giovedì 31 maggio 2012

ASCOLTARE

Il Padre ha detto una sola parola, suo Figlio, e nel silenzio
eterno la ripete sempre: anche l'anima deve ascoltarla in
silenzio.
(Giovanni della Croce, Massime)

Il cuore che ascolta precede lo sguardo che contempla. Tendiamo
l'orecchio a ciò che non riusciamo ancora a cogliere in una chiara
visione.
(E. Timiadis)


Il modo più sicuro per sentire è ascoltare.
(Yves Congar)

lunedì 28 maggio 2012

I SILENZI DEL VATICANO

Marco Politi
http://www.ilfattoquotidiano.it/ 20 maggio 2012
Il riaprirsi del caso Orlandi, i nuovi documenti in fuga dal Vaticano, la vicenda Boffo, gli eterni interrogativi sulle passate gestioni dello Ior riportano in primo piano il male di fondo, che corrode l’immagine della Chiesa, oscurando anche l’impegno di solidarietà svolto da fedeli e preti, suore e vescovi in tante parti del mondo.
È un male che si chiama opacità dinanzi agli scandali, paura della trasparenza, testardo rifiuto di accettare il fatto che dare risposte all’opinione pubblica è un dovere, non una concessione. Dice l’ex sostituto procuratore generale Giovanni Malerba, che si occupò del rapimento di Emanuela Orlandi: “La Santa Sede non collaborò alle indagini“. È un’affermazione grave e ancora più grave è che si tratta di verità.
In quel groviglio di telefonate misteriose a segreti numeri di telefono del palazzo apostolico, che contrassegnò i tentativi andati a vuoto di allacciare una trattativa con i rapitori, il Vaticano non ha incoraggiato i propri funzionari – chierici o laici che fossero – a rispondere incondizionatamente alle domande degli investigatori italiani. Il guaio è che la stessa reticenza si era già manifestata con l’attentato del 1981 a Giovanni Paolo II. Un anno prima il capo dei servizi segreti francesi Alexandre de Marenches mandò a Roma una delegazione composta da un generale e da un monsignore per avvertire la Santa Sede della preparazione di un attentato contro il pontefice. È storia.
L’incredibile è che a trent’anni di distanza in Vaticano sostengono di non sapere nulla di questa missione. Don Georg, segretario particolare di Benedetto XVI, potrà un giorno raccontare nei suoi diari – se lo vorrà – come è potuto accadere che papa Ratzinger non abbia portato in Curia una fresca ventata di rigore tedesco e si sia lasciato invece irretire nella ragnatela di secolari abitudini vaticane, tendenti a occultare la sporcizia.
Da giovedì, da quando è in libreria il libro di Gianluigi Nuzzi e il Fatto ha pubblicato la lettera inquietante di Dino Boffo al cardinale Bagnasco, è sul tappeto un documento incredibile. Nero su bianco è certificato che un direttore dell’Avvenire accusa direttamente dinanzi al Papa (con fax al suo segretario particolare) il direttore dell’Osservatore Romano Giovanni Maria Vian di aver passato a Feltri i documenti calunniosi, che lo dipingevano come omosessuale molestatore. E non succede niente!
Il Vaticano diffonde una nota per dire che la pubblicazione di documenti segreti è un “atto criminale… che viola la privacy e la dignità” del Papa e non va al nocciolo della questione. Vian, direttore dell’organo ufficiale della Santa Sede, e Boffo – ora direttore della Tv dei vescovi – sono tranquillamente al loro posto. Una situazione impensabile in qualsiasi paese. Boffo per di più si dichiara “felice che un po’ di verità sia fatta”. In tutto questo fedeli e opinione pubblica apprendono che Boffo – a domanda di don Georg Gaenswein – risponde di non essere omosessuale (cosa di per sé non vergognosa) e a nessuno nell’appartamento papale e ai vertici della Conferenza episcopale italiana viene in mente che Boffo dovrebbe anzitutto presentarsi all’opinione pubblica e quindi alla stampa italiana per spiegare per quali motivi sia stato riconosciuto colpevole dalla magistratura di Terni e come mai abbia accettato un’ammenda penale per molestie e poi abbia sepolto la querela contro Feltri, che lo accusò in maniera infamante. C’è una frase chiave nella lettera che papa Ratzinger scrisse nel 2010 ai cattolici d’Irlanda a proposito dei silenzi sugli abusi sessuali del clero. Si manifestò, disse il pontefice, una “preoccupazione fuori luogo per il buon nome della Chiesa e per evitare gli scandali”.
Quest’ansia di nascondimento, questo muro di opacità eretto immediatamente appena esplode un caso, è un fenomeno che nella Chiesa romana perdura tuttora. Quale altro motivo può spingere, ad esempio, la Segreteria di Stato a perorare la causa di una non-retroattività della trasparenza delle operazioni bancarie dello Ior?
Sulla scrivania di Benedetto XVI la sporcizia si accumula. La domanda è perché non reagisce “alla tedesca”, costringendo alla pulizia. La svolta non arriva mai. Giorni fa l’Avvenire ha chiesto a Formigoni di ammettere che è stato ospite del lobbista Daccò. All’arrogante replica di avere pagato in proprio le vacanze ai Caraibi, il giornale dei vescovi non ha risposto informando i suoi lettori che in mancanza di esibizione dei bonifici, Formigoni è inadatto a guidare la Lombardia e l’Expo.

