TESTIMONI
: “Ida Desandrè”
<<Mi chiamo Ida Desandrè,
sono nata ad Aosta il 10 ottobre del 1922. Sono stata arrestata nel
mese di luglio del 1944 dai fascisti, rinchiusa prima nelle caserme
militari di Aosta, poi nella prigione di Aosta. In seguito sono stata
a Torino, nelle Carceri Nuove, di passaggio a San Vittore a Milano,
poi trasferita a Bolzano. Dopo essere stata nel campo di
concentramento di Bolzano per una ventina di giorni, sono partita per
la Germania. Il primo posto è stato il campo di Ravensbrück, dove
ho fatto la quarantena, poi sono stata trasferita in un campo di
lavoro situato nella località di Salzgitter. Sono rimasta in questo
campo sino verso la metà di aprile, poi sono stata trasferita
un'altra volta e sono finita nel campo di Bergen Belsen, dove sono
stata infine liberata il 5 maggio 1945 dalle truppe inglesi.>>
La storia di questa donna che ha
cominciato a narrare della sua drammatica esperienza solo dal 1976,
se da una parte ribadisce reazioni, sensibilità e denunce ascoltate
più volte da tutti i deportati, dall’altra dice con scarna
testimonianza della specifica spersonalizzazione della donna nella
vicenda concentrazionaria. Come tutti i deportati, a lungo e per
circa trent’anni, non è riuscita a parlare: la straordinaria
gratuità della sofferenza patita, l’annientamento della
personalità, l’offesa alla dignità dell’uomo erano di tale
livello da non essere proponibili ad orecchie disponibili
all’ascolto; non è riuscita a credere che qualcuno potesse
prestare fede alla sua memoria colpita dalla violenza. Come tutti i
deportati ha subito umiliazioni e degradazioni del vissuto personale,
ha sofferto la fame più orribile, ha vissuto il terrore dei forni
crematori, ben visibili da tutte le parti frequentate nel lager.
Tuttavia rimane, in questa donna, la
capacità di analisi spietata e concreta della particolare
umiliazione della donna. In un contesto culturale di riservatezza,
tutta la vita di Ravensbruck era fatta di offesa alla femminilità.
La donna era letteralmente spogliata della sua identità e colpita
soprattutto nei suoi ritmi di vita; veniva omologata alla volgarità
ed all’abiezione. Era un’ ulteriore sofferenza vedersi nuda
davanti ad estranei, visitata ed esposta senza rispetto della sua
corporeità e del suo pudore.
Colpisce, con la forza di un’emozione
resa stupefacente dal ricordo diretto, la crudeltà sofferta dalla
donna/madre. Ida Desandré racconta, con un ritmo tanto incalzante
quanto essenziale di donne incinte fatte partorire anzitempo per
controllare la resistenza dei neonati, pressoché abortiti, al freddo
ed alla fame. Colpisce la capacità di evocare la specifica offesa
alla maternità abbandonata alla ferocia di aguzzini impazziti.
Non stupisce che di tanta infamia, le
vittime non siano riuscite a parlare a lungo perché non si può
credere ad una ferocia disumana tanto cruenta da parte di uomini
fatti belve impazzite. Eppure anche nella contemporaneità, stiamo
assistendo ad un ripetersi di atteggiamenti che, alla fine e
purtroppo, rendono anche più drammatica la testimonianza dei tanti
deportati ancora viventi.
Drammatica ed anche più credibile;
certe aberrazioni potrebbero ripetersi e, lo constatiamo tutti i
giorni, si ripetono sotto i nostri occhi. I media non ci risparmiano
le immagini della loro tremenda attualità.
Eppure non mancano taluni che vorrebbero negare la violenza di ieri e
magari giustificare quella di oggi.
A.B.
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