domenica 31 luglio 2016

Padre Paolo Dall'Oglio

“Io ovviamente annuncerò, fino al martirio, se necessario, la Buona Novella dell’amore di Gesù! Ma so che, di fronte a me, un musulmano annuncerà con la stessa intensità la Profezia coranica. L’unico mezzo per donare la propria vita per Gesù consiste nell'aiutare ognuno ad essere un pellegrino di verità, non limitarlo all'interno del suo contesto, valorizzare la sua esperienza di Dio…  Il mondo ha bisogno di persone iniziate all'esperienza mistica. In modo collettivo e individuale, bisogna che ognuno senta nel proprio corpo e nel proprio cuore, grazie a maestri esperti, il tocco e il contatto di Dio”. 
<<Una cosa è il progetto di una Siria democratica, rivoluzionaria, pluralista, dove i cristiani avrebbero il loro posto. Altra cosa è il progetto politico islamista dove lo spazio dei cristiani sarebbe ristretto. E infine, altra cosa ancora è l’esplicita aggressione contro i cristiani da parte degli estremisti musulmani cosiddetti jihadisti e takfiriti.
E l’irresponsabilità mondiale prepara il terreno a questa terza ipotesi. (…) Il cristianesimo siriano diventerà residuale. Il che non significa che diverrà privo di senso, di importanza culturale e certamente di ruolo spirituale. Il disastro può essere più o meno grave, tutto dipenderà dalle scelte future sul piano nazionale o internazionale.
Tuttavia, a fronte di tale questione l’ottimismo deve restare di rigore; alla fine del conflitto, il tessuto sociale siriano si ricomporrà nella sua pluralità. Alcuni ritorneranno per ricostituire una certa normalità, il loro contesto vitale. Quanti avranno trovato una soluzione altrove, vi resteranno. Io conservo la speranza che le comunità cristiane residuali possano fiorire in una futura Siria islamica, capace di scegliere un coerente pluralismo inclusivo.>>

sabato 30 luglio 2016

“Un segnale forte contro l’odio”

“Un segnale forte contro l’odio”. Queste le prime parole con cui il presidente del Congresso Ebraico Mondiale Ronald Lauder commenta la visita di Bergoglio ad Auschwitz-Birkenau. “Pur non essendoci lapidi – scrive Lauder in una nota diffusa alla stampa – è questo il più grande cimitero ebraico e uno dei luoghi più orrendi del mondo. Non pronunciare un discorso durante la visita si è rivelata una scelta opportuna, così come pregare in silenzio insieme a chi oggi con lui, in quei luoghi, rendeva omaggio alla memoria degli uomini, delle donne e dei bambini uccisi nel campo. Auschwitz è un monito permanente di ciò che può accadere quando si consente all’odio di ingigantirsi, quando il mondo rimane in silenzio di fronte al male e guarda dall’altra parte i crimini indicibili che vengono commessi nelle vicinanze”.
Soddisfatto anche l’ex presidente dell’Assemblea Rabbinica Italiana (e Consigliere UCEI) rav Elia Richetti, che si dice colpito, oltre che dal silenzio che ha caratterizzato la visita, anche dalla decisione di Bergoglio di entrare e uscire dal campo a piedi. “Segni di attenzione e rispetto importanti” dice rav Richetti, convinto che la sensibilità dimostrata abbia messo al riparo l’evento odierno “da qualsiasi forma di strumentalizzazione”.
Secondo Lauder, il papa “è uno dei più stretti alleati che gli ebrei hanno oggi nella lotta contro l’antisemitismo, il fanatismo e l’odio”. “Mai nel corso degli ultimi duemila anni – aggiunge Lauder – le relazioni tra di noi sono state così strette. Ringraziamo il papa per essere andato ad Auschwitz. La sua visita invia un segnale importante al mondo perché questo capitolo buio della storia non sia mai dimenticato e la verità su quello che è successo non sia offuscata”.
da "MOKED.IT"

IL SILENZIO DI FRANCESCO

«Dov’è Dio se nel mondo c’è il male, se ci sono uomini affamati, assetati, senzatetto, profughi, rifugiati? Dov’è Dio, quando persone innocenti muoiono a causa della violenza, del terrorismo, delle guerre?», ha detto papa Francesco durante la Via Crucis nella spianata di Blonia di fronte a migliaia di fedeli. Sembrava quasi che il pontefice volesse conservare la propria voce per urlare al momento giusto il suo appello all’umanità.

Così a piccoli passi ieri mattina papa Francesco ha varcato senza proferire favella i cancelli del campo di concentramento di Auschwitz: c’è «un tempo per stracciare e un tempo per cucire, un tempo per tacere e un tempo per parlare»,(Ecclesiaste 3:1-22).
È un silenzio che parla all’umanità quello di Francesco. I suoi predecessori al Vaticano avevano rilasciato dichiarazioni dai lager ma per Francesco, il Male assoluto non può essere raccontato con le parole. Un messaggio a tutti quello che urlano la propria verità storica soltanto per ottenere consensi.
E ancora un silenzio che suona come una condanna alla disneyzzazione della memoria storica, alle fotografie scattate dai turisti nelle bocche dei forni crematori, ai supermercati da costruire e ai cacciatori di Pokemon nei luoghi delle fabbriche di morte. La festa per i giovani non è qui ma per le strade di Cracovia.
Il papa ha voluto comunque lasciare alcune parole in spagnolo sul libro d’onore del sito. «Signore abbi pietà del tuo popolo! Signore, perdono per tanta crudeltà!», al termine della visita. 

venerdì 29 luglio 2016

SPORT E SOLIDARIETA'

