domenica 31 maggio 2015

Dall'Orazione sull'amore per i poveri
di Gregorio di Nissa

In questi giorni è arrivata una folla di ignudi e di derelitti. 
Un’infinità di prigionieri sta bussando alla porta di ciascuno di noi. Non ci mancano dunque forestieri ed esuli, e da ogni parte ci voltiamo, vediamo mani tese. La casa di questa gente è il cielo limpido. Il loro tetto sono i porticati, i crocicchi delle vie, i cantoni più deserti della piazza pubblica. Si alloggiano nei pertugi delle rocce, come se fossero pipistrelli o civette. Vestono cenci a brandelli; le loro mietiture consistono nella volontà di quelli che allungano loro un’elemosina; il loro cibo è quel che cade dalla mensa del primo che passa; la loro bevanda: la fontana pubblica, non diversamente dagli animali; la loro coppa: il cavo della mano; la loro dispensa: le pieghe dell’abito che indossano (sempre che questo non sia stracciato, lasciando così scappare via tutto quel che vi si getta sopra); il loro tavolo: le ginocchia rattrappite; il loro divano: il suolo santo; il loro bagno: il fiume... Conducono questa vita errabonda e selvatica, non perché tale sia da sempre il loro progetto di vita, ma per un’imposizione dettata dalla disgrazia e dalla necessità. Soccorrili col tuo digiuno. Sii generoso con questi fratelli, vittime della sventura. Da’ all'affamato ciò che togli al tuo ventre. Modera con saggia temperanza due forme di appetito, che sono tra loro contrarie: la fame tua e quella del tuo fratello... Non consentire che siano altri a soccorrere chi ti sta vicino, e a giungere prima di te al tesoro che per te era stato custodito. Abbraccia l’afflitto come fosse oro. Stringi fra le tue braccia il malato come se da lui solo dipendesse la salute tua e quella di tua moglie e dei tuoi figli, quella dei tuoi domestici e di tutta la tua famiglia... Non disprezzare costoro, che giacciono stesi, come se per questo non valessero niente. Considera chi sono, e scoprirai quale è la loro dignità: essi ci rappresentano la persona del Salvatore.

 

giovedì 28 maggio 2015

UNA NUOVA SPECIALIZZAZIONE SPIRITUALE PER LE PARROCCHIE

In Germania la parrocchia ha già cambiato volto. Conserva, sì, il nome del santo o del beato che da sempre la identifica. Ma non è più «per tutti» indistintamente. Chi ha interessi artistici può rivolgersi alla Kulturkirche, la “chiesa della cultura” di Amburgo. L’adolescente ha una bussola nella Jugendkirche di Berlino, la “chiesa dei giovani”. Il migrante in difficoltà o il disoccupato entra nella Diakoniekirche, la “chiesa del servizio” alle porte di Francoforte che offre consulenze e itinerari di sostegno. Si tratta di esperienze parrocchiali, o meglio de-parrocchiali, che sono espressione sia del mondo cattolico, sia di quello evangelico e che nascono nei quartieri delle grandi città dove dominano gli uffici oppure i condomini in cui chi li abita arriva a sera e riparte al mattino. Le chiamano Citykirche e sono chiese che hanno come riferimento una zona dinamica (la City, appunto) in cui si mescolano impiegati, passanti o residenti dormi-e-fuggi. E vogliono essere la risposta nordeuropea alla crisi della parrocchia... Parrocchie «liquide», le definisce Arnaud Join-Lambert, docente francese di teologia pastorale e liturgia di Lovanio, che le indica come nuove forme di comunità capaci di adattarsi alla “liquidità” della società europea, ricorrendo alla celebre categoria del sociologo Zygmunt Bauman. Se i rapporti sociali sono liquidi, anche le parrocchie possono diventare liquide, prospetta il teologo. «La loro caratteristica – spiega il docente – è di andare verso le periferie esistenziali». Perché le attuali parrocchie cominciano a «somigliare a club» che soddisfano «i bisogni spirituali di alcuni» ma «ignorano o trascurano la sete spirituale della maggioranza». Il campanile resta, ma si trasforma. Come mostrano i prototipi parrocchiali tedeschi che propongono una «specializzazione dell’offerta spirituale». «Non sono luoghi in cui una comunità di fedeli più o meno stabile vive il “tutto per tutti”, né luoghi per il raduno domenicale – nota il teologo –. Tuttavia sono contrassegnati dal bello (esposizioni, concerti, creazioni artistiche e culturali), dal bene (aiuto ai migranti, alle persone precarizzate) e dal vero (formazioni, conferenze, scambi)». Una rivoluzione che, aggiunge lo studioso, richiede mezzi: aperture non stop, persone esperte nell’accompagnamento, volontari. Per «inventare le parrocchie di domani» Join-Lambert si affida anche a due vocaboli economici: incubatori e start-up. Se gli incubatori sono «concentrazioni di persone qualificate impegnate in progetti innovativi», la loro declinazione ecclesiale dà vita a percorsi che «favoriscono il dialogo intorno a tematiche comuni». È il caso in Francia di Saint Joseph a Grenoble che ha scommesso sulla pastorale dei giovani o di Marthe-et-Marie a Lomme (Lille) che si dedica all’accoglienza. Le start-up, aziende con scarsi mezzi ma sorrette da organici motivati, si traducono in spazi cristiani che hanno al centro l’ospitalità presentata secondo l’icona del Vangelo della Visitazione. Ecco allora la Church on the corner, riallestimento “sacro” di un antico bistrot nel sobborgo londinese di Islington. L’intento di questi esperimenti è di «provocare e curare l’incontro» soprattutto di coloro «che sono lontani» dalla Chiesa, sottolinea il teologo. Il docente prende a prestito le parole di papa Francesco che nell’Evangelii gaudium ricorda come «il rinnovamento delle parrocchie non abbia ancora dato sufficienti frutti perché siano ancora più vicine alla gente». E sentenzia: «È l’ora della polivalenza». Ma tiene a precisare: «La parrocchia non può sparire». La vita cristiana è «basata sull’attività spirituale e non su strutture, su un decentramento dell’ufficio domenicale, su una parte crescente composta da quanti iniziano o ricominciano in rapporto ai fedeli di sempre, e sul passaggio limitato nel tempo in seno a una chiesa precisa». Allora la parrocchia è chiamata a una conversione pastorale, magari ispirandosi all’immagine della «barca che preserva una parte di solidità in un mondo fluido ma non ha più punti di ancoraggio sociale o culturale». Essenziale diventano il concetto di «rete fra parrocchie» che il teologo richiama più volte quando ipotizza chiese ad hoc e quello della «comunione tra le comunità nelle sue diverse dimensioni ». Per il docente, la parrocchia informale ha bisogno di «figure familiari di autorità»: il parroco, sì, ma affiancato dai religiosi che possono dedicarsi alla direzione spirituale o addirittura da un teologo. E soprattutto va «incoraggiato» il laicato. Serve «elasticità» – conclude Join-Lambert – per «poter continuare ad annunciare il Vangelo con modalità di socializzazione ed espressioni culturali del nostro tempo».
La riflessione,l'approfondimento e il dialogo sono aperti!!
G.Gambassi in “Avvenire” del 27 maggio 2015

martedì 26 maggio 2015

IMMAGINI E RICORDI




PAROLA D'ORDINE:RIVEDERE!

