lunedì 27 febbraio 2017

IL SALUTO DI ROBERTO SAVIANO A FABIANO

Fabiano Antoniani, Dj Fabo, è morto questa mattina alle 11.40 in Svizzera. Dj Fabo, tetraplegico e cieco in seguito a un incindente stradale, ha scelto di morire. Non solo per lavorare con dignità, ma anche per morire con dignità bisogna emigrare dall'Italia. E Fabo è morto in esilio perché il suo Paese, il nostro Paese, non ha ascoltato il suo appello.
"Sono finalmente arrivato in Svizzera e ci sono arrivato con le mie forze e non grazie all’aiuto del mio Stato. Volevo ringraziare una persona che ha voluto salvarmi da questa vita, un inferno di dolore, di dolore, di dolore".
La persona che Fabo ringrazia è Marco Cappato, politico, difensore di diritti.
Cappato, in un video pubblicato sulla sua pagina Facebook, spiega come in Svizzera non si pratichi eutanasia a chiunque lo chieda, ma c'è assistenza medica che valuta le condizioni che effettivamente consentano di accedere alla morte volontaria. in Svizzera, appunto. In Italia, invece, nel Paese di cui bisogna parlar sempre bene, tutti sordi all'appello di Fabo. Questa è l'Italia, una bella cartolina. Un Paese in cui la vita deve scorrere senza impedimenti di sorta, senza intoppi apparenti. Tu Fabo hai potuto chiedere di finire la tua vita con umanità e hai potuto farlo con la tua voce. Ti abbiamo sentito distintamente chiedere una morte dignitosa, non esiste giustificazione possibile al silenzio che hai ottenuto in risposta. Non esiste giustificazione e urgenza possibile per la mancanza di empatia, di attenzione e di umanità del Parlamento e del Paese in cui ti è toccato in sorte di nascere e dal quale sei stato costretto ad auto esiliarti per morire. Perdonaci per aver reso la religione che crediamo di osservare talmente vuota da non saper più riconoscere un Cristo quando lo abbiano di fronte.

Shimon Peres

“A mio padre chiedevano spesso: ‘Qual è la cosa più importante che pensi di aver fatto nella tua vita?’ E lui rispondeva sempre: ‘Quella che farò domani’. Ed è un messaggio anche per noi, per continuare a lavorare per la pace”.