Dall’inizio delle Olimpiadi moderne nel 1896, oltre 200 team nazionali hanno gareggiato cercando la gloria nelle Olimpiadi estive e invernali.  Quest’anno, per la prima volta, parteciperà anche una squadra di rifugiati.
Annunciata dal Comitato Olimpico Internazionale il 3 giugno, la squadra è composta da due nuotatori siriani, due judoka della Repubblica Democratica del Congo, e sei corridori provenienti da Etiopia e Sud Sudan. Sono tutti fuggiti da violenze e persecuzioni nei loro paesi e hanno cercato rifugio in luoghi come il Belgio, la Germania, il Lussemburgo, il Kenya e il Brasile.
Questa partecipazione rappresenta una pietra miliare nella collaborazione ventennale dell’UNHCR con il COI, un rapporto determinante nella promozione del ruolo dello sport nello sviluppo e benessere dei rifugiati, in particolare dei bambini, in tutto il mondo. Attraverso progetti congiunti, abbiamo promosso programmi giovanili e attività sportive in almeno 20 paesi, riabilitato campi sportivi in diversi campi rifugiati, e fornito kit sportivi per giovani rifugiati.
La loro partecipazione alle Olimpiadi è un omaggio al coraggio e la perseveranza di tutti i rifugiati nel superare le avversità e costruire un futuro migliore per sé stessi e le loro famiglie. L’UNHCR sta con loro e con tutti i rifugiati.
Filippo Grandi - Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati

giovedì 28 luglio 2016

Tre anni fa, tra il 28 e il 29 luglio del 2013, veniva sequestrato Padre Paolo Dall'Oglio, gesuita, impegnato da sempre nella martoriata terra siriana, dove, nonostante tutto, continuava a praticare percorsi di pace e a ricercare il dialogo tra musulmani e comunitá cristiana.
Un'attività condotta mentre intorno, allora come ora, i seguaci del dittatore Assad, le bande dell'Isis, gli oppositori del regime combattevano senza esclusione dei colpi.
Ad Assad quel prete non era mai piaciuto e lo aveva espulso, ma lui era tornato, perché pensava che il suo dovere fosse quello di condividere le gioie, ma anche la disperazione e a la paura della sua comunità di vita e di preghiera.
Dal giorno del sequestro si sono rincorse le voci piú diverse: dall'annuncio dell'esecuzione al presunti video di chi lo avrebbe incontrato in una prigione dell'Isis, ma dopo 3 anni resta solo il vuoto lasciato da un costruttore di pace che, ovviamente, continuiamo a sperare di poter rivedere e riascoltare.
di Beppe Giulietti

C'E' ANCORA CHI INNEGGIA ALLA SELEZIONE:SI VERGOGNI!

Non c’è limite alla “disumanità” di alcuni, neanche di fronte alla sofferenza. 
Un padre, ospite di un villaggio turistico abruzzese, ha criticato la struttura su tripadvisor – noto portale web di viaggi che pubblica le recensioni degli utenti riguardo hotel, ristoranti e attrazioni turistiche – minacciando anche le vie legali perché … vi erano troppi disabili tra gli ospiti che potevano “oltraggiare” la vista dei suoi figli.
L’uomo si era presentato nella struttura ricettiva per le vacanze estive con la famiglia dopo aver regolarmente prenotato; ma dopo aver trascorso i primi giorni nel villaggio turistico, ha deciso di lasciare una recensione negativa sul sito definendo l’intera vacanza come “un pacco”. E non per aver trovato la famosa mosca nella minestra, ma per non essere stato avvertito della presenza di disabili nell'albergo, reputandosi addirittura in difetto dai gestori della struttura.
“Ho prenotato questo viaggio per far divertire soprattutto i miei figli – scrive sul tripadvisor -. Siamo arrivati e nel villaggio era presente una miriade di ragazzi disabili”. “Premetto non per discriminare ci mancherebbe sono persone che purtroppo la vita gli ha reso grandi sofferenze ma vi posso assicurare che per i miei figli non è un bello spettacolo vedere dalla mattina alla sera persone che soffrono su una carrozzina” ha sottolineato ancora l’utente, concludendo: “Bastava che la direzione mi avvisava e avrei spostato la vacanza in altra data. Sto valutando o meno di intraprendere una via legale per eventuali risarcimenti”. Forse il risarcimento dovrebbero chiederlo i ragazzi disabili al “garbato” turista, che considera la malattia e la diversità solo come una “sofferenza” e non come una possibile ricchezza.

IL DIO DELLA GUERRA

<<Nessun domestico può servire due padroni; perché o odierà l'uno e amerà l'altro, o avrà riguardo per l'uno e disprezzo per l'altro. Voi non potete servire Dio e Mammona>>(Lc 16,13)
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Di fronte al limite mai superato dell’uccisione in chiesa di un sacerdote, padre Jacques, alcuni giornali nazionali hanno titolato: «Hanno sgozzato dio», «Occhio, ti sgozzano in chiesa». Chiamando non al dolore ma all’odio. All’occhio per occhio, all’istigazione secondo l’equazione: arrivano i migranti, arrivano i terroristi.
Per la verità i preti ammazzati in chiesa se non addirittura sull’altare non sono pochi e non sono proprio omicidi di stampo jihadista che ha preso più volte a bersaglio la minoranza cristiana in Iraq e in Siria. Come non ricordare don Diana e don Puglisi uccisi dalla camorra in Italia o padre Romero dagli squadroni della morte dell’estrema destra legata agli interessi statunitensi in Salvador.
E così  papa Francesco, arrivato in Polonia per la Giornata mondiale della gioventù, non perde un attimo per sferzare non solo i dubbi ma anche ogni istigazione all’odio.
Lo fa con durezza commentando l’assassinio di padre Jacques: «Quando parlo di guerra parlo di guerra sul serio, no di guerre di religione». «Non c’è guerra di religione – ha aggiunto – c’è guerra di interessi, per i soldi, per le risorse naturali, per il dominio dei popoli». «Tutte le religioni vogliono la pace, capito?».
Ogni atto di terrorismo non può essere confuso con l’idea di una guerra in nome di dio. Né
tantomeno può corrispondere alla chiamata ad una nuova guerra, che il papa non ha esitato a
definire «maledetta» già quando nell’autunno del 2013 invitò alla preghiera contro l’azione militare
che gli Stati uniti erano pronti a far scattare in Siria.
La guerra, anche forse per nostra responsabilità, c’è già. Senza pietà, per il dominio della regione
mediorientale. Non per dio, ma per mammona.

SAGGEZZA


mercoledì 27 luglio 2016

A VOLTE RITORNANO!


