenti”) la speranza di una nuova primavera ecclesiale, presupposto indispensabile per un rinnovato slancio ecumenico e per un’era nuova di pace e di rispetto verso ogni essere umano.
Grazie anche da parte di “Vocatio” (Associazione Nazionale dei Preti Sposati di cui sono presidente), perché con la tua elezione abbiamo ritrovato l’entusiasmo che ci fece dire qualche anno fa: “Eccomi, manda me!”.
Per tutti noi sarebbe un gran regalo se potessimo confermare tutto ciò di persona in un incontro fraterno e filiale.
Di fatto molti fra noi (anche se qualcuno ci ha accusato di rottura o di tradimento) insieme con la propria famiglia continuano, come nelle prime comunità cristiane, ad essere testimoni della Parola. Cerchiamo di “sentire l’odore delle pecore” nel servizio di ogni uomo bisognoso di amore e di condivisione.
È quanto ti abbiamo già espresso nella lettera inviata dal nostro convegno di Sorrivoli (Cesena) nel settembre 2014, dove ci eravamo riuniti per conoscere altri confratelli, per pregare con loro e per verificare la possibilità di un dialogo con i nostri vescovi e con tutto il popolo di Dio, convinti di poter essere per la comunità ecclesiale una ulteriore risorsa.
Ci è giunta notizia, caro Francesco, che tra i tuoi innumerevoli impegni e problemi, la “questione dei preti sposati” è da tempo inserita nella tua agenda. Per questo ti diciamo ancora grazie e ti assicuriamo la preghiera che chiedi sempre.
Lo Spirito Santo, tuo principale elettore, ti sosterrà con amore per guidare la barca di Pietro accogliendo tutti dalle estreme periferie geografiche e sociali.
La tua carica profetica ci dà certezza che la Chiesa con le sue immense potenzialità saprà continuare a promuovere, in questo terzo millennio, l’avventura del sospirato ecumenismo.
Anche l’intuizione profetica di proclamare un anno di misericordia [“Il Signore è buono ed eterna è la sua misericordia” (Salmo 117)] viene da lontano, perché dalla estremità della terra hai portato l’eredità di tutte le periferie del mondo con quel capitale umano non sempre valorizzato dalla Chiesa.
Hai fatto capire in varie occasioni, con paterna fermezza, che l’anno della misericordia deve esser praticato e testimoniato “in primis” all’interno della Chiesa gerarchica con la confessione delle proprie colpe davanti alle comunità cristiane per le tante sofferenze provocate (volontariamente o involontariamente) con condanne e tanti anatemi a figli che, attraverso la Parola del vangelo, hanno scoperto il primato della coscienza.
Caro papa Francesco, il Giubileo della misericordia interpella anche noi, fratelli nella fede e confratelli nel ministero apostolico.
Siamo anche noi peccatori, come tutti. Abbiamo sempre creduto nell’abbraccio misericordioso del Padre.
Per te, come per noi, il “perdonatevi a vicenda” e “amatevi come io ho amato voi”, non sono semplici slogans, ma l’essenza stessa della nostra fede in Gesù, nostro Signore.
Ritornando al fanciullino (quello che scrive messaggi per papà e mamma) che da sempre mi è stato compagno fedele anche nel ministero presbiterale, caro Francesco, vorrei renderti partecipe di un sogno, condiviso con tanti amici, quello di un segno profetico:
In una liturgia pubblica o nell’intimità di santa Marta, ai presenti sbigottiti e increduli potresti esordire dicendo: “Qui in mezzo a noi c’è un amico e fratello che vi benedirà al posto mio. Quest’uomo con la fede al dito è un ministro dell’Eucarestia. Le sue mani sono callose ma colme di benedizioni accumulate nell’arco di decenni. Ora è qui a rappresentare tutti coloro che a causa della scelta matrimoniale, abbiamo dimenticato. Chiniamo la testa, io per primo, e lodiamo il Signore per questo momento di grazia destinato a purificare la Chiesa e a renderla libera di credere solamente in Lui”.
Se questo momento di grazia sognato potesse diventare realtà, basterà un tuo cenno e saremo da te. Ci saranno anche le nostre mogli che ci hanno aiutato a scoprire la fecondità del confronto tra la Parola ed i segni dei tempi ed hanno condiviso con noi l’avventura di vivere nell’incertezza della tenda di Abramo anziché sicuri nel tempio di Salomone.
Ci saranno, se lo vorranno, anche i nostri figli (cui molti di noi hanno dato il nome di Maria, Francesco, Chiara, Miriam, Emanuele) che abbiamo educato ad impostare la vita con coerenza evangelica ed a leggere la presenza di Dio nelle vicende di ogni giorno prima che nelle elucubrazioni mentali, troppo spesso astratte e presuntuose.
Pensiamo di aver risposto ad una duplice vocazione: quella del presbiterato e quella del matrimonio, convinti che il celibato è un carisma particolare che il Signore non ha voluto legare al ministero ma al riconoscimento di un suo dono particolare.
Chi potrà accusare quelli che Dio ha scelto? Nessuno, perché Dio li ha perdonati.
Chi potrà condannarli? Nessuno, perché Gesù è morto, anzi è risuscitato e ora si trova accanto a Dio dove sostiene la loro causa.
Chi sono io per giudicare?
Siamo convinti della tua comprensione, della tua lungimiranza e di poter realizzare con te l’utopia del domani.
Ci basta! Con tutti gli amici e confratelli di “Vocatio”, in un abbraccio filiale, ti diciamo ancora una volta: Grazie!
Giovanni Monteasi.

_________________________
Bozza di lettera a Papa Francesco contro la guerra

Caro Papa Francesco,
ti scrivo per chiederti di lanciare una mobilitazione mondiale contro la «terza guerra mondiale» che è in corso oramai dall'11 settembre del 2001 e che non accenna minimamente a terminare. Sempre nuove guerre si prospettano all'orizzonte ed il commercio delle armi ha raggiunto oramai la stratosferica cifra di 1800 miliardi di dollari.
Ti chiedo di fare appello a tutti i leader religiosi del mondo ad unirsi a te in questa mobilitazione mondiale.
Bisogna chiedere a tutti i governi di fermare le armi, di fermare gli eserciti che è l'unico mezzo per salvare vite umane e difendere il pianeta Terra dalle distruzioni che le guerre provocano.
Che risuoni forte in tutti i luoghi di culto il grido BASTA GUERRE. Organizziamo in ogni città, in ogni quartiere presidi per chiedere PACE, per il DISARMO, per la RICONCILIAZIONE. «La guerra è follia» hai detto a Redipuglia. Io sono d'accordo con te e sono a tua disposizione per impegnarmi in tutte le iniziative che vorrai assumere a favore della pace.
Si ritorni alla coesistenza pacifica e allo spirito originario dell'ONU, organizzazione nata dopo la tragedia della seconda guerra mondiale proprio per, come si legge nel suo Statuto,«salvare le future generazioni dal flagello della guerra, che per due volte nel corso di questa generazione ha portato indicibili afflizioni all'umanità»
Sono convinto che un tuo appello e l'impegno costante della maggiore organizzazione religiosa del mondo possa riuscire a fermare la guerra ed aprire una prospettiva di pace per l'umanità. Lo dobbiamo ai tanti milioni di morti di tutte le guerre, di tutte le nazioni, di tutte le religioni e culture.
Ti ringrazio per quanto farai e ti saluto augurandoti ogni bene e assicurando il mio sostegno concreto e spirituale alla tua azione.
Data,......                             Firma/e
Inserire il proprio indirizzo

Spedire a:
Sua Santità Francesco
Casa Santa Marta
00120 Città del Vaticano









“Non bisogna mai disperare della pace, se si costruisce la giustizia”


ceci n'est pas une religion
Ai cattolici di Parigi
Parigi, 10 gennaio 2015
Il nostro Paese, la nostra città di Parigi in particolare, sono stati questa settimana teatro di violenze e di barbarie senza precedenti. Da molti anni, per noi, la guerra, la morte era sempre altrove, anche se in quel periodo, soldati francesi erano impegnati in diversi Paesi per cercare di portare un po’ di pace. Alcuni l’hanno pagato con la loro vita.
Ma la morte violenta si è autoinvitata all’improvviso. In Francia e ben oltre i nostri confini, tutti sono sotto choc. La maggior parte dei nostri concittadini hanno vissuto questa situazione come un appello a riscoprire un certo numero di valori fondamentali della nostra Repubblica, come la libertà di religione o la libertà di opinione. Gli assembramenti spontanei di questi ultimi giorni sono stati caratterizzati da un grande raccoglimento, senza manifestazione di odio né di violenza. La tristezza del lutto e la convinzione che noi abbiamo qualcosa da difendere insieme uniscono i francesi.
Una caricatura, anche di cattivo gusto, una critica anche gravemente ingiusta, non possono essere messe sullo stesso piano di un omicidio. La libertà di stampa è, a qualunque costo, il segno di una società matura. Che uomini nati nel nostro Paese, nostri concittadini, possano pensare che la sola risposta giusta ad uno scherno o ad un insulto sia la morte dei loro autori, mette la nostra società davanti a gravi interrogativi. Che ebrei francesi paghino ancora una volta un tributo ai turbamenti che agitano la nostra comunità nazionale, raddoppia ancora la loro gravità. Noi rendiamo anche omaggio ai poliziotti morti nell’esercitare fino in fondo il loro servizio.
Invito i cattolici di Parigi a pregare il Signore per le vittime dei terroristi, per i loro coniugi, per i loro figli e le loro famiglie. Preghiamo anche per il nostro Paese: che la moderazione, la temperanza e la padronanza di sé di cui abbiamo dato prova finora siano confermate nelle settimane e nei mesi che verranno; che nessuno ceda al panico o all’odio; che nessuno ceda alla semplificazione di identificare alcuni fanatici con una religione intera. E preghiamo anche per i terroristi, affinché scoprano la verità del giudizio di Dio.
Domandiamo la grazia di essere artigiani di pace. Non bisogna mai disperare della pace, se si costruisce la giustizia.
+ Cardinale André VINGT-TROIS
Arcivescovo di Parigi
_________________________________________________