mercoledì 22 febbraio 2017

AFFRONTARE CON DIGNITA' GLI ULTIMI ATTIMI DELLA NOSTRA VITA

Nel nostro Paese lo scorso anno il tema divisivo era quello delle unioni civili e il mondo cattolico militante ha dato battaglia fino all’ultimo, subendo poi l’esito di una legge da esso ritenuta in contrasto con l’etica cattolica. Attualmente lo scontro sta avvenendo, almeno per ora con toni meno accesi, attorno alla prevista legislazione sul testamento biologico e sui trattamenti di fine vita. Un confronto, va detto con chiarezza, che resta difficile in un Paese dove manca una cultura dell’alleviamento del dolore, dove l’accesso alle cure palliative resta lacunoso e in alcune aree praticamente assente, in una società in cui non c’è informazione né educazione sul morire e dove si è ormai smarrita la sapienza e la naturalezza con cui in passato si affrontava questa sfida. I militanti del diritto all’eutanasia così come quelli della vita da conservare a ogni costo per ora non sembrano impegnati a fornire un discorso convincente e articolato, ma paiono preoccupati gli uni che ci sia una legge in materia, gli altri che questa invece non sia assolutamente emanata.
Quando si ascolta “la gente”, si constata una paura sorda e muta nell’affrontare questo argomento.
C’è sì rimozione della morte, ma soprattutto timore grande per ciò che potrà accadere, per mancanza di fiducia nei medici e nelle strutture sanitarie: i più temono un’estensione abusiva del diritto all’eutanasia, una sorta di pratica della morte procurata per ragioni economiche, cioè contro le persone anziane a carico della collettività; ma fa paura anche l’idea di finire nelle mani di persone che decidono senza ascoltare le ragioni del paziente e dei famigliari e che vogliono prolungare le cure secondo il loro giudizio o per interessi estranei al morente. Oggi c’è coscienza del diritto a morire con dignità, soffrendo il meno possibile e questa, unita alla centralità acquisita dal soggetto umano nella nostra cultura, richiede sia il testamento biologico sia una normativa sui trattamenti di fine vita.
Da parte mia ritengo necessario e urgente che ai cittadini sia consentito di redigere un “testamento
biologico” o una “dichiarazione anticipata” avente rilevanza legale che precisi le condizioni auspicate per il proprio fine vita. Purtroppo finora una procedura di questo tipo ha avuto forti opposizioni da alcuni settori della chiesa italiana, ma si dovrebbe prendere atto che invece i vescovi delle conferenze episcopali sia della Germania sia della Svizzera hanno invitato i loro fedeli a redigere un biotestamento cristiano, ispirandone addirittura le modalità: si tratterebbe in particolare di specificare se si accetta o meno la somministrazione di farmaci per lenire il dolore, anche quando questi avessero come effetto collaterale di abbreviare la vita del paziente, e di indicare se si desidera che i trattamenti per il prolungamento della fase terminale della vita siano tralasciati o sospesi quando la loro efficacia fosse ridotta al semplice ritardare il momento del decesso.
La contrapposizione tra il considerare la nutrizione e idratazione artificiale quale sostegno vitale da
somministrarsi sempre e comunque e, d’altra parte, il ritenerle cure che possono essere sospese, è a mio avviso radicalizzata e artificiosa. Sappiamo tutti che nutrizione e idratazione sono sostegni vitali, ma in alcune circostanze — come quando richiedono un intervento chirurgico o un atto medico invasivo — possono diventare gravose, sproporzionate e causa di ulteriori sofferenze, fino a configurarsi come accanimento terapeutico, cosa che richiederebbe la loro sospensione. A questo punto vi è il rischio di introdurre una casistica — tra l’altro soggetta a conoscenze terapeutiche e risorse tecniche in continua evoluzione — nella quale la morale non considererebbe innanzitutto il
soggetto morente né il suo dolore, bensì la pertinenza di un trattamento specifico rispetto alla legge
generale. L’etica cristiana dice no a cure mediche sproporzionate, ben sapendo che la legge non può
normare tutte le situazioni, presenti e future. Si tratterà invece di valutare caso per caso, con attenzione alla situazione complessiva del malato, ascoltando la sua volontà e la propria coscienza.
Appare evidente a tutti che il confine tra etica cristiana ed etica laica è davvero sottile e si può innestare da entrambe le parti la tentazione dell’ipocrisia che scatena il giudizio e la condanna. Per questo risulta importante l’alleanza tra il paziente, il suo fiduciario, il medico e i familiari: il malato
non sia lasciato solo a decidere la propria sorte — con l’eventualità di innescare il ricorso al suicidio assistito — ma interagiscano con lui innanzitutto il medico, che può discernere “con scienza e coscienza” le reali possibilità di vita e di morte del malato, e poi i familiari, le persone vicine al paziente, a cominciare da chi il malato ha eventualmente indicato come suo rappresentante nel testamento biologico. Un’alleanza nella quale il malato deve avere la priorità, con la sua sofferenza e il suo desiderio espresso anche anticipatamente, e dove entrano in gioco la coscienza dei medici e dei familiari. Ognuno di noi non è solo “una vita” determinata da parametri biologici, ma è una persona con relazioni, comunicazione, affetti, e c’è una qualità della vita che non può essere ridotta a quantità dei giorni. Certo, nessuno dovrebbe essere obbligato a redigere il proprio testamento biologico o a tratteggiare la “pianificazione anticipata delle cure”, ma la legge sappia accogliere chi vuole dichiarare anticipatamente questa scelta, favorisca l’alleanza medico-pazientefiduciario che lascia spazio alla coscienza e garantisca cure palliative specialistiche e di qualità accessibili a tutti, indipendentemente dal reddito o dal luogo di residenza. Ne va della qualità della vita di ciascuno, malato o sano che sia.
Estratto da “la Repubblica” del 21 febbraio 2017 di ENZO BIANCHI

martedì 21 febbraio 2017

CONFLITTI

«Il mondo è pieno di conflitti e, al di sopra di tutti i conflitti minori, c'è la lotta titanica tra il comunismo e l'anticomunismo. Quasi ognuno che abbia una coscienza politica ha preso fermamente posizione in una o più di tali questioni, ma noi vi chiediamo, se potete, di mettere in disparte tali sentimenti e di considerarvi solo come membri di una specie biologica che ha avuto una storia importante e della quale nessuno di noi può desiderare la scomparsa.
Cercheremo di non dire nemmeno una parola che possa fare appello a un gruppo piuttosto che a un altro. Tutti ugualmente sono in pericolo e se questo pericolo è compreso vi è la speranza che possa essere collettivamente scongiurato. Dobbiamo imparare a pensare in una nuova maniera: dobbiamo imparare a chiederci non quali passi possono essere compiuti per dare la vittoria militare al gruppo che preferiamo, perché non vi sono più tali passi; la domanda che dobbiamo rivolgerci è: "quali passi possono essere compiuti per impedire una competizione militare il cui esito sarebbe disastroso per tutte le parti?".

