mercoledì 29 dicembre 2021

L’appello di 50 Nobel: “Meno spese militari, collaboriamo per evitare guerre”

Cinquanta premi Nobel, tra i quali Steven Chu e Carlo Rubbia, hanno firmato un appello rivolto a tutti i governi del mondo che chiede di negoziare una riduzione equilibrata della spesa militare globale. Questa riduzione, riferisce il comunicato, potrebbe liberare enormi risorse - un grande «dividendo globale per la pace» - da utilizzare per affrontare i gravi problemi dell'umanità: pandemie, riscaldamento globale, povertà estrema. Il Dalai Lama ha espresso il suo sostegno per la proposta. Tra i firmatari anche Giorgio Parisi e Olga Tokarczuk, oltre agli italiani Annibale Mottana, presidente dell’Accademia Nazionale delle Scienze, e Roberto Antonelli, presidente dell’Accademia dei Lincei.


«La spesa militare mondiale è raddoppiata dal 2000. Si avvicina a 2 trilioni di dollari USA all'anno, ed è in aumento in tutte le regioni del mondo», sostengono i Nobel. «I singoli governi sono sotto pressione per aumentare le spese militari perché gli altri lo fanno. Il meccanismo di feedback sostiene una corsa agli armamenti a spirale: un colossale spreco di risorse che potrebbero essere utilizzate molto più saggiamente. Le passate corse agli armamenti hanno spesso avuto lo stesso risultato: conflitti mortali e devastanti».

«Abbiamo una semplice proposta per l'umanità: i governi di tutti gli Stati membri delle Nazioni Unite negozino una riduzione comune delle loro spese militari del 2% ogni anno, per cinque anni – scrivono ancora i premi Nobel -. La logica della proposta è semplice: le nazioni avversarie riducono le spese militari, quindi la sicurezza di ogni paese è aumentata, mentre deterrenza e equilibrio sono preservati. Proponiamo che metà delle risorse liberate da questo accordo siano destinate a un fondo globale, sotto la supervisione delle Nazioni Unite, per affrontare i gravi problemi comuni dell'umanità: pandemie, cambiamenti climatici e povertà estrema. L'altra metà resti a disposizione dei singoli governi». «L'umanità affronta rischi gravi che possono essere affrontati solo attraverso la cooperazione. Collaboriamo, invece di farci guerra», concludono i Nobel. L’appello si può leggere e firmare sul sito dell’iniziativa all’indirizzo https://peace-dividend.org.

lunedì 27 dicembre 2021

L'ENERGIA DEL NATALE

 Il nostro Natale moderno è dolce, il corteo tradizionale di cori delicati coccola i sentimenti, l’abbondanza dei pranzi in famiglia ci rassicura nel nostro benessere e il bisogno degli altri sembra meno minaccioso così che li guardiamo con un’ondata di più morbida simpatia. Ma il Natale del Vangelo è soprattutto energia: di genitori che cercano cercano e infine trovano il posto giusto in cui far nascere il figlio; di pastori che si alzano nella notte e vanno a vedere se davvero è arrivato per loro il Messia; di genitori perseguitati costretti a diventare migranti per salvarsi dalla furia di Erode.

Il Natale è somma felicità, paura che toglie il respiro, movimento, nascondimento, ritorno, attesa. Moltitudine di inizi, per noi. Inizia una vita, inizia il nostro impegno di cura, inizia il compimento della profezia, inizia una collettiva chiamata alla responsabilità. Il mondo ha bisogno di pace perché cresca il Bambino, perché crescano i bambini. Altrimenti morirà, come muoiono oggi i bambini. Una strage degli innocenti. Nel 2020 due milioni di bambini sono morti di denutrizione e negli ultimi due anni pandemia e cambiamenti climatici hanno accelerato in modo impressionante la crisi alimentare portando a duecento milioni il numero di bambini che soffriranno la fame. La situazione è più grave dove ci sono conflitti, conflitti spesso legati all’acqua e al cibo, i beni comuni. Il futuro sarà terribile se non interverranno piani di sostegno alla salute e all’alimentazione (dati Save The Children, rapporto Emergenza fame, 21 ottobre 2021).

Ecco, oggi come allora arriva un Natale che chiede di mettere la commozione al servizio delle nostre migliori energie, per aiutare, in modo attento e competente, informandoci, su progetti che conosciamo e verifichiamo, laici o religiosi, ma qui siamo, ad agire, perché la vita la amiamo davvero. 

MariaPia Veladiano su «Messaggero di sant'Antonio»

domenica 26 dicembre 2021

I DUBBI E I DUBBIOSI DEL NATALE

 «La nascita di Gesù Cristo avvenne in questo modo. Maria, sua madre, era stata promessa sposa a Giuseppe e, prima che fossero venuti a stare insieme, si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe, suo promesso sposo, essendo giusto e non volendo esporla a infamia, si propose di ripudiarla di nascosto. Ma mentre aveva queste cose nell’animo, un angelo del Signore gli apparve in sogno, dicendo: “Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere in moglie Maria; perché ciò che in lei è generato, viene dallo Spirito Santo. Ella partorirà un figlio, e tu gli porrai nome Gesù, perché è lui che salverà il suo popolo dai loro peccati”. Tutto ciò avvenne, affinché si adempisse quello che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: “La vergine sarà incinta e partorirà un figlio, al quale sarà posto nome Emmanuele”, che tradotto vuol dire: “Dio con noi”». (Matteo 1, 18-23)

Maria è incinta. Giuseppe suo promesso sposo e uomo giusto, reagisce con domande e dubbi. Che fare? Lasciare Maria? Però, senza esporla a infamia? Lasciarla in segreto? Fare la cosa giusta.


Entriamo nel racconto della nascita di Gesù attraverso i dubbi di Giuseppe. In questo episodio patinato della tradizione natalizia come nelle icone o nelle pale d’altare, noi intravediamo incertezza e per questo autenticità. Come fare la cosa giusta? Certo, questo racconto non è la ricostruzione psicologica di una crisi di coppia per una maternità perlomeno inattesa, bensì una meditazione sull’origine paradossale di Cristo Gesù, figlio di Maria, conosciuto anche come figlio di Giuseppe, proclamato figlio di Davide secondo la genealogia di Giuseppe e, nello stesso tempo, figlio di Dio, venuto dallo Spirito. Di fronte a questa “plurigenitorialità” c’è spazio per i dubbi di Giuseppe. Pure molto sintetico e molto teologico, il racconto dà spazio ai pensieri che agitano Giuseppe. Esitazione e incertezza che sentiamo vicine. La tensione nasce dal fatto di essere “promesso sposo” e uomo “giusto” dinanzi a una nascita fuori tempo, fuori legge, fuori luogo.

Giusto, Giuseppe lo è, ma non fanatico; si preoccupa delle conseguenze per Maria di quella che sarebbe la scelta giusta, il ripudio. Giuseppe non vuole esporre Maria a infamia. Non vuole avere sulla coscienza il peso di una lapidazione. Cerca una soluzione più equilibrata: “lasciarla segretamente”. In un certo senso, l’essere giusto di Giuseppe è il primo ostacolo al piano di Dio.

«Ma mentre aveva queste cose nell’animo, un angelo del Signore gli apparve in sogno, dicendo: “Giuseppe Figlio di Davide Non temere!”».

I dubbi di Giuseppe non avrebbero fine se non li comparisse in sogno un angelo. I have a dream, per alludere a un famoso discorso. I am a dreamer per ricordare una famosa canzone. La ricerca della scelta giusta è interrotta da un cortocircuito.Ma, è troppo facile risolvere i problemi a colpi di apparizioni miracolose? È un modo per non fare i conti con il reale? Cancella l’autenticità che pensavamo riconoscere nei dubbi di Giuseppe?

E se ci fosse un annuncio di Natale per i dubbiosi, per gli esitanti, per le angosciate e gli angosciati della giusta scelta? Un’alba che si apre sul “non temere” del messaggero, che ci libera dell’ansia del fare o non fare la cosa giusta, e che ci autorizza a rischiare, a sbagliare forse, a generare.

«Ciò che in lei è generato, viene dallo Spirito Santo. Ella partorirà un figlio, e tu gli porrai nome Gesù».

