mercoledì 31 dicembre 2014

BUON ANNO !!

Un anno finisce e subito un altro ne inizia. Ci togliamo la polvere dai sandali per essere pronti ad affrontare con autenticità un futuro che speriamo e vediamo pieno di novità e di profonda bellezza. Le attese del nostro cuore si manifestano sulle nostre labbra negli auguri che rivolgiamo ad amici e parenti:”buon anno!...che sia un buon anno!...che il nuovo anno porti amore,gioia,pace e felicità!...”.
E nel nostro augurio c'è il più profondo desiderio che anche per noi il nuovo anno possa essere pieno di felicità,di serenità,di rifiuto di tutte quelle zavorre emotive,di quelle abitudini deleterie che ci hanno sempre impedito di intraprendere un autentico cammino di felicità.
A volte siamo capaci di complicarci così tanto la vita da non saper riconoscere la felicità quando ce la troviamo davanti e quando la viviamo. E così tutto diventa nello stesso tempo tanto difficile quanto estremamente facile,...e non esiste più l'attesa di un anno che sia migliore del precedente perché tempo,quotidianità e felicità coincidono!
C'è un segreto? Forse. Ci sono però delle linee di vita semplici e vissute che...vogliamo augurare ad ogni uomo e donna di buona volontà.

  • Ognuno ha la propria strada, i propri  sogni,  desideri  e  progetti,  ma occorre anche tenere  conto  degli obiettivi (più belli, più grandi, più elevati...) degli altri e, soprattutto, senza entrare in competizione con loro. La vera sfida è solo con noi stessi. La vita non è fatta per essere sprecata in un continuo paragone con chi ci circonda, che  siano  amici,  conoscenti,  famigliari  o  persino  perfetti  sconosciuti  in  cui  è  facile  imbattersi  nell'era  di  internet. E' importante guardare dritto alla meta,senza lasciarsi distrarre dai traguardi raggiunti dagli altri, ma nello stesso tempo bisogna essere aperti all'aiuto e alla collaborazione, ancora una volta senza competizione. Forse proprio per questo motivo un noto detto ci ricorda che è meglio dare che ricevere:la generosità  protegge  la  nostra  salute. 
  • Imparare a vivere senza fretta,a seguire un ritmo lento. Avere tempo per godere di ogni momento,per fermarsi  ad  ascoltare  il  proprio  corpo  come  avviene durante la meditazione, così da apprezzare la vita senza temere lo scorrere del tempo. Se  dovete  prendere  una  decisione importante,  chiedete  aiuto  a  persone  di  cui  vi fidate,  ma siate voi a decidere in prima persona. Non rinunciate comunque,dopo una decisione presa o una scelta operata,a riservare del tempo per voi stessi:rilassatevi, dedicatevi  alla meditazione,  passate  una  giornata  di  completo  svago,  magari  rigenerandovi camminando  in  un parco oppure occupandovi dei vostri animali. Mettete da parte le preoccupazioni e poi, se esistono, le soluzioni ai problemi arriveranno da sole, magari con un'intuizione improvvisa. A  volte arrivano anche situazioni  spiacevoli  per chi è positivo di natura,ma a differenziarle dalle altre è la capacità di reazione: bisogna saper mettere da parte le lamentele e agire per cambiare le cose, anche soltanto di una virgola.
  • Non siamo ciò che gli altri pensano di noi e nemmeno la somma delle loro opinioni su di noi. Soprattutto, non siamo lo specchio di un giudizio espresso, magari frettolosamente, dagli altri. E non dovremmo mai cadere nella trappola di voler piacere a tutti e a tutti i costi per ricevere soltanto elogi o per evitare le  critiche.  La  nostra  personalità  ne  verrebbe  del  tutto snaturata. Occorre essere  se  stessi  senza  lasciarsi  abbagliare  o  sottomettere  dalle opinioni  e  dai  giudizi  di  chi  ci circonda per imparare ad essere accoglienti, disponibili, generosi e alla mano.
  • E' importante mantenere serietà nello svolgere la propria professione, ma una cosa è lavorare con scrupolo, mentre  altra  cosa  è  essere  cupi,  sempre  troppo  concentrati  e ripiegati su  se stessi,  senza  mai  un  sorriso  o  una  parola cortese  da  rivolgere  a  chi  incontriamo durante  le  nostre  giornate.  Sorridere  a  se  stessi  e  al  mondo  è  la  strategia vincente per guadagnare qualche attimo di felicità in più.
  • Dato che ognuno di noi  è  una  persona  unica  e  sempre  perfettibile,  la  perfezione assoluta  non  esiste,anzi a volte è pericolosa perché porta la persona ad isolarsi.  Non  si tratta  di  rinunciare  al raggiungimento con impegno dei propri obiettivi, ma di vivere ogni occasione come opportunità per migliorare se stessi senza perdere di vista la meta prefissata.
  • Trovare del tempo per il riposo,attraverso una vacanza rigenerante e riequilibrante a contatto con se stessi e la natura. Ritagliare una serie di esperienze e di spazi da condividere con gli amici animali e le bellezze del creato.
  • Il proprio corpo deve essere nutrito con il giusto apporto di prodotti locali e di stagione,preservando una preparazione il più possibile genuina e domestica:provate a cercare nel vostro patrimonio di famiglia quante possibilità vi sono offerte per la preparazione di cibi o alimenti fatti con le vostre mani!
  • Riscoprite ogni giorno la bellezza di amare e di essere riamati,soprattutto da chi e con chi avete deciso di costruire e di condividere il vostro progetto di vita. L'amore sia una festa gioiosa e completa dell'anima e del corpo.


Buon 2015, foriero di tante belle novità che possano ravvivare le vostre speranze, i vostri sogni, i vostri ideali, le vostre aspettative.

Auguri di cuore da Agostino e Daniela.

sabato 27 dicembre 2014

Quindici peccati di uomini della Curia secondo Papa Francesco. Cinque proposte di “Noi Siamo Chiesa”

Papa Francesco ha denunciato ben quindici possibili peccati di chi vive in Curia; chi la conosce, da vicino ma anche da lontano, sa bene quanto siano reali e diffusi. Francesco dimostra di conoscere bene chi gli sta intorno con notazioni analitiche, quasi “pittoriche”, dell’ambiente del Vaticano (ma anche di tante situazioni diocesane, almeno in Italia). Siamo toto corde con papa Francesco (quante volte abbiamo pensato e detto le stesse cose!).
Prima della ristrutturazione generale che stiamo aspettando, ci permettiamo di “aiutarlo” proponendogli cinque riforme di attuazione abbastanza immediata e indolori (nel senso che non mettono in discussione questioni teologiche):
1) siano proibiti ovunque da domani mattina tutti i ridicoli titoli onorifici che ora si usano (Eccellenza, Eminenza ecc…);
2) per qualche tempo ogni nuovo incarico in Curia, anche i più importanti, sia attribuito a donne (e non solo a religiose);
3) ad ogni membro della Curia siano assegnate condizioni materiali di vita (casa, retribuzione ecc….) di vera sobrietà, identiche, per esempio, a quelle di papa Francesco a S. Marta;
4) gli incarichi in Curia, che dovranno essere sempre a tempo, prevedano il periodico ritorno in diocesi o in parrocchia o in missione;
5) si riducano drasticamente da subito le competenze centrali in materia di liturgia per affidarle a diocesi e parrocchie, naturalmente secondo criteri di razionalità e di prudenza.

Vittorio Bellavite, portavoce di “Noi Siamo Chiesa”

giovedì 25 dicembre 2014

IO CREDO


Io credo che un Vivente,che siamo soliti chiamare Dio(nome comune

personalizzato), più vivo di noi vivi, fonte di vita, sia presente a noi e al mondo,

in comunicazione profonda, più profonda delle parole e dei concetti.

Io credo che abbia infuso qualche senso e bellezza dove poteva essere nulla o caos.

Io credo che abbia immesso un fermento di libertà dove ha prevalso e dove

ancora prevale dominio, schiavitù, esilio, meccanismo di forze violente.

Io credo che abbia condotto l’umanità ad essere amica della terra madre, e che

possa risvegliarla oggi dalla follia di saccheggiare e torturare questo suo corpo universale.

Io credo che abbia suggerito ai cuori e alle menti degli umani che la regola della

vita buona è darsi reciprocamente il bene, e rispondere al male col bene, e

donare senza far conto sul contraccambio.

Io credo che continui a mettere amore dove c’è soltanto legge.

Io credo che animi e rianimi nei cuori la speranza,

quando si insinua la tenebra della disperazione.

Io credo che abbia messo nell’umanità in attesa la sua intima personale

presenza, in modo tutto speciale e pieno nella persona dell’uomo Gesù.

Io credo che metta vita dove c’è morte.

Io credo che la Bibbia, culminante nei vangeli, e anche ogni altro mito religioso e

sapienziale, ognuno a suo modo, narrino questa evoluzione spirituale che può

proseguire nell’umanizzazione crescente.

Io credo che per vivere un po’ più veramente questa fede, devo semplicemente

mettere il bene che ricevo, là dove trovo del male, guardando non il male,

ma la vita offesa dal male.

Io credo che un piccolo bene vale più di tutto il male,

perché è più vero e più forte di tutto il male.

Amen.

mercoledì 24 dicembre 2014

AUGURI DI BUON NATALE A TUTTI


Signore Gesù, amico e fratello, 
accompagna i giorni dell'uomo 
perché ogni epoca del mondo, 
ogni stagione della vita 
intraveda qualche segno del tuo Regno 
che invochiamo in umile preghiera, 
e giustizia e pace s'abbraccino 
a consolare coloro che sospirano il tuo giorno. 

La nostra vita sia come una casa 
preparata per l'ospite atteso, 
le nostre opere siano come i doni 
da condividere perché la festa sia lieta, 
le nostre lacrime siano come l'invito a fare presto. 