domenica 27 maggio 2012

UNA LETTURA INTERESSANTE

Un importante insegnamento in questa direzione ci viene offerto dal nuovo libro di Arturo Paoli e Dino Biggio, “Mi formavi nel silenzio” (Paoline 2012), che si rivolge non solo ai credenti cristiani ma a tutti coloro che sentono e soffrono per la distruzione del senso della vita operata dalle ideologie della scienza e del mercato. Non è importante perché dice qualcosa di nuovo o diverso rispetto agli insegnamenti dei tanti altri grandi profeti cristiani del secolo scorso, da Primo Mazzolari a Ernesto Balducci, da Lorenzo Milani a David Maria Turoldo (per limitarci agli italiani), per finire con quelli, come Enzo Bianchi e Carlo Maria Martini, che sono ancora viventi. Questi profeti, e i tanti altri meno noti che li hanno accompagnati, hanno testimoniato in maniera coerente, appassionata e soprattutto credibile, un'unica cosa: l’attualità nel nostro tempo della buona notizia dell'avvento del regno di Dio. E in questo "Mi formavi nel silenzio" non è e non vuole essere diverso.
La diversità si trova invece nel come vengono evidenziate le contraddizioni della vita contemporanea. Pur rimanendo sempre nel solco tracciato da quei grandi profeti, il libro riesce infatti a farsi leggere con interesse anche dai tanti lettori che prendono alla lettera l’invito all’autonomia che è costitutivo della cultura moderna e ritengono un dovere morale l’essere in grado di dare una risposta individuale anche ai problemi sociali. Da quei lettori cioè che, nei momenti di maggiore difficoltà per la crisi che stiamo attraversando, possono essere tentati dall’idea di lasciar perdere tutto per badare solo al proprio “particulare”, e quindi a distruggere ogni senso dello stare assieme come società.
Il libro, che ha come sottotitolo Costruttori di gioia, si presenta come un dialogo tra fratel Arturo e Dino, costruito con le parole di Arturo prese dai suoi vari interventi e introdotte o interrotte da domande di Dino. Un dialogo quindi immaginario, ma non meno vero di uno avvenuto in realtà, anzi paradossalmente più vero perché gli interventi di Dino riescono a far emergere e a dare risposte per quei momenti difficoltà ai quali abbiamo accennato. E ci riescono per l’instancabile lavoro di ricerca da uomo della strada che ha spinto Dino a cercare e trovare negli stessi testi di Arturo le risposte che sentiva più vere, perché più semplici e immediate, ai turbamenti che il discorso complessivo di Arturo gli provocava. Come fratel Arturo dice nella prefazione al libro, il lavoro di Dino trasmette alle sue parole “una nuova vitalità, una vitalità rinascente. Quando nel tempo le ritrovo, mi paiono spesso non pronunziate da me”.
Naturalmente non è che il discorso originale di Arturo non sia altrettanto chiaro e appassionante di quello che emerge dal dialogo immaginario, ma è che gli abituali meccanismi di precomprensione portano a leggere i suoi testi, come quelli degli altri profeti che abbiamo citato prima, come non alla portata delle persone normali. Invece "Mi formavi nel silenzio" si fa leggere come un’intervista fatta a fratel Arturo da una persona che gli fa le domande che gli farebbe ciascuno di noi.
È ad esempio facile parlare di gioia cristiana, del fatto che i cristiani devono essere costruttori di gioia, ma come si fa ad essere costruttori di gioia in un tempo nel quale per tante persone le esigenze più elementari, compreso il loro stesso diritto a esistere, vengono negate in nome dell’imperativo pseudoetico della competitività a tutti i costi? Come possiamo superare il condizionamento culturale imperante secondo il quale un’ingiustizia causata da motivi scientifici è meno ingiusta di quella causata da una bieca volontà di sopraffazione?