Lo Spirito è Soffio per vivere. Soffio e Spirito esprimono anche la non-padronanza di fronte agli avvenimenti. Niente ci appartiene e tutto ci viene dato,… o ci cade addosso. Eppure, ci viene dato di reagire. Siamo chiamati a interpretare, come si dice del musicista che suona una pagina di bella musica. Maria e Giuseppe sono i primi due interpreti dello spartito della nuova creazione, nella tensione tra non-padronanza umana e capacità di ricevere e accogliere un piano che supera l’umano, che viene dallo Spirito Santo. Maria e Giuseppe hanno dunque una parte attiva negli avvenimenti: rischiare l’interpretazione dello spartito a loro affidato. Maria porterà il figlio e lo darà alla luce. Giuseppe, lui, è invitato a compiere due azioni: prendere Maria come sposa, accogliendola senza reticenze, e dare al figlio il nome di Gesù.

Accogliere e nominare. Accogliere il richiamo dell’origine, del Soffio creatore, Spirito ricreatore che sorprende, interrompe le linearità, anche quella delle genealogie, che indica questo qualcosa di indicibile, «che si compie in un spazio che mai parola ha varcato» ed è presente in ogni vita umana. Nominare, dare il nome e iscriversi così nelle eredità, nelle tradizioni e nelle attese, dando senso e direzione alle nostre filiazioni; osare generare nella storia dei nomi, che richiamano altri nomi e progetti, altri programmi e compiti.

Con queste due azioni, Giuseppe, interpellato come figlio di Davide, riannoda i due fili della nascita di Gesù: vero figlio di Dio che viene dallo Spirito, vero figlio di Davide per la genealogia. E così si adempie la parola del profeta: al figlio partorito «sarà posto nome Emmanuele, che tradotto vuol dire: “Dio con noi”». C’è Natale per i dubbiosi e gli esitanti, per gli angosciati del fare la cosa giusta. Anche noi siamo autorizzate e autorizzati a generare.

Tratto da Riforma.it

sabato 25 dicembre 2021

E' NATALE

 La parola del Natale non si può cogliere o riassumere in fretta,

perché il Natale è un inizio e non è possibile comprenderne
a fondo il significato se non alla luce di tutta la vita di Gesù.
La sua nascita è la nascita di colui che attraverso la sua vita,
la sua morte e la sua risurrezione
ci dice la parola di salvezza di Dio per l’uomo,
il giudizio irrevocabile di Dio sull’uomo,
che è un giudizio di amore.
Questo bambino che comincia a piangere,
ad agitarsi e poi comincerà anche a sorridere,
è l’inizio di questa parola.

Carlo Maria Martini

venerdì 24 dicembre 2021

BUON NATALE

 «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore.  Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce ,adagiato in una mangiatoia».               Lc 2,10-12

 

Auguri di un buon Natale e un sereno anno nuovo


giovedì 4 novembre 2021

PRESENZA E RICORDO DI CHI NON C'E' PIU'

Quando arriva Novembre e in particolare i primi giorni del mese dedicati al ricordo dei nostri cari che ci hanno lasciato, arriva anche un particolare pensiero: "le persone care che ci sono state accanto e non possono più esserci vicine fisicamente, continuano ad accompagnarci in molti modi". Alcuni sostengono di continuare a sentire la loro presenza. Non possiamo più vederle né sentirle ma loro sono nei nostri pensieri e con i loro insegnamenti, uniti ai ricordi, continuano a farci da guida nella vita.

A seconda di ciò in cui crediamo, potremo pensare di rivedere le persone che ci sono state accanto in questa vita in una vita futura o in una vita ‘eterna’. Altri invece pensano che le persone che ormai sono morte possano comunque continuare a manifestarsi nella nostra vita dando vita a dei fenomeni ‘particolari'.


Dato che dal nostro piccolo mondo possiamo sapere ben poco dell’ ‘aldilà‘, non dobbiamo fare altro che provare ad aprire le nostre menti cercando di abbandonare i timori e i pregiudizi. Potrebbe esistere davvero un legame eterno con le persone che ci sono state vicine nella nostra vita, o almeno con le loro anime?

Del resto forse più di una volta ci siamo resi conto di come le persone care del nostro passato ancora oggi continuino ad ispirarci e ad influenzarci, come se fossero ancora presenti e come se ci stessero dando dei suggerimenti utili per la nostra esistenza.

Non importa quali siano il nostro credo, la nostra fede, la nostra religione o le convinzioni che abbiamo, a volte la sensazione che nei momenti peggiori della nostra vita le persone care che hanno fatto parte del nostro passato siano ancora qui ci travolge.

Ogni pensiero e ogni azione della nostra vita hanno delle conseguenze e delle frequenze. Può darsi che a volte le anime delle persone care scompare riescano a ‘sintonizzarsi sulla nostra stessa frequenza’ e a farci sentire la loro presenza. Che sia possibile oppure no, ciò che è certo è che le persone che abbiamo amato le porteremo sempre nel cuore.

giovedì 23 settembre 2021

"EVENU SHALOM ALEJEM" ... LA PACE IN NOI !

 Due giorni fa, il 21 Settembre, abbiamo festeggiato la Giornata Internazionale della Pace. Istituita il 30 novembre 1981 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite tramite la risoluzione 36/67, la Giornata era nata dalla volontà di creare un giorno all’insegna della pace mondiale e della non violenza. Un'ottima idea per un grande progetto, ma sappiamo bene quanto ciò sia ancora molto distante dalla realtà attuale.  Paesi come l’Afghanistan, l’Egitto, la Libia, la Nigeria, vedono ancora oggi scontri a fuoco tra diverse fazioni per motivi religiosi, politici etnici.  Nessuna di noi ha in tasca una soluzione adatta o calzante per ogni situazione : la pace, oltre che una manifestazione o una giornata particolare, è e rimarrà sempre un obiettivo che si deve posizionare davanti ad ogni uomo di buona volontà, un già ma non ancora!

Fra le molte riflessioni ho scelto una poesia di Pablo Neruda, come una preghiera per l'uomo contemporaneo, affinché i conflitti bellici sparsi nel mondo trovino il prima possibile una soluzione: "Ode alla Pace".

Sia pace per le aurore che verranno,

pace per il ponte, pace per il vino,

pace per le parole che mi frugano

più dentro e che dal mio sangue risalgono

legando terra e amori con l’antico

canto;

e sia pace per le città all’alba

quando si sveglia il pane,

pace al libro come sigillo d’aria,

e pace per le ceneri di questi

morti e di questi altri ancora;

e sia pace sopra l’oscuro ferro di Brooklin, al portalettere

che entra di casa in casa come il giorno,

pace per il regista che grida al megafono rivolto ai convolvoli,

pace per la mia mano destra che brama soltanto scrivere il nome

Rosario, pace per il boliviano segreto come pietra

nel fondo di uno stagno, pace perché tu possa sposarti;

e sia pace per tutte le segherie del Bio-Bio,

per il cuore lacerato della Spagna,

sia pace per il piccolo Museo

di Wyoming, dove la più dolce cosa

è un cuscino con un cuore ricamato,

pace per il fornaio ed i suoi amori,

pace per la farina, pace per tutto il grano

che deve nascere, pace per ogni

amore che cerca schermi di foglie,

pace per tutti i vivi,

per tutte le terre e le acque.

Ed ora qui vi saluto,

torno alla mia casa, ai miei sogni,

ritorno alla Patagonia, dove

il vento fa vibrare le stalle

e spruzza ghiaccio

l’oceano. Non sono che un poeta

e vi amo tutti, e vago per il mondo

che amo: nella mia patria i minatori

conoscono le carceri e i soldati

danno ordini ai giudici.

Ma io amo anche le radici

del mio piccolo gelido paese.

Se dovessi morire mille volte,

io là vorrei morire:

se dovessi mille volte nascere,

là vorrei nascere,

vicino all’araucaria selvaggia,

al forte vento che soffia dal Sud.

Nessuno pensi a me.

Pensiamo a tutta la terra, battendo

dolcemente le nocche sulla tavola.

Io non voglio che il sangue

torni ad inzuppare il pane, i legumi, la musica:

ed io voglio che vengano con me

la ragazza, il minatore, l’avvocato, il marinaio, il fabbricante di bambole

e che escano a bere con me il vino più rosso.

Io qui non vengo a risolvere nulla.