Lettera a papa Francesco
di Jacques Gaillot, vescovo di Partenia

Papa Francesco,
Siamo in tanti a volerLe esprimere il nostro sostegno e la nostra gratitudine per tutti gli sforzi che Lei sta compiendo affinché la Chiesa cattolica possa andare di pari passo con il suo tempo.
Lei non risparmia il Suo impegno per aprire delle porte alle famiglie delle nostre società attuali:famiglie di divorziati, senza bambini, con un solo genitore, ricomposte, dello stesso sesso... Questo rappresenta un cambiamento antropologico e culturale considerevole!
Il testo adottato alla fine del sinodo, nell’ottobre scorso, ci è sembrato deludente e arretrato.
Soprattutto nei confronti delle proposte di apertura che erano state fatte per i divorziati risposati e per gli omosessuali. Questo testo dà l’impressione che rimaniamo rinchiusi dentro un sistema.
Fortunatamente, con il fatto di rimandare la questione nelle diocesi prima della prossima sessione del sinodo, Lei ha istaurato la collegialità, consentendo così all’insieme del popolo cristiano di esprimersi liberamente. È con questo spirito che ci preme trasmetterLe il nostro modesto contributo.
Lo ha detto Lei stesso, non è la disciplina che deve prevalere, bensì la misericordia. Non è forse quello l’atteggiamento abituale di Gesù in tutti i suoi incontri sulle vie della Palestina?
Il ruolo della Chiesa è di accompagnare, di aiutare, di incoraggiare, non è quello di imporre dei fardelli che noi stessi, i suoi dirigenti, non portiamo.
Sembra molto più evangelico accogliere le persone così come sono e non come dovrebbero essere!
La Chiesa, a suo merito, ha il fatto che alcuni cristiani, alcuni parroci abbiano, da parecchio tempo,aperto delle porte. Non si sono fondati sui principi ma sul fatto che esistano delle coppie che, di fatto, sono escluse del sacramento e della comunione con gli altri cristiani.
Riconoscono con benevolenza l’amore che viene vissuto dalle coppie fuori norma.
Non si nascondono dietro la dottrina con un discorso ligio alle regole, bensì sono in ascolto e guardano con occhio benevolo queste nuove forme di famiglie per le quali la vita quotidiana, spesso, non è facile. Il matrimonio civile viene considerato positivamente. Divorziati risposati sono accolti e possono fare la comunione. Degli incarichi vengono loro affidati. Coppie omosessuali vengono accettate e valorizzate. Il loro matrimonio viene benedetto. E i loro figli vengono battezzati. Nelle periferie della Chiesa, vige un clima di tolleranza e di rispetto dove quelli che sono esclusi sono i primi ad essere invitati al tavolo dell’Eucarestia.
Questo è un cambiamento epocale che potrebbe spaventare. Non si tratta di accettare tutto quello che viene fatto, bensì di partire dalle situazioni esistenziali tali quali esse siano per poi fare, con coraggio, un passo avanti in un cammino nuovo dove si trovano gli uomini e le donne che si sentono marginalizzati dalla Chiesa.
Grazie, Papa Francesco, di rallegrarci con la Sua audacia evangelica:“Dio è il Dio della legge. Ma è anche il Dio delle sorprese. Lasciatevi sorprendere da Dio. Dio non ha paura della novità.”
Queste sono le parole da Lei pronunciate. Il futuro è aperto.Con il nostro affetto e il nostro rispetto.
Parigi, 23 novembre 2014
Jacques Gaillot vescovo di Partenia
______________________________________________________________________

Ad Angelino Alfano, Silvio Berlusconi, Beppe Grillo, Giorgia Meloni, Mario Monti, Matteo Renzi, Matteo Salvini, Niki Vendola. In forma privata e in forma pubblica, scrivo a voi, leader di forze presenti nel Parlamento della Repubblica, per sottoporvi una questione, al tempo stesso, personale e generale: il problema del fine vita. Mi chiamo Walter Piludu, ho 64 anni, vivo a Cagliari. Nell’agosto del 2011 mi è stata diagnosticata la SLA. Posso scrivere questa lettera solo grazie ad un computer a comandi oculari.

La malattia ha infatti progredito velocemente nel suo avido tragitto: da metà del 2013 sono completamente immobilizzato, vivo con un tubo che collega, 24 ore al giorno, il mio naso ad un respiratore meccanico, le mie funzioni vocali sono fortemente compromesse, non avendo più il riflesso difensivo della tosse mangio e bevo ogni volta con il terrore che qualcosa vada di traverso – mi è già successo due volte- generando una situazione terribile di soffocamento. Inoltre, vivendo solo da molti anni, ho dovuto abituarmi a condividere la mia casa di 80 mq. con badanti extra-comunitari ai quali mi sono dovuto affidare, giorno e notte.

Queste notazioni credo siano utili per tentare di trasmettere una specifica concretezza ad una questione che altrimenti potrebbe essere declinata a mera questione filosofica astratta. Peraltro, ad onta della mia condizione, non sono afflitto da fisime suicidarie e, anzi, facendo leva sulle mie residue risorse intellettuali, sulla vicinanza di alcune care amicizie e, soprattutto, sugli affetti familiari, riesco tuttora a trovare un senso alla mia esperienza umana. Sono però del tutto consapevole del mio destino: sempre che non intervenga prima una fatale crisi respiratoria che sopravanzi l’azione meccanica del respiratore, sono condannato a perdere completamente – più prima che poi – le mie funzioni vocali.

A tale evento – non aggirabile, secondo il mio attuale sentire, da nessun marchingegno elettronico per ragioni sia pratiche sia spirituali- io ho deciso di collegare il punto finale della mia vita. Non avendo avuto in dote alcuna credenza religiosa e avendo il sereno convincimento che la morte sia la fine di tutto, non prendo affatto sottogamba questo tema. Appunto perché la vita è una, unica, irripetibile esperienza, essa deve poter essere vissuta senza essere avvertita come una insopportabile prigione.

C’è, insomma, un diritto inalienabile, di dignità e di libertà, che deve essere garantito ad ogni persona. E allora io mi chiedo e vi chiedo: come potrò rendere operative le mie volontà? Mi chiedo e vi chiedo: perché costringermi ad andare in Svizzera invece di poterlo fare vicino ai miei affetti, nella mia terra, nella mia patria? Ancora, mi chiedo e vi chiedo: se, come temo, non potrò andare in Svizzera, in ragione di insuperabili ostacoli logistici ed emozionali, in quale altro modo potrò realizzare la mia volontà se non col rifiuto di acqua e cibo e, dunque, con una lenta morte per sete e fame?

Naturalmente, c’è sempre la possibilità – quien sabe?- che, al momento cruciale, io possa cambiare idea o perdere la forza necessaria. Ma se la mia determinazione avrà la meglio sulla mia eventuale incertezza, mi chiedo e vi chiedo: è accettabile, è umano, è pietoso costringere una persona e i suoi cari ad un tale fardello di prolungata, indicibile sofferenza? Ho abusato, e me ne scuso, con l’artificio delle domande retoriche. Quanto alla ruvida asprezza della descrizione della mia “soluzione finale”, preferisco il rischio di apparire fastidioso o invadente pur di non rinunciare a trasmettere a voi, leader della politica, il sentimento di angoscia nel quale vive un vostro concittadino.

Non ho mai avuto simpatia per la faciloneria e la superficialità e, dunque, ho la piena consapevolezza che non bastano queste mie scarne, individuali considerazioni sul fine vita o – per chiamare le cose con il loro nome – sull’eutanasia, a scalare la vetta della enorme complessità di questo problema, nel quale si intrecciano aspetti, ognuno degno di rispetto, di ordine filosofico, religioso, medico, legale. Per di più – avendo partecipato, pur in modo microscopico, dalla fine degli anni ’60 ai primi anni ’90, alle cose della politica come funzionario e dirigente locale del PCI e come assessore e Presidente della Provincia di Cagliari ( sic!) – non mi sfuggono le difficoltà della politica a misurarsi su questo tema, stretta come è da una pluralità di convincimenti ideali, appartenenze ideologiche, considerazioni di opportunità, valutazioni di utilità.

