martedì 29 maggio 2018

IL MUSEO DELLA BIBBIA

560 mila visitatori in 6 mesi di attività. Dagli Stati Uniti arriva la notizia di un grandioso museo della Bibbia a Washington, fortemente voluto da una famiglia di fede “evangelical”, costato qualcosa intorno a 500 milioni di dollari: quattro piani di alta tecnologia che offrono al visitatore un viaggio virtuale nell’Antico e nel Nuovo Testamento. Grazie alle più moderne tecnologie importante da Hollywood, si può “camminare” nel mondo della Bibbia, al quarto piano seguendo le orme di Gesù di Nazareth e facendo esperienza dello stile di vita della prime comunità cristiane. Volendo, la visita si può concludere a teatro per assistere al un vero e proprio musical di Broadway intitolato “Amazing grace”. La “caffetteria” a buon prezzo consente di passare al “museo” un’intera giornata, pranzando con tutta la famiglia all’interno di questo nuovo e grande spazio pensato per attirare milioni di visitatori. L’offerta è decisamente allettante perché se l’ingresso ai vari Smithsonian o allo Space museum  o a quello di storia afroamericana costa più di dieci dollari, qui si entra gratis. Occorre un biglietto, ma solo per calcolare il numero degli ingressi.
Appena inaugurato, il museo ha dovuto subire le critiche irridenti di alcuni studiosi che vi hanno riconosciuto  dei reperti importanti illegalmente dal Medio oriente dalla famiglia Green che disponeva della collezione di materiali di epoca biblica che ha costituito la “base” delle varie esposizione. Tutto si è risolto con scuse formali e con il ritiro degli oggetti controversi dalle teche ma questo non è bastato a chiudere il dibattito sul “senso” di questo grandioso progetto culturale. Nonostante il museo non si qualifichi confessionalmente, infatti, sotto traccia non è difficile individuare un filo “evangelical” che – legittimamente per chi così lo ha voluto – fa convergere il racconto biblico della predicazione, nella morte e nella resurrezione di Gesù di Nazareth. E, a mesi dall’inaugurazione, questa resta la vera controversia su un’opera imponente che si propone come museo “scientifico” sulla Bibbia ma in realtà guida il visitatore lungo un percorso confessionale che ha nella figura di Cristo il suo punto centrale. “Non è il museo della Bibbia di cui avevamo bisogno”, hanno affermato alcuni critici lamentando il fatto che la nuova istituzione non garantisce lo standard di scientificità che si impone a un museo.  Sia  pure sottilmente e indirettamente,  il Museo della Bibbia avrebbe infatti  finalità evangelistiche. Niente di male ma – affermano i detrattori – ma questa intenzione dovrebbe essere resa più esplicita.
Quello della famiglia Green e dei numerosi e facoltosi sostenitori che più di dieci anni fa si sono imbarcati in questo progetto, è uno dei volti più attuali del protestantesimo americano: la sua anima evangelical che punta alla conversione, che coltiva una profonda pietà personale, che predica ravvedimento e salvezza. E’ il volto del protestantesimo americano che talora si spinge nei territori più aspri e rischiosi della “destra religiosa” e delle correnti del fondamentalismo più intransigente, con quello che ne consegue sul piano della laicità dello Stato, dell’eguaglianza di genere, dei diritti degli omosessuali, della ricerca scientifica. Questo protestantesimo ora ha il suo museo a pochi passi da Capitol Hill.
Se nei giorni scorsi avete seguito il “royal wedding” nel castello di Windsor, però, avete visto un’altra faccia del protestantesimo d’oltreoceano: quella nera e appassionata del vescovo Michael Curry che, con il calore del social gospel e nello stile dei predicatori di una black church. E lo ha fatto citando il fuoco e la forza prepotente dell’amore che non è solo il meraviglioso sentimento che può legare due persone che si consacrano l’una all’altra ma anche un grande ideale di giustizia.
E’ difficile comporre in un quadro unitario le diverse anime del protestantesimo americano. Storicamente questo pluralismo è stata la sua ricchezza; la sua polarizzazione tra “evangelical” e “liberal” oggi appare la sua più grande debolezza. 
Estratto da "Riforma.it"