Sono venuto solo per cantare

e per farti cantare con me.

domenica 11 luglio 2021

Lettera aperta sul ddl Zan del Consiglio di Presidenza del Coordinamento Teologhe Italiane (CTI)

Ci sono dei momenti in cui è necessario prendere una posizione, anche se in un campo di battaglia disegnato in modo un po’ maldestro, come quello attivato attorno al DdL Zan: da una parte la giusta e sacrosanta istanza di eliminare ogni forma di discriminazione e di violenza omotransfobiche, dall’altro la reazione di chi teme decostruzioni e disordini simbolici. In realtà le cose sono molto più complesse di così e richiederebbero delle precisazioni filosofiche e teologiche. A sottolineare la complessità si prova una strana sensazione e si impone subito una domanda inquietante: vi sembra il caso di mettere i puntini sulle i, quando ci sono di mezzo storie insultate, disprezzate e violentate? Viene in mente allora l’immagine usata da Popper per certi modi di fare filosofia, quando continuamente ci si preoccupa di strofinare gli occhiali per renderli lindi e trasparenti, senza mai inforcarli per vedere che cosa accade intorno a noi. Oppure ci si sente come Piero nella canzone di De Andrè, che mentre si sofferma a pensare alla situazione e al destino dell’uomo che ha di fronte, vestito con la divisa del nemico, si ritrova improvvisamente a terra e poi sepolto in un campo di grano. Tuttavia è scaduto il tempo per gli indugi: sono assolutamente insopportabili e inaccettabili le cattiverie, le chiusure, gli insulti che feriscono le sorelle e i fratelli omosessuali o che affrontano difficili e delicati percorsi psicologici e sanitari per sintonizzarsi con sé stessi e con la loro esperienza intima. È ora di scegliere da che parte stare. Non dalla parte di chi giudica senza capire, non dalla parte di chi vuole controllare la grazia di Dio, non dalla parte di chi teme che le differenze possano corrompere il bene, non dalla parte di una cultura che misura l’amore senza mai riferirsi alla disponibilità di dare la vita per coloro a cui vogliamo bene. I dibattiti a cui abbiamo assistito finora sembrano schiacciati da una concezione misera di pluralità e da una cultura affettiva senza differenze, finendo per mancare l’essenziale: si tratta di nominare come fuori legge tutto ciò che offende, discrimina, emargina e violenta le storie d’amore impreviste, così come abbiamo imparato a condannare tutto ciò che denigra e umilia le persone disabili o le donne (almeno sulla carta). E in questa discussione così difficile, anche noi forse fatichiamo a trovare le parole con le quali esprimere ciò che ci sta a cuore, che è la vita che cerca di fiorire e di donarsi nella sua ricchezza di forme e di differenze. Le parole però vanno trovate, magari imperfette e fragili ma chiare nel significato di comunione con le sorelle e i fratelli omosessuali e transessuali che ora hanno bisogno di tutta la solidarietà possibile. Una volta espressa questa nostra chiara posizione di fondo, ci permettiamo anche di muovere alcune critiche al linguaggio che la proposta di legge ha assunto: è un linguaggio problematico per come usa le categorie di sesso e di genere e per l’antropologia sottesa al testo, che tende a separare, anziché a distinguere, il piano dell’esperienza corporea sessuata da quella più propriamente interpretativa. È come se non si riuscisse a cogliere che l’esperienza corporea è già fin dall’inizio psichica e che l’esperienza interpretativa, personale e sociale insieme, è fin dall’inizio in qualche modo radicata nei corpi. Dovremmo sapere – le donne solitamente lo sanno – che la differenza sessuale è il segno della finitezza di ogni vita che viene al mondo, e che questa differenza è al contempo biologica, psichica, simbolica e sociale e che con tutti questi tratti essa si fa storia. Invece ancora non lo abbiamo capito. È dunque questo lavoro ermeneutico a essere urgente e dovremmo iniziare a farlo nelle scuole, nelle nostre catechesi, nelle nostre famiglie. L’omotransfobia si evita così, con un’educazione alle differenze. Nel frattempo, mentre questa cultura delle differenze è affaticata o impedita da mille ostacoli, non c’è dubbio che ogni resistenza frontale a questa proposta di legge a firma Zan si riveli da sé come una forma di inospitalità verso le vite. Per questo, essa non può che risuonare antievangelica.

martedì 29 giugno 2021

UNA SCELTA LIBERA E IMPEGNATIVA

Contro il razzismo è giusto intervenire convinti, attivamente e a gran voce; ma perché tutti in ginocchio? Black Lives Matter ha lanciato a Euro 2020 una nuova forma di protesta in opposizione all’odio razziale: durante la presentazione ufficiale delle squadre i giocatori sono invitati a inginocchiarsi per segnalare compattamente il loro dissenso da ogni forma di discriminazione.

Un gran 'bel gesto', ma a rischio di essere connotato come obbligo, come abitudine, come gesto per dimostrarsi 'in'. E poi di solito sono i regimi totalitari a imporre gesti e riti collettivi di riconoscimento massificato, mentre le democrazie lasciano spazio alla protesta organizzata, mai comunque formalizzata o semi-forzata (altrimenti che protesta è?) e aprono alla possibilità della modalità individuale di dissenso.


Speriamo che questi cari campioni non pensino di essere dei veri antirazzisti per il solo fatto di assecondare una tendenza creata perché così fan tutti.

Il vero antirazzismo è altro: apertura al diverso, amicizia e accoglienza nei suoi confronti, aiuto economico e sociale a chi giunge profugo scacciato da mondi lontani e violenti, concreta collaborazione affettiva e culturale al suo inserimento, ecc. Bisognerà avere il coraggio di opporsi  con forza alle indegne gazzarre che troppo spesso si verificano negli stadi quando un calciatore di pelle più scura tocca il pallone, con dichiarazioni, gesti concreti di solidarietà, rifiuto di continuare a giocare, se serve!

Un gran 'bel gesto' questo inginocchiarsi, ma soprattutto un grande impegno futuro!

lunedì 28 giugno 2021

IL DDL ZAN NON PUO' ESSERE FERMATO!

Non mi sorprende ma sicuramente mi preoccupa l’iniziativa della Segreteria di Stato vaticana che, tramite l’Ambasciata italiana presso la Santa Sede, avrebbe formalmente chiesto una revisione del Ddl Zan in materia di omotransfobia perché il testo all’esame del Senato violerebbe “l’accordo di revisione del Concordato”.

Nessuno può negare alla Chiesa Cattolica un'opinione in merito al problema, ma non in questi termini che si configurano come una vera e propria interferenza nei confronti della libera determinazione del Parlamento italiano e quindi come una violazione dell’articolo 7 della Costituzione che sancisce che Stato e Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani.

A me sembra che il Ddl Zan non limiti la possibilità della Chiesa cattolica o di altri soggetti di impartire liberamente il proprio insegnamento morale ma vuole punire chi propaganda ovvero istiga a commettere o commette atti di discriminazione fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere o sulla disabilità. La norma, difatti, non limita né sanziona un insegnamento, un precetto o un’idea ma la propaganda o l’istigazione di un atto di discriminazione. Si tratta di una distinzione essenziale e per questo mi permetto di invitare cattolici, Chiesa e Vaticano a considerare questa norma con uno spirito protettivo e amorevole nei confronti delle vittime di discriminazioni fondate sull’orientamento sessuale o sulle disabilità.

Da parte mia mi sento in dovere di esprimere il mio pieno sostegno umano a quanti, per il loro orientamento sessuale o per le loro disabilità, ogni giorno subiscono attacchi, derisioni e violenze. Spero che il Parlamento, nello spirito laico che deve orientarlo valuti con senso di responsabilità e discernimento il testo in discussione e deliberi con l’urgenza imposta dalla gravità del tema: buon lavoro!

mercoledì 23 giugno 2021

LETTERA CONTRO IL RAZZISMO !

 «Dinanzi a questo scenario socio-politico particolare che aleggia in Italia, io, in quanto persona nera, inevitabilmente mi sento chiamato in questione. Io non sono un immigrato. Sono stato adottato quando ero piccolo. Prima di questo grande flusso migratorio ricordo con un po’ di arroganza che tutti mi amavano. Ovunque fossi, ovunque andassi, ovunque mi trovassi, tutti si rivolgevano a me con grande gioia, rispetto e curiosità. Adesso, invece, questa atmosfera di pace idilliaca sembra così lontana; sembra che misticamente si sia capovolto tutto, sembra ai miei occhi piombato l’inverno con estrema irruenza e veemenza, senza preavviso, durante una giornata serena di primavera.