Tahar Ben Jelloun ha scritto una lettera ai fratelli mussulmani

<<L'Islam ci ha riuniti in una stessa casa, una nazione. Che lo vogliamo o no, apparteniamo tutti a quello spirito superiore che celebra la pace e la fratellanza. Nel nome "Islam" è contenuta la radice della parola "pace". Ma ecco che da qualche tempo la nozione di pace è tradita, lacerata e calpestata da individui che pretendono di appartenere a questa nostra casa, ma hanno deciso di ricostruirla su basi di esclusione e fanatismo. Per questo si danno all'assassinio di innocenti. Un'aberrazione, una crudeltà che nessuna religione permette.
Siamo tutti chiamati a reagire: la comunità musulmana dei praticanti e di chi non lo è, voi ed io, i nostri figli, i nostri vicini. Non basta insorgere verbalmente, indignarsi ancora una volta e ripetere che "questo non è l'Islam". Non è più sufficiente, e sempre più spesso non siamo creduti quando diciamo che l'Islam è una religione di pace e di tolleranza. Non possiamo più salvare l'Islam - o piuttosto - se vogliamo ristabilirlo nella sua verità e nella sua storia, dimostrare che l'Islam non è sgozzare un sacerdote, allora dobbiamo scendere in massa nelle piazze e unirci attorno a uno stesso messaggio: liberiamo l'Islam dalle grinfie di Daesh. Abbiamo paura perché proviamo rabbia. Ma la nostra rabbia è l'inizio di una resistenza, anzi di un cambiamento radicale di ciò che l'Islam è in Europa.
Perciò è necessario che le istanze religiose si muovano e facciano appello a milioni di cittadini appartenenti alla casa dell'Islam, credenti o meno, perché scendano nelle piazze per denunciare a voce alta questo nemico, per dire che chi sgozza un prete fa scorrere il sangue dell'innocente sul volto dell'Islam.
Se continuiamo a guardare passivamente ciò che si sta tramando davanti a noi, presto o tardi saremo complici di questi assassini.
Apparteniamo alla stessa nazione, ma non per questo siamo "fratelli". Oggi però, per provare che vale la pena di appartenere alla stessa casa, alla stessa nazione, dobbiamo reagire. Altrimenti non ci resterà altro che fare le valigie e tornare al Paese natale.>>

martedì 26 luglio 2016

INSICUREZZA

«Le radici dell’insicurezza sono molto profonde. Affondano nel nostro modo di vivere, sono segnate dall'indebolimento dei legami interpersonali, dallo sgretolamento delle comunità, dalla sostituzione della solidarietà umana con la competizione senza limiti, dalla tendenza ad affidare nelle mani di singoli la risoluzione di problemi di rilevanza più ampia, sociale. La paura generata da questa situazione di insicurezza, in un mondo soggetto ai capricci di poteri economici deregolamentati e senza controlli politici, aumenta, si diffonde su tutti gli aspetti delle nostre vite. E quella paura cerca un obiettivo su cui concentrarsi. Un obiettivo concreto, visibile e a portata di mano».
«Si tratta di una prospettiva fosca e sconvolgente, ma attenzione: quello di società dominate dalla paura non è affatto un destino predeterminato, né inevitabile. Le promesse dei demagoghi fanno presa, ma hanno anche, per fortuna, vita breve. Una volta che nuovi muri saranno stati eretti e più forze armate messe in campo negli aeroporti e negli spazi pubblici; una volta che a chi chiede asilo da guerre e distruzioni questa misura sarà rifiutata, e che più migranti verranno rimpatriati, diventerà evidente come tutto questo sia irrilevante per risolvere le cause reali dell’incertezza. I demoni che ci perseguitano — la paura di perdere il nostro posto nella società, la fragilità dei traguardi che abbiamo raggiunto — non evaporeranno, né scompariranno. A quel punto potremmo risvegliarci, e sviluppare gli anticorpi contro le sirene di arringatori e arruffapopolo che tentano di conquistarsi capitale politico con la paura, portandoci fuori strada. Il timore è che, prima che questi anticorpi vengano sviluppati, saranno in molti a vedere sprecate le proprie vite».
Dal'intervista a Zygmunt Bauman, su “Corriere della Sera” del 26 luglio 2016

Carlo Cassola

<<Nulla è più stupefacente di un'esistenza comune, di un cuore semplice.>>



SFIDE QUOTIDIANE


sabato 23 luglio 2016

PREGHIERA PER L'EUROPA

Padre dell'umanità, Signore della storia,
guarda questo continente europeo
al quale tu hai inviato tanti filosofi, legislatori e saggi,
precursori della fede nel tuo Figlio morto e risorto.

Guarda questi popoli evangelizzati da Pietro e Paolo,
dai profeti, dai monaci, dai santi;
guarda queste regioni bagnate dal sangue dei martiri
e toccate dalla voce dei Riformatori.

Guarda i popoli uniti da tanti legami
ma anche divisi, nel tempo, dall'odio e dalla guerra.
Donaci di lavorare per una Europa dello Spirito
fondata non soltanto sugli accordi economici,
ma anche sui valori umani ed eterni.

Una Europa capace di riconciliazioni etniche ed ecumeniche,
pronta ad accogliere lo straniero, rispettosa di ogni dignità.
Donaci di assumere con fiducia il nostro dovere
di suscitare e promuovere un' intesa tra i popoli
che assicuri per tutti i continenti,
la giustizia e il pane, la libertà e la pace.

(P. Carlo Maria Martini)

UNA RIFORMA A 360 GRADI !

Ma quanto tempo passano su internet le suore, più o meno di clausura? O, al contrario, perché attira
tanto i media, e gli stessi social, l’idea che papa Francesco vieti alle consacrate che vivono nei
conventi di frequentare facebook? In effetti i social ricorrono in quasi tutti i titoli dedicati alla nuova
costituzione apostolica promulgata da papa Bergoglio, la Vultum Dei Quaerere – la ricerca del volto di Dio, dedicata alla vita contemplativa femminile.
Per la verità si può anche leggervi il contrario, in quanto sembra tra le righe che il Papa esorti a un «prudente discernimento», perché questa cultura «influisce in modo decisivo nella formazione del pensiero e nel modo di rapportarsi con il mondo e, particolarmente, con le persone. Questo clima culturale non lascia immuni le comunità contemplative. Certamente questi mezzi possono essere strumenti utili per la formazione e la comunicazione». Posto che non deve diventare strumento di «dissipazione», si potrebbe anche considerare che per la formazione delle contemplative non si esclude che possano frequentare internet: del resto, tutta l’impostazione della Costituzione punta a inserire le donne consacrate nel vasto mondo, non a tagliarle fuori.
Papa Bergoglio esorta però a non lasciarsi catturare dalla tentazione che sfocia nell’apatia, nella routine, nella demotivazione, nell’accidia paralizzante, che poco a poco trasforma i cristiani in mummie da museo. Delusi dalla realtà, dalla Chiesa o da se stessi, vivono la costante tentazione di attaccarsi a una tristezza dolciastra, senza speranza, che si impadronisce del cuore come il più prezioso degli elisir del demonio.
E allora le tentazioni si combattono con una buona formazione, una buona scelta delle candidate,
puntando sull’autonomia dei monasteri. Le comunità possono essere piccole, ma non devono essere
composte di donne prevalentemente anziane. E nello stesso tempo qui c’è il punto più aspro di questa Costituzione apostolica in cui si mostra la severità lucida dell'idea di vita ecclesiale di papa Francesco: «Nonostante la costituzione di comunità internazionali e multiculturali manifesti l’universalità del carisma, si deve assolutamente evitare il reclutamento di candidate da altri Paesi con l’unico fine di salvaguardare la sopravvivenza del monastero». È veramente mettere un dito nella piaga. Quanti ordini stanno in piedi solo per questo reclutamento di carattere quasi coloniale?
La clausura non esclude mai il lavoro. E il silenzio. Ma per non perdere la bussola, e per poter
accogliere chi proviene dal mondo in cerca di aiuto, come avviene tuttora, quel mondo occorre 
conoscerlo.
Insomma, niente suore addicted. Internet sì, con juicio.