Ma, pur non dimenticando che anche la non decisione è una decisione, so che l’essenza, vorrei dire la nobiltà, della politica sta nella sua capacità di osare, nel coraggio di assumere decisioni in grado, a volte in tempi imprevedibilmente rapidi, di rendere migliore la vita delle persone e della società. E’ in nome di questi valori alti della politica che mi sono rivolto a voi nella vostra funzione di leader ma anche in quanto persone, in ciascuna delle quali, ne sono certo, risiede un forte attaccamento ai principi di libertà e un sentimento genuino di umanità e di compassione.

Ho già avuto la sfrontatezza di indirizzarvi questa lettera e non ho, assolutamente, l’aspettativa di una vostra risposta. Sento invece di chiedervi un silenzio operoso: perché, senza sgargianti bandierine di parte e senza querule primazie propagandistiche, almeno su un tema come questo, si riesca a trovare l’inedito coraggio di una sostanziale intesa che stimoli la predisposizione di un serio e approfondito disegno di legge e faciliti la scelta di un percorso parlamentare efficace e concludente, in un quadro, se non di auspicabile ma improbabile unanimismo, almeno di assenza di battaglie campali.

È una richiesta ingenua la mia? Sì, certamente lo è. Ma, credetemi, nella disperazione anche l’ingenuità può offrire un po’ di energia vitale e un po’ di speranza. Il nostro Paese, per compiere un decisivo passo in avanti verso una più giusta e moderna civiltà, deve dotarsi di una sapiente legge sul fine vita. E allora, per concludere questa lunga lettera, non se ne avrà a male Alessandro Manzoni se prendo in prestito – modificandola alla bisogna – una delle sue più celebri frasi : “con juicio” ma “adelante”.
_____________________________________________________________________

Al Vescovo di Roma.
Caro Fratello Francesco,
quando ho ricevuto dal mio vescovo l'ordinazione presbiterale (sette papi or sono) tu eri ancora studente: mi permetto dunque questo tono colloquiale, che però vuole anche essere espressione di vera fraternità evangelica.
Avevo ritenuto che il servizio presbiterale meritasse il mio impegno al celibato ma, dieci anni dopo, e con dieci anni di esperienze pastorali molto coinvolgenti, mi ero convinto che il mio modo di svolgere il servizio presbiterale nella grande casa della Chiesa cattolica era uno dei mille modi di vivere il presbiterato e che, nel mio caso, il celibato non solo fosse inutile, ma decisamente dannoso.
Lo dissi a tutti miei amici (compresi i "superiori"), chiesi e ottenni la dispensa e mi sposai nella sacrestia del duomo stesso in cui avevo ricevuto l'ordinazione, fra molti amici. Poche ore prima avevamo già celebrato il rito civile in municipio, proprio per escludere l'effetto-Concordato.
Il rescritto con cui mi fu comunicata la dispensa era offensivo per me e per mia moglie, che veniva definita cortesemente "complice", ma eravamo abbastanza contenti da non farci troppo caso.
Tutti ci conoscevano e per tutti continuavamo a essere quello per cui ci avevano conosciuti. Da allora ho sempre lavorato come avevo sempre fatto, convinto di proseguire sostanzialmente nell'impegno presbiterale, pur attenendomi alle regole della "dispensa". La situazione laicale non è affatto incompatibile con i compiti presbiterali (salvo qualche dettaglio canonico del tutto marginale) e la gente lo capisce al volo. I "carismi" connessi ai compiti di "magisterii, ministerii, regiminis" permangono. Si insegna, si serve, si governa con modalità diverse, qualunque sia la "terra di missione" in cui ci si trova a operare "ad maiorem Dei gloriam".
Ti affido dunque queste mie riflessioni, come un regalo, allo scadere del mio cinquantacinquesimo anniversario di ordinazione presbiterale. Potrebbero esserti utili, mentre stai ripensando alla questione dei "preti sposati".
In primo luogo, direi che il presbiterato post-tridentino è progettato per un prete celibe. Non si può ignorarlo e non si può conservare questo impianto con la concessione della "dispensa" perché tutto resti come prima. Chi vuole sposarsi deve reinventarsi un modo molto diverso di essere prete.
Secondo: tutti gli organismi sociali (per esempio i sindacati e i partiti) hanno dei "permanenti" (o "funzionari" nel senso migliore) e non impongono loro il celibato, benché i compiti loro affidati interferiscano non poco con la vita di coppia e di famiglia. Tutti conosciamo i pericoli connessi: burocratismo, corruzione, infedeltà coniugale, disgregazione delle famiglie, ecc. E' un problema per tutti.
Terzo: l'istituzione dei diaconi permanenti avrebbe potuto fornire un'esperienza utile al ripensamento dei modelli pastorali, ma ha mancato l'obiettivo. Per la maggior parte dei casi è stato un modo per procurarsi gratis dei sacrestani d'alto profilo. E inspiegabile (o forse no) che il diaconato conferito a suo tempo ai preti dispensati e sposati, come ultimo ordine prima del presbiterato, sia stato del tutto ignorato dai canonisti e dai teologi vaticani quando hanno "inventato" i diaconi permanenti.
Se si ufficializza la figura ecclesiastica del prete "uxorato", bisogna  immediatamente porsi il problema dei preti separati o divorziati e non aspettare trent'anni per poi stracciarsi le vesti. In Italia c'è, in più, la complicazione concordataria.
Quarto: attenzione a non continuare a commettere l'errore di introdurre una regola canonica che permetta il matrimonio dei presbiteri senza considerarli a tutti gli effetti come cristiani in coppia, che si devono preparare al matrimonio: quindi va ripensata e integrata anche la pastorale degli sposi. Ti raccomando questo punto, soprattutto da parte di Isa, mia moglie, con cui ne abbiamo parlato molto in questi anni.
Quinto, ma importantissimo: non si deve pensare al matrimonio dei preti come un provvedimento per prevenire la pedofilia ecclesiastica. Il matrimonio cristiano è ancora profondamente condizionato dall'ottica di Agostino (che qualche problema l'aveva!) sul "remedium concupiscentiae".
Grazie per il paziente ascolto e buon lavoro (che certo non ti manca).
Ti benedico, e ti chiedo di fare altrettanto,
Asti, nella domenica del Seminatore,
13 luglio 2014.
Gianfranco Monaca - presbitero della Diocesi di Asti

(Chiedo fraternamente al Vescovo di Asti di inoltrare questo scritto al Destinatario)


________________________________________________________________

LETTERA DEL SANTO PADRE FRANCESCO
AL PRIMO MINISTRO DELL’AUSTRALIA 
IN OCCASIONE DEL VERTICE DEL G20
[BRISBANE, 15-16 NOVEMBRE 2014]