Adesso, ovunque io vada, ovunque io sia, ovunque mi trovi sento sulle mie spalle, come un macigno, il peso degli sguardi scettici, prevenuti, schifati e impauriti delle persone. Qualche mese fa ero riuscito a trovare un lavoro che ho dovuto lasciare perché troppe persone, prevalentemente anziane, si rifiutavano di farsi servire da me e, come se non bastasse, come se non mi sentissi già a disagio, mi additavano anche la responsabilità del fatto che molti giovani italiani (bianchi) non trovassero lavoro.

Dopo questa esperienza dentro di me é cambiato qualcosa: come se nella mia testa si fossero creati degli automatismi inconsci e per mezzo dei quali apparivo in pubblico, nella società diverso da quel che sono realmente; come se mi vergognassi di essere nero, come se avessi paura di essere scambiato per un immigrato, come se dovessi dimostrare alle persone, che non mi conoscevano, che ero come loro, che ero italiano, che ero bianco. Il che, quando stavo con i miei amici, mi portava a fare battute di pessimo gusto sui neri e sugli immigrati, addirittura con un’aria troneggiante affermavo che ero razzista verso i neri, come a voler affermare, come a voler sottolineare che io non ero uno di quelli, che io non ero un immigrato.

L’unica cosa di troneggiante però, l’unica cosa comprensibile nel mio modo di fare era la paura. La paura per l’odio che vedevo negli occhi della gente verso gli immigrati, la paura per il disprezzo che sentivo nella bocca della gente, persino dai miei parenti che invocavano costantemente con malinconia Mussolini e chiamavano “Capitano Salvini”. La delusione nel vedere alcuni amici (non so se posso più definirli tali) che quando mi vedono intonano all’unisono il coro ”Casa Pound”. L’altro giorno, mi raccontava un amico, anch’egli adottato, che un po’ di tempo fa mentre giocava a calcio felice e spensierato con i suoi amici, delle signore si sono avvicinate a lui dicendogli: “goditi questo tuo tempo, perché tra un po’ verranno a prenderti per riportarti al tuo paese”.

Con queste mie parole crude, amare, tristi, talvolta drammatiche, non voglio elemosinare commiserazione o pena, ma solo ricordare a me stesso che il disagio e la sofferenza che sto vivendo io sono una goccia d’acqua in confronto all’oceano di sofferenza che stanno vivendo quelle persone dalla spiccata e dalla vigorosa dignità, che preferiscono morire anziché condurre un’esistenza nella miseria e nell’inferno. Quelle persone che rischiano la vita, e tanti l’hanno già persa, solo per annusare, per assaporare, per assaggiare il sapore di quella che noi chiamiamo semplicemente “Vita”.

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Seid Visin, Gennaio 2019

domenica 20 giugno 2021

RIFUGIATI NEL MONDO ... UNA NAZIONE PIU' GRANDE DELL' ITALIA!

C’è chi una casa, un villaggio, per non parlare di una terra che possa chiamare sua non l’ha mai avuta. Perché il destino si è accanito contro di lui fin da subito e prima ancora che venisse al mondo l’ha condannato a vivere senza una patria. Non stiamo parlando di poche persone. Tra il 2018 e il 2020 nel mondo quasi un milione di bambini sono nati rifugiati, figli di genitori che, per sopravvivere a una guerra o perché perseguitati, sono stati costretti a fuggire dal proprio Paese abbandonando tutto, affetti, lavoro, abitazione. Una condizione, quella di rifugiato, che per molti minori potrebbe durare anni. La cifra emerge dal rapporto annuale Global trends 2020 sulle migrazioni forzate dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr).

Nel 2020, si legge nel rapporto, il numero di uomini, donne e bambini in cerca di salvezza da guerre, violenze, persecuzioni e violazione dei diritti umani è salito fino a quasi 82,4 milioni, il 4% in più rispetto al 2019 quando si arrivò a toccare la cifra, già allora considerata record, di 79,5 milioni.

Se fosse una Paese sarebbe più grande dell’Italia. Di questi, sempre alla fine del 2020, 20,7 milioni si trovavano sotto mandato Unhcr, 5,7 milioni erano rifugiati palestinesi e 3,9 milioni erano venezuelani fuggiti all’estero. 48 milioni di persone erano invece sfollate all’interno del proprio Paese, mentre altri 4,1 milioni erano richiedenti asilo. Le ragazze e i ragazzi sotto i 18 anni rappresentano invece il 42% del totale e, avverte l’Unhcr, sono particolarmente vulnerabili, specie quando le crisi da cui fuggono durano anni. A rendere peggiori le cose se possibile, c’è poi la constatazione che l’emergenza Covid19 non ha certo spinto molti Stati a una maggiore solidarietà verso i rifugiati. Tutt’altro. Nei mesi in cui la pandemia ha toccato il picco, più di 160 Paesi hanno chiuso le loro frontiere e 99 Stati non hanno fatto eccezioni per le persone in cerca di protezione. La conseguenza è che il numero delle richieste di asilo è crollato del 45%, passando da 2 milioni a 1,2 milioni. Per fortuna c’è anche chi ha trovato il modo di garantire l’accesso all’asilo attraverso adeguate misure sanitarie, come screening medici alla frontiera, o quarantena all’arrivo nel Paese. I Paesi che hanno accolto di più sono Usa, Germania e Spagna, mentre quelli da cui proviene il maggior numero di rifugiati sono Venezuela, Afghanistan e Siria. 

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Estratto di Leo Lancari in “il manifesto” del 20 giugno 2021

venerdì 28 maggio 2021

AUGURI AD AMNESTY INTERNATIONAL : GRAZIE DI ESISTERE! ... E DI RESISTERE!

 Esattamente 60 anni fa, l’avvocato inglese Peter Benenson, dopo aver appreso la notizia di due studenti ingiustamente arrestati, lanciò un appello per chiedere la loro liberazione sulle pagine di un quotidiano. La risposta fu travolgente: centinaia di persone scrissero e inviarono lettere, trasformando la frustrazione e l’indignazione in un’azione per chiedere la liberazione dei prigionieri di coscienza.


Quel giorno nacque Amnesty International e da allora le nostre battaglie si sono moltiplicate: in 60 anni abbiamo condotto campagne mondiali contro la tortura e la pena di morte (ormai abolita in oltre metà dei paesi nel mondo) e ci battiamo per i diritti sociali ed economici di tutte le persone.

Da quel giorno, è nata una rete di persone, in ogni angolo del pianeta, accomunate dalla voglia di lottare per un mondo migliore, attraverso azioni e mobilitazioni.

Una rete di persone come te, che lottano per i diritti di persone come te, con l’aiuto di persone come te.

Se una persona è una goccia nel mare, insieme siamo una marea: è grazie alle vostre firme, donazioni e mobilitazioni, infatti, che in 60 anni abbiamo ridato libertà e dignità a oltre 50.000 persone, salvando 3 vite al giorno.

Ricorda. È merito tuo.