SCRIVE "L'OSSERVATORE ROMANO":
Nessun anatema, piuttosto una sfida, da raccogliere, per tutta la Chiesa. 
All’indomani del referendum che in Irlanda ha legalizzato i matrimoni fra persone dello stesso sesso, gran parte dei commenti del mondo ecclesiastico analizzano con lucidità l’esito della consultazione popolare riconoscendo la realtà dei fatti nonché la distanza, in certe materie, fra la società e la Chiesa. Del resto, troppo ampio il margine fra i sì (1.201.607), pari al 62,1 per cento, e i no (734.300), per non accettare la “sconfitta”. Un risultato frutto, anche, dell’alta affluenza alle urne (60,5 per cento) e della grande partecipazione dei giovani.
Per monsignor Martin,Arcivescovo di Dublino,«è necessario anche rivedere la pastorale giovanile: il referendum è stato vinto con il voto dei giovani e il 90 per cento dei giovani che hanno votato “sì” ha frequentato scuole cattoliche». 
La risposta a questi temi — osserva il segretario generale della Conferenza episcopale italiana (Cei), monsignor Nunzio Galantino, in un’intervista al «Corriere della Sera» — non la si trova attraverso il «delirio dell’emotività» e il «sonno della ragione», ma percorrendo insieme la stessa strada «per arrivare a una soluzione che sia in linea con il bene comune nel rispetto dei diritti di ciascuno». La linea della Chiesa è chiara: essa non accetta equiparazioni tra le unioni fra omosessuali e «quella che non chiamerei famiglia tradizionale ma costituzionale». Tuttavia, dopo il risultato del referendum in Irlanda, niente anatemi, bensì il rilancio di un confronto libero da forzature ideologiche. 
Il cardinale Georges Marie Martin Cottier, sul «Quotidiano nazionale», ritiene che non si può capire la vittoria del sì alle nozze fra persone dello stesso sesso «senza considerare lo scandalo della pedofilia nel clero che ha sconvolto la Chiesa irlandese»; è «la risposta della gente a quanto accaduto negli ultimi anni», a uno scandalo che «ha segnato profondamente la popolazione». 

domenica 24 maggio 2015

"LA CHIESA FACCIA I CONTI CON LA REALTÀ'"

L'arcivescovo di Dublino, Diarmuid Martin, all'indomani della travolgente vittoria dei 'Sì' al referendum per il matrimonio per le coppie gay fa autocritica. "Ci dobbiamo fermare, guardare ai fatti e metterci in ascolto dei giovani. Non si può negare l'evidenza", ha dichiarato l'alto prelato alla televisione nazionale irlandese. Martin riconosce che il risultato è 'una rivoluzione sociale'. La vittoria del 'Sì' è il segno di "una rivoluzione culturale" nel Paese cattolico, in cui "prevale un'idea individualistica della famiglia" e si smarrisce "il concetto del matrimonio come elemento fondamentale di coesione sociale". "Quanto è accaduto non è soltanto l'esito di una campagna per il sì o per il no, ma attesta un fenomeno molto più profondo, una rivoluzione culturale", ha spiegato nell'intervista. "E' un cambiamento notevole i cui effetti concreti sono imprevedibili", ha avvertito Martin, "il matrimonio in chiesa è anche un matrimonio civile e le coppie gay che se lo vedranno rifiutare potrebbero ricorrere ai giudici accusandoci di discriminazione se il legislatore non mette dei limiti".
"La Chiesa deve chiedersi quando è cominciata questa rivoluzione culturale e perché alcuni al suo interno si sono rifiutati di vedere questo cambiamento. È necessario anche rivedere la pastorale giovanile: il referendum è stato vinto con il voto dei giovani e il 90 per cento dei giovani che hanno votato sì ha frequentato scuole cattoliche", ha aggiunto Martin.
da "Repubblica.it".

Vent'anni di ordinazione episcopale con la stessa intatta gioia nel cuore: annunciare il Vangelo e viverlo nel servizio agli ultimi con la consapevolezza che senza la carità, come scrive san Paolo, "io non sarei nulla". E’ il messaggio consegnato al libro “La gioia della carità” (Marcianum Press, 2015) che raccoglie una selezione di interventi, discorsi e omelie svolti dal Cardinale Gualtiero Bassetti, Arcivescovo di Perugia-Città della Pieve. In un perfetto sillogismo, si legge nella introduzione che: “La gioia è il regalo che il cristianesimo ha fatto all'umanità. La carità è il mezzo per vivere, senza ipocrisia, la fede. Essere cristiani senza gioia non è possibile e dalla gioia della carità scaturiscono l’annuncio del Vangelo e lo slancio missionario verso gli ultimi”. 
CHIESA, CASA ACCOGLIENTE PER TUTTI
La Chiesa è il luogo di accoglienza di tutti. Così come le espressioni più evidenti della santità della Chiesa sono caratterizzate dalla dimensione dell’accoglienza – dalla tradizione monastica dell’ospitalità alle innumerevoli congregazioni e “opera” nate nei secoli XVIII-XX per l’accoglienza, il soccorso e l’educazione dei poveri, fino alla figura di Madre Teresa di Calcutta di Calcutta – così anche I fedeli, le parrocchie e le realtà ecclesiali dovrebbero mettere al primo posto l’apertura a ognuno che voglia accostarsi. In particolare, scrive Bassetti, a proposito della “conversione pastorale” come via necessaria alla riforma della Chiesa, “la famiglia cristiana può e deve brillare per la testimonianza dell’accoglienza a partire dalle occasioni più semplici e immediate che i figli con le loro amicizie offrono”. L’accoglienza e l’ospitalità in famiglia costituiscono, infatti, un pilastro educativo e un anticorpo all'individualismo e sono espressione della maternità della Chiesa. Alle comunità ecclesiali che fanno fatica ad aprirsi ad una vera accoglienza, Bassetti ricorda che accogliere è “più che gesti e azioni”: si tratta di una “attitudine” che implica, “una dinamica di conversione permanente nella sequela di Gesù”.

venerdì 22 maggio 2015

CON ROMERO SARA' BEATIFICATO ANCHE L'URLO DELLA GIUSTIZIA

Nel volume "La giustizia non sta mai zitta",vengono presentate per la prima volta gli interventi più forti contro il potere e l’ingiustizia sociale pronunciate o scritte da monsignor Óscar Arnulfo Romero y Galdámez, arcivescovo di San Salvador ucciso il 24 marzo 1980 mentre celebrava la Messa e che sarà proclamato beato martire nella capitale salvadoregna. I testi abbracciano i suoi ultimi tre anni di vita, dalle dichiarazioni ai microfoni della radio diocesana Ysax a omelie, lettere personali e pastorali in cui «Monseñor» denuncia coraggiosamente ingiustizie e violenze ai danni dei poveri. Parole che gli costarono la vita. Ecco alcuni stralci del libro, con brani tratti da quattro omelie: l’ultima fu pronunciata un mese prima del suo omicidio.