giovedì 24 maggio 2018

NEL SOLCO DI MARTIN LUTHER KING

«La nostra società e il nostro Paese sono guidati nella direzione sbagliata, dobbiamo lavorare per superare un razzismo, una povertà e una devastazione ambientale sistemici, e rivedere la nostra visione del mondo».
Così commentano sul sito Internet della loro Chiesa due pastori della Chiesa presbiteriana degli Stati Uniti (PcUsa) William Barber e Liz Theoharis, leader della campagna nazionale Poor People’s Campaign: a National Call for Moral Revival avviata lo scorso 13 maggio (ne aveva accennato al termine del suo articolo il prof. Massimo Rubboli qui).
I due pastori sono da tempo impegnati sul tema della giustizia sociale, il primo come fondatore di Repairers of the Breach, organizzazione di Goldsboro (North Carolina) che si batte in particolare per la promozione di una “morale pubblica” che difenda, non discrimini o emargini le persone in situazioni di svantaggio o debolezza (poveri, per l’appunto, ma anche donne e bambini, immigrati, lamati, persone lgbtq), e la seconda come co-direttrice del Kairos Center, che si trova presso lo Union Theological Seminary di Manhattan (New York), impegnato nell’ambito delle religioni, della giustizia sociale e dei diritti.
Entrambi gli organismi sono tra i promotori della nuova Poor People’s Campaign, che in realtà già da due anni promuove azioni nonviolente in tutto il Paese, a partire dalle capitali di 30 suoi Stati, con il coinvolgimento di decine di migliaia di persone.
La campagna del 2018, che durerà quaranta giorni e culminerà nella mobilitazione di massa a Washington il prossimo 21 giugno, promuove come suggerisce il titolo una «rinascita morale» contro il razzismo, le guerre, la distruzione dell’ambiente, e naturalmente la povertà economica, culturale, sociale.
Vasta è stata l’adesione di chiese e società civile: grandi città e piccoli centri, chiese nazionali e comunità locali si sono impegnate nell’organizzare incontri e azioni sociali. Tra i partner dell’iniziativa si contano più di 120 fra chiese, non solo cristiane (dai presbiteriani agli episcopali, dalla Progressive National Baptist Convention alla Chiesta metodista unita, dalla Christian Church - Disciples of Christ alla United Church of Christal Consiglio nazionale delle Chiese) ma anche ebraiche e musulmane, e organizzazioni attive negli ambiti più diversi: da quelle antimilitariste alle associazioni di veterani, da quelle per la giustizia climatica alle associazioni di difesa dei diritti delle persone lgbtq, ai dreamers e ai loro sostenitori, dalle donne agli afroamericani, dalle associazioni di insegnanti a quelle degli impiegati statali.
Ma perché parlare di una nuova «campagna per i poveri»? Perché quella in corso prende le mosse nientemeno che da Martin Luther King, che cinquant’anni fa, tra il 1967 e il 1968 avviò un’analoga iniziativa, rendendosi conto che era «necessario capire che siamo passato dall’epoca dei diritti civili all’epoca dei diritti umani». King aveva capito che la battaglia per i diritti degli afroamericani abbracciava in realtà una battaglia ben più ampia, che oggi, a mezzo secolo di distanza, si sta ancora combattendo, in America (e nel mondo) per tutte le persone che non hanno accesso alle cure mediche, escluse dal reddito o costrette a svolgere lavori precari e sottopagati, minacciate dal razzismo e dalla xenofobia, dall’omofobia, colpite dagli effetti delle guerre.
Come ha commentato un’altra pastora presbiteriana, co-moderatora della 222° assemblea generale della PcUsa nel 2016, Jan Edmiston, «non vogliamo che questo sia semplicemente un modo per ricordare la morte di M. L. King. Non vogliamo limitarci a commemorare la sua figura, la sua vita, ma dire che ci sono ancora persone povere. Molte delle cose che ha predicato circa 50 anni fa sono ancora attuali, e diversi di quei temi, sebbene si tenda a nasconderli, sono ancora con noi».
Estratto da "Riforma.it"