#AmnestyIsYou

lunedì 24 maggio 2021

<< Fare l’amore è un’opera d’arte >>

Recenti fatti di cronaca, e soprattutto l’esteso spazio dedicato loro dai media, riguardo a violenze e stupri consumati anche da gruppi di ragazzi hanno certamente scosso molti genitori, diversi educatori e anche le coscienze più o meno consapevoli di molti giovani. Ma rimanere scossi non significa ancora essere spinti a reagire, fino a cercare di valutare questi eventi. Purtroppo oggi, se è vero che questi fatti causano un certo turbamento, ai giovani mancano però le parole per esprimerlo, e alle generazioni che li precedono, a partire dai genitori, manca la capacità di trasmissione dell’esperienza e dell’eventuale sapienza acquisita. L’espressione poetica di un assetato di amore qual è stato Wystan Hugh Auden, “La verità, vi prego, sull’amore”, è una richiesta profonda che abita il cuore umano, un’invocazione forse oggi più che mai presente, ma che non riesce a raggiungere qualcuno che sappia dare una risposta. Si può dire che è cambiato il mondo “erotico”, cioè il mondo delle relazioni d’amore, e dunque anche dell’esercizio sessuale, ma resta vero che il mutamento è nelle forme, non nella sostanza, che consiste sempre in un’umanizzazione dell’animalità che è in noi, che ci costituisce, e che dobbiamo sottomettere, ordinare e rendere capace di relazione. Ognuno di noi intuisce con una certa perspicacia, al di là dei concetti, che la pienezza della vita si ottiene solo nella reciprocità della relazione, nel reciproco e integrale dono di se stessi all’altro. In questo senso noi innestiamo nell’eros tutta la nostra sete abissale di vita, sete del corpo e sete dell’anima. Proprio perché abbiamo sete di vita cerchiamo l’altro, entriamo in relazione con l’altro, conosciamo l’amore e lo celebriamo nella sessualità. “La verità, vi prego sull’amore!” deve essere declinata come: “La verità, vi prego, sulla relazione!”. Noi umani, quando avvertiamo la pulsione sessuale, che è desiderio di vita, rispondiamo a un corpo animale. Gli animali sentono la pulsione in alcuni tempi dell’anno, nei periodi di fertilità, allora si accoppiano e generano. Noi umani invece conosciamo la pulsione con la pubertà, e certo fin da quel momento siamo fisicamente idonei all’accoppiamento e alla generazione, ma che senso avrebbe? Da noi c’è spazio per una dilazione, spazio per un lungo processo in cui disciplinare la sessualità, far maturare il desiderio, distinguerlo dal bisogno. Se viene a mancare questo spazio, da dedicarsi a un’educazione alla relazione, al sentimento e all’amore, allora compare la violenza, lo stupro, il bisogno che non conosce il desiderio e non sa vedere l’altro che ha di fronte nella sua alterità, libertà, dignità di soggetto. E facilmente l’esercizio della sessualità appare allora come possibilità di dominio sull’altro, un consumo del corpo dell’altro, una cosificazione del sesso dell’altro. Non è forse questo ciò che è indotto dalla pornografia così largamente e assiduamente “usitata” da ragazzini ai quali è negato l’accesso a strumenti di discernimento? Resta comunque paradossale che da un lato si inizi la pratica sessuale molto prima rispetto al passato, ma nello stesso tempo sia cresciuta in molti la paura dell’esercizio sessuale, sovente angosciato, mentre in altri si registra una senescenza precoce dei sensi a tal punto che si spegne il desiderio… Per opporre resistenza a queste derive della violenza sessuale e della dissipata giovinezza, incapace di costruire vere storie d’amore, servono insegnanti che facciano segno, certo non per insegnare la tecnica dell’esercizio sessuale ma per indicare come la relazione con l’altro sia necessaria per la pienezza di vita. Fare l’amore è fare un’opera d’arte, con il cuore, la mente, le parole e il corpo.

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di Enzo Bianchi in “la Repubblica” del 24 maggio 2021

lunedì 26 aprile 2021

CONTINUA LA CAMPAGNA DI AMNESTY INTERNATIONAL CONTRO LA PENA DI MORTE

 
Amnesty International si oppone incondizionatamente alla pena di morte, ritenendola una punizione crudeledisumana e degradante ormai superata, abolita nella legge o nella pratica (de facto), da più di due terzi dei paesi nel mondo.

La pena di morte viola il diritto alla vita, è irrevocabile e può essere inflitta a innocenti. Non ha effetto deterrente e il suo uso sproporzionato contro poveri ed emarginati

 è sinonimo di discriminazione e repressione.

Oggi, più di due terzi dei paesi al mondo ha abolito la pena capitale per legge o nella pratica.

Nel 2020 Amnesty International ha registrato 483 esecuzioni in 18 stati, con un decremento del 26 per cento rispetto alle 657 esecuzioni registrate nel 2019. Si tratta del più basso dato registrato nell’ultimo decennio.

  • La pena di morte viola il diritto alla vita. La Dichiarazione universale dei diritti umani e altri trattati regionali e internazionali, che chiedono l’abolizione della pena di morte, riconoscono il diritto alla vita. Un riconoscimento sostenuto anche dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite che, nel 2007 e nel 2008, ha adottato una risoluzione che chiede, fra l’altro, una moratoria sulle esecuzioni, in vista della completa abolizione della pena di morte.
  • La pena di morte è una punizione crudele e disumana. La sofferenza fisica causata dall’azione di uccidere un essere umano non può essere quantificata, né può esserlo la sofferenza mentale causata dalla previsione della morte che verrà per mano dello Stato. Sebbene le autorità dei paesi mantenitori continuino a cercare procedure sempre più efficaci per eseguire una condanna a morte, è chiaro che non potrà mai esistere un metodo umano per uccidere.
  • La pena di morte non ha valore deterrente. Nessuno studio ha mai dimostrato che la pena di morte sia un deterrente più efficace di altre punizioni.
  • La pena di morte è un omicidio premeditato dello stato. Eseguendo una condanna a morte, lo stato commette un omicidio e dimostra la stessa prontezza del criminale nell’uso della violenza fisica. Alcuni studi hanno non solo dimostrato come il tasso di omicidi sia più alto negli stati che applicano la pena di morte rispetto a quelli dove questa pratica è stata abolita, ma anche come questo aumenti rapidamente dopo le esecuzioni.
  • La pena di morte è sinonimo di discriminazione e repressione. Nelle mani di regimi autoritari, la pena capitale è uno strumento di minaccia e repressione che riduce al silenzio gli oppositori politici.
  • La pena di morte non dà necessariamente conforto ai familiari della vittima. Lontana dal mitigare il dolore, la lunghezza del processo non fa altro che prolungare la sofferenza dei familiari della vittima, fino alla conclusione dove una vita viene presa per un’altra vita, in una forma di vendetta legalizzata.
  • La pena di morte può uccidere un innocente. Una difesa legale inadeguata, le false testimonianze e le irregolarità commesse da polizia e accusa sono tra i principali fattori che determinano la condanna a morte di un innocente. In alcuni paesi, il segreto di Stato che circonda la pena capitale impedisce una corretta valutazione di questo fenomeno.
  • La pena di morte infligge sofferenza ai familiari dei condannati. La pena capitale ha effetto sulla famiglia, sugli amici e su tutti coloro che sono vicini al condannato a morte.
  • La pena di morte nega qualsiasi possibilità di riabilitazione. Qualunque sia il metodo scelto per uccidere il condannato, l’uso della pena di morte nega la possibilità di riabilitazione, di riconciliazione e respinge l’umanità della persona che ha commesso un crimine.
  • La pena di morte non rispetta i valori di tutta l’umanità. I diritti umani sono universali, indivisibili e interdipendenti. Derivano da molte e diverse tradizioni nel mondo e sono riconosciuti da tutti i membri delle Nazioni Unite come standard verso i quali hanno accettato di conformarsi. È sull’insieme di questi valori che Amnesty International basa la sua opposizione alla pena di morte.

Appena dopo la fondazione nel 1961, abbiamo iniziato a inviare appelli per fermare le esecuzioni di prigionieri di coscienza. Un lavoro che oggi avviene a prescindere dal reato o dal comportamento sanzionato come reato, e indipendentemente dalla presenza o assenza dell’attenzione dei mezzi di informazione o del pubblico sui singoli casi.

A livello internazionale siamo tra i membri fondatori della Coalizione mondiale contro la pena di morte (World Coalition Against Death Penalty, WCADP) e coordiniamo le attività della Rete asiatica contro la pena di morte (Anti-Death Penalty Asia Network, ADPAN). Dal 2014 collaboriamo con la Task force contro la pena di morte, istituita dal ministero degli affari esteri, affinché il voto biennale sulla moratoria sulla pena di morte all’Assemblea generale delle Nazioni unite raccolga sempre di più il maggior numero di voti favorevoli.

Infine monitoriamo costantemente l’applicazione della pena di morte nel mondo fornendo dati e informazione in una pubblicazione annuale.