Noi esultiamo nel giorno della tua nascita, 
noi sospiriamo il tuo ritorno: 
vieni, Signore Gesù!

(C.M. Martini)

mercoledì 17 dicembre 2014

Schönborn: con le famiglie irregolari non facciamo come il fratello del figliol prodigo
   

«I buoni cattolici a volte mi ricordato il fratello maggiore» del figliol prodigo, che è «deluso e sente di non essere stato premiato per la sua lealtà. La risposta del padre è una delle più belle frasi del Nuovo Testamento: “Sei sempre con me e tutto ciò che ho è tuo”». Parola del cardinale Christoph Schönborn, arcivescovo di Vienna, che in una recente intervista alla Herder Korrespondenz, torna con questo parallelo sul sinodo sulla famiglia e, in particolare, sul timore, espresso da altri padri sinodali durante l’assise, che di fronte a certe aperture ipotizzate in assemblea nei confronti delle famiglie irregolari, i cattolici che vivono in nuclei riusciti si sentano disorientati. «Vorrei dire a queste famiglie – afferma il porporato austriaco – che devono essere felici e riconoscenti poiché testimoniano il fatto che i matrimoni possono riuscire, ma che devono anche gioire e dare il benvenuto a casa a coloro che non raggiungono questo ideale».
Nel lungo colloquio con il mensile pubblicato a Friburgo, in Germania, Schönborn spiega di essere stato sorpreso dal fatto che diversi vescovi hanno reagito con «timore» alla sua proposta di riconoscere gli elementi positivi presenti nelle coppie irregolari. Caldeggiando il principio del “gradualismo” al sinodo straordinario dell’ottobre scorso, l’arcivescovo di Vienna spiega di aver voluto sottolineare che le coppie che convivono possono essere sulla strada del matrimonio, il che non significa essere d’accordo con la convivenza in quanto tale.
Alcuni cardinali hanno anche espresso apprezzamento per la difesa dei valori famigliari promossa dal presidente russo Vladimir Putin, cosa che Schoenborn definisce «molto preoccupante». A loro, il presidente della conferenza episcopale austriaca ha replicato: «C’è una certa tentazione in questo momento di sognare una Chiesa potente e apprezzare un cattolicesimo politico che può impressionare le persone come negli anni Trenta. Questi cardinali sono estremamente preoccupati quando pensano di vedere segni che il potere del papato sta diminuendo e che il Papa discende dal trono».
Alcuni, ha detto ancora Schönborn, erano preoccupati dal pontificato di Papa Francesco, cosa che ha fatto nascere «deplorevoli» storie sul fatto che la sua elezione non sarebbe stata valida. Alla fine del sinodo, l’arcivescovo di Vienna riferisce di aver chiesto a Papa Francesco se le controversie non erano diventate troppo accese, ma Francesco gli ha detto di avere fiducia in Dio: «E’ il Signore che guida la Chiesa e la guiderà attraverso queste controversie».
In una distinta intervista ai quotidiani Tiroler Tageszeitung e Vorarlberger Nachrichten, Schönborn ha affermato che la Chiesa, nella attuale società pluralista, deve «difendere e vivere le proprie convinzioni, senza porsi in posizione di giudice», anche su questioni come l’aborto. Quanto al sinodo sulla famiglia, quello straordinario di ottobre scorso e quello ordinario dell’anno prossimo, «prima di giudicare, bisogna percepire la realtà della vita».
Le “famiglie patchwork” non nascono «per scherzo», ma perché ci sono difficoltà di natura economia, relazionale o spirituale. Egli stesso, ha detto Schoenborn in riferimento alla coppia divorziata dei propri genitori, viene da una “famiglia patchwork”, nuclei nei quali vi può essere «molta fede e molta generosità. E naturalmente anche molte ferite. Ma per Dio non c’è nessuna caduta priva di speranza». La famiglia che, fondata sul matrimonio, rimane unita, è comunque la cellula fondamentale della società, capace di diventare «la più veloce, migliore, più sicura rete» in momento di crisi.

IACOPO SCARAMUZZI

martedì 16 dicembre 2014

OGNI GIORNO


Guidami nella tua verità e ammaestrami;
poiché tu sei il Dio della mia salvezza;
io spero in te ogni giorno.

Ricòrdati, o SIGNORE, delle tue compassioni e della tua bontà,
perché sono eterne.

Non ricordarti dei peccati della mia gioventù, né delle mie trasgressioni;
ricòrdati di me nella tua clemenza, per amor della tua bontà, o SIGNORE.

Il SIGNORE è buono e giusto; perciò insegnerà la via ai peccatori.....
Salmo 25



TRA CONSERVAZIONE E TIMIDE APERTURE...ECCO LE INDICAZIONI DEI VESCOVI!

Non è facile dare un’interpretazione univoca dei Lineamenta per il Sinodo ordinario sulla famiglia
in programma per l’ottobre del prossimo anno, diffusi il 9 dicembre scorso dalla Segreteria Generale del Sinodo dei vescovi.
Se da un lato vi si rimarca con enfasi la necessità di fare di tutto perché «non si ricominci da zero», assumendo «il cammino già fatto nel Sinodo straordinario come punto di partenza», dall’altro pochi sono i segnali che possano far pensare a grandi cambiamenti in vista.  Le 46 domande – che insieme alla Relazione finale del Sinodo dello scorso ottobre costituiscono i Lineamenta – sembrano perlopiù pensate per capire come i pilastri tradizionali della vita cristiana, i sacramenti, la Bibbia, la formazione dei preti, possano essere meglio utilizzati per sostenere coppie e famiglie.
D’altronde non ci si poteva forse aspettare molto di più, considerata la spaccatura – non nuova, ma profonda – manifestatasi apertamente al Sinodo straordinario sui temi più caldi e sui cui più si erano concentrate le aspettative(vedi la lettera del Vescovo Gaillot a Papa Francesco pubblicata su questo blog nella pagina "HO SCRITTO UNA LETTERA").
Come per il questionario diffuso lo scorso anno insieme al Documento preparatorio (Lineamenta), anche ora l’invito è a coinvolgere «tutte le componenti delle Chiese particolari ed istituzioni accademiche, organizzazioni, aggregazioni laicali ed altre istanze ecclesiali», lasciando alle Conferenze episcopali la scelta delle modalità adeguate. Le risposte dovranno pervenire alla Segreteria generale del Sinodo entro il 15 aprile 2015 e costituiranno – come già avvenuto con quelle relative al questionario dello scorso anno – la base del prossimo Instrumentum Laboris.
Nuovi diritti per i pazienti in fin di vita:il dibattito in Francia.
di Marine Lamoureux

La proposta di legge, destinata a riformare il testo del 2005, consacra il diritto dei pazienti ad essere ascoltati e a ricevere sollievo alle loro sofferenze. Resa pubblica venerdì, tale proposta di legge comporta due novità: direttive anticipate vincolanti e un “diritto alla sedazione” in casi precisi. “È giunto il momento di procedere alla votazione di una legge”, ha detto François Hollande venerdì, quando Alain Claeys e Jean Leonetti  gli hanno consegnato le loro conclusioni sul fine vita. Il capo dello Stato ha infatti mostrato la sua determinazione ad applicare l'impegno numero 21 del suo programma, la promessa di “un'assistenza medicalizzata per terminare la propria vita nella dignità”.
Alcuni mesi fa, questi termini potevano far temere la legalizzazione dell'eutanasia o del suicidio assistito. Alla lettura della proposta di legge, frutto di un lungo negoziato, le cose non stanno così. Il testo, che indica la volontà del presidente di lavorare in un clima di pacificazione, si inscrive globalmente nella continuità, rispettando lo spirito di equilibrio della legge 2005 – né eutanasia, né accanimento terapeutico.
Con, tuttavia, un apporto cruciale: i diritti del paziente, certo già consacrati nel 2002 e nel 2005, sono riaffermati in maniera netta. È proprio il paziente ad essere al centro delle decisioni, mentre la legge del 2005, preoccupata di rassicurare i medici sulle loro pratiche, lasciava una certa ambiguità.
Questo approccio si traduce principalmente in due disposizioni. La prima: le direttive anticipate, fino ad ora consultive, si imporranno al medico. Quest'ultimo non potrà derogarvi se non in caso di urgenza vitale e se le direttive si rivelano “manifestamente inappropriate”. Dovrà allora consultare un collega e motivare la sua decisione.
La seconda riguarda la sedazione in fase terminale, cioè quando “la prognosi di vita è a breve termine”. La novità principale del testo è di riunire e di inscrivere chiaramente nella legge le condizioni – spesso già previste, ma in raccomandazioni di buone pratiche – di una sedazione profonda e continua alla fine della vita. L'obiettivo è duplice: rassicurare i pazienti garantendo loro una “morte libera da sofferenze” ed evitare pratiche disparate secondo gli ospedali.
Un “diritto alla sedazione” profonda e continua fino al decesso è così consacrata in tre casi.
Innanzitutto, quando il malato, in fase terminale di una malattia incurabile, soffre di sintomi refrattari, a cui non si può dare sollievo altrimenti. Il malato potrà allora esigere dall'equipe medica di essere addormentato per non soffrire più. In secondo luogo, quando un paziente ha deciso di interrompere tutti i trattamenti che lo mantengono in vita “perché ritiene che essi la prolungano inutilmente, essendo troppo pesanti e essendo durati troppo a lungo”. Essendo stata emessa la sua prognosi di vita, il paziente potrà chiedere di beneficiare di una sedazione fino alla morte. Il terzo caso, infine, riguarda le persone che non sono in grado di esprimere la loro volontà, vittime di un'ostinazione irragionevole.
Un punto molto importante: in tutti e tre i casi, la sedazione dovrà essere associata all'arresto di ogni trattamento, in particolare la nutrizione e l'idratazione artificiali.
Per il presidente della Società francese di accompagnamento e di cure palliative (Sfap), le condizioni poste sono una garanzia contro ogni “deriva eutanasica”. “Il diritto alla sedazione non è un diritto automatico, si resta nel quadro della relazione di fiducia tra il malato e il suo medico”.
Eppure, alcuni si preoccupano. Il movimento “Soulager mais pas tuer” (Dare sollievo ma non uccidere), ritiene che la proposta di legge fa correre un rischio: quello di “favorire in maniera sistematica e disumanizzata l'applicazione di protocolli di fine vita anestetici”, attraverso “un addormentamento anticipato che toglie ogni coscienza e ogni relazione”.
All'opposto, il Partito radicale di sinistra (PRG) e gli ecologisti hanno espresso la loro delusione di fronte a un testo che, secondo loro, non si spinge abbastanza avanti al punto da “legalizzare chiaramente l'aiuto medico a morire”. I Verdi dicono invece di essere favorevoli al suicidio assistito.