Omelia, 11 maggio 1977
La violenza non è cristiana, la violenza non è umana, niente di violento può durare. Il comandamento 'non uccidere' viene continuamente gridato da Dio al cuore dell’uomo. Non possono continuare a vivere tranquilli coloro che portano la violenza a questi orribili estremi. [...] Si allontani dunque da noi questa ondata di violenza, di crimini, di vendette che molti si augurano. Mai e poi mai! Non è reagendo violentemente alla violenza che si otterrà la pace nel mondo.
Omelia, 12 maggio 1977
Violenti non sono soltanto coloro che sparano, ma anche coloro che armano la mano in questa campagna diffamatoria contro la Chiesa. La violenza la generano tutti non soltanto coloro che uccidono, anche coloro che inducono a uccidere.
Omelia, 6 gennaio 1980
Un appello all’oligarchia. Ripeto ciò che già vi dissi l’ultima volta: non consideratemi un giudice né un nemico. Sono soltanto il pastore, il fratello, l’amico di questo popolo, e sono al corrente delle sue sofferenze, della sua fame, delle sue angosce e, in nome di queste, alzo la voce per dire: non idolatrate le ricchezze, non preservatele a costo di lasciare morire di fame il prossimo. Bisogna condividere per essere felici. Il cardinale Lorscheider fece un paragone molto pittoresco: bisogna sapersi togliere gli anelli prima che ti taglino le dita. Credo che si tratti di una frase di immediata comprensione. Chi non vuole levarsi gli anelli si espone al rischio di vedersi mutilare la mano. E chi non vuole dare per amore e per giustizia sociale si vedrà strappare le ricchezze con la forza.
Omelia, 24 febbraio 1980
Spero che questo appello della Chiesa non indurisca ulteriormente il cuore degli oligarchi, ma anzi lo muova alla conversione. Condividete ciò che siete e che avete, non seguitate a zittire con la violenza coloro che vi rivolgono questo invito né, tanto meno, continuate a uccidere coloro che stanno tentando di ottenere una più giusta distribuzione del potere e delle ricchezze del Paese. E parlo in prima persona perché questa settimana mi è giunta notizia che sono stato incluso in una lista di persone da eliminare la settimana prossima; però statene certi: la voce della giustizia nessuno può ucciderla.
(da "Avvenire").

lunedì 18 maggio 2015

 HO VOGLIA DI VIVERE.
Vivere è qualcosa di più di lasciar trascorrere il tempo. Vivere è essere dentro la vita stessa,per riceverla e per donarla. E' accarezzare il vento,è sognare ad occhi aperti,è toccare il vertice,senza pause,senza paure,senza ombre,senza tristezze.
Vivere è lasciarsi toccare dalle cose profonde e da quelle passeggere.E' il piacere dell'essere e il dolore più lacerante. E' leccarsi le ferite e aspettare il domani,che già quando albeggia rivela i segni e svela la via.
Vivere è conservare tra le dita la luce che abbiamo toccato e quella che non abbiamo apprezzato. E' amare senza paura di poter perdere tutto. E' approfittare del momento senza calcolare le possibili negative conseguenze.
Vivere è volare alto e cadere ogni sera,stanchi morti,senza scuse e senza rimpianti. E' pensare che i sogni valgono solo se sfioriscono,perché se non lo fanno si perdono e si dimenticano.
Vivere è quando le nostre parole danno la vita,quando crediamo alla loro forza magica e creativa che tutto crea,tutto trasforma e tutto distrugge.
Vivere è vedere la nostra vita come quel piccolo grano di senape,piccolo,utile,necessario e imprescindibile:unico e di valore inestimabile.
Vivere è gratitudine per la luce del sole e sfruttamento della tormenta. E' lasciarsi illuminare e
scaldare dalla luce perché il freddo non ci opprima. Perché si assapori e si contempli il passato.
Vivere è gratitudine per i tanti doni della vita. E' il positivo di fronte al male. E' il sorriso nella tristezza e il pianto nel dolore.
Vivere è un camminare lentamente,aspettando coloro che si attardano. Senza pensare che stiamo perdendo tempo,ma che altri hanno bisogno del nostro stesso spazio. E' soffermarsi davanti al caduto,anche se perdiamo tempo e lasciamo che ci sfugga di mano un po' del nostro progetto.
Vivere è continuare a camminare con quella ferita sanguinante,senza pretendere di essere sani. E' abbracciare e sorridere,alzarsi e cadere.
Vivere è costruire quella grande casa sapendo che non vi ci abiteremo mai. E' disegnare e sognare quei cieli e quei mari che non solcheremo mai.
Vivere è camminare a testa alta,senza fermarsi,senza affondare,senza nascondere le paure e senza occultare le cadute. E' non farsi vincere dalla menzogna.
Vivere è toccare la speranza che si è fatta carne nelle persone che incontriamo,che si affidano a noi,che si fanno guidare e che ci indicano il cammino della vita.
Vivere è saper accettare le cose come sono,senza volerle cambiare,senza temere di perderle e senza desiderare di possederle. E' solcare i mari più profondi,assaporare la fresca e nuova brezza del mattino,sorridere alla luce che svela nuovi e straordinari orizzonti.
Vivere è albeggiare con calma e tramontare sorridendo. E' vivere e morire,amando ad ogni passo. E' conservare dentro di me la luce di ogni giorno.
...PER ME,...VIVERE... E' CRISTO!

Agostino.

domenica 17 maggio 2015

DALL'INTESA ALL'INCONTRO

È durato una ventina di minuti l'incontro fra Papa Francesco e Abu Mazen, presidente dell'autorità palestinese. «Lei sia un angelo della pace» ha detto il pontefice nel salutare il presidente palestinese. L'incontro, ha raccontato chi ha assistito, è stato «cordiale e caloroso». «La vedo ringiovanita» ha detto Abu Mazen al Papa. L'appuntamento si è tenuto dopo l'«accordo diplomatico globale» della Santa Sede con lo Stato di Palestina,intesa che aveva suscitato la delusione e l'irritazione di Israele. La delegazione palestinese era composta anche da alcuni ministri e dal sindaco di Betlemme.
«Vogliamo esprimere apprezzamento ai nostri fratelli cristiani palestinesi per la loro fermezza e il contributo efficace fornito per costruire la nazione palestinese» ha poi commentato con una nota Abu Mazen. «Chiediamo ai cristiani palestinesi di restare con noi e godere dei diritti di piena cittadinanza, e affrontare con noi le difficoltà della vita fino a quando raggiungeremo la libertà, la sovranità e la dignità umana. Attraverso la verità e la giustizia possiamo decidere il nostro destino, e con le preghiere dei credenti sinceri e fedeli saranno realizzati tutti i nostri sforzi. La nostra Terra Santa è diventata un bastione della virtù per tutto il mondo, e siamo grati a Sua Santità Papa Francesco. La Palestina non è una terra di guerra; è piuttosto una terra di santità e virtù come Dio voleva che fosse».
Nel corso dell'incontro sono stati affrontati temi di politica legati al recente accordo diplomatico fra Vaticano e Autorità palestinese e Papa Francesco si è voluto informare sulla situazione attuale nella Striscia di Gaza. I due si sono saluti con un affettuoso abbraccio. Domenica mattina Abu Mazen tornerà in Vaticano per assistere alla canonizzazione delle due suore nate nella Palestina ottomana dell'Ottocento: Marie Alphonsine Danil Ghattas di Gerusalemme e Mariam Baouardy (Maria di Gesù Crocifisso) della Galilea.