giovedì 21 luglio 2016

PREGIUDIZI

In molte occasioni scopriamo che l’uomo, anche se è chiamato essere umano, manca di umanità. Si lascia trasportare dai pregiudizi, respinge chi è diverso e pensa solo a se stesso.
Sono molti i casi che mostrano chiaramente quello di cui stiamo parlando, e così un bambino con la sindrome di Down  è stato l’unico della classe a non essere invitato a una festa per via della sua alterazione genetica.
Questo rifiuto ha provocato grande dolore – e non poteva essere altrimenti – alla mamma che non ha esitato a raccontare l’accaduto su Facebook e a indirizzare una lettera ai genitori del festeggiato, che hanno deciso che suo figlio non doveva divertirsi con tutti i suoi compagni:
“Salve!
So che non ci conosciamo molto bene, ma mio figlio e suo figlio sono nella stessa classe. Ho saputo che suo figlio di recente ha consegnato degli inviti per una festa di compleanno a tutta la classe tranne che a mio figlio, che non era invitato. Capisco che non è stata una distrazione da parte vostra, ma la decisione di non includere mio figlio.
Vorrei che sapesse che non ci aspettiamo di essere invitati a ogni festa di compleanno. Quando mio figlio ha festeggiato il suo l’anno scorso ha invitato solo alcuni amici stretti perché volevamo fare una cosa raccolta. Nel suo caso, però, il motivo non è lo stesso. Lei ha invitato tutti e 22 i ragazzi della classe tranne mio figlio.
So che non è perché non è divertente. Ha uno spiccato senso dell’umorismo e una risata contagiosa. So che non è perché lui e suo figlio non vanno d’accordo, perché mio figlio ha parlato di suo figlio varie volte. L’unico motivo per il quale ha deciso non era il caso di invitare mio figlio alla festa di compleanno è perché ha la sindrome di Down.
Mi dispiace che non sappia cosa significhi che ha la sindrome di Down ­ o forse ha paura, o si sente insicuro. So che se sapesse di più della sindrome di Down non avrebbe preso questa decisione.
Non sono arrabbiata con lei. Piuttosto, credo che sia un’opportunità per poter conoscere meglio mio figlio. Avere la sindrome di Down non significa non voler avere amici. Non vuol dire non avere sentimenti. Non significa che non gli piaccia andare alle feste di compleanno.
Le persone con la sindrome di Down vogliono le stesse cose che vogliamo io e lei. Vogliono avere rapporti stretti, vogliono sentire l’amore di Dio, vogliono contribuire, vogliono avere una vita piena di senso, e vogliono andare alle feste di compleanno”.

UMBERTO VERONESI

<<La scienza ha un linguaggio universale che permette il dialogo anche dove pare impossibile, si fonda sul rispetto delle posizioni altrui e si nutre del dubbio e del rifiuto di ogni dogmatismo. In questo senso, il progresso scientifico resta la risposta di un'umanità evoluta alle tentazioni retrograde e assolutistiche.>>


Muhammad Alì

<<Impossibile è solo una parola pronunciata da piccoli uomini che trovano più facile vivere nel mondo che gli è stato dato, piuttosto che cercare di cambiarlo. Impossibile non è un dato di fatto, è un'opinione. Impossibile non è una regola, è una sfida. Impossibile non è uguale per tutti. Impossibile non è per sempre.>>


 

NOVALIS

<< L'astrazione indebolisce, la riflessione rinforza. >>

mercoledì 20 luglio 2016

Beppe Severgnini su Corriere.it

"La storia ha smesso di essere un fiume, con le sue anse, le sue rapide e le sue correnti. È diventata un torrente: difficile da prevedere e faticoso da navigare. In tre settimane è successo di tutto, dalla surreale Brexit al goffo golpe in Turchia, passando per l’orrore di Dacca, l’odio di Dallas e la follia di Nizza. Venti giorni incredibili e istruttivi, in cui abbiamo intuito la velocità di un mondo che non capiamo più. Anche chi maneggia notizie da decenni è sbalordito: si sono avverate, tutte insieme, le fantasie sul «mondo collegato», le previsioni sui nuovi media, le teorie sugli effetti esponenziali della condivisione. È come se la comunicazione avesse raggiunto, di colpo, una massa critica; e fermarla non sia più possibile. Perché abbiamo saputo subito le cose e le abbiamo viste subito dopo; perché abbiamo condiviso immagini, simboli e paure, litigando con chi ha più paura di noi; perché abbiamo capito di condividere tanti strumenti con i nostri nemici nell’ombra, con i militari delle caserme, con la gente nelle strade e con i ragazzi sul lungomare. Perché siamo tutti nel torrente: e non è possibile restare asciutti... Il torrente corre a valle: ma dove va?"