A Sua Eccellenza Tony Abbott
Primo Ministro dell’Australia
Il 15 e 16 novembre prossimo a Brisbane, Ella presiederà il Vertice dei Capi di Stato e di Governo dei 20 Paesi con le maggiori economie, portando in tal maniera a termine la Presidenza australiana del Gruppo dei 20 nell’anno trascorso. La Presidenza ha dato prova di rappresentare una eccellente opportunità per tutti di apprezzare il significativo contributo dato dall’Oceania nella gestione delle problematiche mondiali e dei suoi sforzi per promuovere una costruttiva integrazione di tutti i Paesi.
L’agenda del G20 a Brisbane è particolarmente concentrata sugli sforzi per rilanciare un progetto di crescita sostenibile dell’economia mondiale, allontanando in tal modo lo spettro della recessione globale. Dal lavoro preparatorio è emerso un punto cruciale, vale a dire, l’imperativo di creare opportunità d’impiego dignitose, stabili e a favore di tutti. Questo presuppone e richiede un miglioramento nella qualità della spesa pubblica e degli investimenti, la promozione di investimenti privati, un equo e adeguato sistema di tassazione, uno sforzo concertato per combattere l’evasione fiscale e una regolamentazione del settore finanziario, che garantisca onestà, sicurezza e trasparenza.
Vorrei chiedere ai Capi di Stato e di Governo del G20 di non dimenticare che dietro queste discussioni politiche e tecniche sono in gioco molte vite e che sarebbe davvero increscioso se tali discussioni dovessero rimanere puramente al livello di dichiarazioni di principio. Nel mondo, incluso all’interno degli stessi Paesi appartenenti al G20, ci sono troppe donne e uomini che soffrono a causa di grave malnutrizione, per la crescita del numero dei disoccupati, per la percentuale estremamente alta di giovani senza lavoro e per l’aumento dell’esclusione sociale che può portare a favorire l’attività criminale e perfino il reclutamento di terroristi. Oltre a ciò, si riscontra una costante aggressione all’ambiente naturale, risultato di uno sfrenato consumismo e tutto questo produrrà serie conseguenze per l’economia mondiale.
È mia speranza che possa essere raggiunto un sostanziale ed effettivo consenso circa i temi posti in agenda. Allo stesso modo, spero che le valutazioni dei risultati di questo consenso non si restringeranno agli indici globali, ma prenderanno parimenti in considerazione il reale miglioramento delle condizioni di vita delle famiglie più povere e la riduzione di tutte le forme di inaccettabile disuguaglianza. Formulo queste speranze in vista dell’Agenda post-2015, che sarà approvata dalla corrente sessione dell’Assemblea delle Nazioni Unite, che dovrebbe includere gli argomenti vitali del lavoro dignitoso per tutti e del cambiamento climatico.
I Vertici del G20, che iniziarono con la crisi finanziaria del 2008, si sono svolti sul drammatico sfondo di conflitti militari, e questo ha prodotto disaccordi tra i membri del Gruppo. È motivo di gratitudine che tali disaccordi non abbiano impedito un dialogo genuino all’interno del G20, con riferimento sia ai temi specificamente in agenda che a quelli della sicurezza globale e della pace. Ma questo non basta. Il mondo intero si attende dal G20 un accordo sempre più ampio che possa portare, nel quadro dell’ordinamento delle Nazioni Unite, a un definitivo arresto nel Medio Oriente dell’ingiusta aggressione rivolta contro differenti gruppi, religiosi ed etnici, incluse le minoranze. Dovrebbe inoltre condurre ad eliminare le cause profonde del terrorismo, che ha raggiunto proporzioni finora inimmaginabili; tali cause includono la povertà, il sottosviluppo e l’esclusione. È diventato sempre più evidente che la soluzione a questo grave problema non può essere esclusivamente di natura militare, ma che si deve anche concentrare su coloro che in un modo o nell’altro incoraggiano gruppi terroristici con l’appoggio politico, il commercio illegale di petrolio o la fornitura di armi e tecnologia. Vi è inoltre la necessità di uno sforzo educativo e di una consapevolezza più chiara che la religione non può essere sfruttata come via per giustificare la violenza.
Questi conflitti lasciano profonde cicatrici e producono in varie parti del mondo situazioni umanitarie insopportabili. Colgo questa opportunità per chiedere agli Stati Membri del G20 di essere esempi di generosità e di solidarietà nel venire incontro alle tante necessità delle vittime di questi conflitti, e specialmente nei confronti dei rifugiati.
La situazione nel Medio Oriente ha riproposto il dibattito sulla responsabilità della comunità internazionale di proteggere gli individui e i popoli da attacchi estremi ai diritti umani e contro il totale disprezzo del diritto umanitario. La comunità internazionale, e in particolare gli Stati Membri del G20 dovrebbero anche preoccuparsi della necessità di proteggere i cittadini di ogni Paese da forme di aggressione, che sono meno evidenti, ma ugualmente reali e gravi. Mi riferisco specificamente agli abusi nel sistema finanziario, come quelle transazioni che hanno portato alla crisi del 2008 e più in generale alla speculazione sciolta da vincoli politici o giuridici e alla mentalità che vede nella massimizzazione dei profitti il criterio finale di ogni attività economica. Una mentalità nella quale le persone sono in ultima analisi scartate non raggiungerà mai la pace e la giustizia. Tanto a livello nazionale come a livello internazionale, la responsabilità per i poveri e gli emarginati deve perciò essere elemento essenziale di ogni decisione politica.
Con la presente lettera, desidero esprimere il mio apprezzamento per il vostro lavoro, Signor Primo Ministro, ed offrire il mio incoraggiamento e la mia preghiera per le deliberazioni che dovranno essere adottate e per la riuscita del Vertice. Invoco la benedizione divina su tutti coloro che prendono parte a questo incontro e su tutti i cittadini dei Paesi del G20. In modo particolare, esprimo i miei più sentiti auguri, insieme alla mia preghiera, per la felice conclusione della presidenza dell’Australia e volentieri Le assicuro la mia più alta considerazione.

Dal Vaticano, 6 novembre 2014 Francesco

_____________________________________

Ecco la lettera della mamma di Jameson tratta dal blog di AliceAnn e rivolta a tutti i genitori di bambini “diversi”

Recentemente abbiamo fatto alcuni incontri che mi hanno ispirato per scrivere questo post che è qualcosa che spero tutti leggano. E’ un messaggio che non riguarda solo Jameson, ma tutti i bambini che vengono presi in giro e beffeggiati per la loro diversità; inoltre sono abbastanza sicura che i loro genitori si sentano come me.

Voglio iniziare dicendo che io non ho nulla contro questi bambini, o contro i loro genitori. Capisco che può essere estremamente imbarazzante quando il vostro bambino prende in giro un altro bambino. Ma spero che la prossima volta che questo accade i genitori possano fare di più. Perché anche se non mi offendo, sarei una bugiarda se dicessi che non fa male. Lo fa. Fa male vedere mio figlio essere preso in giro, sapendo che questo farà parte del suo mondo per il resto della sua vita.

A questo punto verrebbe da chiedersi che cosa è successo per farmi scrivere queste parole. Non è successo nulla che non fosse già successo prima e che purtroppo accadrà di nuovo.

Ci siamo recentemente trasferiti in una nuova città e la figlia più grande va alla scuola di primo grado. La seconda settimana hanno aperto le porte della scuola per visitarla ed incontrare le maestre. Tutti siamo stati riuniti in mensa per ascoltare il discorso di apertura e di benvenuto. Mentre stavamo camminando tra la mensa affollata siamo stati subito accolti da un ragazzino che ha indicato Jameson, ha dato una gomitata a sua madre e ha detto che sembrava buffo. Non abbiamo dato peso alla cosa e abbiamo continuato a camminare attraversando la caffetteria in cerca di un posto per sedersi. Poco dopo due bambine con la loro madre si sono sedute di fronte a noi. Una bambina ci guarda, si rivolge a sua madre e dice: “Ha un aspetto spaventoso”, e indica Jameson. Sua madre le dice che non è bello da dire, e si volta.

Lo scorso fine settimana, nel negozio di alimentari con i miei due figli, una madre e suo figlio stanno camminando verso di noi. Vedo lo sguardo del ragazzino; gli sorrido. Comincia a ridere, e dice a sua mamma, “Guarda mamma, che bambino buffo”. Guardo la madre e lei non riesce nemmeno mettere insieme una parola, rimane li con la mascella spalancata.
Come genitore mi sono trovata in situazioni nelle quali mio figlio ha fatto o ha detto qualcosa di inappropriato, quindi capisco l’imbarazzo. Capisco anche che questi bambini non sono da biasimare. Pensate, insegniamo loro dalla nascita a identificare le cose diverse dal gruppo. Si mettono un po’ di blocchi rossi insieme, e se ne nasconde uno verde, poi si dice loro di cercare quello verde, il diverso. Si scelgono le forme che funzionano solo se infilate attraverso il buco giusto. Non entrerà mai la forma di un piolo rotondo in un buco quadrato.
Il primo passo è sbagliato. E’ bene notare le differenze. Ecco come identifichiamo una cosa dall’altra. Insegniamo ciò che è da insegnare e ciò che non è. Ma questi sono oggetti. Possiamo individuare e scegliere quello giusto, quello che si adatta meglio, ma non possiamo fare questo con le persone, con i bambini.

Come madre di un bambino che ha un aspetto diverso questo è il mio appello per voi:

Se sei il genitore e tuo figlio dice ad un altro bambino che sembra ridicolo o spaventoso, non puoi semplicemente raccontargli che “Questa non è una bella cosa da dire”. Hai ragione, non è carino, ma semplicemente dicendo questo fai in modo che si isoli mio figlio. La prossima volta fai seguire questa affermazione con: “Sono sicuro che lui è un ragazzo molto bello, andiamo a incontrarlo”. Per favore, vieni a presentarti e a chiedere il nome di mio figlio. Vi assicuro che non morde! Mio figlio è proprio come il tuo, può essere dolce, amorevole, arrabbiarsi ed essere manesco. E vi assicuro, io sono come voi, io sono un genitore e sto imparando questo con lui.
Se il vostro bambino è curioso e non dice nulla ma nota che lui è diverso; per favore, presentatevi a noi, chiedeteci i nostri nomi! Includete il mio bambino nel vostro mondo. Te lo prometto, non fa paura, è solo un ragazzino.

A tutti i genitori dei bambini là fuori che già fanno questo, e per quelli che hanno volutamente fatto qualcosa per illuminare la giornata di Jameson: Grazie.

Dal profondo del mio cuore, grazie.

Posso onestamente dire che ricordo vividamente ogni incontro in cui uno sconosciuto ha fatto uno sforzo cosciente per conoscere Jameson e per includerlo nel proprio mondo.  Il mio bambino di sei anni mi stupisce quando gli sento raccontare un ricordo di quando aveva tre anni, quindi sono sicura che anche Jameson ricorda.



____________________________________

L'ultima lettera di Reyhaneh Jabbari


Cara Sholeh,

oggi ho appreso che ora è il mio turno di affrontare la Qisas (la legge del taglione del regime iraniano, ndr). Mi ferisce che tu stessa non mi abbia fatto sapere che ero arrivata all’ultima pagina del libro della mia vita. Non credi avrei dovuto saperlo? Lo sai quanto mi vergogno perché sei triste. Perché non mi hai dato la possibilità di baciare la tua mano e quella di papà?

Il mondo mi ha concesso di vivere per 19 anni. Quella orribile notte io avrei dovuto essere uccisa. Il mio corpo sarebbe stato gettato in qualche angolo della città e dopo qualche giorno la polizia ti avrebbe portato all’obitorio per identificare il mio corpo e là avresti saputo che ero anche stata stuprata. L’assassino non sarebbe mai stato trovato, dato che noi non siamo ricchi e potenti come lui. Poi tu avresti continuato la tua vita soffrendo e vergognandoti e qualche anno dopo saresti morta per questa sofferenza e sarebbe andata così.