PAPA FRANCESCO, LA CEI E GLI ABUSI SESSUALI DEL CLERO

Papa Francesco è a un bivio. O lascia la Chiesa italiana nella sua anarchia di gestione degli abusi sessuali del clero oppure prende in mano la situazione imponendo regole di comportamento efficaci.
Recenti fatti di cronaca hanno riportato all’attenzione generale una situazione che contraddice clamorosamente la linea di rigore predicata già da Benedetto XVI e ulteriormente ribadita con forza da papa Bergoglio. Permane in Italia un modo di comportarsi della gerarchia ecclesiastica che oscilla tra superficialità, trascuratezza e in ultima analisi sottovalutazione di ciò che lo stupro in età minore rappresenta per la vita intera di una vittima...
Finora la Conferenza episcopale italiana (le cui Linee guida sono talmente evanescenti da aver costretto a suo tempo la Congregazione per la Dottrina della fede a correggere la prima versione del testo) si è rifiutata di dotarsi di strutture precise per affrontare la questione degli abusi. I cardini della malagestione del fenomeno sono due. Anzitutto i vescovi italiani non ritengono di avere l’obbligo preciso di denunciare il crimine con il pretesto che non sono “pubblici ufficiali” . In secondo luogo non esistono nelle diocesi referenti specializzati, a cui la persona violentata possa rivolgersi, con il pretesto che il vescovo è “padre di tutti” e basta chiamarlo.
Eppure non c’è niente da inventare. Nei Paesi d’Oltralpe e in Nordamerica esistono in ogni diocesi punti di ascolto con preti e psicologi, dove la vittima porta la sua denuncia sapendo che sarà aperta una regolare procedura di indagine. In queste nazioni sono state elaborate direttive per il risarcimento delle vittime (senza lavarsene le mani, dicendo che è un affare privato del prete criminale). In queste nazioni la Conferenza episcopale assume un ruolo attivo nel monitorare costantemente il fenomeno a livello nazionale e vengono pubblicati rapporti annuali per informare l’opinione pubblica della situazione. In parecchi casi sono state anche promosse indagini per portare alla luce abusi tenuti nascosti per decenni.
Nulla di tutto ciò avviene in Italia. Una sola diocesi, quella di Bolzano-Bressanone, avviò anni fa un’indagine sul passato con iniziative precise anche in termini di punizioni e risarcimenti. Invece, ogni volta che è stata interpellata, la Cei si è dichiarata “incompetente” rimandando alla responsabilità dei singoli vescovi e della Congregazione per la Dottrina della fede. Un modo per non assumersi la responsabilità di rimboccarsi le maniche.
Francesco, com’è noto, ritiene che le conferenze episcopali debbano il più possibile autogestirsi. Ma la Conferenza episcopale italiana rappresenta un caso speciale. Il Papa è vescovo di Roma e Roma è parte del territorio ecclesiastico italiano. Anzi il romano pontefice ha l’antico titolo di “primate d’Italia”. Inoltre il pontefice sceglie direttamente il presidente della Cei.
Per questo – in vista di una riorganizzazione della Cei con l’elezione del nuovo presidente a maggio – Francesco non può non porsi il problema di fare regolare tutta la materia nelle diocesi italiane secondo i principi di rigore da lui enunciati.
Il 28 dicembre, commemorando la “strage degli Innocenti”, ha invitato i vescovi del mondo a osservare “lealmente” la linea della “tolleranza zero”. Severità estrema con i sacerdoti, che tradiscono la loro missione, e con la loro gerarchia – vescovi e cardinali – che li proteggesse come è già avvenuto in passato”.
Indicazioni chiarissime, che vanno applicate in Italia. Con la stessa energia che Francesco ha dimostrato nel gestire le deviazioni dell’Ordine di Malta. Lasciare la Chiesa italiana alla sua scandalosa inerzia finirebbe comunque, prima o poi, per ricadere sul Vaticano.
Estratto di Marco Politi su "Il Fatto Quotidiano"

sabato 18 febbraio 2017

Il Governo approva il “Libro bianco per la sicurezza internazionale e la difesa”. E’ una linea duramente contestata da Pax Christi