Le principali disposizioni del testo sul fine vita
L'ostinazione irragionevole
L'articolo 2 della proposta di legge ricorda che gli atti medici “non devono essere proseguiti con un'ostinazione irragionevole quando appaiono inutili o sproporzionati”. Allo stesso modo “quando i trattamenti hanno l'unico effetto del solo mantenimento artificiale della vita (...), vengono sospesi o non sono iniziati”. 
Questo articolo precisa anche che “la nutrizione e l'idratazione artificiali costituiscono trattamento”.
La sedazione
L'articolo 3 definisce un diritto alla sedazione profonda e continua su richiesta del paziente in due ipotesi: “quando il paziente, colpito da un'affezione grave e incurabile con una prognosi di vita a breve termine, presenta una sofferenza refrattaria al trattamento”, e “quando la decisione del paziente, colpito da un'affezione grave e incurabile, di interrompere un trattamento comporta la sua prognosi di vita a breve termine”.
Inoltre, il medico ricorre a questa sedazione se il paziente non può più esprimere la sua volontà e si trova in uno dei casi di ostinazione irragionevole. L'attuazione della sedazione deve rispettare la procedura collegiale.
Il “duplice effetto”
L'articolo 4 precisa che “ogni persona ha il diritto di ricevere dei trattamenti e delle cure miranti a dare sollievo alla sua sofferenza”. “La sofferenza deve essere in ogni circostanza prevenuta,tenuta in considerazione,valutata e trattata. Il medico mette in atto l'insieme dei trattamenti antalgici e sedativi per rispondere alla sofferenza refrattaria in fase avanzata o terminale, anche se possono avere come effetto di abbreviare la vita”.
I diritti del paziente
L'articolo 5 concorre al rafforzamento dei diritti del paziente: “Ogni persona ha il diritto di rifiutare o di non subire qualsiasi trattamento. L'accompagnamento del malato viene comunque proseguito dal medico,nello specifico il suo accompagnamento palliativo”.“Il professionista della salute ha l'obbligo di rispettare la volontà della persona dopo averla informata delle conseguenze delle sue scelte e della loro gravità. Se, con la sua volontà di rifiutare o interrompere qualsiasi trattamento, la persona mette la sua vita in pericolo, essa deve reiterare la sua decisione entro un termine ragionevole”.
Le direttive anticipate
Queste direttive, dice l'articolo 8, sono“rivedibili e revocabili in qualsiasi momento. Sono redatte secondo un modello il cui contenuto è fissato per decreto (...). Questo modello prevede la situazione della persona a seconda che essa sappia o no di essere colpita da un'affezione grave nel momento in cui redige tali direttive. Esse si impongono al medico per qualsiasi decisione di investigazione, di intervento o di trattamento, salvo in caso di urgenza vitale (...) . Se le direttive anticipate appaiono manifestamente inappropriate, il medico, per sciogliersi dall'obbligo di rispettarle, deve consultare almeno un collega e motivare la sua decisione, che è inscritta nel dossier medico. Il loro accesso è facilitato da una menzione scritta sulla 'carta vitale'.” In assenza di direttive anticipate, la persona di fiducia viene consultata per prima.

lunedì 15 dicembre 2014

Posso morire nella mia isola? 
La lettera di Walter Piludu, malato di Sla



«Sono condannato a perdere completamente – più prima che poi – le mie funzioni vocali. A tale evento io ho deciso di collegare il punto finale della mia vita».

Walter Piludu, ex Presidente della Provincia di Cagliari malato di Sla, sa che tutto è iniziato nell’agosto 2011, ovvero quando gli è stata diagnosticata la malattia, e ha deciso quando tutto finirà: quando la “stronza”, come la chiamava Stefano Borgonovo, gli porterà via anche l’ultimo filo di voce.

Attraverso una lettera a Renzi e a tutti i leader delle forze politiche che Walter lancia il suo appello per poter decidere quando morire, riportando alla ribalta il tema dell’eutanasia, spesso abusato nel dibattito politico senza il coraggio di prendere una decisione concreta. Proprio quello che chiede Walter: il coraggio di osare.

L’ex dirigente locale del PCI, descrivendo le difficoltà della malattia, chiede di «poter rendere operative le proprie volontà» e di non essere costretto a farlo in Svizzera o attraverso «il rifiuto di acqua e cibo e, dunque, con una lenta morte per sete e fame». Chiede di poter esercitare quello che secondo lui dovrebbe essere un diritto: morire nella propria terra, con dignità.
(Leggi la lettera integrale nella pagina "HO SCRITTO UNA LETTERA" su questo blog)

Ai vescovi della C.E.I.

Siamo un gruppo di preti sposati con le loro consorti dell’associazione Vocatio* riuniti nel castello di Sorrivoli (diocesi di Cesena) dal 19 al 21 settembre per un incontro fraterno.

Abbiamo condiviso riflessioni su:

·        le novità introdotte dalle parole e (soprattutto) dai gesti di papa Francesco;

·        il ruolo delle donne nella storia della chiesa e nella chiesa di oggi;

·        elementi di spiritualità vissuta nelle coppie dei preti sposati;

·        la necessità di aprirci alle nuove domande che vengono da una società globalizzata;

·        le esperienze di coppie presenti fra noi e impegnate accanto a gente che soffre;

·        tentativi di essere vicini a coppie in cui siano presenti confratelli alle prese con difficili decisioni.

Dalle nostre amichevoli conversazioni sono emerse alcune preoccupazioni pastorali per la vita della Chiesa di cui ci sentiamo parte viva.

Nella Chiesa italiana ci sembra di cogliere una sostanziale indifferenza delle istituzioni nei confronti dei preti sposati (con o senza dispensa) che, di fatto, vengono lasciati in una sorta di limbo di emarginazione pastorale dalla maggior parte dei vescovi.

Pensiamo che sarebbero opportuni gesti di comunione ecclesiale fra i vescovi e i preti sposati e le loro spose. Servirebbero incontri, per guardarsi negli occhi con l’empatia di fratelli, discepoli dello stesso Maestro, e per parlarsi con orecchie attente e cuori aperti. Incontri personali che potrebbero portare a tanti modi ecclesiali “vivendi et operandi” capaci di non seppellire talenti utili per la vita della Chiesa.

Proprio perché “la messe è molta e gli operai sono pochi” oltre che pregare insieme il Signore della messe che mandi operai per annunciare il suo vangelo, conviene confidare nella forza del seme da gettare a piene mani (anche là dove sembrerebbe impossibile il suo sviluppo) anziché limitare quell’annuncio, pensando alla difesa di leggi umane e storiche. Noi pensiamo di aver risposto alla duplice vocazione del presbiterato e del matrimonio. Per alcuni fra noi sono ancora aperte le ferite causate da vari comportamenti della gerarchia, ma altri sono disponibili a collaborare (alla luce del sole) alla crescita del Regno di Dio anche attraverso la sua chiesa.

Confidiamo di poterci incontrare e confrontare fraternamente.
Riferimenti:

Giovanni Monteasi                          -     Presidente Vocatio  -                         giovanni.monteasi@alice.it
Rosario Mocciaro   -                        Segretario      -       italia.ambiente@libero.it
Franco Brescia -     Delegato europeo     -      francobres@yahoo.it
Antonio Silvestri    -                        Collaboratore -       gildant@libero.it
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*Il movimento Vocatio vuole sensibilizzare la Chiesa e la società riguardo al problema dei 
preti sposati e si pone, in un atteggiamento di pieno rispetto di opinioni diverse, come 
promotore di nuove proposte ecclesiali. Vocatio, grazie alla possibilità che internet 
permette di esprimere liberamente le proprie opinioni, vuole farsi conoscere e rendere 
note le proprie finalità, cercando di raggiungere quante più persone sia possibile per 
sensibilizzarle sul problema dei preti sposati nella Chiesa Cattolica.

domenica 14 dicembre 2014

“Il celibato può causare atti di pedofilia”. 
La Chiesa cattolica australiana sostiene l’esistenza di un rapporto diretto tra le molestie sessuali fatte da rappresentanti del clero sui minori e il voto di celibato obbligatorio. Lo si legge in un report sottoscritto dal Consiglio per la verità, la giustizia e la guarigione composto dagli arcivescovi delle cinque più importanti diocesi australiane (Melbourne, Brisbane, Perth, Canberra e Adelaide). Un report che è il contributo della Chiesa australiana alla Commissione nazionale d’inchiesta che sta indagando sulle criticità delle istituzioni nella lotta contro la pedofilia.

Il rapporto degli arcivescovi cattolici è particolarmente importate per la Commissione nazionale, visto che delle oltre 1.600 vittime ascoltate il 60% ha dichiarato di aver subito molestie in ambienti religiosi (nel 68% dei casi erano “luoghi” cattolici) quando aveva tra i 9 e i 10 anni.