Il nostro impegno continuerà fino a quando:

  • i paesi che ricorrono ancora alla pena di morte non sospenderanno immediatamente tutte le esecuzioni;
  • i paesi che hanno già sospeso le esecuzione, non aboliranno questa pena per tutti i reati in maniera permanente;
  • tutte le condanne a morte non saranno commutate in pene detentive.

mercoledì 14 aprile 2021

ESSERI ... LIBERI

<<Possiamo avere un’idea degli atti che meritano propriamente il nome di azioni e non di semplici reazioni, e che per questo esprimono in pienezza la libertà, se pensiamo alle creazioni artistiche e intellettuali come la composizione musicale, la scrittura poetica e letteraria, la pittura e la scultura, il pensiero filosofico e teologico, l’impresa scientifica: manifestazioni del fenomeno umano che non sono concepibili senza mettere in gioco la libertà. Ancor più che l’estetica e la cultura però, l’ambito in cui si manifesta la nostra indipendenza creativa dalla realtà è, a mio avviso, l’etica. Quando in un quartiere degradato dove comandano i criminali e molti sono collusi con la malavita, e dove nel migliore dei casi ci si adatta a una fredda indifferenza verso la giustizia, qualcuno decide di lottare attivamente contro il malaffare, che tipo di azione compie? Quando in un’azienda in cui è risaputo il livello di corruzione dei dirigenti e nessuno parla per non perdere il posto, qualcuno decide di denunciare il malaffare, che tipo di azione compie? Quando in una classe in cui il gruppo dei più forti si accanisce regolarmente contro un ragazzo che ha dei problemi maltrattandolo in vari modi, qualcuno decide di prendere le difese di quel ragazzo, che tipo di azione compie? In tutti questi casi non si tratta di azioni che seguono la corrente, ma di azioni che vanno piuttosto contro la corrente: ora, qual è la forza che in alcuni esseri umani si sprigiona in quei momenti e che permette di risalire la corrente? …
È quindi solo una più limpida capacità di leggere la situazione, da cui discende la visione di un più alto interesse, a condurre un essere umano dalla parte della giustizia quando tutto nel suo ambiente e nella sua emotività lo induce al contrario.
Ne viene che in quelle rare ma reali occasioni in cui esercitiamo la creatività, sia essa teoretica o estetica o soprattutto etica, emerge la nostra capacità di relazionarci in modo diverso rispetto al nostro ambiente: qui si esprime un’indipendenza dalle condizioni interne ed esterne dell’esistere che può generare una creazione spontanea del nuovo e un pensiero che va controcorrente. In chi conduce la sua esistenza secondo questa indipendenza si genera un permanente modo di stare al mondo per descrivere il quale si usa dire che quella persona è uno spirito libero.
Un essere umano però è veramente libero solo se lo è anzitutto da se stesso e dal suo personaggio, o addirittura dai diversi personaggi che la vita gli fa recitare nell’ambito delle variegate situazioni che costituiscono l’intreccio dell’esistenza. E questa libertà di sé rispetto a sé non è per nulla scontata, neppure in coloro che appaiono agli altri come spiriti liberi. Anzi, a questo riguardo occorre considerare che non sono pochi coloro che mirano a passare come supremamente indipendenti rispetto al mondo e alle sue convenzioni, ma finiscono in realtà per essere vittime di una schiavitù interiore verso il proprio anticonformismo ancora più pesante e talora ridicola.>>

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lunedì 12 aprile 2021

SOLIDARIETA'

Ma chi l'ha detto che la solidarietà si fa solo coi soldi? Solo una mentalità come la nostra, sacrilegamente blandita dal culto del Dio denaro, poteva immaginare un simile travisamento! La solidarietà è mettersi in gioco. È essenzialmente dono. Del tempo, dei talenti, delle sensibilità, delle competenze, della professionalità. Nell'inondazione delle giornate nazionali e mondiali, ieri si è celebrata quella della donazione di organi e tessuti. Una solidarietà post mortem che si decide oggi. Nella logica del seme che muore donando la vita. In questo caso a chi ha bisogno di un fegato nuovo, di cornee e di reni. Una questione tanto delicata che persino la malavita internazionale ha pensato di avviare un "ramo di attività" nel redditizio traffico d'organi umani. Ragione in più per esserci: estinguere l'appetito mafioso da questo che appare come il più turpe di tutti i traffici illeciti. Guai a pensare che "passata la festa, gabbato lo santo" perché la Giornata ha il solo scopo di ricordarci che ogni giorno è quello buono per sottoscrivere l'atto di volontà di donazione che si può scaricare dal sito web dell'AIDO (Associazione italiana per la donazione di organi, tessuti e cellule) e allargare il confine della solidarietà. 

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Tonio Dell’Olio in “www.moasicodipace.it”

giovedì 1 aprile 2021

BUONA PASQUA!

 


" Non vi preoccupate, perché, sempre e dovunque, dopo una notte lunga, fredda e scura, appare una luce incredibile, inaspettata e illuminante: Buona Pasqua a tutti! "

lunedì 29 marzo 2021

MOVIMENTO DI RIFORMA MARIA 2.0

Elisabeth Kötter e Andrea Voss-Frick, promotrici del movimento ecclesiale di riforma tedesco Maria 2.0, fondato nel 2019 per promuovere una maggiore partecipazione e diritti per le donne nella Chiesa cattolica, intendono lasciare la Chiesa cattolica come istituzione di diritto pubblico, pur restando cattoliche. Ne hanno dato notizia il 25 marzo all'Evangelical Press Service (EPD). È impossibile cambiare le gerarchie e le strutture di potere nella Chiesa, ha spiegato Voss-Fricke. Come dimostrano i casi di violenza sessuale da parte di sacerdoti, gli interventi della Congregazione per la Dottrina della Fede nel processo del Cammino Sinodale, con cui la Conferenza episcopale tedesca (DBK) e il Comitato centrale tedesco I cattolici (ZdK) cercano di attuare riformee, più recentemente, il divieto di benedire le coppie omosessuali.

Elisabeth Kötter cita ragioni personali di coscienza per il suo abbandono. Chiunque continui a fare parte di questo sistema, ha detto, è «colpevole di complicità», ha detto. Con Andrea Voss-Frick, tuttavia, vuole continuare a essere coinvolta nella sua comunità di origine a Münster e contribuire al dialogo interreligioso nella regione. Le due donne restano anche con Maria 2.0 perché, sostengono, «siamo ancora Chiesa».

Recentemente, il movimento di protesta ha fatto scalpore con l’affissione di sette tesi in più di 1.000 chiese tedesche. Le donne chiedono, tra le altre cose, «una Chiesa che promuova l’equità di genere con accesso per tutte le persone a tutti gli uffici, nonché educazione e lotta alle cause della violenza sessuale».

Nel 2019 sono usciti dalla Chiesa cattolica tedesca 272.771 fedeli, circa il 26,2% in più rispetto all’anno precedente (216.078), su un totale di 22,6 milioni. Secondo un recente sondaggio, l'82% di 2.000 intervistati ritiene che la Chiesa abbia perso credibilità negli ultimi mesi, soprattutto per mancanza di trasparenza nella questione degli abusi; il 28 per cento degli 835 intervistati che sono attualmente membri della Chiesa cattolica o protestante (dunque in sostanza uno su quattro) ha dichiarato di stare attualmente valutando la possibilità di lasciare.

In Germania, in ragione della forte ingerenza tra Chiesa e Stato, i contributi fiscali destinati alla confessione religiosa (denominati Kirchensteuer nel caso della Chiesa cattolica e protestante e finalizzati a mantenere i luoghi di preghiera, le strutture e il clero) vengono riscossi dall'anagrafe tributaria. L'imposta per il culto fu concessa alle Chiese in virtù del loro riconoscimento come istituzione di diritto pubblico. Per abbandonare formalmente  la Chiesa è dunque sufficiente una procedura di "disiscrizione" dai registri: la scelta di non adempiere più agli obblighi fiscali, infatti, viene comunicata ai competenti organi che provvedono ad annullare i sacramenti ricevuti, cancellando i nominativi dal registro battesimale.

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Estratto da Adista.it

mercoledì 17 marzo 2021

Responsum della Congregazione per la Dottrina della Fede ad un dubium circa la benedizione delle unioni di persone dello stesso sesso, 15.03.2021

La Chiesa cattolica ha fatto sapere che i suoi sacerdoti non potranno dare alcuna forma di benedizione a una coppia di persone dello stesso sesso sposata oppure legata da una unione civile. Lo dice una nota della Congregazione per la dottrina della fede, l’organo interno della Chiesa che dirime le questioni sulla dottrina cattolica.

La motivazione per cui la Congregazione della dottrina della fede ha respinto la possibilità di benedire le unioni omosessuali riguarda il fatto che, «quando si invoca una benedizione su alcune relazioni umane occorre […] che ciò che viene benedetto sia oggettivamente e positivamente ordinato a ricevere e ad esprimere la grazia, in funzione dei disegni di Dio iscritti nella Creazione e pienamente rivelati da Cristo Signore. Sono quindi compatibili con l’essenza della benedizione impartita dalla Chiesa solo quelle realtà che sono di per sé ordinate a servire quei disegni».