Ma con quel maledetto colpo la storia è cambiata. Il mio corpo non è stato gettato da qualche parte ma nella tomba della prigione di Evin e della sua sezione di isolamento. E ora nella prigione-tomba di Shahr-e Ray. Ma arrenditi al destino e non lamentarti. Tu sai bene che la morte non è la fine della vita.

Tu mi hai insegnato che si arriva in questo mondo per fare esperienza e imparare la lezione e che a ognuno che nasce viene messa una responsabilità sulle spalle. Ho imparato che a volte bisogna lottare. Mi ricordo quando mi dicesti di quel vetturino che si mise a protestare contro l’uomo che mi stava frustando, ma che quello iniziò a dargli la frusta sulla testa e sul viso fino a che non era morto. Tu mi hai detto che per creare un valore si deve perseverare, anche se si muore.

Tu ci hai insegnato, quando andavamo a scuola, che si deve essere una signora di fronte alle discussioni e alle lamentele. Ti ricordi quanto notavi il modo in cui ci comportavamo? La tua esperienza era sbagliata. Quando è accaduto questo incidente, questi insegnamenti non mi hanno aiutato. Essere presentabile in tribunale mi ha fatto apparire come un’assassina a sangue freddo ed una spietata criminale. Non ho versato lacrime. Non ho implorato. Non mi sono disperata, perché avevo fiducia nella legge.

Ma sono stata accusata di rimanere indifferente di fronte ad un crimine. Lo sai, non uccidevo neanche le zanzare e gettavo via gli scarafaggi prendendoli dalle antenne e ora sono diventata un’assassina volontaria. Il modo in cui trattavo gli animali è stato interpretato come un comportamento mascolino e il giudice non si è neanche preoccupato di tenere in considerazione il fatto che all’epoca dell’incidente avevo le unghie lunghe e laccate.

Quant’è ottimista colui che si aspetta giustizia dai giudici! Il giudice non ha mai contestato il fatto che le mie mani non sono ruvide come quelle di uno sportivo, specialmente un pugile. E questo paese per il quale tu hai piantato l’amore in me, non mi ha mai voluto e nessuno mi ha sostenuto quando sotto i colpi degli inquirenti gridavo e sentivo i termini più volgari. Quando ho perduto il mio ultimo segno di bellezza, rasandomi i capelli, sono stata ricompensata: 11 giorni in isolamento.

Cara Sholeh, non piangere per ciò che stai sentendo. Il primo giorno in cui alla stazione di polizia una vecchia agente zitella mi ha schiaffeggiato per le mie unghie, ho capito che la bellezza non viene ricercata in quest’epoca. La bellezza dell’aspetto, la bellezza dei pensieri e dei desideri, una bella scrittura, la bellezza degli occhi e della visione e persino la bellezza di una voce dolce.

Mia cara madre, la mia ideologia è cambiata e tu non ne sei responsabile. Le mie parole sono eterne e le affido tutte a qualcun altro, in modo che quando verrò giustiziata senza la tua presenza e senza che tu lo sappia, ti vengano consegnate. Ti lascio molto materiale manoscritto come mia eredità.

Però, prima della mia morte voglio qualcosa da te, qualcosa che mi devi dare con tutte le tue forze e in ogni modo possibile. In realtà è l’unica cosa che voglio da questo mondo, da questo paese e da te. So che avrai bisogno di tempo per questo. Perciò ti dirò una parte delle mie volontà presto. Ti prego non piangere e ascolta. Voglio che tu vada in tribunale e dica a tutti la mia richiesta. Non posso scrivere una simile lettera dalla prigione che venga approvata dal direttore della prigione. Perciò dovrai di nuovo soffrire per causa mia. È l’unica cosa per la quale, se implorerai, non mi arrabbierò anche se ti ho detto molte volte di non implorare per salvarmi dall’esecuzione.

Mia dolce madre, cara Sholeh, l’unica che mi è più cara della vita, non voglio marcire sottoterra. Non voglio che i miei occhi o il mio giovane cuore diventino polvere. Prega perché venga disposto che, non appena sarò stata impiccata il mio cuore, i miei reni, i miei occhi, le ossa e qualunque altra cosa che possa essere trapiantata venga presa dal mio corpo e data a qualcuno che ne ha bisogno, come un dono. Non voglio che il destinatario conosca il mio nome, compratemi un mazzo di fiori, oppure pregate per me. Te lo dico dal profondo del mio cuore che non voglio avere una tomba dove tu andrai a piangere e a soffrire. Non voglio che tu ti vesta di nero per me. Fai di tutto per dimenticare i miei giorni difficili. Dammi al vento perché mi porti via.

Il mondo non ci ama. Non ha voluto che si compisse il mio destino. E ora mi arrendo ad esso ed abbraccio la morte. Perché di fronte al tribunale di Dio io accuserò gli ispettori, accuserò l’ispettore Shamlou, accuserò il giudice e i giudici della Corte Suprema che mi hanno picchiato mentre ero sveglia e non hanno smesso di minacciarmi. Nel tribunale del creatore accuserò il Dr. Farvandi, accuserò Qassem Shabani e tutti coloro che per ignoranza e con le loro bugie mi hanno fatto del male ed hanno calpestato i mie diritti e non hanno prestato attenzione al fatto che a volte ciò che sembra vero è molto diverso dalla realtà.

Cara Sholeh dal cuore tenero, nell’altro mondo siamo tu ed io gli accusatori e gli altri gli accusati. Vediamo cosa vuole Dio. Vorrei abbracciarti fino alla morte. Ti voglio bene.

 Reyhaneh

 1° Aprile 2014





_________________________________________________


LETTERA A PAPA FRANCESCO E ALLE  COMUNITÀ  CRISTIANE


Siamo una comunità cristiana che fa parte della chiesa. Non siamo certo difensori della struttura del pontificato romano, di cui anzi siamo critici, ma ci ritroviamo in molte delle posizioni chiaramente evangeliche di Papa Francesco: vita sobria, presa di distanza da certe operazioni finanziarie e dallo Ior, condanna dello stile ricco e fastoso di alcune esperienze ecclesiali, presa di posizione contro i poteri mafiosi, contro la discriminazione dei diversi, dei minori e degli anziani, contro l’industria delle armi, contro il sistema del Dio denaro, apertura verso le religioni del mondo e verso i separati e divorziati.

Oggi, domenica 29 giugno 2014, nel corso della celebrazione dell’Eucarestia, la comunità ha ribadito che in questo momento il Vescovo di Roma rappresenta una voce profetica a favore dei più deboli e della pace. Tuttavia sentiamo che è sorto un clima di ostruzionismo e avversione allo svolgimento del ministero di Papa Francesco nell’opera di conversione a una chiesa dei poveri. A ciò si aggiunge la silenziosa resistenza in varie chiese locali.

Pertanto desideriamo esprimere la nostra affettuosa solidarietà alla persona e all’opera del Vescovo di Roma e gli assicuriamo il nostro sostegno con la preghiera e il nostro amore.

Invitiamo le comunità cristiane a far sentire la loro voce e a esprimere vicinanza alla persona e all’opera pastorale di Papa Francesco anche
diffondendo e aderendo a questa lettera.

Per adesioni e sottoscrizioni: comunitanascentetorino@gmail.com

Comunità Nascente di Torino


--------------------------------------------------------------------------

LETTERA DI SANT’AGOSTINO ALL'UOMO PER AMARE UNA DONNA IN PIENEZZA E PER SEMPRE

Giovane amico, se ami questo è il miracolo della vita.
Entra nel sogno con occhi aperti e vivilo con amore fermo.
Il sogno non vissuto è una stella da lasciare in cielo.
Ama la tua donna senza chiedere altro all'infuori dell’eterna domanda che fa vivere di nostalgia i vecchi cuori.
Ma ricordati che più ti amerà e meno te lo saprà dire. Guardala negli occhi affinché le dita si vincolino con il disperato desiderio di unirsi ancora; e le mani e gli occhi dicano le sicure promesse del vostro domani. Ma ricorda ancora, che se i corpi si riflettono negli occhi, le anime si vedono nelle sventure.
Non sentirti umiliato nel riconoscere una sua qualità che non possiedi.
Non crederti superiore poiché solo la vita dirà la vostra diversa sventura.
Non imporre la tua volontà a parole, ma soltanto con l’esempio.
Questa sposa, tua compagna di quell'ignoto cammino che è la vita, amala e difendila, poiché domani ti potrà essere
di rifugio.
E sii sincero giovane amico, se l’amore sarà forte ogni destino vi farà sorridere.
Amala come il sole che invochi al mattino.
Rispettala come un fiore che aspetta la luce dell’amore.
Sii questo per lei, e poiché questo deve essere lei per te, ringraziate insieme Dio, che vi ha concesso la grazia più luminosa della vita!