“È la prima volta nel mondo che le guide della Chiesa cattolica di uno Stato si sono riuniti per riconoscere pubblicamente la tragedia degli abusi sessuali da parte del clero sui minori . I vertici religiosi hanno chiuso un occhio troppe volte, fingendo che nulla stesse accadendo. Ma ora la Chiesa deve assumersi le sue responsabilità per gli abusi avvenuti in passato, riconoscendo come la cultura clericale non abbia risposto adeguatamente nella lotta contro la pedofilia”. Di fronte al possibile legame tra celibato e molesti sessuali, tra le risposte date dalle cinque diocesi australiane in cima alla lista si trova “la necessità di fare un’adeguata e continua formazione psico-sessuale ai preti e ai religiosi in genere” proprio per evitare il ripetersi di molestie sessuali. Alla base del rapporto, due anni di documentazione che ha portato le alte gerarchie ecclesiastiche ad ascoltare oltre 50 testimonianze e analizzare 160mila documenti di organizzazioni clericali “per guidare l’agenda che porterà a rivedere il modo in cui la Chiesa deve rispondere e trattare la pedofilia”.

Un dossier che non risparmia neppure il Vaticano, inserito nel paragrafo dedicato al “bisogno di trasparenza” nell’ottica di individuare e perseguire gli abusi. “È necessaria maggiore chiarezza attorno al ruolo della Santa Sede e al suo coinvolgimento rispetto al modo in cui le autorità della Chiesa in Australia hanno risposto e perseguito le denunce di abusi sessuali”, si legge nel rapporto. Un problema di trasparenza che le diocesi imputano non soltanto al Vaticano, ma a tutte le organizzazioni connesse con la Chiesa – dalle parrocchie alle istituzioni scolastiche – dove “si deve fare uno sforzo maggiore, magari facendo rapporti pubblici sulle scelte che le istituzioni cattoliche stanno compiendo per rendere sicuri questi luoghi da episodi di pedofilia”. Ripetuta più volte la parola vergogna, “per tutte le vittime che non sono state credute, come invece doveva essere”, ma soprattutto per la scelta dei vertici cattolici di “trasferire i responsabili di abusi sessuali invece di denunciarli alla polizia solo per difendere la reputazione della Chiesa”. Una decisione che in passato “è stata presa troppo spesso, ed è per questo che tutto il clero dovrebbe chiedere perdono”.

Un appello che è stato ripreso anche da Neville John Owen, ex giudice della Corte suprema in Australiana occidentale ora membro della Commissione nazionale d’inchiesta: “La Chiesa deve accettare apertamente i fallimenti del passato e tracciare una nuova rotta per il futuro. La società ha bisogno di essere convinta che si arriverà ad una soluzione del problema”.
IL FATTO QUOTIDIANO,13/12/2014.

venerdì 12 dicembre 2014

RENDERE TESTIMONIANZA ALLA VERITÀ

PENSIERI SUL VANGELO DELLA DOMENICA

Vogliamo essere migliori.Madre Teresa di Calcutta diceva che chi dedica il suo tempo a migliorare se stesso non ha tempo per criticare gli altri.
Un'indicazione ci viene dalla tradizione spirituale cristiana:affondiamo nella nostra vita interiore e così miglioriamo. Non dimentichiamoci che siamo dimora del Dio vivo, del Dio personale che ci ama, e così non possiamo cadere in quella critica verso altri che tanto male fa.
Diceva San Paolo, “Anche noi un tempo eravamo insensati, disobbedienti, traviati, schiavi di ogni sorta di passioni e di piaceri, vivendo nella malvagità e nell'invidia, degni di odio e odiandoci a vicenda” (Tito, 3,3). Non vogliamo essere così. Vogliamo affondare, approfondire il nostro mondo interiore. Quel mondo tante volte temuto e sconosciuto.
E affondando così nella nostra vita potremo affondare e avvicinarci al mistero degli altri, senza cadere nella critica. Perché nell'anima dell'altro abita Dio. Nel più profondo si nasconde la sua verità.
Gesù sapeva gurdare così all'interno dell'anima delle persone con la sua lente di ingrandimento. Non si lasciava impressionare dalle categorie umane, dalla facciata superficiale, guardava l'anima dell'altro, quella del pubblicano, quella della samaritana, quella dell'adultera, quella del buon ladrone pentito, quella di Pietro che piangeva.
Il suo sguardo non si fermava mai all'esteriorità, all'apparenza. Andava più a fondo. Così ha potuto restituire la dignità a molti che pensavano che Dio non volesse avere niente a che fare con loro. 
Dio vuole dimorare in tutti. Magari potessimo consacrare sempre il nostro cuore a Dio, appartenergli interamente. Con i nostri sentimenti e i nostri pensieri, con la nostra vita e le persone che ci sono, con le sue valli e i suoi monti, le sue ferite e i suoi fiumi.
Noi umani abbiamo sempre avuto un gran bisogno di essere valorizzati e riconosciuti nella nostra verità. 
Anzi,ciascuno di noi vuole essere il migliore in ciò che fa, il migliore di tutti i tempi. 
Il desiderio di valere è una forza molto potente. È una pulsione che ci porta a lottare, a dare tutto, a esprimere il meglio che c'è in noi.
Ma questo desiderio di valere, di dimostrare che sappiamo far bene le cose, è così forte che può farci perdere la prospettiva dell'essere con e insieme,fino ad arrivare a non riuscire neppure più a valorizzare le cose più importanti nella vita.
Per ottenere il riconoscimento e l'ammirazione di tutti siamo disposti a qualsiasi cosa. A volte anche a rinunciare all'amore, al rispetto, all'amicizia, alla solidarietà, alla misericordia.
Il desiderio di essere ammirati e tenuti in considerazione è così forte che la vita può però arrivare a chiedere il conto. E così il desiderio può isolarci, può ferire altri, può ferirci nel più profondo.
E alla fine, perché tanto sforzo? A cosa ci serve se finiamo per rimanere da soli? Non so, è la vanità che ci spinge a questo? È l'orgoglio? Può essere. In definitiva, tutta questa lotta ha a che vedere con un attaccamento a volte eccessivo al proprio io.
Anche sul piano religioso possiamo lasciarci trasportare dal questo desiderio di valere, di essere di più. Vogliamo essere quelli che pregano di più, i più profondi, quelli che rispondono a tutti gli appelli,i cristiani migliori. E vogliamo,perché convinti che ci spetti, anche un luogo migliore in cielo per tutta l'eternità. Il posto migliore.
Per quante sciocchezze ci affanniamo spesso. Il nostro io è al centro. Facciamo tutto mossi dal culto dell'io. 
Forse facciamo tutto ciò perché convinti di non essere mai dimenticati.Siamo ossessionati dal fare e dall'essere nella storia. Oppure è il nostro stesso carattere che ci spinge a dover dare tutto, perché generosi. Aggrappati in modo malato a quell'io che cerca sempre più spazio, che non si conforma a nulla, perché nulla soddisfa del tutto il desiderio di pienezza. L'io messo in primo piano. Ma è mai possibile che non ci accorgiamo che così cerchiamo solo noi stessi. Crediamo che con noi cambierà tutto, tutto sarà migliore. Dio sarà orgoglioso dei nostri meriti.
Quando però mi guardo attorno,scopro che la logica umana dice: sei ciò che produci, sei ciò che appari, sei ciò che guadagni, sei ciò che guidi, sei ciò che conti, sei quanto urli.
Un'indicazione ci viene dalla figura di Giovanni il Battista,il quale sa che non è così, che è illusoria e menzognera questa logica, che, mai, siamo ciò che possediamo o facciamo.
Giovanni ha pensato e ha capito, l’attesa spasmodica di un messia hanno creato dentro di lui uno spazio che saprà riconoscerlo e riconoscersi. 
Egli è voce.
Voce, voce prestata ad una Parola, voce che amplifica un’idea non sua, voce, che fa riecheggiare un’intuizione di cui anch'egli è debitore.
Ci immaginiamo sempre di essere dei grandi, di compiere (o scrivere) cose memorabili, di restare nella storia o, perlomeno, nella piccola storia delle persone che amiamo.
Dio ci svela cosa siamo in profondità.
Tu, cosa sei? Cosa dici di te stesso?
Forse sei pazienza, o attesa, o sorriso, o perdono, o sogno, o inquietudine.
Il Vangelo ci svela un Dio che,se lasciamo entrare in noi,che,se lasciamo che sia il nostro grido,la nostra storia,ci aiuta a cogliere la verità di noi stessi.
A.B.


martedì 9 dicembre 2014

I POVERI


Non pregano e non vanno in Chiesa la domenica.
Loro, i poveri, rimangono sulla porta.
Dentro c'è troppa luce e troppa ricchezza.
Entreranno nelle Chiese durante la settimana, quando è tutto buio, quando non c'è nessuno, per sedersi su un banco, non per pregare ma per dormire e riposare i piedi stanchi.
Ma quella per Gesù, che fu povero come loro, sarà la preghiera più bella.

