giovedì 25 giugno 2020

LA FEDE E' PERSA O IN FASE DI RECUPERO?

Da decenni si continua a dire che la religione è in crisi. E ora, con la pandemia del coronavirus, la crisi religiosa è diventata più evidente e sfacciata. Si abbandonano le cerimonie, i costumi e le pratiche religiose (messe, battesimi, matrimoni, processioni ...); si stanno lasciando vuoti i seminari e i conventi, ecc. ecc. Il fatto è evidente e non ammette discussioni. E non mi interessa neppure pensare in continuazione alle ragioni che possano spiegare perché questo collasso religioso si sta verificando. Forse non mi importa e non mi interessa questa crescente crisi del “fatto religioso”? Niente di tutto ciò. Sono interessato. E molto. Succede che vedo l’intera questione a partire da un altro punto di vista. La religione non sta scomparendo. Si sta spostando. Sta uscendo dai templi. Sta sfuggendo di mano ai preti. Si svincola dal “sacro”. E ogni giorno che passa, la vediamo e la avvertiamo in modo sempre più palpabile nel “profano”. Il centro della religione non sta più “nel tempio”, sta “nella vita”. E nella difesa, nella protezione della vita e nella capacità di darle dignità. Inoltre, la religiosità sta nel progetto di vita e nel modo di vivere che ognuno assume, fa suo e mette in pratica...
Cosa faceva Gesù? Cosa ci dice il Vangelo? Gesù non ha parlato di templi o conventi e non ha organizzato una religione come quella che abbiamo. Se il Vangelo ha ragione, ricordiamo ciò che Gesù disse a una donna samaritana: “Credimi, donna, viene l’ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre….viene l’ora - ed è questa - in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità” (Gv 4, 21-24). Gli esperti discutono il significato esatto di questo testo. Di sicuro Gesù afferma che l’adorazione di Dio non è associata a un luogo specifico. Che tu abbia un tempio o meno, la cosa veramente importante è la rettitudine, l’onestà, la bontà, la lotta contro la sofferenza e lo sforzo di umanizzare questo mondo e questa vita. È questo ciò che stiamo vivendo? È questo ciò che la gente applaude? È questa la nuova svolta che (a partire dal modo di essere e di vivere di papa Francesco) sta avendo la Chiesa? La cosa più logica è pensare che la religione non affondi. Si sta spostando. E mi sembra che sta lasciando il tempio. E sta recuperando il Vangelo. Non come credenza religiosa (questa la conoscevamo bene), ma come stile di vita. Uno stile di vivere da cui siamo molto lontani. E che è urgente recuperare il prima possibile.
_______________________________________________________________________
Estratto di José María Castillo in “Religión Digital” - (www.religiondigital.com) – del 24 giugno 2020

giovedì 18 giugno 2020

IL PREZZO DELL’UOMO

Quanto vale la vita di un uomo? Che prezzo ha? Quanto si è disposti a spendere per la sua salute? La pandemia ha reso attuali i drammatici interrogativi che accompagnano la storia dell’umanità dalle sue origini. I bollettini che documentavano quotidianamente l’espandersi del virus erano ogni giorno un doloroso elenco di morti, dapprima centinaia, poi migliaia, decine di migliaia, centinaia di migliaia… una strage. Perché? Certo, su queste morti, hanno influito la sorpresa e l’aggressività di questo virus, ma bisogna domandarsi anche se le strutture ospedaliere, e tutta la sanità, anziché essere sistematicamente smantellate, con tagli al personale, ai macchinari, fosse stata negli anni potenziata, forse ci sarebbe stato un esito diverso? Si continuano a finanziare forze di morte come gli armamenti, mentre indispensabili macchinari salvavita non sono sufficienti per tutti ma solo di pochi. E i medici si sono trovati di fronte all’atroce dramma di dover decidere chi salvare e chi lasciar morire, immolato sull’altare di mamona, l’interesse che da sempre richiede sacrifici umani. Una triste conferma che quando l’economia prevale sul benessere dell’uomo, quando la Borsa è più importante della salute, quando l’attività industriale non può essere fermata, anche se si sa che causerà delle vittime, la bilancia penderà sempre a favore dell’interesse economico a scapito del bene dell’uomo. Quanto vale dunque un uomo, la sua libertà, la sua salute? Qual è il prezzo che si è disposti a pagare?