Nel libro il discorso sulla gioia si apre con la distinzione tra gioia e felicità: si è felici in relazione a un obiettivo a noi esterno, come quando si riesce a soddisfare “un desiderio che si prolunga nel tempo e che spesso impegna la persona in notevoli sforzi e sacrifici”, mentre la gioia “ha radici profonde e indipendenti dalle circostanze che ci vengono incontro”, circostanze che possono anche riguardare il “nostro corpo, la nostra vita interiore, gli avvenimenti di cui siamo direttamente partecipi”. Ma nel Primo Mondo “soddisfatto un desiderio se ne crea un altro”, con la conseguenza che “da un lato ci sentiamo felici, da un altro profondamente soli … la solitudine non è un fatto geografico, ma una profonda malattia interiore che genera tristezza”.
Perciò la ricerca della felicità non porta alla gioia ma al suo contrario. “La soluzione, per il Primo Mondo, sarebbe quella di rinunziare alla felicità per avere la gioia … ma per avere la gioia d’essere uomo tra gli uomini, la gioia di star proprio bene anche tra i poveri, bisogna che non [si] rubi niente a loro … [neanche] in una forma elegante, capitalistica, occulta, clandestina. Si ruba ai poveri cercando la propria felicità. Su questo punto l’Europa e il Primo Mondo si devono interrogare seriamente”.
Il messaggio di Arturo è reso attuale e coinvolgente proprio dal gioco di scomposizioni e ricomposizioni che permette di interrompere il discorso originale di fratel Arturo sulla gioia con domande che sorgono spontanee anche in un lettore casuale. E questo gioco funziona per tutti, non esclusi i tanti cristiani tiepidi che abitano il mondo contemporaneo ritenendo che dare a Dio quel che è di Dio e a Cesare quel che è di Cesare significhi onorare Dio a messa la domenica e gli dei della scienza e del denaro gli altri giorni della settimana.
Fratel Arturo è un cattolico in piena comunione con la sua chiesa e col Papa ed è profondamente consapevole della crisi del pensiero filosofico contemporaneo; ma la presentazione del messaggio cristiano che vien fuori dal libro ignora del tutto sia gli aspetti dogmatici che quelli culturali legati alla crisi della modernità, e il messaggio può essere letto da tutti, credenti e non credenti, persone semplici o intellettualmente sofisticate, con uguale interesse. Per questo piccolo miracolo di riuscire a non tradire il senso originale pur ponendo il messaggio alla portata di tutti il libro può essere definito a buon diritto di due autori, e Dino Biggio va ringraziato sentitamente per il regalo che ci ha fatto dandoci la possibilità di colloquiare a tu per tu con Arturo.
E un ringraziamento va anche alla nipotina di Dino, Margherita, inconsapevole stimolo alla preparazione del libro, alla quale è stato nonno Arturo a mettere sulla bocca, nella prefazione, la domanda: “Nonno, come si fa a svegliare Dio?”, con la bellissima risposta “Ascoltando la sua voce nel silenzio”. E un altro ancora a Elia Di Gino, piccolo grande amico di fratel Arturo morto serenamente a soli quattordici anni, del quale nella dedica del libro si scrive che dal cielo “cammina insieme a noi per aiutarci a vivere con responsabilità e con gioia”.
Elia è morto di astrocitoma, una malattia che non è giusto venga a nessuno ma soprattutto è difficile accettare che venga a un bambino piccolo e lo accompagni per una decina d’anni tra interventi chirurgici, esami clinici, chemio e radioterapie, speranze e delusioni, prima dell’inevitabile conclusione. Ma la vita di Elia è stata ugualmente una vita piena, bella e vera, come testimonia chi l’ha conosciuto e amato, come i suoi genitori e fratel Arturo.