Pax Christi Italia non ci sta! Il Consiglio dei ministri ha approvato il 10 febbraio 2017 il disegno di legge per l’implementazione del «Libro Bianco per la sicurezza internazionale e la difesa» che demolisce la nostra Costituzione, in particolare gli articoli 52 e 11. Qualcuno parla di golpe industriale-militare e di stravolgimento della Costituzione.
Noi vogliamo sperare di no ma non possiamo tacere la nostra forte preoccupazione!
La difesa della Patria stabilita dall’art. 52 viene riformulata quale «contributo alla difesa collettiva dell’Alleanza Atlantica e al mantenimento della stabilità nelle aree incidenti sul Mare Mediterraneo, al fine della tutela degli interessi vitali o strategici del Paese».
Il ripudio della guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali, stabilito dall’art. 11, viene sostituito dalla «gestione delle crisi al di fuori delle aree di prioritario intervento, al fine di garantire la pace e la legalità internazionale». Verso tale esito conduceva già la Legge quadro entrata in vigore nel 2016, che istituzionalizza le missioni militari all’estero con un fondo specifico presso il Ministero dell’economia e delle finanze.
Inquietante, nella sua vaghezza, è , poi, l’idea di affidare alle Forze armate sul piano interno la «salvaguardia delle libere istituzioni», con «compiti specifici in casi di straordinaria necessità ed urgenza».
Allarmante, nella sua ricaduta pratica, è il fatto che il nuovo modello apra le porte delle Forze armate a «dirigenti provenienti dal settore privato» che potranno ricoprire gli incarichi di massimo livello e permetteranno ai potenti gruppi dell’industria militare di pilotarle secondo interessi legati alla guerra. L’industria militare viene definita nel Libro Bianco «pilastro del Sistema Paese» poiché «contribuisce, attraverso le esportazioni, al riequilibrio della bilancia commerciale e alla promozione di prodotti dell’industria nazionale».
Il Libro Bianco annulla, in tal modo, il fondamento ideale, promotore di pace, della Costituzione italiana, più volte ricordatoci da persone come Giuseppe Dossetti, Giorgio La Pira, Sandro Pertini, Oscar Luigi Scalfaro.  L’Italia viene ridisegnata e snaturata come potenza che si arroga il diritto di intervenire militarmente sia in aree vicine come Nordafrica, Medioriente o Balcani, sia ovunque siano in gioco gli interessi di potenze rappresentati dalla Nato sotto comando degli Stati Uniti.
Siamo al suicidio della politica costituzionale? Il Parlamento per ora tace. Viene messa in disparte ogni proposta riguardante la riduzione delle spese militari con l’eventuale loro riconversione sociale; la verifica dell’attuazione della legge 185/90 sul commercio delle armi; l’iniziativa ONU per il disarmo nucleare; il progetto per una Difesa non armata e nonviolenta.
Non ci stiamo come cittadini della Repubblica italiana, fedeli alla Costituzione! Non ci stiamo anche come cristiani, discepoli del Vangelo di Cristo!
Nel messaggio per la Giornata mondiale della pace del 1 gennaio 2017 “La nonviolenza: stile di una politica per la pace“, papa Francesco ci ha ricordato “la via della pace: non quella proclamata a parole ma di fatto negata perseguendo strategie di dominio, supportate da scandalose spse per gli armamenti mentre tante persone sono prive del necessario per vivere
Pax Christi Italia
Firenze, 16 Febbraio 2017