(Don Mario Picchi)

domenica 7 dicembre 2014

La vera spiritualità si trova ai margini
di Timothy Radcliffe
in “Avvenire” del 7 dicembre 2014
Nella sua Piccola mistica del dialogo (Castelvecchi, pp. 108, euro 14) Alberto Fabio Ambrosio domenicano, studioso del sufismo ottomano - trova Dio nelle esperienze di vita ordinarie: quando cammina per strada ascoltando il suo walkman, quando è seduto sull’autobus e osserva gli altri viaggiatori, quando si trova davanti un pallone giallo mentre è fuori a correre, quando parla con gli amici, o ne sente la mancanza. Lotta contro la tendenza umana di contenere Dio rinchiudendolo in un mondo religioso, dove possa essere controllato. Quando al battesimo si riversa lo Spirito Santo su Gesù, non viene condotto in un luogo «sacro», bensì in una landa desolata.
Paradossalmente è il Diavolo che riporta Gesù al Tempio! Dio si rivela nelle esperienze umane ordinarie dell’affetto e del piacere. Il primo romanzo della scrittrice indiana Arundhati Roy s’intitolava Il Dio delle piccole cose. Ogni spiritualità degna del suo nome ci libera dalla tirannia che ci impone di fare colpo ed essere grandi, poiché la grandezza di Dio consiste proprio nella cura che dedica alle cose più piccole, nella sua presenza nei dettagli meno significativi.
Ambrosio parla di una mistica dei margini. Le persone più «spirituali» che io abbia mai conosciuto hanno sempre ricercato Dio nei margini. Jean Vanier, fondatore delle comunità de L’Arche, ricercava Dio nel mondo della disabilità; Madre Teresa cercava Dio tra i moribondi sulle strade di Calcutta.
Santa Teresa di Lisieux voleva essere vicina agli atei e bere dal loro calice di dolore. Tutti i grandi scrittori spirituali di tutte le tradizioni sanno che in Dio il centro e il margine sono la stessa cosa. Quando Thomas Merton si è infine deciso a diventare cattolico ha scritto, citando Alano di Lilla: «Dio il cui centro è dappertutto e la circonferenza in nessun luogo, mi sta cercando. E mi ha chiamato dalle proprie immense profondità». I cristiani vedono questo nel tentativo di Gesù rivolgersi a tutti gli emarginati, i reietti, i peccatori, le prostitute e i lebbrosi. Sono questi che ha collocato al centro.
Ambrosio narra magnificamente del margine interreligioso. Il suo amore per il sufismo è radioso.
Anche la sua celebrazione dell’eucarestia è allietata dalla tradizione sufi della danza, con i suoi bei gesti e movimenti. Rumi ci invita ad ascoltare insieme, a condividere un silenzio in cui attendiamo una parola dal Dio che noi tutti cerchiamo e che ci cerca con infinita pazienza. Ci rallegriamo qui in una comunione che non nega le differenze bensì ci coinvolge ad un livello più profondo, che trascende ogni parola.

SE IL DISSENSO AIUTA LA FEDE DEL CRISTIANO

Qualche giorno fa ho letto su alcuni siti una serie di critiche sulla scelta della Rai di affidare il commento del Vangelo della Domenica ai preti di strada. Non ho molto approfondito il dibattito perché mi sembrava un po' ridicolo ma nello stesso tempo anche molto amaro. Mi è sembrato di ritrovare un'arcaica e banale disquisizione post-conciliare in riferimento ai preti cosiddetti «scomodi», «rivoluzionari», «contestatori», «dissidenti». Da sempre,in fondo,il dissenso è cresciuto per la strada e ciò ha sempre creato problemi,divisioni e imbarazzo nella Chiesa. Quanta difficoltà per la Chiesa ad uscire dai propri confini! Quanta paura del diverso! Quanta paura di perdere il proprio potere! Per non parlare poi del problema dei preti che si sono sposati! Si è sentito dire che Papa Francesco vorrebbe rivedere il problema del celibato dei preti,ma dalle discussioni intraprese nel recente Sinodo dei Vescovi sulla Famiglia,mi è sembrato abbastanza chiaro che nulla sta cambiando. Numerosi sono stati i sassi gettati nello stagno dal Papa,ma al di là degli inevitabili cerchi,nulla ancora è apparso di concreto all'orizzonte. Le stesse comunità cristiane locali appaiono spente e inadeguate,mentre interessanti spunti di riflessione e di ripartenza si possono cogliere proprio in quelle esperienze di dissenso. Così,ad esempio,ho trovato una lettera scritta da un prete sposato a Papa Francesco,che riporto nella sezione di questo mio blog intitolata «Ho scritto una lettera»,con delle interessanti considerazioni non solo per il Papa e per i Vescovi se mai decidessero di prendere in  seria considerazione il problema,ma anche per una comunità cristiana che si guarda dentro,si rifonda e decide di andare per il mondo ad annunciare l'amore di Dio per l'uomo contemporaneo. Ho sempre creduto,e per questo io stesso feci a suo tempo una scelta che mi portò fuori,che è dai confini,dall'esterno,dalla strada che la realtà assume un aspetto più veritiero e obiettivo. C'è chi dice che serve una rivoluzione per rifondare. Forse si potrebbe anche solo fermarsi,rileggere la propria storia,analizzare il proprio vissuto e fermi al bordo della strada urlare al mondo la «buona novella»!

sabato 6 dicembre 2014

LAVORARE

Chi lavora con le sue mani è un lavoratore. Chi lavora con le sue mani e la sua testa è un artigiano. Chi lavora con le sue mani e la sua testa ed il suo cuore è un artista.
 San Francesco d'Assisi

mercoledì 3 dicembre 2014

LA DIFFICILE MA POSSIBILE ARMONIZZAZIONE DEL MASCHILE E DEL FEMMINILE


"A differenza dei grandi uomini del Medioevo, oggi noi, gente delle cose di Dio, non sappiamo più comprendere e trattare le passioni, abbiamo dimenticato la «gaia scienza». I monaci poeti possedevano una vera teologia della passione amorosa, mentre noi ci accontentiamo di un'etica degli affetti, di una serie di prescrizioni. E' urgente che la Chiesa riprenda a trattare i temi vitali dell'uomo, come il grande dono dell'eros, una spiritualità che parli al cuore, il posto del corpo,l'aldilà, il rapporto con la natura e il cosmo, facendone una teologia, riconoscendoli come luogo teologico, e non riducendoli solo a una morale.La vita non è statica, ma estatica. In cammino verso qualcosa che è al di là di sé. L'essere è estasi, è divenire, movimento, diffusione di sé, attrazione. La vita avanza per passioni, non per ingiunzioni.E la passione nasce da una bellezza. Acquisire fede è acquisire bellezza del vivere: è bello amare,sposarsi, generare, godere della luce e degli abbracci, gustare l'umile piacere di esistere; è bello essere di Dio e insieme del mondo; è bello attendere e stare con l'amico, perché tutto va verso un senso luminoso e positivo, nella finitezza e nell'infinito. La vita non è etica, ma estetica. Nel suo senso letterale, estetico significa sensibile; il suo contrario non è il brutto, ma - letteralmente - l'anestetico, l'insensibile, l'immobile. Ogni vivente ha una vita affettiva, parte alta e forte della sua identità, necessaria per essere felice. Possiamo negarla ma non eliminarla. La dimensione degli affetti, fondamentale per l'equilibrio della persona, necessaria per vivere (se non amiamo, non viviamo: 1 Gv 3,14), e per vivere con gioia, è un autentico luogo teologico: l'amicizia rivela qualcosa di Dio.
Ogni vivente nasce come persona appassionata, e quel malinteso spirito religioso che ci spinge a negare le nostre passioni inaridisce le sorgenti della vita e rende molti cristiani dei predicatori di cose morte. Bisogna non tanto soffocare, ma convertire le passioni; non raggelare, ma liberare i desideri per desiderare Dio. Soltanto chi ama la vita è sensibile al richiamo del Vangelo: « sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza» (Gv 10, 10).
- Ami la vita?
- Sì, amo la vita.
- Allora hai fatto metà del cammino.
F. Dostoevskij, I fratelli Karamazov
La santità non consiste in una passione spenta, ma in una passione convertita. Dio non è presente
dove è assente il cuore.E non ci interessa un divino che non faccia fiorire l'umano."

martedì 2 dicembre 2014

QUANDO INVENTIVA E TENACIA AIUTANO A VIVERE

Questa è la storia di Aidan Robinson, 9 anni, nato con il braccio sinistro a cui mancava la parte che va dal gomito alla mano. Nonostante l’evidente e scomodo problema, questo bambino originario degli Stati Uniti non si è perso d’animo e grazie alla sua creatività ha deciso di progettarsi da solo una protesi che potesse aiutarlo.
Aidan aveva provato diverse soluzioni per poter migliorare la sua situazione, tra cui una mano artificiale di plastica che però non poteva in alcun modo muovere e che dunque non gli permetteva, con suo grande rammarico,neppure di afferrare gli oggetti. Di conseguenza il bambino,da circa 2 anni, aveva deciso ormai di abbandonare ogni supporto che non risultava funzionale ma solamente scomodo e inutile.
Il problema sorge perché, nonostante le protesi negli ultimi anni vengano realizzate in maniera sempre più sofisticata e tecnologica, per i bambini spesso non sono disponibili. Visto infatti che per crearle bisogna investire molti soldi, si preferisce fare delle protesi per adulti che possano durare a lungo nel tempo dato che ormai la crescita si è arrestata.
Ecco allora che stanco di questa situazione, con l’aiuto di alcuni esperti della KidMob, Aidan ha deciso di progettare una protesi fatta da un'asta metallica e dei Lego. I mattoncini più famosi al mondo si prestano particolarmente bene in quanto possono essere facilmente tolti o aggiunti. L’idea è venuta dopo che Aidan ha partecipato al 'Superhero Cyborg Camp', dove insieme ad altri bambini privi di braccia e/o mani ha imparato le basi della progettazione.
La nuova protesi, al contrario delle precedenti, consente ad Aidan di afferrare gli oggetti e ora può finalmente mangiare da solo, praticare karate e afferrare il telecomando che gli permette di giocare ai videogames che, come tutti i bambini della sua età, tanto ama.
Sembra ora che l’inventiva e la tenacia di Aidan potrà essere utile anche ad altri bambini che si trovano nella sua stessa situazione. Grazie alla collaborazione con Coby Unger, esperto di progetti in 3D, il disegno completo della protesi sarà a breve disponibile su Instructables.com per altri progettisti che hanno a disposizione una stampante 3D.
Francesca Biagioli

CHI È GIACOMO?


lunedì 1 dicembre 2014

GLI ALTRI

L'appartenenza è avere gli altri dentro di sè.