Elia e Margherita sono segni del valore inestimabile di ogni vita, che non si può mai ridurre a merce di scambio o a offerta sacrificale sull’altare di nessuna scienza. La loro discreta presenza nel libro dà al dialogo tra fratel Arturo e Dino il sapore di una ricerca delle ragioni fondamentali del vivere.
È una ricerca che spesso ci sorprende per la sua attualità. Ad esempio leggendo della tristezza come conseguenza del ricercare a tutti i costi la soddisfazione di bisogni non essenziali, e della necessità di non rubare niente ai poveri per poter avere la gioia anche stando con loro, può sembrare di cogliere un chiaro riferimento all’azione di un governo tecnico, quindi “autorizzato” a interpretare la scienza economica, che getta nella miseria a colpi di decreti legge centinaia di migliaia di persone e promette di gettarcene ancora di più, sino a quando il dio mercato sarà soddisfatto. Ma sono parole di fratel Arturo dette circa vent’anni fa: siamo noi che le interpretiamo sulla base delle nostre esperienze di questi giorni e le troviamo di un’attualità sconcertante.
Perché magari ci permettono di capire, come dice Giovanni Sarubbi, che "Per rimettere in moto l'economia bisogna semplicemente smetterla di togliere ai poveri per dare ai ricchi. Bisogna anzi fare l'esatto contrario, togliere ai ricchi in grande quantità per dare ai poveri in altrettanto grande quantità, cancellando definitivamente dall'immaginario collettivo quell'idea folle che si racchiude nell'espressione “privato è bello” e che viene invece idolatrata quotidianamente da tutti i partiti presenti attualmente in Parlamento, dal Governo, dalla Confindustria, da una parte dei sindacati e che ha infettato i mass media e tutta l'opinione pubblica. Prima ci disintossichiamo da questo veleno, meglio è".
L'economia non è un gioco di società, nel quale bisogna obbedire alle regole del gioco incluse nella confezione. È qualcosa che mette in gioco la vita di tutti, le cui regole devono, non solo possono, essere messe sempre in discussione. Ad esempio la regola per la quale le grandi società devono creare sempre maggior valore per gli azionisti, altrimenti devono avere il diritto di delocalizzarsi per ricominciare in paesi che offrono disponibilità di lavoro a minor costo, deve essere riconosciuta per quello che è, cioè una licenza di uccidere. Bisogna fermare chi usa la scienza e il denaro come strumenti per giustificare le proprie sopraffazioni.
Già Don Milani, altro grande profeta indimenticabile, aveva espresso questo concetto con grande semplicità ed efficacia: non c’è niente di più ingiusto che far le parti uguali tra diseguali. “Lettera a una professoressa” è stato il libro che ha fatto capire a tutti che non c’è una maniera oggettiva di guardare alla cultura. “Mi formavi nel silenzio” è un libro che può far capire a tutti che non c’è una maniera oggettiva di guardare all’economia. Perché, come dice ancora Enrico Peyretti, “né l’illusione del buon selvaggio, né il sofisma machiavellico dell’uomo “tristo” per natura dicono l’intero vero sulla nostra condizione: non è vero che siamo solo avidi; non è vero che siamo solo solidali. Ma se ci pensiamo avidi per natura, lo saremo in pratica. Se ci pensiamo capaci di solidarietà, lo saremo un po’ di più nei fatti”.
Ripensare l’economia dal punto di vista dei “costruttori di gioia” apre la strada a costruire un mondo migliore, più giusto e ricco di gioia.