sabato 16 maggio 2015

AFORISMA

IL NUOVO MAPPAMONDO DI PAPA FRANCESCO

Prima la mediazione decisiva tra Cuba e gli Stati Uniti, poi il passo decisivo verso il riconoscimento dello stato di Palestina e le premesse per imbastire un dialogo con la Cina comunista. Prima ancora, la veglia di preghiera con annesso digiuno per la Siria e la lettera inviata a Vladimir Putin.
“Grazie a Papa Francesco, il peso della diplomazia pontificia nel contesto internazionale è in crescita. Ma come lo stesso Pontefice ci ha ricordato più volte, rappresentare la chiesa cattolica agli occhi del mondo è un compito molto delicato, che richiede pazienza e perseveranza”, diceva qualche giorno fa il cardinale Dominique Mamberti, prefetto della Segnatura apostolica. L’attivismo del Pontefice sorprende, lui che era stato raccontato come Papa spirituale, quasi un eremita, a sentire quel che dicevano di lui alcuni cardinali nel dopo Conclave. “Si diceva che Bergoglio, Papa pastorale, non fosse portato alla diplomazia. Invece, si moltiplicano incontri e iniziative, come questa tra Stati Uniti e Cuba”, notava sul Corriere della Sera lo storico Andrea Riccardi. Senza dimenticare la reunion nei Giardini Vaticani, del giugno scorso, tra lui e Bartolomeo I, Abu Mazen e Shimon Peres. Una diplomazia diretta, fatta di colloqui a Santa Marta o telefonate intercontinentali, ma che si fonda soprattutto sul ritrovato dinamismo della Segreteria di stato retta dal cardinale Pietro Parolin. Certo, su Palestina e Cuba i negoziati – lenti e pazienti – andavano avanti da decenni. Eppure, a proposito di Cuba, “il vero diplomatico in tutta questa vicenda è stato Papa Francesco”, ha spiegato mons. Giovanni Angelo Becciu, sardo di Pattada, sostituto della Segreteria di stato e già nunzio sull’isola. Lì avevano già messo piede Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, ma doveva arrivare un Papa argentino per mediare sottotraccia tra Washington e L’Avana. Non è un caso, se è vero che – come diceva al Foglio lo storico Massimo Faggioli – Bergoglio “è un latinoamericano, il che comporta una certa quantità di anti americanismo. Negli Stati Uniti questo si sa bene, solo che non si può accusare esplicitamente il Pontefice di essere anti yankee. E’ una questione latente”. Insomma, Raúl Castro non poteva sperare di meglio per tentare di cancellare l’embargo che strangola l’economia della repubblica socialista. Ma in cima all’agenda del Papa gesuita c’è l’Asia da evangelizzare. Il continente immenso dove assai poco il cristianesimo ha attecchito, isole felici a parte (Filippine, Corea del sud, Sri Lanka). E’ l’eterna chimera della chiesa romana, se è vero che “già negli anni Trenta si diceva che l’Asia rappresentava la sfida, poi le cose non sono andate avanti per il meglio”, ricordava Andrea Riccardi. In due anni di pontificato, Francesco c’è stato due volte, visitando tre paesi. Istinto del missionario, quello del Bergoglio che da giovane voleva trasferirsi in Giappone, ma anche sano realismo politico: la Cina, potenzialmente, è il più grande paese cristiano al mondo, se si mettono insieme i fedeli alla chiesa ufficiale di stato e quanti si richiamano alla chiesa sotterranea in comunione con Roma, sul cui numero le cifre sono ancora dibattute. E’ anche per questo che il Vaticano mantiene il profilo basso riguardo Pechino, non alzando la voce per l’occultamento delle croci e per la sparizione di sacerdoti e vescovi, che spesso ricompaiono sui bollettini ufficiali solo da morti. Quel che c’era da dire pubblicamente sulla questione è stato detto otto anni fa, con la “Lettera ai cattolici cinesi” di Ratzinger (alla cui stesura partecipò Parolin). A questa, in una delle ultime conferenze stampa in aereo, il Papa si è richiamato. Il resto è prudenza assoluta: niente metafore o battute, solo parole di “vicinanza” per il “grande popolo cinese al quale voglio bene”.
di Matteo Matzuzzi in “Il Foglio” del 15 maggio 2015
NELL’ANNO DELL’INDIZIONE DEL GIUBILEO
una campagna di crowdfunding per sostenere Uomini Proibiti
il film destinato a cambiare per sempre la Storia della Chiesa
un film documentario di Angelita Fiore
prodotto da Maxman Coop e Roberta Barboni
***
dal 18 aprile al 2 giugno
sul sito www.ulule.com/uomini-proibiti
chiunque potrà contribuire per far vedere il film
a Papa Francesco e distribuirlo nel mondo in 5 lingue
Sono più di 120.000 i preti che abbandonano il sacerdozio per farsi una famiglia o che hanno una donna segreta. Il dato è in aumento e sembra ormai destinato ad una svolta.
Complici forse anche le recenti dichiarazioni di Papa Francesco che ha promesso di
“risolvere il problema del celibato”.
Intanto i preti si stanno mobilitando in materia di diritti umani rivolgendosi non solo al Vaticano, ma anche alle Nazioni Unite (ONU) per ottenere la libertà e il diritto di sposarsi.
É Papa Francesco, il Papa rivoluzionario, che può davvero abolire l’obbligo del celibato restituendo a questi uomini i loro diritti naturali e umani. Da qui nasce l’idea, un po’ provocatoria e un po’ coscienziosa, della regista bolognese Angelita Fiore di consegnare personalmente al Santo Padre la prima copia in edizione speciale diUomini Proibiti che affronta proprio il complesso e mai indagato rapporto tra amore terreno e celibato ecclesiastico. L’obiettivo è quello di esortare il Pontefice ad abolire per sempre il celibato; e per farlo con tutti i dovuti onori – e oneri - si fa aiutare attraverso il crowdfunding a cui chiunque potrà contribuire con piccoli sostegni, ricevendo in cambio particolari “ricompense” e portandosi a casa il primo film documentario che racconta l’attuale periodo storico della Chiesa di Papa Francesco.La promessa del celibato ecclesiastico, va ricordato, è una legge voluta e istituita dagli uomini ma non da Dio e stando così le cose, potrebbe essere abolita - anche in tempi brevi - soprattutto se viene confermata la linea di rinnovamento con cui appare evidente l’intento di papa Francesco di spingere la Chiesa a continuare l'opera iniziata con il Vaticano II.
Uomini proibiti è un film manifesto, un film che vuole dare voce a chi da sempre è
costretto a vivere in silenzio, raccontando preti sposati che rinunciano ai propri privilegi sacerdotali per crearsi una famiglia ma anche donne che si innamorano di preti con i quali iniziano un percorso di vita fatto di privazioni, silenzio, segretezza e isolamento sociale.
Anna, Fausto, Luiza, Fidelia, Federico sono alcuni dei protagonisti di Uomini proibiti,
queste storie trovano corrispondenza con quelle di alcuni teologi internazionali,
rivoluzionari e anticonformisti, le cui testimonianze hanno aiutato durante le riprese a capire meglio i fondamenti storici e teologici del celibato e soprattutto il punto di vista della Chiesa.
In tutto il mondo (Brasile, Canada, Germania, Francia, Austria, Gran Bretagna) sono nate associazioni di preti sposati, di donne dei preti e di recente anche dei figli dei preti, che si stanno mobilitando in materia di diritti umani rivolgendosi non solo al Vaticano, ma anche alle Nazioni Unite (ONU) per ottenere la libertà e il diritto di sposarsi, di farsi una famiglia, di avere dei figli e di “lavorare” esercitando il loro ruolo di preti, vescovi e suore.
Uomini proibiti è anche un film capace di raccontare al pubblico storie di infinita umanità attraverso un punto di vista differente, femminile e inedito.
Le donne segrete, i preti sposati, i figli non riconosciuti offrono un valore umano e
tangibile agli insegnamenti dottrinali che dal Vaticano entrano inesorabilmente nelle case di ognuno di noi e saranno di proverbiale rilevanza proprio nell’anno del Giubileo della Misericordia.
Il team che ha lavorato alle riprese del film è composto da professionisti che operano nel settore da lunga data. Uomini Proibitiè stato realizzato grazie alla collaborazione con Istituzioni pubbliche e private e alla disponibilità della Curia di Bologna, di sacerdoti italiani e stranieri nonchè di altri rappresentanti del mondo ecclesiastico che hanno condiviso con la troupe le motivazioni che stanno alla base del film fino a mettere a disposizione anche diverse location.
Sito per contribuire al progetto
e per visionare il trailer: www.ulule.com/uomini-proibiti
Link Facebook:
www.facebook.com/forbiddenmenfilm
Per info
Valeria La Pietra
349-2263131
info@forbiddenmenfilm.com