(S. Agostino)
--------------------------------------------------------------------------

Lettera aperta alle donne che amano dei preti
di Fiorenzo De Molli | 29 maggio 2014 

Care donne,

ho esercitato il ministero sacerdotale per 17 anni, dai 24 ai 41 anni dal 1982 al 1999. Ho chiesto al mio vescovo, il cardinal Martini, un anno di sospensione dal ministero. Al termine di questo anno, nel 2000 ho deciso di chiudere la mia esperienza di ministero. Nel 2001 ho chiesto la dispensa che mi è arrivata nel giro di pochi mesi. Nel gennaio del 2002 ho celebrato il sacramento del matrimonio "sine pompa" così come chiede la dispensa, rigorosamente in latino. Sono marito, e padre di due splendidi figli di 12 e 8 anni e ho la fortuna di avere ricevuto sei sacramenti, per il settimo c'è tempo....

Mi è sempre piaciuto fare il prete e l'ho sentito come il senso più profondo della mia vita: ho cercato di vivere con radicalità la sequela di Gesù da prete e ancor oggi affermo che fare il prete è bello. Ero ben cosciente al momento dell'ordinazione di quanto la Chiesa mi chiedeva ed ero contento di accettare tutto quanto mi veniva proposto. Non ho fatto il voto di povertà, castità e obbedienza perché non sono un religioso, ma ho promesso nelle mani del mio vescovo di essere obbediente a lui e ai suoi successori (ma non ho fatto in tempo,....) di essere povero e di essere celibe. Al momento della richiesta della dispensa mi è stato chiesto se la vocazione era mia o dei miei genitori e se sapevo intendere e volere quando ho compiuto il grande passo: ebbene la vocazione "era/è" solo mia e sapevo bene sia intendere che volere a 24 anni (non vi era alcun vizio né di forma né di sostanza).

La vita sacerdotale mi ha decisamente appassionato e ho cercato di viverla tutta dedicata al servizio della gente e in particolare dei poveri e degli ultimi. Era proprio bello, ma .... c'era un ma. La mia vita affettiva non era in sintonia con il resto della mia vita, bella ed appassionante. Probabilmente nel mio cammino di crescita umana e cristiana durante gli anni di seminario non sono riuscito (e forse non sono stato aiutato) a far crescere con realismo la mia affettività. Era ovvio e scontato che avrei vissuto da celibe per cui non ho mai fatto né l'adolescente, né il giovanotto; ho vissuto da seminarista (le donne sono il totalmente altro) e ci riuscivo anche bene. Il problema è che poi la vita ti presenta il conto e non puoi mai dare nulla di scontato per cui il "problema affettivo" mi è scoppiato fra le mani. Ho subito cercato il confronto con il mio vescovo, con il confessore, con il padre spirituale .... ma i nodi irrisolti rimangono tali. Solo quando ho trovato una donna che mi ha detto o meglio mi ha scritto "io mi sono innamorata di te; tu che fai?", ho preso fra le mani la mia affettività e mi sono chiesto "tu (cioè, io) che fai?". Sono stato non male, ma malissimo. Ho sofferto come un cane, ho avuto momenti terribili di depressione. Per fortuna ho avuto al mio fianco un vescovo di nome Martini e il suo vicario per i preti di nome don Franco e quindi dopo un periodo terribile ho chiesto di fermarmi per cercare di capire.

Così adesso sono un marito felice (anche se devo proprio dire che il matrimonio è decisamente impegnativo e per fortuna ci sono arrivato dopo i 40 anni perché prima non era maturo per una scelta così impegnativa e per fortuna ho fatto il prete e questo mi ha aiutato a crescere molto); sono un papà felice. La mia fortuna più grande è stata aver trovato una donna forte e determinata che mi ha detto quel che provava per me e che mi ha chiesto: "ma tu che fai". Non c'era spazio per sconti, per sotterfugi, per scorciatoie, per doppie vite o strade: ero chiamato a scegliere. È stata una scelta dura, durissima, pagata a caro prezzo, ma ne valeva la pena.

Allora care donne, chiedete ai vostri uomini "ma tu che fai?". Dategli lo spazio e tutto il tempo necessario perché possa scegliere ciò che è "più bene" per lui; che si prenda gli strumenti che servono, che si prenda i tempi che vuole (tanto lui è pagato anche se non lavora), ma chiedetegli di arrivare a una scelta e poi rispettate la sua scelta. Che sia la più chiara e la più limpida possibile. Siamo chiamati a vivere alla luce del sole proprio tutti: è un diritto dei preti, ma soprattutto è un diritto vostro! Sarete sicuramente più felici di quello che siete adesso. Le grandi scelte devono essere pagate e pagate a caro prezzo.

Risolvete il vostro problema personale. Solo quando si è tranquilli e sereni, potremo, se lo vorranno, i nostri confratelli ancora in attività, ragionare sul celibato ma soprattutto ragionare sulla maturità umana e sulla responsabilità richiesta alle persone adulte.

Vi auguro di avere degli uomini che vi amino talmente tanto da rispettarvi e da dare dignità al vostro amore e dei vescovi che siano illuminati così come lo era il mio. Che il cardinal Martini, dal cielo, illumini tutti e in particolar modo i fratelli vescovi.

Fiorenzo, prete, felicemente sposato ... in congedo


P.S: Mia moglie ha letto il testo ed è d'accordo.
_____________________________________
LA LETTERA AL PAPA DI 26 DONNE 
che amano un prete

Caro Papa Francesco

siamo un gruppo di donne da tutte le parti d'Italia (e non solo) che ti scrive per rompere il muro di silenzio e indifferenza con cui ci scontriamo ogni giorno. Ognuna di noi sta vivendo, ha vissuto o vorrebbe vivere una relazione d'amore con un sacerdote, di cui è innamorata. Abbiamo deciso di unire le nostre voci dopo esserci rese conto che pur nella nostra diversità, i nostri vissuti non rappresentano casi isolati, ma che tantissime donne vivono nel silenzio, e per questo, pur essendo noi un piccolo campione, ci sentiamo di parlare a nome di tutte le donne coinvolte sentimentalmente con un sacerdote o religioso. 

Come tu ben sai, sono state usate tantissime parole da chi si pone a favore del celibato opzionale, ma forse ben poco si conosce della devastante sofferenza a cui è soggetta una donna che vive con un prete la forte esperienza dell'innamoramento.
Vogliamo, con umiltà, porre ai tuoi piedi la nostra sofferenza affinchè qualcosa possa cambiare non solo per noi, ma per il bene di tutta la Chiesa. 
Si, l'amore è proprio un'esperienza forte e rigenerante, che ti rimodula dentro, che ti fa crescere con l'altro, finchè ti ritrovi a desiderare con lui quel meraviglioso sogno di una vita insieme. Cosa che con un prete non è possibile, secondo le leggi attuali della chiesa cattolica romana. 
Noi amiamo questi uomini, loro amano noi, e il più delle volte non si riesce pur con tutta la volontà possibile, a recidere un legame così solido e bello, che porta con se purtroppo tutto il dolore del "non pienamente vissuto". Una continua altalena di "tira e molla" che dilaniano l'anima. 
Quando, straziati da tanto dolore, si decide per un allontanamento definitivo, le conseguenze non sono meno devastanti e spesso resta una cicatrice a vita per entrambi. Le alternative sono l'abbandono del sacerdozio o la persistenza a vita di una relazione segreta. 

Nel primo caso la forte situazione con cui la coppia deve scontrarsi viene vissuta con grandissima sofferenza da parte di entrambi: anche noi donne desideriamo che la vocazione sacerdotale dei nostri compagni possa essere vissuta pienamente, che possano restare al servizio della comunità, a svolgere la missione che per tanti anni hanno svolto con passione e dedizione, rinvigoriti adesso ancor di più dalla forza vitale dell'amore che hanno scoperto insieme a noi, che vogliamo sostenerli e affiancarli nel loro mandato. Chi si sente chiamato al sacerdozio sceglie di vivere nel mondo, di partecipare alla vita sociale e di rendersi utile agli altri nella comunità in cui è inserito. La dolcezza e solarità di una donna può davvero essere sale e luce nel ministero di un sacerdote, per camminare insieme verso la Sua Luce e per maturare i frutti (che in due si moltiplicano esponenzialmente) da donare alla gente.

Nel secondo caso, ovvero nel mantenimento di una relazione segreta, si prospetta una vita nel continuo nascondimento, con la frustrazione di un amore non completo che non può sperare in un figlio, che non può esistere alla luce del sole. Può sembrare una situazione ipocrita, restare celibi avendo una donna accanto nel silenzio, ma purtroppo non di rado ci si vede costretti a questa dolorosa scelta per l'impossibilità di recidere un amore così forte che si è radicato comunque nel Signore. 

L'amore è davvero la forza più potente che esista! 
E allora ci chiediamo e ti chiediamo se è davvero giusto sacrificare l'Amore in virtù di un bene più alto e grande che è quello del servizio totale a Gesù e alla comunità, cosa che a nostro avviso sarebbe svolto con maggiore slancio da un sacerdote che non ha dovuto rinunciare alla sua vocazione all'amore coniugale,unitamente a quella sacerdotale, e che sarebbe anche supportato dalla moglie e dai figli. Probabilmente ne gioverebbe l'intera comunità, si respirerebbe aria di famiglia, di libertà e accoglienza. Questa nostra società ne ha bisogno!
Siamo tutti alla ricerca della propria identità, che possiamo solo trovare nel volto di Cristo; ma la chiesa ne riflette il suo volto? Noi speriamo che tu, con questa ventata di speranza che hai portato, possa davvero riuscire a ridare alla chiesa la sua dignità, liberandola dalla pretesa della Verità Assoluta, e affidandola semplicemente alla volontà di Dio. 

