Una
nazione di “brava gente”
C'era
un tempo in cui la storiografia parlava e promuoveva il mito degli
“Italiani brava gente”. Ne emerse addirittura un film. Un'idea,
questa, che si basava sul comportamento della presenza italiana nel
mondo sempre improntato ad un’umanità sconosciuta ad altri popoli.
Purtroppo la storia è fatta troppo spesso di vicende legate alla
politica, al colonialismo, alle guerre, che se da un lato fanno da
testimonianza al nostro pressapochismo, dall'altra non depongono
certo a favore della nostra sensibilità verso i nostri avversari,
sempre considerati nemici e spesso nostri inferiori.
Basterebbe
sfogliare un qualunque testo scolastico di storia per trovare una
serie di conferme.
In
queste ultime settimane, in preparazione della giornata della
memoria, mi sono ritrovato tra le mani uno scritto che rivedeva il
trattamento riservato dall’Italia fascista agli Ebrei.
Ricordando
più o meno gli eventi legati alle leggi “per la difesa della
razza”, emanate dal Gran Consiglio del fascismo nell’autunno del
1938, e di conseguenza le vicende di persecuzione, mi è stata
confermata l’idea che nessuna esperienza totalitaria può
risolversi con rispetto della dignità dell’uomo e dei popoli.
Secondo
questa mia idea quindi, l’opinione o la constatazione da parte di
qualcuno che in fondo la persecuzione messa in atto dalle autorità
fasciste ha perseguitato gli Ebrei solo nei diritti, ma non nella
loro esistenza fisica, tentando di dimostrare che non sia
responsabilità diretta del fascismo la deportazione e lo sterminio
della popolazione israelitica italiana, non assolve per nulla le
leggi che hanno privato migliaia di italiani dei normali diritti
individuali previsti da ogni civiltà giuridica contemporanea.
Chi fa peggio (lo stermino programmato dai nazisti) non assolve
chi fa male
(la discriminazione operata dai fascisti).
Mi
limito ad un elenco di per sé impressionante. Dal 1938 gli
appartenenti alla “razza” ebraica
furono esclusi dalle scuole del regno (docenti ed allievi), furono
impediti di esercitare
qualunque professione autonoma, regolata da albi pubblici (
Ingegneri, avvocati, medici,
agronomi, geometri, notai…), furono licenziati da ogni impiego
pubblico, fu loro vietata
qualsiasi attività nel settore dello spettacolo e della
comunicazione, furono impediti
ad
esercitare qualunque impresa editoriale ed estromessi dalle forze
armate, nonostante i meriti
di una tradizione che aveva visto gli Ebrei sempre presenti nella
vita della nazione e nella
lotta per la formazione della Stato unitario. Fu inoltre stabilita
l’espulsione degli Ebrei stranieri
dall’Italia e comunque per tutti quelli che erano immigrati dopo il
1919; furono confiscati
i beni eccedenti le cinquemila lire di estimo per i terreni e le
ventimila lire di imponibile
per i fabbricati (erano gli anni in cui si potevano sognare le mille
lire al mese). E l’elenco
sarebbe solo all’inizio: come dire ad una popolazione di
cinquantamila persone (una
su mille di Italiani), vivete pure, ma vi tolgo il pane di bocca.
Inoltre
tra le cause che hanno marcato il percorso delle opzioni fasciste nei
confronti della popolazione ebraica,
c’è quella della identificazione di nazionalità; già nel 1928,
Mussolini aveva rilevato
il ruolo della identità nazionale ebraica nella religione del popolo
di Israele ed aveva
chiesto alle comunità se si ritenevano nazione o religione,
rivendicando la legittimità dell’unica
nazione italiana.
Lasciamo
stare il rapporto complesso e contraddittorio di Mussolini col
sionismo, ma fa specie una cosa.
Nel
momento in cui in Italia si fa strada una coscienza di nazione,
questo avviene non solo
con una frattura democratica ed una realizzazione totalitaria, ma in
contrapposizione persecutoria con una minoranza del tutto assimilata,
(tale era la realtà ebraica italiana) con il resto della nazione e
dunque con una mutilazione vera e propria che se non rileva
eccessivamente sul piano numerico, risulta devastante sul piano degli
apporti sociali, culturali ed economici: basterebbe citare l’elenco
delle personalità
estromesse dalle Università e dagli Istituti superiori.
Ed
allora una domanda conclusiva: ma l'Italia e gli italiani perché
sono sempre stati ritenuti “una nazione di brava gente”?
A.B.
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