venerdì 15 maggio 2015

LA MAPPA DEL DOLORE

In Italia non esisteva un monitoraggio accurato. Ora questa lacuna è stata finalmente colmata dalla prima «Indagine nazionale sul maltrattamento dei bambini e degli adolescenti in Italia» condotta  su più di 231 i comuni italiani (statisticamente rappresentativi) da Terre des Hommes e Cismai, la rete italiana dei centri e servizi contro il maltrattamento e l’abuso all’infanzia. «Capire l’entità  del fenomeno, la sua distribuzione geografica, le sue specificità significa avanzare proposte concrete per arginarlo a governo e Parlamento» spiega Vincenzo Spatafora, Garante nazionale per l’infanzia e l’adolescenza che ha voluto la rilevazione presentata oggi alla Camera dei Deputati.

La realtà che emerge dall’indagine indica che 4 bambini e adolescenti su 1000 sono in carico ai servizi sociali per un totale di 457.453 bambini. Di questi oltre 91mila sono vittime di maltrattamenti, ovvero su 5 di quelli presi in carico dagli assistenti sociali. Sono le bambine e le ragazze le più esposte ai maltrattamenti (212 su 1.000 minori assistiti dai servizi sociali, i maschi sono 193). L’indagine mostra anche come gli stranieri siano più vulnerabili agli abusi: tra la popolazione minorile straniera residente, la prevalenza dei bambini maltrattati è doppia rispetto a quella dei bambini italiani maltrattati (20 bambini stranieri ogni 1.000 contro gli 8,3 per mille degli italiani). Le violenze, poi, sono più diffuse nelle aree metropolitane.

La distribuzione dei minorenni assistiti dai servizi sociali, infatti, mostra una forte disomogeneità geografica: decresce al Centro (44,5 minorenni su mille rispetto ai 63,1 del Nord) e al Sud (30,5 per mille minorenni residenti). Un dato che preoccupa visto il più diffuso livello di disa­gio socio-economico nel Sud Italia.

Addentrandoci nel dolore, l’indagine rileva quali sono le forme di maltrattamento subìto da bambini e adolescenti. Più della metà (59%) è vittima di  una grave forma di trascuratezza: mancanza di cure o il fallimento educativo che hanno come conseguenza un danno per la salute o ritardi di crescita del bambino. La violenza assistita costituisce la seconda forma di violenza più diffusa tra quelle registrate: circa 1 bambino su 5 fra quelli maltrattati è testimone di violenza domestica nelle mura domestiche. Il maltrattamento psicologico (ricatti affettivi, pressioni, indifferenza, denigrazioni o rifiuti che danneggiano lo sviluppo cognitivo-emotivo) ha un’incidenza superiore anche di quello fisico (13,7% contro il 6,9%).

La forma di abuso meno ricorrente è quella sessuale, che colpisce 4 bambini su 100 maltrattati. Ma è un dato su cui bisogna ragionare con un confronto con gli altri paesi che oggi finalmente è possibile. Su mille minorenni residenti, in Italia 9,5 hanno subito violenze: un indice inferiore al Canada (9,7), Inghilterra (11,2) e Stati Uniti (12,1). Se per la tra­scuratezza e la violenza assistita il dato è in linea con quanto rilevato negli Stati Uniti, la percentuale dell’abuso sessuale è, invece, fra i più bassi registrati nei Paesi sviluppati. «C’è bisogno di un’attenta analisi per capire se si tratta della realtà o di una difficoltà di emersione del dato – spiega Federica Giannotta di Terre des Hommes – Per questo è necessario e urgente varare un sistema di monitoraggio che orienti meglio le politiche di prevenzione e cura dei minorenni e offra una garanzia a tutti i minoren­ni di godere di pari diritti, da Nord a Sud».
su "la 27esimaora.corriere.it"

martedì 12 maggio 2015

CONDIVIDERE E PROVVEDERE IL CIBO PER TUTTI

DALL'OMELIA DI PAPA FRANCESCO PER L'APERTURA DELL'ASSEMBLEA GENERALE DELLA CARITAS.
"Preparare la tavola. Dio ci prepara la tavola dell’Eucaristia, anche adesso. Caritas prepara tante tavole per chi ha fame. In questi mesi avete svolto la grande campagna “Una famiglia umana, cibo per tutti”. Tanta gente aspetta anche oggi di mangiare a sufficienza. Il pianeta ha cibo per tutti, ma sembra che manchi la volontà di condividere con tutti. Preparare la tavola per tutti, e chiedere che ci sia una tavola per tutti. Fare quello che possiamo perché tutti abbiano da mangiare, ma anche ricordare ai potenti della terra che Dio li chiamerà a giudizio un giorno, e si manifesterà se davvero hanno cercato di provvedere il cibo per Lui in ogni persona (cfr Mt 25,35) e se hanno operato perché l’ambiente non sia distrutto, ma possa produrre questo cibo."