PENSIERO DEL GIORNO

<<Felice è chi è capace di amare molto. Ma amare e desiderare non sono la stessa cosa.>>

-- Hermann Hesse

venerdì 15 luglio 2016

UN'ALTRA FERITA


ILANA BAHBOUT

<<Essere puri non significa essere immuni da colpe, errori o mancanze, ma vuol dire essere vicini alla vita, lontano dalla morte e dalle sue logiche contagiose.>>


UN GRANDE DOLORE


Mons. André Marceau, vescovo di Nizza

<<Reagire a questo attentato, vuol dire innanzitutto che ci troviamo di fronte ad una violenza cieca. Vuol dire anche chiedersi: che cosa può esserci nel cuore di un uomo, nel momento in cui agisce così, in cui perpetua questo atto di odio, di barbarie e di morte? Sono domande gravi, che ci lasciano senza risposta. Siamo testimoni di scene di guerra, insopportabili. È la disumanità sotto i nostri occhi...
Dobbiamo aprire una finestra per illuminare un po' queste scene di oscurità dell'animo umano. Crediamo che la compassione e la consolazione siano un mezzo perché il cuore dell'uomo sia raggiunto dall'amore...
Dobbiamo anche stare attenti, tutti, a non lasciarci invadere dall'odio, dalla violenza, dalle recriminazioni o dai ripiegamenti su noi stessi. Bisogna evitarlo ad ogni costo. Attenzione che il nostro dolore non generi ciò che è all'origine dei fatti.>>

COME AIUTARE AD APRIRE GLI OCCHI

«C’è una personalità assai determinata nel sollevare certe questioni, ed è papa Francesco. Che lo fa, peraltro, senza pretendere di avere la bacchetta magica ma, al contrario, invitando a fare sforzi giusti ma che potrebbero anche fallire. C’è un passo del discorso che tenne il 6 maggio 2016, al conferimento del Premio Carlomagno, che andrebbe imparato a memoria: “Se c’è una parola che dobbiamo ripetere fino a stancarci è questa: dialogo. Siamo invitati a promuovere una cultura del dialogo cercando con ogni mezzo di aprire istanze affinché questo sia possibile e ci permetta di ricostruire il tessuto sociale. La cultura del dialogo implica un autentico apprendistato, un’ascesi che ci aiuti a riconoscere l’altro come un interlocutore valido; che ci permetta di guardare lo straniero, il migrante, l’appartenente a un’altra cultura come un soggetto da ascoltare, considerato e apprezzato. È urgente per noi oggi coinvolgere tutti gli attori sociali nel promuovere una cultura che privilegi il dialogo come forma di incontro, portando avanti la ricerca di consenso e di accordi, senza però separarla dalla preoccupazione per una società giusta, capace di memoria e senza esclusioni. (Evangelii gaudium, 239). La pace sarà duratura nella misura in cui armiamo i nostri figli con le armi del dialogo, insegniamo loro la buona battaglia dell’incontro e della negoziazione”. Papa Francesco vuole sottrarre le sorti della pacifica convivenza ai politici di professione e al reame oscuro della politica per portarle nelle strade, tra i negozi e gli uffici, negli spazi pubblici dove noi tutti ci incontriamo. Vuole affidare le speranze del genere umano non ai generali dello “scontro di civiltà” ma a noi soldati semplici della vita quotidiana. Perché questo accada, però, devono realizzarsi anche altre condizioni e il Papa ce le ricorda: “La giusta distribuzione dei frutti della terra e del lavoro umano non è mera filantropia. È un dovere morale. Se vogliamo pensare le nostre società in un modo diverso, abbiamo bisogno di creare posti di lavoro dignitoso e ben remunerato, specialmente per i nostri giovani. Ciò richiede la ricerca di nuovi modelli economici più inclusivi ed equi, non orientati al servizio di pochi, ma al beneficio della gente e della società. E questo ci chiede il passaggio da un’economia liquida a un’economia sociale”. Ho una sola parola da aggiungere: amen».
Estratto da un'intervista a Zygmunt Bauman.

mercoledì 13 luglio 2016

INSIEME PER COMBATTERE LA VIOLENZA SUI BAMBINI

Ogni 5 minuti nel mondo un bambino muore per cause legate alla violenza. Solo nell'ultimo anno un miliardo di bambini hanno vissuto sulla loro pelle esperienze di violenza fisica, sessuale o psicologica quest'anno. Ogni giorno, in ogni Paese - sia ricco che povero - milioni di bambini sono vittime di violenza a casa, a scuola e nelle loro comunità.

Ma la violenza contro i bambini non è inevitabile, si può prevenire. Ieri al Palazzo di Vetro dell'ONU i rappresentanti degli stati membri, istituzioni internazionali, università, ONG, fondazioni, aziende e associazioni giovanili hanno stretto un patto di portata mondiale per rendere l'eliminazione della violenza sui bambini una priorità assoluta, che deve essere raggiunta con l'impegno e la responsabilizzazione di tutti. La nuova coalizione End Violence Against Children - The Global Partnership, di cui fa parte Terre des Hommes, opererà attivamente con progetti sul campo, azioni di sensibilizzazione e gruppi di pressione per contrastare gli abusi, lo sfruttamento lavorativo e sessuale, il traffico, la tortura e tutte le forme di violenza sui bambini. A supporto della coalizione è stato creato un fondo fiduciario, sul quale sono già a disposizione 40 milioni di sterline, donate dal governo inglese appositamente per l'eliminazione dello sfruttamento sessuale online dei minori.
Terre des Hommes è una delle organizzazioni più all'avanguardia in questo campo, con il progetto Sweetie per l'identificazione dei predatori online. Il fondo andrà a finanziare anche interventi per la prevenzione della violenza sui bambini che vivono nelle aree in conflitto e per la riduzione degli abusi sui bambini nella vita quotidiana, individuando i paesi che vogliano fare da apripista per l'attuazione di buone pratiche contro la violenza.
Tra le azioni più importanti per il contrasto e la prevenzione degli abusi sui bambini ci sono la messa al bando di abitudini e tradizioni che perpetuano la violenza (punizioni corporali, mutilazioni genitali, ecc.), il miglioramento della sicurezza delle scuole e il rafforzamento della raccolta dati sull'incidenza della violenza e del maltrattamento sui bambini. Con le nostre indagini sul Maltrattamento sui bambini in Italia nel 2013 e nel 2015 abbiamo dimostrato che è possibile farlo con risorse contenute grazie alla collaborazione e alla sensibilizzazione dei vari attori. Per questo crediamo che una coalizione così vasta possa davvero fare la differenza e contribuire al raggiungimento - ambizioso ma non impossibile - di sconfiggere o almeno arginare la violenza sui bambini entro il 2030, fissato nell'Agenda per lo Sviluppo Sostenibile dell'ONU. Insieme all'aiuto di tutto voi possiamo farcela!
 Responsabile di Terre des Hommes