Non ho alcuna voglia di commentare questa “nota”. Siamo nella solita situazione del “o con me o contro di me”, o meglio , diversamente dalle indicazioni del Concilio Vaticano II, “ se vuoi salvarti, vivi e opera secondo le mie parole”. Insomma sono indicazioni che derivano dal piano dottrinale della Chiesa Cattolica Romana e che già abbiamo ascoltato in riferimento a molti altri temi. E’ l’ennesimo muro contro muro. Però un’osservazione la voglio aggiungere. Quando nei Vangeli si racconta l’episodio del miracolo dei pani e dei pesci, è Gesù stesso che alzando gli occhi al cielo chiede la “benedizione di Dio” su quella folla stanca e affamata. Non si pone il dubbio se tra quelle folle ci fosse qualcuno indegno o gay o lesbica o divorziato o … C’era una necessità urgente che richiedeva l’aiuto divino, che non si è messo a frazionare le persone ma il pane e i pesci perché tutti ne avessero una parte. La benedizione viene da Dio, e grazie a Dio non dipende dalla persona che benedice.


mercoledì 10 febbraio 2021

PROPOSTE PER UNA "POTENZA ITALO/EUROPEA DI PACE"

La Rete italiana Pace e Disarmo ha elaborato un documento con 12 progetti come contributo al processo di formazione del programma “Next Generation Italia”: possono sicuramente essere e diventare  un’occasione per realizzare politiche di “pace e disarmo”.  Sono proposte precise, concrete e realizzabili, per superare la visione nazionale, per una politica estera che guardi all'Italia, ma ancor più all’Europa come “potenza di pace”.


PROPOSTA 1 : Una nuova politica estera che definisca come interesse nazionale il co-sviluppo con i popoli del sud e la soluzione negoziata dei conflitti

PROPOSTA 2 : Spostamento consistente dei fondi dalle missioni militari all’estero verso la cooperazione e gli aiuti allo sviluppo.

PROPOSTA 3 : Inserire come obiettivo del PNRR la riconversione dell’industria militare all’industria civile, con fondi per lo sviluppo locale sostenibile.

PROPOSTA 4: Istituire l’Agenzia Nazionale per la riconversione, dotandola di fondi necessari per ricerche e studi. 

PROPOSTA 5 : Nel fondo per le “strategie territoriali” relativo al territorio del Sulcis occorre considerare come azione prioritaria la riconversione della produzione di armamenti.

PROPOSTA 6 : Promuovere la Difesa Civile non armata e Nonviolenta, riattivando il percorso di discussione e di approvazione della proposta di legge di origine popolare: una riforma organica del sistema di difesa del nostro paese, in ottemperanza con gli articoli 11 e 52 della Costituzione.

PROPOSTA 7 : Inserire nelle opportune Missioni del PNRR le politiche della Difesa civile e nonviolenta che comprenderanno i Corpi civili di pace e l’Istituto di ricerche sulla Pace e il Disarmo e avranno forme di interazione e collaborazione con il Dipartimento della Protezione civile, il Dipartimento dei Vigili del Fuoco ed il Dipartimento per le politiche giovanili e il Servizio Civile Universale.

PROPOSTA 8 : Mantenere il Servizio Civile Universale nell’ambito delle azioni di “Infrastrutture sociali, famiglie, comunità e terzo settore” per valorizzare appieno il ruolo chiave che il Terzo Settore svolge nel sistema del SCU e l’impatto dei giovani volontari nelle comunità. 

PROPOSTA 9 : Potenziamento e stabilizzazione del contingente annuo del Servizio Civile Universale: i 250 milioni chiesti all’Europa che si aggiungono ai 400 stanziati per il 2021 e il 2022 dal Governo devono significare contingenti di 80.000 opportunità all’anno per una stabilizzazione vera.

PROPOSTA 10 : Valorizzazione delle competenze acquisite dai giovani nell’anno di servizio civile universale. L’Italia e l’Unione Europea hanno tutto da guadagnare da giovani generazioni che sono consapevoli delle competenze (civiche, trasversali e professionali) di cui sono portatrici.

PROPOSTA 11 : L’educazione alla pace, alla nonviolenza e al rispetto dei diritti umani venga inserita nei programmi scolastici a tutti i livelli – dall’infanzia all’Università.

PROPOSTA 12 : L’educazione alla pace, alla nonviolenza e al rispetto dei diritti umani abbia uno spazio nella programmazione dei canali radio-televisivi pubblici, prevedendo di inserire nel Consiglio di Amministrazione RAI e la Commissione Parlamentare di Vigilanza della RAI una figura competente per la promozione dell’Educazione alla pace.

martedì 9 febbraio 2021

E' "DIVORZIO" FRA ENZO BIANCHI E LA COMUNITA' DI BOSE

Un'altra clamorosa svolta nel caso che da anni contrappone fr. Enzo Bianchi, fondatore ed ex priore della Comunità di Bose, al resto della comunità. Dopo il Decreto "singolare", del 13 maggio 2020, a firma del cardinale Segretario di Stato, Pietro Parolin, e approvato in forma specifica da papa Francesco, con il quale, per gravi motivi comunicati in via riservata ai singoli destinatari, si disponeva, tra l’altro, che fr. Enzo Bianchi si ritirasse dalla Comunità Monastica di Bose, ora padre Amedeo Cencini, delegato pontificio ad nutum Sanctae Sedis e già visitatore apostolico della stessa Comunità, ha emanato il 4 gennaio scorso, un nuovo decreto.

Ne dà notizia lui stesso, con un comunicato di ieri, evidentemente preoccupato di dare il maggiore risalto possibile alla decisione pontificia, affinché questa volta non sia disattesa.

La ragione di questo nuovo intervento pontificio risiede infatti proprio nel fatto che Bianchi avrebbe dovuto, "non oltre il termine di dieci giorni dalla data di notifica del medesimo Decreto (avvenuta il 21 maggio 2020)", trasferirsi "per un tempo indeterminato e senza soluzione di continuità" in un monastero o in altro luogo; eppure, "trascorsi ormai più di otto mesi dalla data in cui fr. Enzo Bianchi avrebbe dovuto eseguire quanto disposto dal Decreto, che aveva accettato per iscritto; dopo non pochi tentativi volti a rendere più agevole a fr. Enzo Bianchi l’obbedienza al Decreto, operati dal Delegato Pontificio, in forza del mandato ricevuto dalla Santa Sede, tenendo conto delle esigenze da lui espresse, nel rispetto della giustizia e, soprattutto, della sofferenza di tutte le persone coinvolte", il trasferimento non è ancora avvenuto. 

La decisione pontificia assunta lo scorso 4 gennaio è questa: poiché Maometto non va alla montagna, ossia Bianchi non lascia Bose, sarà la montagna ad andare da Maometto. E quindi Bianchi dovrà trasferirsi in un altro dei monasteri della comunità, che sarà però scorporato e non potrà più essere considerata una struttura della della Comunità di Bose. La struttura individuata si trova a Cellole di San Gimignano, in provincia di Siena (gli altri monasteri, oltre che a Bose, si trovano a Ostuni, Assisi, Civitella San Paolo e Gerusalemme).

Per questo, "il Delegato Pontificio, sentito il Priore di Bose, Fr. Luciano Manicardi, che ha raccolto anche il parere del Discretorio della Comunità, dopo aver consultato S.E. Mons. Alberto Silvani, Vescovo di Volterra, nella cui Diocesi si trova la Fraternità Monastica di Bose a Cellole, e dopo aver ricevuto il benestare del Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato, ha emanato un Decreto (notificato l’8 gennaio) nel quale ha richiesto alla Comunità monastica di Bose di: 1) interrompere a tempo indeterminato i legami con la “Fraternità Monastica di Bose a Cellole”, sita in località Cellole di San Gimignano (SI), la quale pertanto è stata chiusa e non può essere considerata come “Fraternità della Comunità Monastica di Bose”, "fino a quando non si deciderà altrimenti".

Il decreto, datato 8 febbraio, dispone ora che la fraternità di Cellole non potrà più chiamarsi “Fraternità Monastica di Bose”, “Monastero di Bose”, o simili, nella pubblicistica, nella cartellonistica, nei siti internet. Bose, inoltre, dovrà "cedere in comodato d’uso gratuito il complesso di immobili di Cellole a Fr. Enzo Bianchi, che vi si trasferirà entro e non oltre martedì 16 febbraio p.v., avendo già dato il suo assenso al riguardo, assieme ad alcuni fratelli e sorelle che hanno manifestato la propria disponibilità ad andare con lui e si troveranno nella condizione di membri della Comunità Monastica di Bose extra domum".