EQUIPARAZIONE SACRAMENTALE

Intervista a Veronika Pernsteiner, a cura di Markus Rohrhofer, la nuova presidente delle donne cattoliche austriache.
Nel mio nuovo incarico, ci sono sfide che intendo affrontare. Che uomo e donna nella Chiesa cattolica attualmente non siano ancora equiparati, è purtroppo una realtà. Realtà è però anche che
nel battesimo uomo e donna sono uguali. E il sesso non può essere al di sopra del sacramento.
Come primo passo chiedo che anche le donne vengano ordinate diaconesse.

Un momento: questa richiesta non è provocante – al contrario, corrisponde alla realtà, perché di
fatto la metà delle persone nella Chiesa sono donne. E sono proprio le donne che svolgono il
lavoro diaconale. E, per quanto riguarda la mancata reazione: la goccia scava la roccia, insomma chi la dura la vince. Anche altri cambiamenti non sono stati realizzati immediatamente.

Sono una persona ottimista. Anche i laici fanno parte della Chiesa. E già ora diverse funzioni direttive sono in mano a donne, anche se potrebbero essere molte di più. Ciò che è possibile secondo il diritto canonico viene realizzato troppo poco. Un punto dolente sono però i ministeri ordinati.

Naturalmente non ci sarà un cambiamento improvviso dall'oggi al domani. Abbiamo davanti a noi
ancora un compito enorme da svolgere. Ma lottiamo per una equiparazione dei diritti nella Chiesa 
tutti i livelli. E vorrei che la Katholische Frauenbewegung österreich (kfbö, Movimento cattolico delle donne in Austria) resti un punto di riferimento per donne impegnate nella Chiesa e che lo
diventi ancor di più.

Il papa ha parlato di una teologia della donna – un barlume di speranza, se lo si può interpretare 
nel senso che il papa è a favore di una teologia portata avanti ugualmente da uomini e da donne.

Ai miei tempi, non si poneva il problema di essere chierichette. Altrimenti, non mi viene in mente nessuna situazione di discriminazione nei miei confronti. Fin dalla mia infanzia, ho sempre avuto
un'immagine molto positiva di Chiesa. Questo mi dà la motivazione per l'impegno a favore di una
Chiesa di uomini e di donne.

Sono molte le cause di questa immagine negativa di Chiesa. In primo luogo, bisogna farsi un esame di coscienza – il principio dei media “cattive notizie sono buone notizie” predomina anche per i problemi della Chiesa. Un problema che nasce all'interno è invece la falsa modestia della Chiesa. Siamo tutti chiamati ad agire in modo consapevole e a presentare all'esterno tutte le molte cose positive che ci sono nella Chiesa – ma anche a chiamare chiaramente con il loro nome 
le cose negative. Questo era ed è innanzitutto il compito delle donne cattoliche.

Siamo attive in molti ambiti, anche politico-sociali, facciamo ad esempio anche dei flashmob – balliamo contro la violenza sulle donne. È chiaro che non ci consideriamo una controparte dei vescovi. Ma naturalmente bisogna restare saldi sulle proprie convinzioni. Faremo dei blitz controllati.

Non necessariamente più dura, e neanche più aggressiva. Ma cercherò di darle uno stile più 
mirato,più arguto.  Cercheremo naturalmente sempre il dialogo – parlarsi è la prima cosa. Ma ci vuole anche un po' di attivismo.

TROVATA LA RICETTA!


lunedì 11 maggio 2015

"RIMPICCIOLITE QUELLE CROCI!!"

PECHINO. La croce, simbolo del cristianesimo, turba i sonni delle autorità nella provincia cinese dello Zhejiang. Tanto da spingerli a scrivere una bozza di legge che ordina di ridimensionarle e non esporle sui campanili o in cima alle chiese cattoliche o protestanti. La notizia è stata presentata in modo apparentemente innocente dal Global Times, giornale del partito comunista cinese: «Il governo dello Zhejiang specifica le dimensioni delle croci sulle chiese».

La direttiva è dettagliata: le croci debbono essere collocate sulla facciata del corpo principale della chiesa, non possono svettare su campanili o sui tetti; debbono essere di un colore che si fonda con quello della costruzione, non di uno che spicchi. E debbono essere piccole: non più di un decimo dell’altezza dell’edificio. Insomma, dovranno essere mimetizzate. Le autorità fanno anche sfoggio di democrazia, perché il giornale precisa che «sono benvenuti i commenti del pubblico entro il 20 maggio». Basta scrivere all’Istituto per il design e l’architettura dello Zhejiang. Il regolamento che vuole rendere poco visibili le croci, assicura il Global Times citando il documento, è mirato a «proteggere la libertà religiosa dei cittadini e a promuovere un’architettura scientifica e normativa».
Il quotidiano conclude che la legge entrerà in vigore solo dopo la conclusione della consultazione popolare, ma subito ricorda che l’anno scorso decine di chiese cattoliche e protestanti nella provincia sono state demolite o hanno subito l’amputazione delle croci per violazioni dei piani regolatori. Secondo le autorità comuniste le costruzioni avevano «creato caos» e seguivano criteri di «vuoto lusso architettonico».

La campagna contro chiese e croci troppo visibili è cominciata nel 2014 nella provincia orientale dello Zhejiang e nel suo capoluogo Wenzhou, noto come la «Gerusalemme della Cina» per le cupole che punteggiano (punteggiavano) il suo skyline e per il suo 15 per cento di cristiani (protestanti e cattolici) su nove milioni di abitanti. I rapporti nella zona erano stati abbastanza distesi negli ultimi anni, nonostante la distinzione tra la Chiesa patriottica controllata dal partito e quella «sotterranea» fedele al Vaticano. Poi a Wenzhou passò in visita il segretario provinciale del partito, Xia Baolong, uomo molto vicino al presidente Xi Jinping: pare che sia stato colpito dalla grande croce che spiccava sulla chiesa di Sanjiang, visibile in tutta la città e illuminata la notte. «Si vede troppo», avrebbe detto. Sta di fatto che i funzionari sottoposti subito scoprirono una violazione del piano regolatore e davanti alla chiesa di Sanjiang fu apposto il cartello «Demolizione».
La vicenda è andata avanti per settimane, con i fedeli che a un certo punto costituirono una catena umana per cercare di fermare le ruspe. Inutilmente: il luogo di culto è stato abbattuto. E la stessa fine hanno fatto decine e decine di altre chiese, sempre con la stessa motivazione: troppo visibili, tanto da aver creato un caos urbanistico.