Nella Bibbia, si legge che Giuseppe fu venduto come schiavo dai suoi stessi fratelli, per venti sicli d’argento (Gen 37,28) e, Gesù fu tradito da Giuda, un suo discepolo, per pochi di più, “trenta monete d’argento” (Mt 26,15), corrispondenti a circa quattro mesi di salario di un operaio, il valore della vita di uno schiavo (Es 21,32). Dal punto di vista meramente economico, doveva valere veramente ben poco la vita di quel Cristo dal quale siamo “stati comprati a caro prezzo” (1 Cor 6,20; 7,23).
Secondo il Libro del Levitico, è il Signore stesso che fissa il valore delle persone, definendone il prezzo, un Dio che, probabilmente, dimentico di aver creato a sua immagine sia il maschio che la femmina (Gen 1,27), decide che il valore della donna sia la metà di quello dell’uomo: “per un uomo dai venti ai sessant’anni, il valore è di cinquanta sicli d’argento… per una donna, il valore è di trenta sicli… Dai cinque ai venti anni, il valore è di venti sicli per un maschio e di dieci sicli per una femmina…” (Lv 27,3.5).
Se è vero che il cinismo della società porta a constatare che “ogni uomo ha il suo prezzo” (H. Hugues), il credente che ha accolto Gesù il suo messaggio, sa che per il Signore, come valore assoluto, prima viene il bene dell’uomo, il suo benessere, la sua salute. Per questo Gesù pone, come condizione ai suoi, per seguirlo, la rinuncia di tutti i loro averi (Lc 14,33), perché non è possibile seguire “Dio e mamona” (Mt 6,24), vivere per il bene degli altri e pensare al proprio interesse.
Ma, quanto si è disposti a dare per il benessere dell’uomo? L’evangelista Marco sviluppa questa tematica nel pittoresco episodio dell’ “uomo posseduto da uno spirito impuro” nel paese dei Gerasèni (Mc 5,1-20). Sbarcato in terra pagana, Gesù si incontra con un individuo tre volte impuro, in quanto pagano, indemoniato, e abitante nei sepolcri. Si tratta di un soggetto che non viene ritenuto un essere umano, e per questo è trattato come una bestia (“legato con ceppi e catene”), ridotto in forzata prigionia. Un individuo che si sta di­struggendo, esercitando violenza su se stesso. Il personaggio è anonimo, in quanto rappresentativo di quelli che vivono la sua stessa drammatica situazione. Nello stesso tempo, l’evangelista attira l’attenzione del lettore sul fatto che nel luogo c’era “una numerosa mandria di porci al pascolo” (Mc 5,11), immagine di grande ricchezza e prosperità. Gesù è il liberatore, e come nella sinagoga di Cafàrnao, ha liberato l’uomo posseduto dallo spirito impuro (Mc 1,21-28), così in terra pagana, libera colui che aveva la sua dimora nelle tombe. Effetto della liberazione è che “gli spiriti impuri, dopo essere usciti, entrarono nei porci e la mandria si precipitò giù dalla rupe nel mare; erano circa duemila e affogarono nel mare” (Mc 5,13). La liberazione dell’uomo implica la rovina del sistema economico, che evidentemente basava la sua fortuna sull’oppressione di chi viene sfruttato e trattato come una bestia. Sorprendentemente, non appare nessun segnale di allegria da parte della gente del luogo, che trova vestito e sano di mente colui che era stato posseduto, ma solo paura che nasce dal veder minacciato il proprio capitale dagli effetti del messaggio di Gesù. Di fatto il ritorno del posseduto alla condizione umana, e la restituzione della dignità all’individuo ha distrutto il loro enorme capitale e nuoce ai loro interessi economici, per questo “si misero a pregarlo di andarsene dal loro territorio” (Mc 5,17). Ironia dell’evangelista: se prima era lo spirito impuro a scongiurare Gesù di poter entrare nei porci (Mc 5,10), ora sono i proprie­tari dei porci che supplicano il Signore di allontanarsi. Que­sta loro richiesta li smaschera e manifesta che è da costoro che procedeva lo spirito impuro che imprigionava l’uomo. Dovendo scegliere tra il bene dell’uomo e il proprio capitale, senza esitazione i proprietari dei porci scelgono quest’ultimo.
Tra il Dio che libera l’uomo, e il dio denaro che lo schia­vizza, preferiscono adorare mamona. Un messaggio di libertà e uguaglianza è inaccettabile per una classe sociale che deve la sua fortuna allo sfruttamento degli oppressi. I potenti antepongono sempre il loro interesse al bene dell’uomo, ma è compito dei seguaci di Gesù rovesciarli dai troni per innalzare gli ultimi (Lc 1,52), sia rinunciando a “quella cupidigia che è idolatria” (Col 3,5), sia attraverso scelte sociali e politiche che pongano la salute dell’uomo come valore assoluto.
_______________________________________________________
Da ilLibraio.it : una riflessione del biblista Alberto Maggi