sabato 19 maggio 2018

Uccisioni nella Striscia di Gaza:la denuncia di Amnesty International

Un altro orribile esempio dell’uso della forza eccessiva da parte dell’esercito israeliano
Nelle manifestazioni palestinesi del 14 maggio, l’esercito israeliano ha ucciso oltre 40 persone, tra cui sei minorenni, e ha causato quasi 2000 feriti.
Ecco un altro orribile esempio del ricorso alla forza eccessiva da parte dell’esercito israeliano e dell’uso di proiettili veri in un modo del tutto deplorevole. Siamo di fronte a una violazione degli standard internazionali e, in alcuni casi, a quelle che paiono uccisioni intenzionali che costituiscono crimini di guerra”, ha dichiarato Philip Luther, direttore delle ricerche sul Medio Oriente e l’Africa del Nord di Amnesty International.
Le immagini arrivate oggi da Gaza sono estremamente preoccupanti. Di fronte a una violenza che continua ad andare fuori controllo, le autorità israeliane devono intervenire immediatamente per impedire ulteriori morti e feriti”, ha aggiunto Luther.
Il mese scorso Amnesty International aveva chiesto alla comunità internazionale di sospendere le forniture di armi e di equipaggiamento militare a Israele. Il crescente numero di morti e feriti non fa altro che rendere urgentemente necessario l’embargo sulle armi”, ha sottolineato Luther.
Anche se alcuni manifestanti hanno preso parte ad atti di violenza, questo non può giustificare l’uso di proiettili veri. Secondo il diritto internazionale, l’uso delle armi da fuoco è consentito solo per proteggersi da imminenti minacce di morte o di ferimento grave”, ha precisato Luther.
Le fonti mediche di Gaza segnalano che decine di manifestanti sono stati colpiti alla testa o al petto. Un mese fa Amnesty International aveva documentato come l’esercito israeliano avesse ucciso o ferito manifestanti che non stavano ponendo in essere alcuna minaccia imminente contro i soldati