In realtà, troppo visibile si sarebbe fatta la presenza della fede: il partito ha paura che la crisi ideologica della popolazione cinese apra le porte a Dio e ai «valori universali». Il numero dei cristiani in Cina, tra protestanti e cattolici, è stimato tra un minimo di 23 milioni e un massimo di 100, un dato che sfida ormai quello degli iscritti al partito comunista, fermo a 85 milioni.
Lo scorso agosto erano stati convocati a Pechino pastori della Chiesa cristiana e studiosi di religione per comunicare una direttiva in base alla quale la fede cristiana dev’essere libera dall’influenza straniera e «adattarsi alla Cina», un giro di parole per ribadire l’ordine di obbedienza al partito .
da Corriere.it

domenica 10 maggio 2015

LA LEZIONE DI DANIELE

“Non bisogna mai arrendersi e accettare quello che si è”. Daniele Chiovaro non si è arreso alla sua malattia degenerativa. E non si è arreso neanche quando, finite le scuole superiori, la sua richiesta di iscriversi all’Accademia delle Belle Arti di Reggio Calabria non è stata accolta perché la struttura non era idonea a garantirgli un percorso di studi che gli consentisse di inseguire il suo sogno di diventare un pittore. Daniele ha 20 anni e ci è riuscito lo stesso nonostante sia affetto da distrofia muscolare di Duchenne. Dal collo in giù i suoi muscoli sono bloccati, vive sulla sua sedia motorizzata e per diciotto ore al giorno respira grazie a un ventilatore polmonare. Il resto della giornata lo trascorre a dipingere. Non potendo usare le mani, il pennello lo tiene in bocca. È così che realizza i suoi quadri. Che ormai da mesi vengono esposti in alcune mostre della Provincia di Reggio. ”Quando un quadro è finito provo molta soddisfazione – spiega Daniele – Dopo l’intervento che ho subito alla schiena, tenere il pennello fermo con le labbra e con i denti è un po’ faticoso. Ma le difficoltà vanno superate, senza barriere mentali”.
da "Il Fatto Quotidiano" 

giovedì 7 maggio 2015

 Sfollati, nel mondo sono 38 milioni

Il numero di persone in fuga all’interno del proprio paese a causa di conflitti o violenze ha raggiunto la cifra di38 milioni. Secondo il rapporto Global Overview 2015, curato dal centro di ricerca del Norwegian refugee council presso l’Onu a Ginevra, significa che «ogni giorno circa 30.000 persone sono costrette ad abbandonare le proprie case». I dati raccontano che l’Iraq, con oltre due milioni di sfollati, è il paese ad aver registrato il più forte aumento nel 2014, mentre la Siria, con oltre 7 milioni e mezzo sfollati interni, pari al 40% della popolazione, è la nazione con la più grande dimensione del fenomeno nel mondo. Inoltre, per la prima volta da una generazione, anche l’Europa ha visto nuovamente sfollati interni sul proprio territorio a causa del conflitto in Ucraina. Per Jan Egeland, segretario generale del Nrc, questi dati segnano «il nostro completo fallimento nella protezione di civili innocenti».

Venezia. «Lampedusa»: una barca di carta per ricordare il dramma delle morti in mare

dramma delle morti in mare

mercoledì 6 maggio 2015

2015:L'ANNO DEI NUOVI CONSACRATI!

Per la verità non mi ero neppure accorto che era stato indetto da Papa Francesco “l'anno della vita consacrata”.
Sarà perché fino adesso, dopo cinque mesi, questa iniziativa è stata una grande delusione. Voglio dire:chi ne ha mai sentito davvero parlare? C'è stato qualche convegno? Come se per parlare di cosa sono le consacrate e i consacrati servissero a qualcosa i convegni! Ci vuole l'impeto, la bellezza, il coraggio della poesia, perché la consacrazione è amore e per parlare dell'amore non servono i convegni...chi baratterebbe il più istruttivo dei convegni con un solo minuto trascorso con la donna amata?
Fino adesso la cosa più interessante registrata in questo anno è la “riconciliazione” tra la Santa Sede e le cosiddette “suore dissidenti” americane, che non so nemmeno se è una buona notizia, dato che di per sé ogni riconciliazione lo è, solo che tutta la vicenda è sembrata più una trattativa che una storia d'amore...
Quando il Papa ha indetto questo anno,ha avuto un'idea davvero provvidenziale, perché il compito dei Consacrati nella Chiesa è quello di ricordarci continuamente il primato di Dio, di trascinarci tutti, con il loro impeto, con la loro passione.Sono loro, con la loro radicalità e la fermezza delle loro scelte, che ci richiamano continuamente all'Essenziale, che ci ricordano sempre qual è “la parte migliore”. Sono loro che ci riportano sempre al soffio dello Spirito che deve attraversare ogni istituzione e regola, che ci parlano della dolcezza, dell'umanità, dell'allegria della nostra fede.
E così questo avrebbe dovuto servire a rimettere loro, i consacrati, nel ruolo che gli spetta, ad indicarli al mondo come “la città sul monte”, quella che non può restare nascosta, quella che deve essere il modello, il paradigma di Vita Cristiana a cui tutti noi tendiamo.
Fino a non molto tempo fa, la gente, quando pensava alla Chiesa, pensava innanzitutto a loro, ai frati e alle suore. Ma nella Chiesa di oggi, che pure è piena di figure luminose, non sembra più essere così.
Un po' per lo smarrimento dell'identità dei religiosi, che nei rami maschili,hanno perso di fatto la loro specificità carismatica e missionaria, la loro libertà profetica, che sono sempre stati la sorpresa e la novità dentro la Chiesa stessa.
Le suore invece hanno condiviso la generale crisi della femminilità che ha attraversato tutto il mondo. In un mondo dove la parola femminilità è diventata sinonimo di seduzione, dove il valore specifico di una donna non è più individuato nelle sue caratteristiche di cura e tenerezza,dove uomini e donne sono portati a scontrarsi in una insensata lotta senza fine, dove la parola “servizio” da valore supremo dell'amore è diventata sinonimo di servitù, che senso hanno più le suore?
Già, le suore...Che mondo sarebbe senza le suore? Che Chiesa sarebbe senza di loro? Capaci di coniugare verità e dolcezza, cura e fermezza, tenerezza e forza. Non hanno mai chiesto niente, sempre pronte a servire, come Gesù. Umili, attente, pronte e forti come solo una donna sa essere. Se i preti sono le mani e i piedi della Chiesa, piedi che vanno verso il mondo e mani che lavorano, le suore sono la spina dorsale, quella che si piega per servire e che regge tutto il peso del corpo. E allora diamo loro voce per dirci che servire è bello ed esaltante, per ricordarci che tutti, uomini e donne, troviamo nel servizio la misura dell'amore e quindi del nostro essere cristiani.
Questo mondo ha bisogno più che mai di suore, di donne felici, vitali, innamorate, che cavalcano verso Dio e i pastori dovrebbero considerarle come le truppe migliori: dovrebbero sapere che ogni minuto dedicato a prendersi cura di loro è un investimento a favore di tutta la Chiesa.
Questo dovrebbe forse essere l'anno dedicato alla Vita Consacrata: non deprimenti e fumose analisi, ma una coraggiosa e fiera riscoperta della propria identità e del proprio carisma, non volumi riempiti di parole vuote, ma strade e case e piazze e palazzi, anche quelli del potere ecclesiastico, risuonanti di festa e di lode, non un cammino stanco e sostanzialmente senza meta, ma una gioiosa e profetica salita verso Dio.
Agostino Bonassi

martedì 5 maggio 2015

DONNE IN FUGA...