giovedì 16 febbraio 2017

IL "SONNO" ETERNO

Non si vorrebbero mai leggere notizie come questa: un malato inguaribile chiede di non svegliarsi più. Non di morire, ma di dormire. Non vuole accelerare la morte, non lo ritiene un suo diritto. Lui è un credente. La morte sta arrivando, lui lo sa e la accetta, ma chiede che, nel momento in cui lei giunge al suo letto, lui stia dormendo. Lei avanza a piccoli passi, ogni passo un nuovo dolore, e lui non ce la fa più. Per non avere dolore deve non avere coscienza. Questo chiede.
Mentre alla Camera dei deputati il progetto di legge sulle direttive anticipate e il testamento biologico arranca in Commissione, sommerso da centinaia di emendamenti ostruzionistici, la realtà va quindi avanti da sola. Grazie all’ostinazione di alcuni eroi solitari e di tutti quei medici che, vedendo, toccando, sentendo e vivendo quotidianamente la sofferenza, sanno bene che la dignità umana la si rispetta giorno dopo giorno prendendo sul serio la volontà dei pazienti. Anche semplicemente perché non serve a nulla invocare astrattamente il “principio di dignità” quando poi, di fronte all’agonia di chi è in fin di vita, si resta sordi e ciechi.
«Addormentare non è uccidere, ma se non ci fossero le condizioni mediche per la scelta, non sarebbe ammissibile. Non si tratta solo del diritto di disporre del proprio corpo, ma della necessità che l'atto sia determinato da quella che potremmo chiamare una giustificazione medica. Si tratta di un'attività di tipo sanitario. Il principio è quello di un'azione con finalità positiva da cui non deriva direttamente la morte. È lo stesso fondamento che regge il rifiuto all'accanimento terapeutico», afferma il costituzionalista Professor Cesare Mirabelli.
Ci troviamo anche oggi di fronte al solito scontro, anche tra cattolici, tra chi pensa che l'ultima parola spetta a Dio, per cui c'è vita finché Lui non la toglie, e chi ritiene che in questo momento determinante della nostra fragilità umana bisogna  rispettare la volontà di ognuno affinché le nostre scelte e la nostra volontà siano “uguali” di fronte alla legge, e non dipendano dalla discrezionalità di qualcuno, politico o medico o religioso che sia. In fondo DINO BETTAMIN, che continuava ad assorbire gli scarti che la vita gli offriva, non riusciva a smettere di soffrire e quindi aveva solo bisogno di una pausa, perché non si può non morire e un malato di Sla muore sempre. Di fronte all'ineluttabilità della fine non ci rimane che la rassegnazione.

PACE E SCUOLA

<<Se ne accorga o meno, la scuola è ancora un organo di diffusione della cultura padronale che è, per forza di cose, cultura di guerra […]. Tocca alla scuola provvedere alla riforma di se stessa facendo spazio, naturalmente nei modi suoi propri, ai processi di cambiamento che preparano e prefigurano la cultura della pace.
Uno dei modi con cui la scuola può inserirsi, con efficacia decisiva, in quei processi è la costruzione, nelle nuove generazioni, di una memoria storica diversa da quella codificata nel sapere dominante. Ed è un compito che comporta la rilettura critica del patrimonio letterario e filosofico che abbiamo ricevuto in eredità.
Tutto ciò, in questo patrimonio, era riconducibile alla sfera dell’utopia veniva, mediante opportuni trattamenti critici, puntualmente sigillato nella dimenticanza o relegato come ingenuo o poeticamente evasivo.
E’ razionale solo ciò che è reale: ecco il dogma implicito o esplicito che ha presieduto alla codificazione del sapere.
La parola pace, nei libri di scuola, serve normalmente per indicare i trattati conclusivi di guerre, i quali appaiono poco più che interpunzioni nel ‘continuo’ del divenire bellicoso della civiltà>>.
 
(Ernesto Balducci).

La speranza dell'unità

<<Il lavoro dell’ecumenismo non consiste nel trovare una lingua comune  ma nel realizzare ponti tra le chiese. "Tradurre” non significa in questo caso sostituire parole, bensì “trasportare” gli interlocutori, con le loro identità, gli uni verso gli altri, vale a dire ricreare dei linguaggi che permettano di rivivere insieme l’esperienza della fede ...>>
Élisabeth Parmentier, in Riformare insieme la chiesa

venerdì 3 febbraio 2017

IL RICORDO

<<La cultura ebraica può ricomporre l’animo lacerato delle due Europe. E curare le ferite. All'inizio del terzo millennio ci sono molti che muoiono di fame. L’alterazione del clima e l’inquinamento spingono i nomadi del nostro tempo a tentare, talvolta disperatamente, di trasferirsi in luoghi dove c’è più pane. Il pianeta è esposto a mutamenti devastanti. Il consumo incontrollato di energia minaccia di provocare conseguenze devastanti e fatali. Mentre stendevo le ultime righe del mio libro il mondo era nuovamente dominato da una crisi che lo ha investito con inaudita velocità, ponendolo di fronte a minacce inattese. Fra qualche decennio l’umanità ammonterà a otto miliardi di abitanti di cui, secondo le stime e le previsioni, praticamente un quarto potrebbe restare senza pane.>>

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