 Giorgio Gaber

IMPARARE AD AMARE

Nessuno nasce odiando qualcun altro per il colore della pelle, il suo ambiente sociale o la sua religione. Le persone odiano perché hanno imparato a odiare, e se possono imparare a odiare possono anche imparare ad amare, perché l'amore arriva in modo più naturale nel cuore umano che il suo opposto.
Nelson Mandela

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Dell'amore ci accorgiamo spesso troppo tardi, se un cuore ci è stato dato solo in prestito, se ci è stato donato oppure se addirittura ci è stato sacrificato.
Arthur Schnitzler

L'AMORE È...

L'amore è il nostro vero destino. Non troviamo il significato della vita da soli. Lo troviamo insieme a qualcun altro.
Thomas Merton

sabato 29 novembre 2014

NON DIMENTICARE CHE...

Il tuo Cristo è ebreo
e la tua democrazia è greca.
La tua scrittura è latina
e i tuoi numeri sono arabi.
La tua auto è giapponese
e il tuo caffè brasiliano.
Il tuo orologio è svizzero
e il tuo computer è coreano.
La tua pizza è italiana
e la tua camicia hawaiana.
Le tue vacanze sono turche, 
tunisine o marocchine
Cittadino del mondo, non rimproverare 
al tuo vicino di essere straniero.

venerdì 28 novembre 2014

E' PIÙ IMPORTANTE AMARE O ESSERE AMATI?


"Non ci si può limitare solo alla dimensione attiva dell'amore,cioè solo ad amare senza ricevere amore,perché inevitabilmente si diventa vuoti,insipidi:la personalità finisce per non avere quasi sapore,come il sorriso stereotipato di alcune persone religiose che vogliono mostrare di amare tutti ma del cui amore nessuno si cura perché non sa di nulla. Neppure però si può vivere solo ricevendo amore senza donarlo,perché l'ego diviene ipertrofico,si appesantisce,ingrassa,vede e vuole solo se stesso,come il sorriso altrettanto stereotipato di certi personaggi alla moda che è solo un clamoroso falso,un prodotto contraffatto dietro cui ci sono solo egoismo e narcisismo. Nel primo caso si è spiritualmente troppo magri,nel secondo troppo grassi.
Occorre trovare il giusto equilibrio tra donare e ricevere amore,perché tutto nella vita dipende dal giusto equilibrio delle forze."

lunedì 24 novembre 2014

Spiritualità, un fatto personale 
di Marina Valcarenghi in “il Fatto Quotidiano” del 24 novembre 2014
La spiritualità è troppo importante per lasciarla alle religioni. Non c’entra nemmeno con la fede, è 
l’inclinazione transpersonale di un essere umano, la disposizione a occuparsi degli altri e non solo di sé; è la consapevolezza di fare parte di un movimento infinito di materia e di energia che ci trascende e ci riguarda. “Io lavoro, mi comporto onestamente, vado in chiesa e penso alla mia famiglia - sentii dire da una signora quando ero una ragazzina - Se tutti facessero come me…”. 
Non sapevo perché ma ci ero rimasta male, mi sembrava giusto e sbagliato insieme. Oggi penso che quella signora fosse forse religiosa e onesta, ma anche priva di vita spirituale. Abitava il suo piccolo mondo e le bastava. E fuori da lì? E gli altri? È questa la domanda alla fine. 
Ci sono quelli per cui gli altri non esistono e quelli per cui esistono. E se esistono allora sentiamo lo slancio e la responsabilità di andare oltre la nostra vita personale, oltre i nostri sentimenti privati, oggi, su questa terra, e non per guadagnarci il paradiso. Troppo spesso e negli ambienti più diversi, da “comunione e liberazione” ai seguaci della new age, dagli agnostici agli ebrei, dai parrocchiani agli psicoanalisti, si sente proporre la spiritualità come corollario di una religione, di una fede o di una ricerca interiore e questa opinione mi indigna e addolora.
Non riconosco diritto di esclusiva sulla vita dello spirito che mi sembra definitivamente personale. Mi vengono in mente tante persone – che ho conosciuto o che non ho mai visto – che non credevano in Dio, non andavano in nessuna chiesa, e non meditavano sui tappetini, ma che hanno accettato di morire per amore degli altri, e anche tante persone che hanno lasciato e lasciano entrare gli altri nella loro vita. Forse è necessario saper soffrire? Ho riconosciuto tante volte la spiritualità fra i detenuti, più raramente fra i fedeli nelle chiese. 

mercoledì 19 novembre 2014

Risveglio

Ad un tratto tutto si riaccende
tornano a galla, i pensieri, come liberatisi da sabbie profonde nell'abisso della mente
risalgono, lentamente, in superficie..
sento il mio corpo, percepisco le mani e i piedi, 
il battito del cuore accelera..
la cassa toracica riprende a gonfiarsi
come se, per l'intera notte non lo avesse fatto, 
la macchina, spenta per un tempo che sembra illimitato, riprende, dolcemente, a funzionare..
Odo i rumori, i più vicini, poi quelli dalla starada, le voci, 
e..apro gli occhi al mondo..
Rotolo dinanzi allo specchio, mi guardo e..son lì..
ancora un altro giorno, con la possibilità di vivere attimi, ore e..chissà..
Ciò che importa è che son lì..
in quel preciso istante
e ringrazio Dio per l'immenso DONO della vita. 
Mi affido a te, o Padre, oggi come ieri, 
fammi strumento nelle tue mani
che parole e gesti si riempiano di compassione verso coloro che incontrerò sul mio cammino,
conducimi sui sentieri del tuo amore.

Poi..guardo fuori ed il cielo, fosco e brumoso, accenna ad un'altra giornata di pioggia.
La mia preghiera vola a tutte quelle persone, 
alluvionate, fuori e dentro, 
che la paura si trasformi in speranza.. e coraggio.. 
per riemergere dal fango
di terra, timore e disperazione. 
Ascoltaci, o Signore.

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martedì 18 novembre 2014

CRISTIANI NELLE COMUNITÀ DI OGGI
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Curiosando tra le varie attività pastorali delle diocesi italiane,ho trovato spesso indicate due paroline interessanti e un po' anche inattese:"riassetto diocesano». E' un'espressione che spesso ha rivelato un'interessante momento di riflessione per un incontro possibile tra Vescovi,preti e laici.
D'altra parte è impossibile negare che in un mondo dove la secolarizzazione avrebbe dovuto portare il cristianesimo a doversi ridire e ripensare per il tempo presente,come bene il Concilio Vaticano II aveva messo in luce,non sia ancora arrivato il momento di riorganizzare il mondo cattolico,e in particolare le diocesi e le parrocchie,sempre in prima fila nell'affrontare le trasformazioni culturali e sociali.
Uno dei problemi da cui partire è sicuramente l'ormai esiguo numero di sacerdoti,problema che permette di mettere in luce molteplici altre fragilità. E così scopriamo che esiste una bassissima partecipazione dei laici alla vita delle comunità parrocchiali,spesso ridotta a ruoli semplicemente esecutivi e funzionali. Come pure un'attitudine delle parrocchie all'introversione,dove ci si rivolge di più alla cura e all'attenzione di chi partecipa che non all'annuncio della 'buona novella' nella sua fresca e  gioiosa attualità. E poi imperversa un atteggiamento acquiescente nei confronti delle modalità con cui la comunità è organizzata.
In qualche scheda di riflessione su queste problematiche ho riscontrato il desiderio di iniziare un inevitabile processo di trasformazione delle parrocchie e delle diocesi,con gradualità,con sostenibilità,con flessibilità,certi che una soluzione unica per tutti è da escludere. Ma di seguito ho con molta difficoltà cercato di trovare le soluzioni organizzative atte a rispondere alle esigenze operative tipiche del nostro vivere.
Una delle novità più straordinarie e famose del Vaticano II fu quella di sottolineare l'idea di Chiesa nella sua globalità come Popolo di Dio:<<Tutti gli uomini sono chiamati a formare il Popolo di Dio...A questo scopo Dio mandò il Figlio suo...Capo del nuovo universale popolo dei figli di Dio...Per questo pure mandò Dio lo Spirito...principio di unione e di unità(L.G.13.a)>>. Ed è proprio da qui che credo bisogna ripartire,perché balza subito agli occhi come in molti contesti ecclesiali non esiste una vera corresponsabilità tra presbiteri e laici,vuoi per un clericalismo ancora troppo imperante tra gli uni,vuoi per il vizio di «delega in bianco» per gli altri. Nelle stesse parrocchie il centro continua ad essere il prete che decide,coordina,cura,presiede il gregge che gli è stato affidato,e non la comunità cristiana nella sua dimensione di Popolo di Dio,estroverso ed accogliente.
Si tratta di una visione di Chiesa dove il laico ha un ruolo molto ridimensionato,dove non è questione di organizzazione o meno,ma di mancanza di una adeguata riflessione sulla ministerialità,cioè sui cosiddetti 'carismi'. Non credo che il problema sia risolvibile con l'idea di raccogliere le forze che abbiamo a disposizione,ma è venuto il tempo di un impegno serio e reale per l'individuazione di nuove figure di servizio e di responsabilità che possano affiancare i ministri ordinati.
Non credo di essere il primo nel sollevare queste questioni.Ci sono strutture(ad esempio i consigli pastorali?)dove è già iniziata una seria e urgente riflessione comunitaria per mettere in luce gli snodi da affrontare e le soluzioni possibili. Mi permetto quindi,con semplicità e spirito cristiano,di indicare alcune questioni cruciali e decisive,sulle quali mi piacerebbe dialogare.