Come è capitato spesso in questi anni, mercoledì scorso il papa ha pronunciato un bel discorso. Ha detto il pontefice che le donne dovrebbero essere, per il loro lavoro, retribuite come gli uomini, che l’emancipazione femminile non è affatto un male e che essa non va assolutamente messa in relazione con il fatto che le giovani coppie ritardino sempre di più l’età del matrimonio e della riproduzione. Bene, ben detto. Tuttavia siamo anche obbligati a ricordare che il papa non rappresenta solo un’autorità morale, alla quale competa di pronunciare discorsi edificanti o di indicare mete morali e traguardi politici da raggiungere. Il pontefice è anche un uomo di governo, il capo di un’immensa organizzazione mondiale, alla quale aderiscono, a vario titolo, più di un miliardo di uomini e di donne. Queste ultime sperimentano, all’interno della Chiesa, una condizione di perenne subordinazione, un’esclusione strutturale da tutti i luoghi di indirizzo e di comando, ad ogni livello: indispensabili per far funzionare tutta la complessa macchina cattolica, ma immancabilmente confinate a ruoli esecutivi ed ancillari. Sono infatti le donne, in grande maggioranza, ad occupare i banchi delle chiese e ad ascoltare i sermoni dei sacerdoti, ad aiutare, spesso del tutto gratuitamente, i preti a gestire le chiese e le case parrocchiali, a tenerle pulite e in ordine. Sono sempre, in larghissima proporzione, le donne ad animare le organizzazioni di volontariato cattoliche, a trasmettere la fede ai giovani, nelle aule del catechismo o tra le mura domestiche, a lavorare alacremente e con impegno, sempre in posizioni subordinate si intende, negli uffici diocesani o nella curia romana. Sono ancora le donne ad essere a fianco dei sacerdoti come compagne clandestine, ad aiutarli a sopportare quotidianamente la fatica della vita ecclesiale, a dispensare consigli e suggerimenti per l’azione pastorale. Sono insomma le donne, lo sono probabilmente sempre state, a costituire l’ossatura centrale del popolo di Dio, a lavorare, con impegno ed entusiasmo, nella vigna del Signore. Senza di loro la Chiesa non ha senso, perderebbe la sua gente, sparirebbe dal mondo. E non servirebbero a nulla nemmeno migliaia di nuovi vocazioni clericali, neppure la fabbricazione di tanti preti nuovi di zecca, casomai importati da paesi in via di sviluppo. Senza le donne il cattolicesimo si estingue. Ed è proprio quello della fuga delle donne lo spettro che minaccia il cattolicesimo, perlomeno alle nostre latitudini. Le giovani italiane, ce lo dicono le migliori ricerche sociali e ce lo conferma la conoscenza empirica della vita ecclesiale, appaiono sempre meno disposte, a differenza di quello che ancora capitava con le generazioni precedenti, ad impegnarsi in un’organizzazione così profondamente impregnata di maschilismo come la Chiesa Cattolica. Non capiscono, molte ragazze, perché non debbano godere, anche all'interno della Chiesa, delle stesse opportunità di cui godono nel mondo esterno, perché non possano aspirare ai ruoli di primo piano occupati dai loro coetanei maschi. E anche le loro mamme, soprattutto se divorziate e risposate, cominciano a pensarla così. Anche le quarantenni si sono messa in fuga dalla Chiesa, come recita il titolo di un fortunato libretto. Su questo versante, c'è una grande delusione. Ai tanti discorsi, ai mille proclami, alla moltitudine di annunci non è mai seguito niente di concreto: non solo non si è materializzata la speranza di una riapertura del tema del sacerdozio femminile o della prima donna cardinale, ma a nessuna donna è stato nemmeno affidato un dicastero vaticano, una qualche posizione di responsabilità e di primo piano. Mentre la chiesa anglicana proclamava la prima donna vescovo quella cattolica riempiva le stanze del sinodo sulla famiglia di maschi anziani, riservando alle pochissime donne non più di qualche scampolo di scena, qualche miserissima particina in commedia. Non è quello che meritano le donne del nostro tempo. Se la Chiesa non saprà comprenderlo, finirà per soffocare, uccidendo il futuro che quella metà del mondo porta felicemente con sé.
di Marco Marzano in “il manifesto” del 5 maggio 2015 

LA LISTA


Uno striscione lungo cento metri con i nomi dei 17.306 migranti morti nel mar Mediterraneo nel tentativo di raggiungere l'Europa. La lista è stata esposta davanti all'ingresso del Parlamento europeo, durante la protesta di alcuni collettivi contro le politiche migratorie dell'Ue

domenica 3 maggio 2015

LEZIONI DI COMUNICAZIONE DA PAPA FRANCESCO

Nel gergo vaticano si chiamano «telefonate personali», quelle che il Santo Padre fa per un suo sentire intimo e non per doveri di protocollo. L’altro pomeriggio papa Francesco ha alzato la cornetta per chiamare Emma Bonino. È stata la stessa leader storica radicale a diffondere la notizia: «Ho ricevuto una chiamata da Sua Santità papa Bergoglio. Una telefonata tanto inaspettata quanto graditissima. Un segno di attenzione straordinaria di cui sono molto, molto grata». Lo scorso anno papa Francesco aveva già chiamato Marco Pannella,per far interrompere al leader radicale lo sciopero della fame e della sete che stavano compromettendo seriamente la sua salute. Questa volta il Santo Padre ha voluto sapere delle condizioni di salute di Emma Bonino, che qualche tempo fa ha dichiarato di stare combattendo contro un tumore. Ha raccontato Emma Bonino: «Il Papa mi ha incoraggiato a tenere duro, cosa che sto facendo con tutte le mie forze. Mi ha rinnovato l’impegno a tenere duro perché poi l’erba cattiva non muore mai, ma mia madre diceva che sono un’erba resistente, cattiva no». Della leader storica Emma Bonino, poi, si possono ricordare attivissime battaglie di diritti laici, tra queste, quella sul divorzio prima e sull’aborto, poi. Ma per papa Francesco queste non sono state un ostacolo.
«Abbiamo parlato di migranti, povertà e del Mediterraneo», ha detto Emma Bonino aggiungendo di aver esposto al Santo Padre anche il problema delle carceri italiane. «Gli ho ricordato che i migranti, se mai riusciamo ad accoglierli, poi li mettiamo in carcere e per questo le carceri sono piene. E poi gli ho ricordato anche la conversazione che abbiamo avuto nell’aprile dello scorso anno e che poi propiziò la sua telefonata a Marco Pannella. Ho detto al Santo Padre che, in ogni caso, Pannella e i radicali continuano su questo fronte di attenzione: sulle carceri, ma anche allo stato di diritto e ai più poveri». La Bonino nella telefonata con il Santo Padre ha voluto ricordare Marco Pannella perché proprio ieri ha compiuto ottantacinque anni. Ha spiegato Emma Bonino: «Ognuno ha un suo modo per fare gli auguri a Marco, io penso in questa maniera di aver trovato uno che gli faccia piacere».
in “Corriere della Sera” del 3 maggio 2015

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