LE SUORINE IN JEANS

È nato tutto un po’ per caso. «Un giorno del 2006 mi chiamò il prefetto e mi disse: don Vinicio,
dobbiamo accogliere un centinaio di migranti, subito. Avevamo un’area del seminario
completamente vuota e allora dissi d’istinto: va bene, mettiamoli lì. Ma chi avrà cura di loro?» Bella
domanda. E nel momento stesso in cui la fece, Don Vinicio Albanesi pensò alla soluzione.
«C’erano due suorine, Paola e Rita, fuoriuscite da un convento agostiniano di stretta osservanza —
racconta lui stesso oggi —. Avevano avuto dissidi con le sorelle più anziane e avevano abbandonato
il convento ma non la vocazione. Così andai dal vescovo e dissi: vorrebbero continuare a fare le
suore, che ne dice se le accogliamo noi? Creiamo una congregazione e loro, in cambio, si occupano
dei migranti nel seminario».
Così fu. Le fuoriuscite, come le chiama il don della Comunità di Capodarco, approdarono a Fermo
avvolte nel loro saio monacale e diventarono «le suorine del seminario», sempre a disposizione dei
migranti che, da allora in poi, arrivarono di continuo.
Oggi alla Congregazione delle Piccole Sorelle Jesus Caritas sono in cinque... Ed è lei, Filomena, che in questi mesi ha seguito Emmanuel e Chinyere, ha tenuto per loro lezioni di italiano, è stata la loro interprete, la loro amica e il loro punto di riferimento. «Più che una suorina una superdonna» scherza don Vinicio sorridendole.
Croce di legno al collo, lunghi capelli neri e occhi verdi, Filomena racconta un po’ di sé. Origini
pugliesi, laureata in lingue, padronanza del cinese, oltre che di spagnolo, francese e inglese. «Sono
suora dal 2014» confida. «Fino ad allora facevo la vita che fanno le ragazze della mia età, avevo un
fidanzato e progetti per il futuro. Non frequentavo la chiesa né gruppi parrocchiali di nessun genere...»
Fra quella vita e questa c’è di mezzo una grandissima crisi esistenziale, come la definisce lei.
«Dopo la laurea ho vissuto anni molto difficili a livello personale. Non facevo che pormi domande.
Avevo l’inquietudine addosso, vivevo male. Sono arrivata alla depressione vera e propria, non
uscivo più di casa, non volevo vedere nessuno. Poi un giorno decisi di fare un viaggio da sola ad
Assisi. E lì, durante quel viaggio, tutto è cambiato».
Inutile chiederle se quella «grandissima crisi esistenziale» fu legata a una delusione d’amore. Suor
Filomena sorride e lascia cadere la risposta. «Adesso sto bene qui fra i miei migranti. Se penso al
giorno che ho detto ai miei che mi sarei fatta suora....L’hanno presa malissimo. Sono pure figlia
unica... Ma adesso vedono che sono felice e lo sono anche loro per me».
Don Vinicio dice che le sue suorine sono dolci, sì, ma anche «un po’ furbe. Ma le vede come si
vestono? I jeans, addirittura... Hanno cominciato a non volere il velo, sono scese a mezzo velo. E
vabbè. Non lo sopportavano, dicevano. E allora a un certo punto ho detto: e toglietevelo! Nemmeno
il tempo di dirlo e se l’erano già tolto. Adesso la lotta è per portare i pantaloni perenni...» Lo
interrompe proprio Filomena: «Ci stiamo riuscendo».
Estratto da “Corriere della Sera” del 9 luglio 2016

TINA ANSELMI

<<Quando le donne si sono impegnate nelle battaglie le vittorie sono state vittorie per tutta la società. La politica che vede le donne in prima linea è politica d'inclusione, di rispetto delle diversità, di pace.>>


domenica 10 luglio 2016

Porsi domande
di Piero Stefani
in “Il pensiero della settimana” del 10 luglio 2016
Se ci si identificasse totalmente con quanto si sta vivendo non si solleverebbero interrogativi. Tra le tante definizioni proposte per l’essere umano chiamarlo «il vivente che pone e si pone domande» va, forse, annoverata tra le più calzanti. Ciò comporta di per sé una qualche dislocazione di noi stessi rispetto al nostro vivere. Formulare interrogativi è un’alterità interna. È consueto ripetere che le domande sono più importanti delle risposte. È vero a patto di conservare lo status di penuria connesso a una mancata risposta e a condizione di porre sempre domande inedite. Per continuare a ricercare occorre scoprire nuovi interrogativi. Inventare nuove domande è una forma di intelligenza, ripeterle è uno stanco ripiegamento, compreso il caso in cui si pensa di toccare l’abisso («perché l’essere e non il nulla?»). Avere un’idea innovativa è sempre una gran cosa. Per lo più essa nasce dall’aver posto una domanda inusuale e pertinente. Poi si evidenzieranno i lati mancanti della risposta, si dirà che non si è tenuto conto di questo e di quest’altro, si dimostrerà che l’idea è addirittura campata in aria; tuttavia essa ha guidato il discorso, a volte anche per decenni, se non addirittura per secoli. È vero: le domande per certi aspetti prevalgono sempre sulle risposte; infatti anche quando queste ultime calcano a passo sicuro la scena (ipotesi invero non frequente), resta inscritto nell’ordine delle cose che a dettare il cammino sono sempre le prime. Tuttavia è un vezzo (spesso ipocrita) affermare, a priori, che le domande valgono di per sé più delle risposte. In realtà una domanda autentica va alla ricerca della risposta non meno di quanto l’assetato faccia con l’acqua e l’affamato con il cibo. Una componente mai espungibile rispetto alla domanda del perché si soffre è che ciò avviene semplicemente perché si vive. Quando si ignora la prosaicità di questa base si veleggia verso mari infidi.

Dietrich Bonhoeffer

«Chi cerca di sfuggire dalla terra non trova Dio, trova solo un altro mondo, il suo mondo, più bello, più tranquillo, un mondo irreale, ma non il Regno di Dio che comincia in questo mondo»

sabato 9 luglio 2016

Card. Michele Pellegrino

«… tre valori di fondo: povertà, libertà, fraternità.
Qualsiasi valore venga proposto al cristiano
dev’essere visto e presentato
nella luce della fede e in ordine all’adempimento
del precetto primario dell’amore»

venerdì 8 luglio 2016

RECUPERIAMO IL VALORE E IL SENSO DEL NOSTRO ESSERE UMANI

"Guardiamoci attorno, in giro per strada: quanta gente sembra che non aspetti altro che una banale provocazione per aggredire il prossimo? Si uccide per un parcheggio, per una mancata precedenza, per il volume troppo alto. Come se la vita non avesse più nessun valore, o quasi. E non solo la vita di chi, poi, rimarrà esanime sul selciato, ma anche quella di chi, pur di sedare quel rumore interiore, quell'assenza di valori positivi, trascina se stesso e la sua famiglia in un inferno giudiziario senza fine.