venerdì 11 maggio 2018

PROFETI

Vi invito a leggere qui di seguito parte dell'articolo apparso su “la Repubblica” dei giorni scorsi che riportava un brano di “Il primato della contemplazione”, di Thomas Merton, presentato al Salone del libro di Torino da mons. Luigi Bettazzi, Guido Dotti e Alessandro Zaccuri. In questi scritti inediti, il grande monaco intellettuale descrive una società in cui gli uomini “hanno perso il senso di una vita interiore”. Era lo scorso secolo. Ma sembra oggi.
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Il collasso di quel vago umanesimo materialista che era stato moneta corrente negli scorsi due o tre secoli ha lasciato il mondo tragicamente consapevole della propria bancarotta spirituale.
Generazioni su generazioni di uomini hanno a tal punto perduto il senso di una vita interiore, si sono talmente isolati dalle loro profondità spirituali per un’esteriorizzazione che è sfociata alla fine in assoluta superficialità, che ora noi siamo quasi incapaci di godere di una qualsivoglia pace, quiete, stabilità interiore. Gli uomini sono arrivati a vivere esclusivamente sulla superficie del loro essere, al punto che la vita è diventata una mera ricerca di piaceri rudimentali e una fuga dal dolore fisico e mentale. Siamo lasciati in balia di stimoli esterni, e la stimolazione è arrivata addirittura a prendere il posto che, una volta, era occupato dal pensiero, dalla riflessione e dalla conoscenza.
Persino la religione è degenerata, in alcuni casi, in un culto fatto di sentimenti e pie emozioni o, al limite, in un vago senso di fraternità e gentilezza e generico ottimismo nei confronti del prossimo.
Ci innamoriamo pietosamente di qualsiasi cosa ci lusinghi, e la nostra esistenza diventa una perpetua ricerca di tutto ciò che possa placare la nostra sovreccitabile sensibilità.
In queste condizioni la pace interiore, che deve necessariamente poter contare su un certo vigore morale e sulla capacità di resistere a stimolazioni inutili, è divenuta per molti assolutamente impossibile.
In conseguenza di tutto ciò, quando il nostro mondo ci crolla sulla testa – come insistentemente cerca di fare di questi tempi – non abbiamo altro modo per reagire se non fare sempre più rumore, assordandoci con argomenti che hanno poco o nessun senso, finché alla fine ripieghiamo e ci ritiriamo nel silenzio di una stupida disperazione. La bancarotta spirituale dell’uomo non gli ha lasciato nessuna possibilità di rifugiarsi in sé stesso, nessuna cittadella interiore in cui potersi ritirare per raccogliere le forze e valutare la situazione morale che si trova ad affrontare, e in cui poter arrivare a decidere dove rivolgersi per chiedere aiuto.
Infatti, l’ultimo posto al mondo in cui l’uomo moderno cerchi rifugio o consolazione sono le profondità della propria anima.
Sappiamo fin troppo bene che le nostre anime sono strutture vuote, sventrate, in rovina. Il pensiero di prendere residenza in noi stessi ci alletta quanto quello di vivere in una casa infestata dai fantasmi.
La maggioranza delle persone non si rende conto della vera origine del loro terrore. Il fatto è, tuttavia, che se discendi nelle profondità del tuo spirito, della tua realtà metafisica, e arrivi vicino al centro di ciò che sei, ti ritrovi di fronte all’ineludibile verità che, alla radice stessa del tuo esistere, sei in continuo, diretto e inevitabile contatto con l’infinita potenza di un Dio che è Realtà Pura e la cui creativa e personale volontà ti mantiene, ad ogni istante, in esistenza. Ed è questo il pensiero che molti uomini sembrano tanto ansiosi di evitare.
Stranamente, la filosofia moderna non ha sempre avuto paura di affrontare quel vuoto metafisico che è il centro soggettivo di un’anima spiritualmente smarrita. La disperazione cosmica dell’esistenzialista ha in sé qualcosa di vero, perché è un riflesso della sua vita interiore.
Più ancora, la tenebra e il vuoto che l’esistenzialista coglie dentro di sé come esperienza potrebbe essere, in verità, l’esperienza di un Dio assolutamente sconosciuto, trascendente e ostile: l’esperienza del Dio che non possiamo conoscere perché ha emesso contro di noi il terribile  giudizio: «In verità, io non ti conosco».
Non sorprende, perciò, che gli esistenzialisti abbiano attinto così a piene mani agli scritti di un uomo profondamente religioso, il mistico protestante danese Kierkegaard, per il quale tale angoscia cosmica era una terribile realtà. Si ha la sensazione che un esistenzialista completamente onesto e sincero nell’esaminare sé stesso potrebbe ritrovarsi improvvisamente sulla strada di una conversione che gli mostrerà come quel vuoto, che non riesce a esorcizzare con la razionalizzazione, possa ben presto caricarsi di un significato e di una realtà illimitati, sotto l’influsso di quell’imponderabile e misterioso potere chiamato grazia. Orbene, la funzione della contemplazione è proprio quella di penetrare questa oscurità interiore e camminare per fede sul vuoto dell’abisso che sta al centro di ogni significato. Tutto ciò può magari apparire molto esoterico e alquanto spaventoso.
Non dovrebbe esserlo. Al contrario, dovrebbe essere estremamente confortante, poiché significa che la vita contemplativa è fondata sulla più semplice e più fondamentale di tutte le virtù: la virtù teologale della fede. Che cos’è la contemplazione? Che cos’è la vita contemplativa? La definizione più ampia di contemplazione è data da san Tommaso, che parla di semplice visione complessiva della verità ( simplex intuitus veritatis). È la profonda, penetrante visione di una verità che ne abbraccia tutti gli elementi essenziali in un unico colpo d’occhio, e si ferma ad assorbirla in profondità assaporandone tutto il significato e la realtà, senza divagazioni mentali. In senso stretto, la contemplazione è uno sguardo che penetra non una qualunque verità bensì la verità di Dio com’è in sé stesso, come la ragione non potrà mai conoscerlo e come egli ci viene reso manifesto direttamente nell’illuminazione di un dono divino che la natura non può far nulla per acquisire. La vita contemplativa è semplicemente una vita in cui tutto è preordinato all’unione della mente e della volontà con Dio in questo perfetto amore della verità.

