mercoledì 27 gennaio 2016

TESTIMONI : “Ida Desandrè”

<<Mi chiamo Ida Desandrè, sono nata ad Aosta il 10 ottobre del 1922. Sono stata arrestata nel mese di luglio del 1944 dai fascisti, rinchiusa prima nelle caserme militari di Aosta, poi nella prigione di Aosta. In seguito sono stata a Torino, nelle Carceri Nuove, di passaggio a San Vittore a Milano, poi trasferita a Bolzano. Dopo essere stata nel campo di concentramento di Bolzano per una ventina di giorni, sono partita per la Germania. Il primo posto è stato il campo di Ravensbrück, dove ho fatto la quarantena, poi sono stata trasferita in un campo di lavoro situato nella località di Salzgitter. Sono rimasta in questo campo sino verso la metà di aprile, poi sono stata trasferita un'altra volta e sono finita nel campo di Bergen Belsen, dove sono stata infine liberata il 5 maggio 1945 dalle truppe inglesi.>>

La storia di questa donna che ha cominciato a narrare della sua drammatica esperienza solo dal 1976, se da una parte ribadisce reazioni, sensibilità e denunce ascoltate più volte da tutti i deportati, dall’altra dice con scarna testimonianza della specifica spersonalizzazione della donna nella vicenda concentrazionaria. Come tutti i deportati, a lungo e per circa trent’anni, non è riuscita a parlare: la straordinaria gratuità della sofferenza patita, l’annientamento della personalità, l’offesa alla dignità dell’uomo erano di tale livello da non essere proponibili ad orecchie disponibili all’ascolto; non è riuscita a credere che qualcuno potesse prestare fede alla sua memoria colpita dalla violenza. Come tutti i deportati ha subito umiliazioni e degradazioni del vissuto personale, ha sofferto la fame più orribile, ha vissuto il terrore dei forni crematori, ben visibili da tutte le parti frequentate nel lager.
Tuttavia rimane, in questa donna, la capacità di analisi spietata e concreta della particolare umiliazione della donna. In un contesto culturale di riservatezza, tutta la vita di Ravensbruck era fatta di offesa alla femminilità. La donna era letteralmente spogliata della sua identità e colpita soprattutto nei suoi ritmi di vita; veniva omologata alla volgarità ed all’abiezione. Era un’ ulteriore sofferenza vedersi nuda davanti ad estranei, visitata ed esposta senza rispetto della sua corporeità e del suo pudore.
Colpisce, con la forza di un’emozione resa stupefacente dal ricordo diretto, la crudeltà sofferta dalla donna/madre. Ida Desandré racconta, con un ritmo tanto incalzante quanto essenziale di donne incinte fatte partorire anzitempo per controllare la resistenza dei neonati, pressoché abortiti, al freddo ed alla fame. Colpisce la capacità di evocare la specifica offesa alla maternità abbandonata alla ferocia di aguzzini impazziti.
Non stupisce che di tanta infamia, le vittime non siano riuscite a parlare a lungo perché non si può credere ad una ferocia disumana tanto cruenta da parte di uomini fatti belve impazzite. Eppure anche nella contemporaneità, stiamo assistendo ad un ripetersi di atteggiamenti che, alla fine e purtroppo, rendono anche più drammatica la testimonianza dei tanti deportati ancora viventi.
Drammatica ed anche più credibile; certe aberrazioni potrebbero ripetersi e, lo constatiamo tutti i giorni, si ripetono sotto i nostri occhi. I media non ci risparmiano le immagini della loro tremenda attualità.
Eppure non mancano taluni che vorrebbero negare la violenza di ieri e magari giustificare quella di oggi.

A.B.

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