sabato 19 maggio 2012

SILENZIO E ASCOLTO

Fai silenzio, poiché se parli il Verbo tacerà.
(S. Agostino)
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Quando Dio parla tutto deve tacere.(Johannes Tauler, Sermoni)
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La voce di Dio è insinuante e risuona continuamente alla nostra
porta. Adesso parla, e forse non trova nessuno che l'ascolti.
(S. Bernardo)
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martedì 15 maggio 2012

RICEVO E RISPONDO

Ago, ti ricordo l'incontro mondiale delle famiglie a milano! Certo che se voi preti sposati non fate un bip, non si muoverà mai un bip!!!!Fate un po' di casino circa la famiglia del prete sposato...io mi sosterrò!!!!! o no?1 i
ciao dal garibaldino marcel

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Carissimo "GARIBALDINO",
non credo che a un prete sposato interessi molto partecipare a questa "adunata famigliare".
Non abbiamo bisogno di chi ci dia le linee guida per essere famiglia da parte di chi o per conto di chi non ne ha mai avuto un'esperienza diretta!
Non dimentichiamoci,poi,che il prete sposato,cacciato dalla comunità ecclesiale perchè troppo ha amato,ha dovuto reimpostare la sua vita su se stesso,costruendosi una nuova identità per potersi rapportare con serenità e autenticità al prossimo e sviluppare quindi tutte le sue potenzialità in una nuova attività lavorativa,a volte molto dura e a volte non sempre certa!!
Eppure i primi passi sono sempre partiti da noi.
Ti voglio raccontare alcune esperienze che ho vissuto di persona, affiancato da colei che ogni giorno fa sorgere il sole in me.
Un ottimo rapporto si è costruito con il sacerdote che guida la nostra comunità locale,al punto che,vista la nostra disponibilità e preparazione culturale,ha chiesto il nostro aiuto per due diverse occasioni : una ricerca, sulla figura e il carisma di S.Giovanni Bosco,e una relazione da tenere alla presentazione di un libro di storia locale.
Non abbiamo avuto bisogno di pensare a troppi 'ma' o a troppi 'perchè',....c'era una richiesta d'aiuto!
A tutt'oggi,non sappiamo né che fine ha fatto il nostro S.Giovanni Bosco, né quale esito abbia avuto il fatidico intervento sulle "cascine del Lodigiano"....
E un retrogusto amaro lo lascia non solo l'ostracismo clericale,ma anche la paura che s'ingenera in qualche bigotto praticante...
Un esempio valga per tutti:
alla proposta di pregare e di riflettere,rivolta ad una persona ritenuta amica fidata e disinteressata,ci siamo sentiti replicare:«Per il momento non sono pronta! Bada bene,tu, per tutti gli altri,sei solo Agostino...» Da quel momento,la condivisione,con questa sorella,ha perso l'autenticità della verità.
Per un'amica lasciata,se ne trovano altrettanti "validi e importanti" : è il caso di uno psicologo,che sta lottando per far conoscere la figura e il messaggio di un grande sacerdote,da poco scomparso,che tuttavia incontra l'indifferenza della chiesa,dai pastori a tanti laici oggi pseudo-amici.
Ti sembreranno semplici e forse banali esempi,ma, per noi, sono segni tangibili di una chiesa che rimane chiusa in un oscurantismo da medioevale caccia alle streghe; per fortuna però esiste e persiste quella "ECCLESIA SPIRITUALIS",alla quale siamo orgogliosi di appartenere come semplici figli di Dio.
AUGURI E BUON CAMMINO!!
AGOSTINO e DANIELA.