Siamo fiduciose che il nostro grido, rimasto per troppo tempo inespresso, venga da te accolto e compreso, per discernere quale sia la giusta strada per una Chiesa migliore. 
Se tu lo riterrai adeguato, siamo pronte e anzi ti chiediamo di essere da te convocate in un'udienza privata, per portare davanti a te umilmente le nostre storie e le nostre esperienze, sperando di poter attivamente aiutare la Chiesa, che tanto amiamo, verso una possibile strada da intraprendere con prudenza e giudizio. 

Grazie Papa Francesco! Speriamo con tutto il cuore che tu benedica questi nostri Amori, donandoci la gioia più grande che un padre vuole per i suoi figli: VEDERCI FELICI!!! 


Ti auguriamo ogni Bene. 
-------------------------------------------------------------------------------------------------------------

La lettera di un malato contro l'eutanasia 
a Napolitano e Renzi 
di Lorenzo Moscon

Illustrissimi Signori
Presidente della Repubblica Italiana Giorgio Napolitano
Presidente del Consiglio dei Ministri Matteo Renzi
Sono Lorenzo Moscon, ho 20 anni e desidero scrivervi in merito a un tema d'attualità che ritengo fondamentale e di cui già da alcuni anni si sta occupando il Parlamento, ovvero l'Eutanasia. Mi sono deciso a scrivervi a seguito delle parole del Presidente della Repubblica che ha dichiarato: «Indispensabile che il Parlamento si occupi dell'eutanasia».
Mi sento molto chiamato in causa da un argomento di bioetica così importante e decisivo in ragione della mia esperienza personale: sono affetto da triplegia spastica che mi costringe fin dalla nascita su una sedia a rotelle e ho subìto sei interventi chirurgici, dai quali ho ricavato
un'esperienza che mi permette di testimoniare quale sia lo stato fisico ed emotivo di un paziente che si trovi costretto in un letto di ospedale.
Posso assicurare grazie a tale esperienza che nella condizione di malattia ho sempre avvertito il bisogno manifesto e oggettivo di essere voluto bene ed amato. La sofferenza, che è uno stato psicologico in questo caso determinata da un dolore fisico, può essere eliminata,
anziché intraprendendo un sentiero definitivo come quello dell'eutanasia, mediante una relazione interpersonale che rammenti al malato il valore incommensurabile della propria dignità; dignità che può essere dimostrata grazie alla capacità universale dell'uomo per esempio: di amare, di apprezzare le arti, (ad es. letteratura, pittura, scultura, musica), di ragionare, di dialogare, interrogarsi sul senso delle cose, sulla loro origine, il loro scopo, il loro modo di essere, a prescindere dalla loro utilità. La sofferenza fisica e quella spirituale possono essere lenite dalla vista di una persona cara e grazie alla costanza di un rapporto affettivo interpersonale disinteressato, come ho avuto modo di sperimentare in modo costante.
Ogni uomo ha un'inclinazione costitutiva all'autoconservazione: infatti l'uomo è un essere vivente e in quanto essere vivente è costituzionalmente orientato alla vita: un essere vivente orientato alla non vita è in contraddizione con la sua caratteristica costitutiva rappresentata dal fatto che, come dice il nome stesso, è vivente. Pertanto suicidio ed eutanasia sono malvagi perché contraddicono direttamente uno dei fini-beni dell'uomo.
Pur nel condizionamento innegabile della sofferenza e della malattia, si può voler vivere per riconciliarsi con una persona, per assolvere a degli obblighi morali, per fare testamento.
Sperimento quotidianamente che, in ragione della mia patologia, senza l'aiuto di qualcun altro non mi sarebbe possibile neanche scendere dal letto. Di conseguenza, se mancasse questo aiuto io mi troverei in una condizione analoga a quella di un paziente in stato non responsivo
transitorio, nonostante io sia in grado di intendere e di volere. Questa condizione di dipendenza giunge a tal punto che se qualcuno volesse potrebbe prevaricare sul mio corpo nonostante il mio dissenso. Ma la dipendenza è costitutiva per qualsiasi essere umano perché (come ha sottolineato a più riprese la filosofia dell’intersoggettività), ognuno di noi ha strutturalmente bisogno, come minimo, del riconoscimento altrui:ha bisogno dell’apprezzamento dell’altro. E la dipendenza è una condizione oggettiva che prima o poi l'uomo si vede costretto ad affrontare a causa dell'oggettiva deteriorabilità del proprio corpo. L'eutanasia è il tentativo di occultare o di eliminare questo dato incontrovertibile che è la condizione di dipendenza e di finitezza della vita biologica dell'uomo.
Desidererei sottoporre alla vostra cortese attenzione alcune disposizioni giuridiche.
La Raccomandazione n. 1418 del 1999 del Consiglio d'Europa incoraggia gli Stati membri a rispettare e proteggere in ogni modo la dignità dei malati terminali o delle persone morenti accogliendo il divieto di sopprimere malati terminali o persone che stanno per morire. Altresì i
parlamentari hanno rammentato anche la Risoluzione n. 1859 del 2012 del Parlamento europeo in cui si esplicita che «l'eutanasia , intesa come uccisione intenzionale per atto positivo o per omissione di un essere umano che dipende da altri e perpetrata a motivo di un suo presunto beneficio, deve essere sempre proibita».
Facendo eco a questa iniziativa politica anche trentotto medici pediatri belgi hanno pubblicato una lettera-appello su La Libre Belgique con il titolo Fine-vita dei bambini: una legge inutile e precipitosa. In essa si fa presente che questa legge non risponde ad alcuna reale esigenza e
che la maggior parte delle équipe mediche che hanno in cura bambini in fase terminale, a domicilio o in ospedale, devono ammettere che non si sono mai trovati nella loro pratica davanti a una domanda di eutanasia spontanea e volontaria espressa da un minore. Allo stato attuale della medicina continuano i pediatri - i mezzi per attenuare il dolore sono largamente disponibili nel nostro Paese, più che in altri Paesi. È evidente che oggi nessun paziente, e dunque bambino, debba soffrire e a ciò provvedono appunto le cosiddette cure palliative.
Laddove si pone come unico criterio quello della qualità della vita e non quello dell'intrinseca preziosità della persona umana allora, per logica, il criterio dell'età dei soggetti da uccidere diventa meramente accessorio.
Quasi nessuno ha condiviso o ripreso o anche solo citato la lettera aperta firmata da 161 medici e pediatri belgi che si chiedono come può il Parlamento approvare «l'eutanasia per i bambini». I medici, come gli animalisti per la giraffa Marius, hanno ricordato che ci sono «altri mezzi per alleviare il dolore. Nessun bambino ha bisogno di soffrire oggi perché siamo perfettamente capaci di controllare il dolore con le cure palliative sia in ospedale che a casa». Inoltre, «non esiste un modo oggettivo per determinare se un bambino sia capace di discernere» le conseguenze dell’eutanasia, e quindi di richiederla in piena coscienza non è un problema religioso.
L'eutanasia, prima ancora che una questione di credo personale, è un «problema di natura
filosofica», ha spiegato Léonard, «minaccia nel lungo termine la società riguardo ai temi della vita,della morte e della libertà umana». Assistiamo a tentativi di uccidere la solidarietà, banalizzare e rendere vano qualsiasi fenomeno di aiuto tra chi è forte e sano verso chi è debole. Siamo esseri in relazione, che necessitano solidarietà.
Ci sono altresì articoli dell'ordinamento giuridico italiano: l'art. 2 della Costituzione il quale stabilisce che vi sono diritti inalienabili della persona che la Repubblica riconosce e garantisce, tra cui ovviamente e prima degli altri il diritto alla vita. Oppure l'art. 579 del Codice Penale che sanziona l'omicidio del consenziente e l'art. 580 che punisce invece l'aiuto al suicidio, sanzionando così l'eutanasia. Oppure l'art. 5 del Codice Civile che vieta gli atti di disposizione permanente del proprio corpo: se è vietato disporre di parti del corpo a maggior ragione lo è disporre della vita. Per le cure palliative cfr. legge n. 38\2010.
Si sente spesso parlare di eutanasia come atto di libertà, intesa come assoluta auto-determinazione dell'agire umano e totale sovranità dell'uomo su se stesso, ma a ben vedere, questo atto è in contraddizione lampante con il concetto stesso di libertà: infatti la libertà di vivere è presupposto fondamentale che permette di esercitare ogni altra forma di libertà e l’eutanasia la distrugge.
Io Lorenzo, non posso fare a meno di fidami di Lei, la mia libertà mi porta a fidarmi di Lei Presidente, per questo mi sono permesso di sottoporre alla Sua attenzione ciò che a me realmente sta a cuore e in cui io credo fermamente.
La ringrazio sin d'ora.
Distinti saluti.
Lorenzo Moscon
----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------