Stiamo davvero superando ogni misura.

I livelli di frustrazione, pronta a sfociare in atti di inaccettabile malvagità, sono in preoccupante aumento, e in questi si insinua e fa breccia una pericolosissima strumentalizzazione da parte di chi vorrebbe indurci costantemente a vedere il nemico nel prossimo. Chiunque esso sia. I social, poi, si trasformano sistematicamente in cassa di risonanza di visioni violente, miopi e distorte, che alimentano odio che non può che sfociare in nuovi deprecabili atti. Siamo, ormai, come il cane che si morde la coda. Con la differenza che il cane è un animale; noi no, non dovremmo esserlo.

E allora sarebbe opportuno e doveroso recuperare la lucidità di esseri intelligenti che siamo, e senza farci condizionare dal prossimo, provare a variare la prospettiva da cui valutare ogni singola circostanza per tornare, poi, a misurarla unicamente con la nostra testa. E, perché no, anche con un bel pezzo di cuore, che non fa mai male.
Ma per ora non ci resta da far altro che piangere Emmanuel, al di là di come le cose siano andate davvero: semplicemente perché la sua morte, come tante, come moltissime a cui ci stiamo maledettamente abituando, poteva e doveva essere evitata."
PALMA LAVECCHIA su www.huffingtonpost.it

UN LIBRO INTERESSANTE

Il prete visto dai giovani. Indagine tra 521 studenti delle scuole superiori di TrevisoEdizioni del NoceISBN 9788890932953 , Prezzo di copertina: € 8,00di 

Dall'indagine condotta tra 521 studenti delle scuole medie superiori emerge come i giovani non siano interessati alla figura del prete visto come un uomo che vive da solo in canonica, senza aver maturato una significativa esperienza lavorativa, lontano dalla quotidianità delle famiglie del proprio quartiere e "obbligato" a contenersi nella dimensione affettiva e sessuale. I giovani, però, per la propria crescita personale sono alla ricerca di persone che possano costituire per loro dei chiari punti di riferimento, e, a parte alcune posizioni polemiche, hanno dimostrato di non avere dei pregiudizi nei confronti dei preti, ma piuttosto il desiderio di conoscerli e di poter avere con essi un confronto sereno e costruttivo su temi importanti, come, ad esempio, la fede in Dio e l'annuncio del Vangelo. Il libretto è indirizzato ad un vasto pubblico, ma in particolare ai giovani e ai preti.

mercoledì 6 luglio 2016

Perché non voglio più assistere allo "spettacolo" di bare avvolte nel tricolore!


C’è di che rimanere smarriti se non si ha la coscienza che la diversità può essere la molla della coesione sociale, che la complessità richiede risposte complesse costruite gettando ponti tra etnie, popoli, discipline, fazioni politiche, credo religiosi, filosofie di vita. Altrimenti c’è solo di che sognare un ordine semplice e chiaro, un manicheismo di riporto che faccia chiaramente vedere dove sta il Bene e dove sta il Male, con le maiuscole di preferenza.

Probabilmente sono soprattutto gli spiriti più deboli (o più sensibili) che cadono nella trappola, e che finiscono nella rete di quei “maestri della semplificazione a tutti i costi” che spuntano ovunque. Quando non si sopporta più la diversità, quando le diseguaglianze crescono, quando c’è troppo “diverso-da-sé”, ecco che può scattare in alcuni il virus della violenza come rimedio al caos. Riflettiamoci un po’.

martedì 5 luglio 2016

ELIE WIESEL : INCLUSIONE E IDENTITÀ

«Ricordare è un investimento sul futuro e non solo un tributo alla memoria delle vittime di un
tragico passato. Non possiamo, non dobbiamo dimenticare ciò che accadde nei lager nazisti. E che
al fondo dell'Olocausto vi era il proposito di annientare gli ebrei, colpevoli di esistere: chi continua
a negarlo infligge alle vittime dei campi di sterminio una seconda morte. Come non vedere che nel
voluto oblio della memoria c'è chi cerca di costruire una nuova pratica dell'intolleranza. L'antisemitismo e l'odio razziale segnano anche questo inizio secolo. Non posso perdonare gli aguzzini e coloro che ne esaltano le gesta. Stiamo lasciando alle nuove generazioni un mondo pieno di paura: cosa ne faremo, lo trasformeremo in una fortezza?...
È stato il Male assoluto. Ecco cosa è stato. Ciò che ha caratterizzato quel periodo fu una
determinazione assoluta nel pianificare e condurre a compimento l'annientamento di un popolo.
Questo è stato l'Olocausto, in questo consiste la sua novità rispetto al passato: per la prima volta
nella storia, si intendeva eliminare completamente dalla faccia della terra un popolo. Gli ebrei non
furono perseguitati e sterminati per motivi specifici, perché credevano o non credevano in Dio,
perché erano ricchi o poveri, o perché professavano ideologie nemiche: no, gli ebrei venivano
uccisi, umiliati, torturati per il semplice fatto di essere tali. Perché erano colpevoli di esistere:
questo è l'orrore incancellabile della Shoah...
Ricordo che nei lager nazisti morirono migliaia e migliaia di rom. Morirono assieme a milioni di ebrei. Non intendo entrare in polemiche politiche, ciò che voglio dire è che l'Europa ha un debito verso la popolazione rom. Questa consapevolezza dovrebbe guidare la definizione di politiche di integrazione, il che naturalmente non significa giustificare comportamenti malavitosi che riguardano la persona, il singolo individuo e non l'etnia di appartenenza. La multietnicità propria delle società moderne non va vissuta come un pericolo bensì come un valore, una opportunità comune di crescita, ma perché questa aspirazione si trasformi in realtà compiuta è necessario far vivere una cultura della solidarietà che è qualcosa di più ricco e impegnativo di una cultura della tolleranza. Sento parlare di classi separate per bambini immigrati, di sbarramenti..., ma una società multietnica pienamente democratica, deve abbattere i ghetti e non realizzarne di nuovi. L'inclusione non è nemica di un comprensibile bisogno di sicurezza...
Parole come perdono o misericordia non trovano posto nell'inferno di Auschwitz, di Buchenwald, di Dachau, di Treblinka.... No, non è possibile perdonare gli aguzzini di un tempo e coloro che ancora oggi ne esaltano le gesta. Ho pregato più volte Dio e la preghiera è la stessa che recitavo quando ero rinchiuso nel lager: "Dio di misericordia, non avere misericordia per gli assassini di bambini ebrei, non avere misericordia per coloro che hanno creato Auschwitz, e Buchenwald, e Dachau, e Treblinka, e Bergen-Belsen... Non perdonare coloro che qui hanno assassinato”. Ma questo non vuol dire condannare per sempre il popolo tedesco, perché noi ebrei, le vittime, non crediamo nella colpa collettiva. Solo il colpevole è colpevole. I nostri aguzzini volevano cancellare la nostra identità, prima di negarci la vita, per ridurci solo a numeri, quelli marchiati a fuoco sulle nostre braccia. Ma non ci sono riusciti: hanno ucciso sei milioni di ebrei ma non sono riusciti a cancellare la nostra identità».
Intervista rilasciata in esclusiva a l’Unità il 28 gennaio 2008

