“Memoria
sì, oblio no!”
Da
anni e in molte città questo è stato lo slogan che ha aperto molti
cortei delle autorità istituzionali, degli studenti e dei cittadini
che il 27 gennaio, giorno della memoria, vogliono richiamare tutti a
non dimenticare,perché è giusto, è necessario che i momenti
tragici ed eccezionali come la guerra, la deportazione di milioni di
persone e le loro morti, non si perdano nel vento, ma lascino il
segno nella coscienza di ogni persona di buona volontà.
-Alle vittime della Shoah a Vienna- |
Ma,
si sa, che il 27 gennaio può correre un grave rischio, quello di
esaurire in un giorno il suo richiamo, quello di essere un giorno
pieno di retorica che non imprime nella coscienza della gente
l’immagine della responsabilità.
A
questo scadimento può contribuire anche la trascuratezza e
l’abbandono dei segni, dei luoghi e dei simboli riguardanti il
peggiore evento del secolo scorso che ha attraversato l’Europa, ma
anche le singole città. Quei luoghi e quei segnali che dovrebbero
rintuzzare la memoria e la riflessione possono risultare inerti e
inespressivi, se lasciati nell’abbandono.
Nelle
nostre città ci sono alcuni segnali e luoghi di memoria importanti
che devono essere recuperati, rivalutati, resi efficienti a favore di
iniziative didattiche ed informative a vantaggio della conoscenza e
della riflessione su quanto ha prodotto di tragico il nazifascismo
sulla popolazione.
-Roma:ghetto ebraico- |
E
così mi sono trovato in una via, oggi deserta, ma ieri animata e
rumorosa,perché parte di un ghetto: il Ghetto ebraico. La via ha
cambiato nome. Si chiama via dei deportati. Incontro un bravo
cittadino e chiedo:<<Chi ha deportato chi? Dove e perché?>>.
Lui getta un'occhiata stupita al nome della via e con la massima
innocenza risponde:<<Via dei deportati? Mi sembra che si
trattasse di ebrei.>>
Dalla
memoria passiamo con facilità disarmante all'oblio.
Per
non parlare poi di quei monumenti commemorativi degli ebrei
deportati, che da anni giacciono in una situazione di degrado, spesso
senza alcuna indicazione cartellonistica o un fascio di luce che li
illumini (ma altri monumenti invece sono illuminati), senza la
possibilità che le scolaresche possano accedervi per prendere
visione del percorso didattico riguardante la nostra storia e degli
eventi che hanno coinvolto ebrei poi morti nei Lager.
Il
recupero di questi luoghi e di questi segnali può costituire un
efficace tramite educativo per le giovani generazioni, sempre più
lontane dai fatti accaduti durante la guerra, e per l’integrazione
dei cittadini, sempre più numerosi, che provengono da altri paesi e
da altre culture. Si tratta di pensare al territorio della città
come un “museo” in cui i “luoghi della memoria” ci aiutano a
riflettere sul loro significato intrinseco e sui processi selettivi
della memoria pubblica; ma anche come un “museo” in cui la
“memoria del luoghi” ci mette di fronte all’intreccio di
silenzi, di rimozioni, di memorie divise che lo studio della storia
deve aiutarci a decifrare e a ricostruire.
Se
si trascurano i luoghi di memoria, non può esserci che l’oblio,
perché la memoria dei luoghi non può che essere un’elaborazione
in perenne divenire, che si perpetua in tutto quello che siamo e che
facciamo.
-Yad Vaschem di Gerusalemme- |
La
storia della seconda guerra mondiale, della deportazione, della vita
nei Lager e della conseguente distruzione di vite umane, è ancora
carica di implicazioni che ci riguardano direttamente. Sollecitare
ancora oggi a conoscere questa storia attraverso i luoghi e i simboli
della memoria nella prospettiva del rapporto fra passato e presente,
non vale semplicemente per un’esigenza celebrativa, ma per un
bisogno pedagogico e sociale a favore di tutti.
A.B.
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