  • Trasformare la comunità cristiana in comunità evangelizzatrice:una Chiesa «in uscita» ,cioè una comunità dei discepoli di Gesù che coinvolti dalla 'buona novella',prendono l'iniziativa,accompagnano,fruttificano e festeggiano.
  • Uscire dall'immobilismo analizzando consuetudini,stili,orari,linguaggi e strutture perché siano più accessibili agli uomini del nostro tempo.
  • Ripensare la suddivisione di responsabilità tra sacerdoti e fedeli nella gestione della comunità e nell'evangelizzazione.
  • Valorizzare il cammino di fede e la formazione per laici\laiche che potrebbero mettersi a servizio della comunità cristiana.
  • Riformulare il ruolo dei consigli pastorali,la presenza delle aggregazioni\movimenti laicali e il rapporto tra Diocesi e Parrocchie.

Il tempo è opportuno. Lasciamoci convincere dalla bellezza e dalla serenità di un vero confronto fra tutte le componenti del Popolo di Dio,perché come diceva S.Paolo:<<...come in un solo corpo abbiamo molte membra e queste membra non hanno tutte la medesima funzione,così anche noi,pur essendo molti,siamo un sol corpo in Cristo e ciascuno per la sua parte siamo membra gli uni degli altri.>>(Rm 12,4-5)....per tornare ad essere e a sentirsi Chiesa!
A.B.


lunedì 17 novembre 2014

LA SCELTA DI RACHEL


"Io vi do un nuovo comandamento: che vi amiate gli uni gli altri. Come io vi ho amati, anche voi amatevi gli uni gli altri. Da questo conosceranno tutti che siete miei discepoli, se avete amore gli uni per gli altri" (Giovanni 13, 34-35). Non si sa se Rachel abbia ricevuto un'educazione cristiana ma la sua vita ha testimoniato un amore al prossimo che assomiglia moltissimo a quello che Gesù ha avuto e ha per i suoi discepoli.

Dedizione totale per i bambini malati
Rachel da quando aveva 5 anni ha sempre mostrato un'innata attenzione per le persone più bisognose. Un esempio? Per tre volte ha regalato i suoi capelli ai bambini malati di cancro. Aveva sentito parlare dell’esistenza di un’organizzazione (Locks of Love) che raccoglieva capelli per farne parrucche da dare ai bambini malati di cancro, e non ci ha pensato su due volte. La giovanissima bambina è corsa a casa ed ha chiesto alla mamma di tagliare i capelli per poterli donare ai bambini malati. Il gesto si è ripetuto una seconda volta e, quindi, una terza volta. Quest'ultima è coincisa con il giorno della sua salita al Cielo in seguito a un incidente stradale. Proprio mentre la sua vita era intensamente protesa verso l'amore al prossimo. I genitori sono stati i primi testimoni della vita della piccola e quando ha chiuso gli occhi per l'ultima volta hanno deciso di donare gli organi della bambina, come lei stessa – ne sono certi – avrebbe voluto.

Il mio regalo di compleanno fatelo ai poveri
Ma gli episodi che testimoniano la sua volontà di donarsi al mondo sono innumerevoli: il giorno del suo nono compleanno, aveva detto: “Anziché farmi un regalo, donate 9 dollari alle persone che costruiscono pozzi per chi non ha l’acqua potabile”, considerato che aveva sentito parlare di “Charity Water”, un’organizzazione non governativa che punta a raccogliere fondi per realizzare dei progetti umanitari legati all’acqua nei paesi più poveri del mondo. “Per piacere aiutatemi. Ai donatori manderemo le foto dei pozzi e le coordinate geografiche tratte da Google Earth. Il mio obiettivo è raccogliere 300 dollari”, aveva inoltre affermato. La bimba aveva raccolto 280 dollari fino al giorno della sua morte.

Per un bene più grande
Proprio in quel giorno sono arrivate tantissime donazioni all’associazione, finalizzate a supportare la realizzazione del sogno di Rachel. Nei tre giorni in cui è dovuta stare a letto, in lotta tra la vita e la morte, gli amici le hanno sussurrato all’orecchio che le donazioni avevano superato di gran lunga i 50 mila dollari. E nel momento in cui la vita di Rachel si è compiuta, sua mamma Samantha ha ringraziato tutti scrivendo che ora sua figlia sta sorridendo. Sì perché la piccola Rachel ha potuto donare la sua vita per un bene più grande, un bene che ha ricercato in ogni istante della sua esistenza.

sabato 15 novembre 2014

Per un discorso sereno sull'omosessualità
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Pochi giorni dopo il clamore del coming out di Tim Cook, l'amministratore delegato di Apple, che ha rivelato il proprio orientamento e ha definito l'omosessualità un dono di Dio, in Italia abbiamo avuto la polemica sull'insegnante che, su un bollettino parrocchiale, ha denunciato un fantomatico complotto Onu per promuovere omosessualità e pedofilia tra i bambini. Non è la prima volta che leggo sparate del genere e mi viene da chiedermi se sia possibile parlare di questi temi seriamente e serenamente da cattolici e tra cattolici.

Bisogna distinguere i piani. Un conto è il discorso legislativo, con il corrispondente dibattito, sui diritti delle coppie omosessuali e l'equiparazione al matrimonio. Un altro conto è la realtà delle persone e come ci si relaziona a essa, in una prospettiva di fede. Sembra che ci siano due fronti: da una parte i gay cattivi che vogliono distruggere la famiglia e dall'altra i difensori e bisogna schierarsi. Almeno, certi commenti e articoli danno questa rappresentazione. Eppure, basterebbe conoscere e frequentare delle persone omosessuali per capire che non è così.

Io non ho mai accettato le logiche di contrapposizione amico/nemico. Certamente non è una logica cristiana. Gesù scandalizzava proprio per le sue frequentazioni tra coloro che erano considerati peccatori ed eretici, di cui faceva emergere in primo luogo il positivo e la fede di cui erano capaci. È uno stile che andrebbe applicato anche a proposito delle persone omosessuali. Poi gli esagitati ci sono dappertutto, tra i cattolici, tra gli omosessuali, tra gli atei, tra i vegetariani... Ciò però non giustifica il fatto di cadere sempre, parlando di certi argomenti, in un dualismo oppositivo.

Il punto per me è: si può dire da cristiani una parola positiva sulle persone omosessuali e su una relazione affettiva omosessuale? Si può dire che ogni violenza verbale e fisica è sbagliata? Si può dire che considerare l'omosessualità una malattia non ha niente a che fare con la fede cristiana?

La Bibbia presenta una visione antropologica e teologica del rapporto tra uomo e donna che si esprime nel matrimonio. L'omosessualità non rientra in questo ambito. Questo la rende in toto una realtà malvagia e peccaminosa? Chi conosce delle coppie omosessuali può dire che non è così. Lo ha affermato di recente anche il cardinale Schönborn, un allievo di Ratzinger che è tra gli estensori del Catechismo. I passi biblici che fanno riferimento agli atti omosessuali non sono riportabili oggi senza una considerazione critica, perché ne parlano come se questi rapporti fossero solo una scelta deliberata di lussuria. Agli autori biblici era sconosciuta la nozione di identità, orientamento o condizione omosessuale e quindi non la si può valutare in base a quei testi. Una condizione innata è cosa ben diversa da una decisione esplicita, cosciente e colpevole di rifiuto di determinati valori. Il peccato si verifica in questo secondo caso.

Insomma, c'è una questione legislativa, c'è una questione etica e c'è una questione teologico/antropologica. Sono piani diversi da non confondere e su cui la riflessione deve proseguire, come diceva per esempio un teologo come Enrico Chiavacci.
CHRISTIAN ALBINI.

venerdì 14 novembre 2014

Aiutaci ad aprire i nostri cuori

1) O Dio, che ami tutti i colori delle nostre pelli,  che conosci tutte le lingue del mondo, che non emargini nessuno dal Tuo amore, aiutaci a costruire pace, giustizia e comprensione tra popoli, razze, culture e religioni diverse uscendo dai pregiudizi, dalle prepotenze, dalle pigrizie…
Aiutaci ad aprire i nostri cuori.

2) O Dio, che vedi talvolta il nostro disorientamento e la nostra confusione in questo mondo pieno di rapidi cambiamenti…
Aiutaci ad aprire i nostri cuori.

3) Per i giorni in cui siamo tentati di chiuderci in noi stessi e ridurre la nostra vita a fare i fatti nostri…
Aiutaci ad aprire i nostri cuori.

4) Per i giorni in cui ci pare che la nostra fatica sia inutile e il nostro impegno non serva a nulla nella comunità e nel mondo…
Aiutaci ad aprire i nostri cuori.

5) Perché di fronte ai tanti bisogni che vediamo vicino e lontano da noi sappiamo uscire dall'indifferenza e prendere qualche nuova decisione…
Aiutaci ad aprire i nostri cuori.

6) Per la nostra chiesa così bisognosa di rinnovamento eppure così in difficoltà davanti alle nuove sfide, perché facciamo con umiltà e coraggio la nostra parte…
Aiutaci ad aprire i nostri cuori.

7) Perché, mediante la lettura delle Scritture e l'attenzione ai problemi del mondo, riusciamo a liberare la nostra fede da tanti arsenali superstiziosi e miriamo all'essenziale…
Aiutaci ad aprire i nostri cuori.

mercoledì 12 novembre 2014

Papa Francesco scrive al G20 non facendo nessuno sconto ai grandi della terra

I Paesi che parteciperanno al prossimo G20 di Brisbane, in Australia, non diano vita a discussioni e “dichiarazioni di principio”. Sarebbe “increscioso” considerando quante situazioni di crisi colpiscono oggi il mondo e attendono soluzioni.