lunedì 14 maggio 2012

ESSERE BUONI

La bontà ha convertito più peccatori dello zelo, dell'eloquenza o
dell'istruzione, che non hanno mai convertito nessuno senza il
contributo della bontà.
(William Faber)

domenica 13 maggio 2012

PROPOSTA O PROVOCAZIONE??

LUCERNA-ADISTA. La Pfarrer-Initiative, l’iniziativa dei preti austriaci promotori nel giugno 2011 di un “Appello alla disobbedienza”, ha ricevuto, il 22 aprile scorso, il Premio Herbert Haag 2012 per la libertà nella Chiesa. A ritirare il premio, consistente in 10mila euro e promosso dalla omonima Fondazione – creata nel 1985 dal professor Herbert Haag, docente di teologia all’Università di Tübingen, e attualmente presieduta dal teologo Hans Küng –, è stato il fondatore dell’Iniziativa, p. Helmut Schüller. Motivo del conferimento: aver raccolto l’«emergenza pastorale» derivante dalla sempre più grave carenza di preti nella Chiesa cattolica e «averla affrontata con affermazioni chiare e azioni coraggiose e decise».
Qualche giorno prima del conferimento del premio, la teologa tirolese Martha Heizer, che qualche mese fa aveva sposato la proposta dei “disobbedienti” di rendere possibile l’eucaristia senza sacerdoti grazie a forme private di celebrazione – scontrandosi così con il netto disaccordo del vescovo di Innsbruck mons. Manfred Scheuer che l’aveva condannata come prassi da riferire immediatamente in Vaticano, annunciando inoltre l’avvio di un’indagine preliminare in proposito –, ha deciso di lanciare il guanto della sfida al Vaticano, affermando la propria volontà di andare avanti nel suo progetto, a costo di incorrere nella scomunica.
In realtà, Heizer non vuole parlare di «eucaristia privata» ma di «messa nella chiesa domestica», come ha puntualizzato in un’intervista al quotidiano austriaco Der Standard (6/4) in cui annunciava di voler celebrare in questo modo le liturgie del triduo pasquale. Non si tratta, ha sottolineato, di imitazioni dell’Eucaristia, come si vuole far credere: «Siamo cinque ed ogni volta è sempre diverso. Sediamo intorno a un tavolo. È una normale celebrazione dell’Eucaristia, come in parrocchia. Usiamo solo la Bibbia, come testo. Preghiamo spontaneamente e personalmente. Abbiamo pane e vino e chiediamo allo Spirito di trasformarli, e di trasformare anche noi. Mangiamo e beviamo insieme, cantiamo e preghiamo molto». «Non mi importa ricevere un riconoscimento dall’esterno», ha aggiunto.  «Per noi si tratta di un’Eucaristia, ne siamo felici e ci fa bene». «Nella Bibbia, Gesù ha detto “Prendete e mangiate”, non “Prendete e mangiate quando c’è un prete”», ha aggiunto. «Il cambiamento viene dal basso». A giudicare da quanto afferma la stessa Martha Heizer, la piccola comunità è già incorsa in un interdetto, ossia una sorta di scomunica comunitaria, con la quale i componenti sono esclusi dalla celebrazione di atti pubblici. Potrebbero, tuttavia, essere individualmente colpiti da scomunica.

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