APPELLO AI MIEI CONFRATELLI PARROCI ITALIANI
di Pietro Taffari, presb. uxorato
che ricevono mensilmente lo stipendio dell'8 x 1000: 1.200.00 euro al mese.
Visto che in tantissime famiglie italiane (con due o tre figli) si vive con un solo stipendio di meno di 1.200,00 al mese, o anche senza, perchè licenziati,
Visto che il Governo Renzi sta tagliando a destra, al centro e a manca, per recuperare fondi da investire e cercare di creare nuovi posti di lavoro,
Visto che anche Papa Francesco, all’interno della Città del Vaticano, fa pure i suoi tagli per testimoniare uno stile di vita evangelicamente povero,
Visto che né la Caritas italiana né Pax Christi (che ce l’ha coi cappellani militari) hanno il coraggio di proporvelo,
VI CHIEDO
In nome di quella “caritas Christi [quae] urget nos”, dato che non l’avete fatto in quaresima, abbiate a destinare le offerte che ricevete per le intenzioni delle S. Messe (300,00-500,00 euro mensili) alle famiglie povere della vostra parrocchia, almeno da Pasqua a Pentecoste, per testimoniare “sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita: dal fatto che amiamo i fratelli”. Sarebbe una più credibile pasqua cristiano-sacerdotale. Oltretutto, non è stato chiesto : “Il superfluo [del vostro stipendio!?!] datelo ai poveri”?
Spero che, come coloro che ascoltarono il discorso di Pietro a Pentecoste, vi sentiate trafiggere il cuore dalla Parola del Signore, fatta carne implorante nei vostri poveri.
Buona Pasqua!
Pietro Taffari, presb. uxorato




VOGLIA DI COLLEGIALITA':PAPA FRANCESCO ESPRIME UN SUO DESIDERIO AL SEGRETARIO GENERALE DEL SINODO DEI VESCOVI,CARD. LORENZO BALDISSERI

Eminenza Reverendissima,
Il 15 settembre 1965, il mio Venerato Predecessore, il Servo di Dio Paolo VI, dopo aver scrutato attentamente i segni dei tempi e consapevole della necessità di rafforzare con più stretti vincoli l'unione del Vescovo di Roma con i Vescovi che lo Spirito Santo ha costituito per governare la Chiesa di Dio, istituiva, con il Motu proprio "Apostolica Sollicitudo", ilSinodo dei Vescovi.
A quel tempo, mentre il Concilio Vaticano II volgeva al termine, il nascente Organismo Sinodale costituiva uno sprone per tutti i Vescovi cattolici a prendere parte, in modo più evidente ed efficace, alla sollecitudine del Vescovo di Roma per la Chiesa Universale.
Le Assemblee Sinodali, che da allora si sono celebrate alla presenza di Vescovi provenienti dai diversi continenti, hanno potuto far conoscere gli imprescindibili contributi riguardanti i problemi e l'attività della Chiesa nel mondo e hanno offerto al Successore di Pietro un valido aiuto e consiglio per salvaguardare e incrementare la fede, per proporre con coraggio l'integrità della vita cristiana e per consolidare la disciplina ecclesiale.
Il Beato Giovanni Paolo II, che ha presieduto tante Assisi sinodali, nel ribadire l'efficacia del Sinodo e nel riconoscere l'enorme bene che esso donava alla Chiesa, prospettava con lungimiranza: "Forse questo strumento potrà essere ancora migliorato. Forse la collegiale responsabilità pastorale può esprimersi nel Sinodo ancor più pienamente" (Omelia nella conclusione della VI Assemblea Generale del Sinodo dei Vescovi, 29 ottobre 1983).
Infatti, la larghezza e la profondità dell'obiettivo dato all'istituzione sinodale derivano dall'ampiezza inesauribile del mistero e dell'orizzonte della Chiesa di Dio, che è comunione e missione. Perciò, si possono e si devono cercare forme sempre più profonde e autentiche dell'esercizio della collegialità sinodale, per meglio realizzare la comunione ecclesiale e per promuovere la sua inesauribile missione.
Trascorsi quasi cinquant'anni dall'istituzione del Sinodo dei Vescovi, avendo anch'io perscrutato i segni dei tempi e nella consapevolezza che per l'esercizio del mio Ministero Petrino serve, quanto mai, ravvivare ancor di più lo stretto legame con tutti i Pastori della Chiesa, desidero valorizzare questa preziosa eredità conciliare.
A tal proposito, non v'è dubbio che il Vescovo di Roma abbia bisogno della presenza dei suoi Confratelli Vescovi, del loro consiglio e della loro prudenza ed esperienza. Il Successore di Pietro deve sì proclamare a tutti chi è "il Cristo, il Figlio del Dio vivente" ma, in pari tempo, deve prestare attenzione a ciò che lo Spirito Santo suscita sulle labbra di quanti, accogliendo la parola di Gesù che dichiara: "Tu sei Pietro..." (cfr Mt 16,16-18), partecipano a pieno titolo al Collegio Apostolico.
Perciò, sono molto grato a quanti, con un lavoro generoso, assiduo e competente, hanno assicurato, in tutti questi anni, che l'istituzione sinodale contribuisse all'imprescindibile dialogo tra Pietro e i suoi Confratelli. Un pensiero di particolare riconoscenza vorrei esprimerlo a Vostra Eminenza, ai Membri dei vari Consigli, ai Superiori e agli Officiali della Segreteria Generale, presenti e passati.
Ora, al fine di rendere più manifesto l'apprezzato servizio che codesto Organismo svolge in favore della collegialità episcopale con il Vescovo di Roma, ho deciso di conferire al Sotto-Segretario il carattere episcopale.
In tal modo, il Sotto-Segretario, già nel suo compito di collaborazione con Vostra Eminenza per quanto concerne lo sviluppo dell'attività sinodale, in virtù dell'Ordine episcopale rispecchierà quella comunione affettiva ed effettiva che costituisce lo scopo precipuo del Sinodo dei Vescovi. Anche nel coordinare il lavoro interno della Segreteria Generale, il Sotto-Segretario sarà chiamato ad esprimere la feconda e fruttuosa realtà che sgorga dalla partecipazione al munus episcopale, fonte di santificazione per quelli che lo circondano e fondamento della comunione gerarchica con il Vescovo di Roma, capo del Collegio Episcopale, e con i Membri del medesimo Collegio.
Tanto comunico all'Eminenza Vostra, con la mia Benedizione Apostolica.
Dal Vaticano, 1° aprile 2014

FRANCESCO
----------------------------------------------------------------------------------------------

LETTERA APERTA AL CARD: KASPER
di Pietro Taffari, presbitero uxorato
Carissimo fratello card. Kasper, eminente nella carità. Consentimi di chiamarti “fratello”, sia per la comune dignità di figli del Padre, sia perché quando i vescovi vi rivolgete a noi ci chiamate sempre “fratelli e sorelle”, sia perché “Eminenza” non ha nulla di evangelico e crea distacco, sia perché le parole di Gesù non danno adito a diversificazioni gerarchiche: ”Uno solo è il Padre vostro…Uno solo è il vostro Maestro…e voi siete TUTTI fratelli”.
Papa Francesco ha accennato, all’inizio del suo servizio petrino, al tuo libro sulla misericordia e alla misericordia fa continuamente riferimento nei suoi discorsi e meditazioni. E tu sei sulla sua lunghezza d’onda. E credo che dalla misericordia e dalla compassione del Padre sia scaturità la tua proposta ai prossimi Padri sinodali di rivedere la posizione della Chiesa cattolica verso i divorziati risposati, attingendo alla teologia pastorale ortodossa della Oikonomia. Una proposta che sta suscitando un dibattito non irrilevante nell’episcopato cattolico.
Personalmente condivido la tua proposta. Ma ti chiedo: se Papa Francesco, e i vescovi con lui, adottasse la teologia e la prassi ortodossa dell’Oikonomia, stante un comando divino: “NON OSI l’uomo separare quello che Dio ha unito”, perché tale Oikonomia non proponi a Papa Francesco di applicarla a noi presbiteri uxorati ed emarginati, solo per essere venuti meno ad una legge ecclesiastica? Dobbiamo continuare ad essere esclusi ed da ogni reinserimento pastorale, come presbiteri, sol perché – secondo i “fratelli maggiori” – abbiamo “sperperato” il celibato? Forse che la mano del Signore, nei nostri confronti, si è rattrappita? O la Chiesa di Cristo è madre per i divorziati risposati e per noi presbiteri uxorati deve continuare ad essere matrigna, privando il popolo di Dio di una risorsa che tanto “fuoco” evangelico può portare nel mondo, soprattutto tra gli ammalati e i poveri?
Grato per l’attenzione e per la considerazione che vorrai dare nel tuo cuore e nella tua mente a questi miei interrogativi, ti confermo la mia stima ed il mio affetto, assicurandoti la mia preghiera perché lo Spirito Santo immetta nei cuori dei padri sinodali un supplemento di “fuoco”, che dilati il loro cuore al di là di certi parametri giuridici, che spesso bloccano lo Spirito.
Un fraterno abbraccio. Dio ci benedica!
Pietro Taffari, presb. uxorat
______________________________________________________


Nessun commento:

Posta un commento

Lettori fissi

Archivio blog