lunedì 4 luglio 2016

JORGE LUIS BORGES

<<Chi cammina sulle impronte di un altro non lascia tracce.>>

SILVANO FAUSTI


ELIE WIESEL RICORDATO DA ELENA LOEWENTHAL

Ed è giunta anche per lui quella notte infinita di cui la sua scrittura aveva fatto cifra del male assoluto in terra e in cielo. No, qualcosa di più: La notte di Elie Wiesel è il ritratto del mondo che ha attraversato: il ghetto. Buchenwald. Auschwitz. «Dietro di me sentii il solito uomo domandare: Dov’è Dio. E io sentivo in me una voce che gli rispondeva: Dov’è? Eccolo: è appeso lì, a quella forca». Appeso a quella forca c’era un bambino, ancora vivo per un soffio di tempo.

Elie Wiesel ci ha lasciati: l’annuncio arriva dalla collina dello Yad Vashem, il memoriale della Shoah a Gerusalemme, ed è come un’eco triste che risuona ai quattro angoli del mondo, ovunque lui ha vissuto, scritto, lottato. Era nato nel 1928 a Sighetu Marmatiei, in Romania, anzi fra i monti Carpazi, là dove c’era un ebraismo remoto, distante da tutto nel tempo e nello spazio, quasi millenario. Un ebraismo di campagna e di montagne, fatto più di silenzi che di parole. Wiesel aveva attraversato l’infanzia insieme allo yiddish e a un chasidismo dolce, mite, condito di un umanesimo spontaneo, fatto di parole antiche. Aveva studiato tanta Torah, sia con il padre sia con la madre.

Nel 1944 lui, tutta la sua famiglia e la comunità ebraica erano stati rinchiusi nel ghetto. Anticamera di quello sterminio che da un campo all’altro, da una forca all’altra si portò via tutto il suo mondo. Dopo la guerra Wiesel cominciò a peregrinare: da un luogo all’altro, da una lingua all’altra, da una solitudine all’altra. Incominciò a scrivere, come giornalista e traduttore. Studiò il francese. Nel 1955 si trasferì a New York, ma in fondo ha continuato per tutta la vita a viaggiare fra le sue diverse esistenze, fra le sue lingue - yiddish, romeno, inglese, francese, ebraico -, a muoversi dentro il proprio passato, ad abitarlo con le parole, raccontarlo nello strazio, riviverlo nella consapevolezza che trasmettere la storia di quel male fosse una missione imprescindibile. Un dettato: non divino ma umano.

Ci mise però molti anni a raccontare. Diversamente da Primo Levi che, appena tornato a casa da Auschwitz sentì impellente il bisogno di scagliare sulla pagina quella esperienza, come unica strada per provare a ricominciare a vivere, Wiesel tacque per almeno dieci anni: non voleva né scrivere né parlare di quello che aveva attraversato durante la Shoah. Ma quando cominciò fu un fiume in piena...

...Elie Wiesel è diventato uno dei grandi cantori di quell’orrore. Ma è stato anche molto altro. Intellettuale militante, sempre pienamente coinvolto nell’attualità, sempre in dialogo con le grandi questioni del presente. E quando parlava, la sua voce aveva sempre uno spessore tutto particolare, fatto di impegno e pacatezza, di profonda partecipazione alla vita. Non a caso non vinse mai il Nobel per la Letteratura, ma nel 1986 ebbe quello per la Pace. Undici anni dopo gli fu offerta la carica di Presidente dello Stato d’Israele, ma declinò, cedendo così il passo a Shimon Peres.

Eppure Elie Wiesel è stato tutt’altro che un’icona, una figura «statica» dall’aura spirituale carica di sacralità. La sua vera cifra, come uomo e come scrittore, è l’umanità nel senso più pieno e anche più contraddittorio. Ricco di quelle contraddizioni che raccontano una complessità ricca di sfumature, capace di sfuggire sempre alle semplificazioni. Lui che era nato in un mondo ebraico così conservatore, così ai margini storici e geografici, divenne un ebreo cosmopolita, capace di abitare lingue e spazi diversi: un cittadino del mondo. Si era formato in un ebraismo tradizionale, era cresciuto dentro la Torah e dentro il pietismo chasidico cui era rimasto in un certo senso fedele per tutta la vita, come testimoniano i suoi tanti scritti dedicati a quel mondo scomparso, da Il Golem. Storia di una leggenda alle Celebrazioni chasidiche. Aveva scritto anche tanto di Bibbia e Talmud, aveva una intimità profonda e spontanea al tempo stesso con tutta la tradizione d’Israele.

Eppure come pochi altri intellettuali aveva sfidato la fede, aveva sfidato Dio. Vuoi quando lo vede con rabbia e rassegnazione e un dolore indicibile appeso alla forca nel corpo di un bambino impiccato che lancia al mondo i suoi ultimi palpiti. Vuoi quando scrive Il processo di Shamgorod: un testo bellissimo e terribile sull’assenza di Dio, sull’ingiustizia del mondo, dove, a differenza del biblico Giobbe, all’uomo non resta rassegnazione ma solo un’interrogazione senza risposta. E uno sgomento muto di fronte al male, alla sua presenza così incomprensibilmente invadente.
Elie Wiesel è stato un grande testimone, un grande scrittore, uno straordinario uomo di spirito, e anche di azione. Ma è stato soprattutto una figura dalla complessità straordinaria, mai arreso di fronte all’incomprensibile, mai stanco di interrogare e interrogarci. Ci mancherà la sua parola. Ci mancherà la sua notte. Ci mancherà quel silenzio abissale che stava sempre lì, tra una riga e l’altra di testo.

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