mercoledì 10 giugno 2020

Egitto il baratto della vergogna

Caro presidente Giuseppe Conte. Voglio unire la mia voce al dispiacere e alla rabbia di Paola e Claudio Regeni dal momento che persino le forze di opposizione al suo governo che pure non perdono occasione per dissentire, di fronte all'operazione egiziana, tacciono o esprimono soddisfazione. Non sono soltanto profondamente deluso ma anche addolorato per questa ennesima ingiuria, non alla memoria di Giulio e alla sua vicenda umana, ma alla democrazia del nostro Paese. E mi perdoni se aggiungo che non bastano affatto due parole in un comunicato che si riferiscono alla cooperazione giudiziaria se questa è soffocata da quella commerciale e della difesa. Con disapprovazione e disgusto devo ammettere che c'ero cascato anch'io. Avevo creduto nella buona fede sua e del suo governo rispetto alla legittima richiesta di giustizia per una vita calpestata e per quella di Patrick Zaki ancora in bilico. E invece dobbiamo amaramente constatare che ancora una volta le ragioni economiche prevalgono sui diritti umani, sul rispetto della democrazia e, ancora peggio, sul dolore di una madre e di un padre. Due fregate Fremm costano tanto, mi dicono non meno di 400 milioni l'una. Ma sicuramente meno, molto meno, di una vita umana. Se questo è l'orientamento della politica italiana, vuol dire che non vi è alcuna credibilità nemmeno sulle altre decisioni rispetto all'istruzione, alla sanità, al welfare. D'ora in poi sarà ancora più legittimo chiedersi: "Chi ci guadagna? Cosa c'è sotto? Sarà vero?". Caro presidente, penso che siano tanti gli italiani disposti anche a stringere la cinghia rinunciando ai "benefici" di questa turpe operazione pur di non vedere il dolore, la memoria e la vita oggetto di un così vergognoso baratto.
___________________________________________________________
9 giugno 2020 - Tonio Dell'Olio

venerdì 5 giugno 2020

Boris Pasternak

“Io non amo la gente perfetta, quelli che non sono mai caduti, non hanno inciampato. La loro è una virtù spenta, di poco valore. A loro non si è svelata la bellezza della vita.”
______________________________________
Boris Leonidovic Pasternak è stato uno scrittore e poeta di fama internazionale. Il suo unico romanzo “Il dottor Zivago” è stato al centro di uno scandalo politico, che coinvolse i servizi segreti occidentali, ma gli valse la candidaura al Nobel per la Letteratura. Esordì nel 1914 con una raccolta di poesie, che lo fece conoscere al pubblico sovietico, e aderì alla rivoluzione russa, dalla quale prese le distanze proprio in occasione della pubblicazione del suo romanzo e all’obbligo da parte del Regime di rinunciare al prestigioso premio. Da quel momento Pasternak si trasferirà nella sua dacia di Peredelkino, vicino Mosca, e si chiuse nella delusione e nel completo silenzio.


Questa sua citazione è un inno alla vita, alla bellezza delle imperfezioni, alle cadute, all’emozione che fa tremare la voce e che però non impedisce di esprimersi e di voler comunicare, tentando anche se in modo goffo un contatto con l’altro. 
Diceva Beckett in un modo magistrale, che non è possibile raggiungere alcun risultato nella vita se prima non si impara a fallire e a fare del proprio fallimento una forza, un motore che ci spinge a migliorare. La bellezza di ciò che possiamo raggiungere non può non passare attraverso le cadute e l’osservazione dei propri errori. La bellezza non esiste, ma si conquista con sforzo e dedizione, attraverso l’umiltà di riconoscere la propria condizione come perfettibile, mai perfetta. Per concludere, ecco a voi l’invito di Beckett: “Mai provato, mai fallito. Prova ancora, fallisci ancora, fallisci meglio”

Lettori fissi

Archivio blog