domenica 6 maggio 2018

PREGHIERA

Signore,da sempre le tue figlie
e i tuoi figli sono donne e uomini
in cammino.
Aiutaci ad essere accoglienti
verso i nostri compagni di strada,
a saper portare i pesi gli uni
delle altre.
Donaci coraggio quando
ci perdiamo d'animo;
mostraci il sentiero davanti a noi,
Tu che sei la Via,la Verità e la Vita.
Aiutaci ad abitare il mondo
con giustizia e compassione.
Fa' dell'intera nostra esistenza
un culto di lode e di gioia
e donaci di saper discernere
sempre ciò che tu ci chiedi!
Nel nome di Gesù. Amen.

da "Riforma.it"

giovedì 3 maggio 2018

JORGE LUIS BORGES

<<Le guerre di religione sono una prerogativa del giudaismo e delle sue diramazioni, cristianesimo e islamismo, che hanno ereditato quel modo di conversione. In oriente, è possibile professare allo stesso tempo diverse religioni, che non si danno a vicenda fastidio e le cui cerimonie convivono.>>

mercoledì 2 maggio 2018

LA NOTIZIA CHE NON VORREI LEGGERE!

Lo Stockholm international peace research institute (Sipri) ha raccolto i dati, confermando che il fenomeno è consolidato: nel quadrienno 2013/2017  l’export di armi verso i Paesi esteri è cresciuto del 13%, piazzando l’Italia alla nona posizione tra i Paesi esportatori con una fetta di mercato globale pari al 2,5%. Appena lo 0,4% in meno rispetto a Israele.
La ricerca non riesce a ricostruire esattamente dove ogni Paese esporti le armi prodotte, ma esistono indicatori importanti. L’Arabia Saudita, impegnata nel conflitto in Yemen contro le milizie sciite, viene sicuramente rifornita da bombe made in Italy. Le armi dei ‘big ten’ finiscono copiosamente anche in Egitto, Emirati Arabi e Cina. Nella graduatoria c’è pure l’Iraq, destinatario del 3,4% di armi esportate dai Paesi più sviluppati.
“I diffusi e violenti conflitti in Medio Oriente hanno creato un dibattito politico in Europa occidentale e in Nord America sulla limitazione delle vendite di armi per le preoccupazioni sui diritti umani - spiega Pieter Wezeman, ricercatore senior di Sipri-. “Eppure gli  Stati Uniti e gli Stati europei rimangono i principali esportatori di armi nella regione e hanno fornito oltre il 98% delle armi importate dall’Arabia Saudita”.
Un ragionamento condiviso dall’ambasciatore Jan Eliasson, presidente del consiglio di amministrazione del Sipri:“L’aumento del flusso di armi suscita preoccupazioni sulla pace e la sicurezza internazionali. Questo evidenzia la necessità di migliorare i meccanismi internazionali come il trattato sul commercio di armi”.
Un dato incoraggiante c'è: le importazioni di armi da parte degli Stati africani sono diminuite del 22% nel 2013-17 rispetto al 2008-12:certo è che se si smettesse di fabbricarle, nessuno le potrebbe acquistare!!

"Istante" di Jan Skácel.


Per nessuna verità al mondo.
Ma se vuoi,
per un soldo di silenzio.

È un istante che divide a metà il paesaggio.

Un attimo umile,
quando qualcuno respira al posto nostro.

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