Si tratta quindi di una "scissione". Il monastero dove si trova Bianchi, che verrà raggiunto da alcun fedelissimi, diventerà una nuova realtà distinta da quella di Bose. Per il resto, sottolinea il decreto, "restano ferme tutte le disposizioni del Decreto singolare del 13 maggio 2020, anche quelle riguardanti gli altri destinatari, ossia fr. Goffredo Boselli, fr. Lino Breda e sr. Antonella Casiraghi", ossia l'ex segretario della comunità, l'ex responsabile della liturgia e l'ex sorella responsabile generale, le tre persone più vicine all'ex priore.

"Si è ritenuto doveroso dare questa pubblica comunicazione - conclude il decreto di padre Cencini - per rendere noto il mutato status della già “Fraternità monastica di Bose a Cellole”, al fine di "evitare qualsiasi confusione e ambiguità in merito".

Immediata, dopo la divulgazione del comunicato di padre Cencini, la reazione della fraternità di Bose: "Dal giugno dello scorso anno, la Comunità ha atteso invano che fr. Enzo Bianchi obbedisse al Decreto singolare del 13 maggio, approvato in forma specifica da papa Francesco che, per il bene della Comunità, disponeva tra gli altri provvedimenti anche il suo allontanamento a tempo indeterminato da Bose e dalle sue Fraternità. In questi lunghi mesi il Delegato Pontificio p. Amedeo Cencini ha operato non pochi tentativi volti a rendere più agevole a Fr. Enzo Bianchi l’esecuzione del suddetto Decreto, agendo secondo la pazienza insegnata dal Vangelo, in forza del mandato ricevuto dalla Santa Sede, nel rispetto della giustizia e, soprattutto, della sofferenza di tutte le persone coinvolte.

Siccome tra le motivazioni addotte da fr. Enzo Bianchi per sottrarsi alla fattiva esecuzione del Decreto e spiegare il suo restare a Bose, nei medesimi locali da lui abitati da oltre un decennio, vi era l’indisponibilità a recarsi in un altro monastero e l’asserita impossibilità a trovare un altro luogo adeguato, la Comunità ha acconsentito alla richiesta suggerita dal Delegato pontificio di rinunciare alla propria Fraternità di Cellole, richiamando a Bose o in altre sue Fraternità i fratelli fino ad oggi presenti a Cellole e cedendo in comodato d’uso quegli immobili, così che fr. Enzo vi si possa trasferire prima dell’inizio della Quaresima, accompagnato da alcuni membri professi che – nella condizione canonica di extra domum ed esonerati dal divieto, disposto dal Decreto singolare, di intrattenere rapporti con fr. Enzo – possano rendere sostenibile la sua permanenza in quel luogo, scorporato ormai “da Bose e dalle sue Fraternità”. Una decisione per noi ardua e carica di sofferenza, ma purtroppo inevitabile e non ulteriormente procrastinabile"

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Da "Adista.it"

martedì 2 febbraio 2021

DAL MONASTERO DI BOSE : LETTERA DI ROBERTA DAPUNT

 Cara umanità.

Non per mio diritto, ma per condivisione, accoglimi in questa lettera. Ho la solitudine dentro e fuori, e tu così lontana qui in mezzo alle parole. Lo spazio tra noi due è un infinito vuoto, la distanza tra l’io e il noi un’estensione tale da non poter essere misurata. Eppure, mentre tu non sai di me, io so di te ogni giorno e ogni notte e ti vedo allo specchio ogni mattina, primo sguardo.

La chiara coscienza è per me guardare dalla finestra. Mi diventa ogni anno più difficile la neve. Direi che stento nelle relazioni sociali con l’inverno. Credo sia per troppa similitudine noi due. Così mi succede che stento ad uscire di casa. Lo guardo dalla finestra, come del resto anche l’estate. Ma è solo dipendenza da me stessa, dell’Io rispetto alle esigenze del mondo esterno, oppure viceversa. Ora, questa è quotidianità di una voce che cerca distanza per mantenere una posizione di centro nei versi che scrive. Al di là, tu. E la tua condizione e le tue qualità, crudeltà e intelletto, fragilità e costanza, la pietà e l’imperfezione. Splendido e triste saperti insieme, imparo nell’accettazione e nel rifiuto. E mi creo a tua immagine e somiglianza, giorno per giorno guardandomi ti comprendo, secondo sguardo.

Il tuo nome, amo il nome semplice delle mie figlie. Ti chiamo Anna e ti chiamo Maria, e poi ti chiamo Giovanni e ti chiamo Elia e posso chiamarti in lingue differenti, differenti radici e affondare la voce, le mani nel tuo sacro terreno e prosperare in confluenze diverse, così diverse da far dimenticare le deformità e le brutture, le tue, quelle che appartengono a te solamente. Aprire le braccia, chiamarti nome per nome e udire rispondermi:

presente, presente, terzo sguardo.

Insieme e col pianto concorde, ti chiedo un pianto solo, tra commozione e dolore la sinfonia di un lamento comune, per comune sentire. E diventare il canto triste degli uccelli a disagio, il suono di uno strumento musicale in mano alla malinconia, il soffio dei venti, quello di tutti i mari, la condivisione delle genti sole e prendere parte al dolore di chi conosce il dolore. Un unico accordo, la nenia di un solo lamento. E capire, capire, quarto sguardo.

E se non sai, se tu non comprendi, io ti perdono, poiché è me che non devo perdonare, io che ogni giorno colmo il mio essere di infelicità propria, la debole coscienza e la superbia nell’atteggiamento di me che mi preoccupo di me stessa, della mia utilità a vantaggio di me soltanto. Inutile stare è fissare il sasso, poiché è vero, non sono diversa da lui. È l’indifferenza la mala pianta di quest’epoca, le radici che hai sviluppato penetrando il suolo dell’estrema povertà, dello squallore e le desolazioni che non hanno conforto, quinto sguardo.

E ancora tu, narrante Io, colei che scrive,

ancora e solamente io, sesto sguardo.

Tu che hai bisogno di una conferma,

in questo specchio l’anima che vedi ti riguarda.

Ti riguarda questo esercizio sterile, la visione di te,

la tua storia. Qui attraverso non sei diverso,

seppure la tua destra diventi sinistra,

luminoso solo se illuminato.

E ti credi altro da te, rovesciata esistenza

e la domanda: cosa guardi? Cosa vedi?

Vedi uno, nessuno e centomila

che si ripetono e si ripetono le storie,

la conoscenza di te in doppia misura,

posta accanto per servire al medesimo scopo

verità e menzogna. Poco oltre le civiltà, i miti,

l’umanità carnefice, i vinti.

E vedi nello specchio entrare la vanità e l’orgoglio,

dallo specchio uscire in triste solitudine entrambi

e malgrado ciò non poterne fare a meno.

È un povero augurio il mio, scarsa previsione di eventi lieti e felici, poiché in questo preciso istante muoiono le genti. Muoiono ora e questo momento non è passato, è adesso. Così finiscono e iniziano da capo i tristi capitoli che non possiedono la chiusa di un tempo. Fino a quale alba faranno la conta dei giorni le processioni dei miserabili? Scorrono, come sangue nelle vene le generazioni eroiche tra i labili attimi di bene. E in queste poche paci, rare assenze di morte, noi che ogni volta ancora, sediamo in uno spazio riservato al pubblico, che da uguale divano in ogni guerra al racconto della storia per minuti proviamo orrore. Esterni uditori di pianti siamo, gli indolenti, settimo sguardo.

Ecco. Io ti auguro di non incontrare l’indifferenza, male peggiore nel corso di qualunque esistenza. Ti auguro commozione, tremore di cuore, scossa. E che le aspirazioni della tua età vedano i figli ridenti nascere, perché il mondo li vuole. Perché davanti a loro tu stirerai qualunque divisa, pulirai le tue scarpe, eretto corpo, rivolgerai lo sguardo in avanti. E che i libri, i libri più adulati diventino scritture rare, dalla loro carta il profumo della tua compassione. Ti auguro di aspirarla, respirarla, in virtù del cuore e ancora di più, della ragione.

RD

I2021       ©Roberta Dapunt - Diritti riservati

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Roberta Dapunt è nata nel 1970 a Badia, dove vive e lavora. Ha pubblicato le raccolte di poesia OscuraMente (1993), La carezzata mela (1999), La terra più del paradiso (Einaudi, 2008), Le beatitudini della malattia (Einaudi, 2013) e Sincope (Einaudi, 2018). Oltre all'italiano ha utilizzato nelle sue opere la lingua ladina.

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