È l’auspicio di fondo della lettera che Papa Francesco ha inviato al primo ministro australiano, Tony Abbot, in vista del vertice del 15 e 16 novembre prossimi. Leggi il testo integrale nella pagina "HO SCRITTO UNA LETTERA" di questo blog.
Le tre priorità della Chiesa francese.

Per concludere la sessione autunnale della Conferenza episcopale (CEF), il suo presidente, Mons.Georges Pontier, arcivescovo di Marsiglia, ha parlato di tre temi che le diocesi dovranno affrontare.
1) la solidarietà. Il presidente della CEF ha ricordato alcune constatazioni: “I poveri sono sempre più poveri”, “la solitudine e l'isolamento li rendono sempre meno visibili”.
Queste constatazioni, Mons. Pontier le interpreta come un appello alla responsabilità collettiva.
“Siamo tutti coinvolti, lo Stato, le collettività territoriali, i servizi sociali, il tessuto associativo e
ognuno di noi”, ha riconosciuto, prima di invitare le comunità cristiane a “rinnovarsi nelle forme di
prossimità e di impegno con i più poveri”, come invita regolarmente a fare papa Francesco,
desideroso di vedere la Chiesa attenta “alle nuove forme di povertà e fragilità”.
2) La riflessione sull'ecologia e il contributo alla diffusione di nuovi modi di vita.
In effetti, è a Parigi che si terrà alla fine del 2015 la prossima conferenza internazionale sul clima, e non è impossibile che papa Francesco scelga lo stesso periodo per un suo viaggio in Francia.
Questo evento “invita ad una mobilitazione importante delle nostre diocesi, poiché – il papa – continua ad interpellarci sull'impatto della 'globalizzazione dell'indifferenza' e sulla 'cultura dello scarto' che lasciamo diffondere nella nostra economia e nelle nostre relazioni sociali”, afferma Mons. Pontier. “Queste sfide planetarie possono anche essere l'occasione di una salutare presa di coscienza e diventare opportunità pastorali per inventare nuovi modi di vita”, ha sottolineato, ricordando tra l'altro lo studio pubblicato due anni fa:“Poste in gioco e sfide ecologiche per il futuro”, che invitata le comunità cristiane a mobilitarsi e ad impegnarsi.
3) La terza priorità, infine, è la prosecuzione nelle diocesi della riflessione sulla famiglia, nella
prospettiva del Sinodo dell'ottobre 2015.
“Il documento uscito dal recente Sinodo ci invita a purificare il nostro linguaggio affinché non sia mai offensivo, e ad avere per ogni persona uno sguardo di speranza”, ricorda l'arcivescovo di Marsiglia. La Chiesa deve “essere una Chiesa della misericordia e del conforto, una Chiesa che accompagna, che cammina al passo dell'altro”.
Per un impegno a più lunga scadenza, il presidente dei vescovi ha ricordato anche una riflessione sul modello di quella che li aveva portati a pubblicare, nel 1996, una “Lettera ai cattolici francesi”, (scritta da Mons, Claude Dagens, vescovo di Angoulême), che aveva contribuito al rinnovamento della pastorale in numerose diocesi. Nella prossima sessione di primavera i vescovi dedicheranno una giornata alla riflessione e al discernimento, guidata da padre François-Xavier Dumortier, gesuita francese e rettore dell'Università gregoriana di Roma, per definire “quali cammini privilegiare per la missione”, in particolare in materia di pastorale familiare.

sabato 8 novembre 2014

Un mondo di muri, 25 anni dopo Berlino
9 Novembre 1989 - 9 Novembre 2014

Nell’autunno dell’anno scorso sono stato qualche giorno a Berlino, per partecipare a un incontro con colleghi mediorientalisti. Confesso che è stato emozionante, perché era la prima volta che vedevo Berlino riunificata, mentre avevo conosciuto abbastanza bene quella divisa. Mi sono stupito, e sono quasi rimasto scioccato, perché non riuscivo più a trovare i segni di quel lugubre muro, che in un passato apparentemente vicino ma in realtà lontanissimo, avevo attraversato cinque volte, da Ovest a Est, rientrando prima di mezzanotte come Cenerentola.

L’ultima volta, al Checkpoint Charlie, fui costretto a una lunga attesa in un gabbiotto, perché il collega che si trovava con me, Giuseppe Canessa de Il Giorno, aveva la fotografia scollata sul passaporto. Sul Muro di Berlino, e sul suo crollo, ho scritto un libro, dall’inequivocabile titolo Sgretolamento. Voci senza filtro (Jaca Book, 2013), per indicare che l’abbattimento - di cui erano state segnalate molte avvisaglie - certificava la fine della separazione ideologica tra due mondi.

Pensavo che la fine del Muro avrebbe significato il tramonto di tutti i muri del mondo. Che ingenuità! Dopo quell’entusiasmante fine del 1989, i muri invece di crollare sono cresciuti, numericamente e qualitativamente. Quelli del passato sono stati più o meno pensionati, come quello «light» di Nicosia, che comunque continua a dividere l’isola di Cipro, o quello di Gorizia, che ai tempi della Jugoslavia seguiva i binari di una linea ferroviaria. Ma sono i muri del presente che fanno più impressione.

Frequentando il Medio Oriente, e in particolare Israele e la Palestina, non posso non cominciare dalla muraglia altissima che separa i due contendenti: anzi, impedisce che vi possa essere quella contaminazione umana e sociale che dovrebbe essere il prologo di una futura e consolidata convivenza. È pur vero che la muraglia ha sicuramente ridotto le infiltrazioni e le statistiche dicono che gli attentati sono drasticamente diminuiti.

Ma è cresciuta, invece di sedarsi, una rabbia che odora di apartheid, di umiliazioni, e quindi di propositi di vendetta. La Striscia di Gaza di muri o similari ne ha addirittura due: uno con Israele, l’altro con l’Egitto. Di fatto i palestinesi, ammassati su quel minuscolo lembo di terra, vivono in una prigione a cielo aperto. Non stupisce che persino i fondamentalisti di Hamas siano in difficoltà, attaccati dagli estremisti dello Stato islamico, e da altre subordinate fanatiche e parimenti pericolose, che stanno facendo proseliti anche laggiù.

È così contagiosa la febbre del muro e il bisogno protettivo di un ghetto da suggerire analisi spietate: muro è sintomo di debolezza, di fragilità e di complessi difficili da contrastare. Al punto che, dove non si può costruire fisicamente, si erige la barriera virtualmente, immaginandone la difesa con strumenti di morte pronti ad annientare. Come accade in Iraq, in Siria, al confine con la Turchia. Ecco, arriviamo ai Balcani. La porta dell’Unione europea, prima, era considerata la Grecia, il più sudorientale dei Paesi dell’Unione. Per questa ragione, via Turchia, un flusso continuo di immigrati aveva spinto Atene a creare uno sbarramento.

Ora, la porta dell’Unione europea, dopo le ultime adesioni, si è spostata ancora più a Est, in Bulgaria. Ecco perché lo Stato balcanico ha costruito una cortina di ferro (sì, proprio una cortina di ferro, di sovietica memoria) lunga 33 chilometri e alta tre metri per contenere il numero di coloro che chiedono un passaggio o un asilo che un Paese povero come la Bulgaria non può garantire.

Il mondo, dopo la caduta del muro di Berlino, è diventato assai più instabile. I conflitti si sono moltiplicati. La gente fugge dalla violenza, chiede di poter vivere dignitosamente e senza paura. È un loro sacrosanto diritto. Oltre il muro del mare, gli immigrati libici, siriani, palestinesi, sognano di raggiungere l’Italia, e da qui gli altri Paesi europei. A un quarto di secolo dal tramonto del comunismo, l’auspicio è uno solo: che la solidarietà prevalga sull’egoismo. Dico di più. È nel nostro interesse di europei sostenere l’urgenza della solidarietà. Alcuni studiosi ritengono infatti che, per sopravvivere, l’Ue - anziana e stanca - nei prossimi 30 anni avrà bisogno di 100 milioni di nuovi immigrati.

Antonio Ferrari
Editorialista del Corriere della Sera

venerdì 7 novembre 2014

VIRI PROBATI E “PRESBITERI DI COMUNITÀ”:
NUOVE FORME DI SACERDOZIO SECONDO I VESCOVI BRASILIANI

Alla questione della scarsità di sacerdoti stanno dedicando specifica attenzione i vescovi brasiliani. Il problema è particolarmente acuto nella regione amazzonica, dove è praticamente impossibile assicurare la celebrazione dell’eucarestia domenicale alle comunità dei fedeli disperse in un territorio così vasto. Ne aveva parlato a papa Francesco il vescovo della diocesi di Xingu, mons. Erwin Kraütler, quando, il 5 aprile scorso, aveva incontrato il pontefice, prospettandogli la possibilità di ordinare sacerdoti dei viri probati – cioè uomini anche sposati di provata fede e rettitudine – per sopperire alle difficoltà che incontrano i suoi fedeli e trovando buon ascolto nel papa: «avanzate suggerimenti», gli aveva detto. E i vescovi brasiliani si sono messi subito al lavoro nell’Assemblea generale della Conferenza episcopale svoltasi dal 30 aprile al 9 maggio di quest’anno. Con efficacia, sembra:il card. Claudio Hummes, arcivescovo emerito di San Paolo, sta “dialogando” con la Congregazione per il Clero proprio sui viri probati.

Non dev’essere solo questo, però,i vescovi sono andati più in là, valutando altre «forme di ministero presbiterale» (della cui possibilità è convinto il card. Hummes), per il cui studio alcuni hanno proposto l’istituzione di una commissione (tuttavia non istituita, ma forse non necessaria).

L’dea più gettonata in merito sarebbe stata quella dei «presbiteri di comunità», sposati o no, con la prospettiva inoltre di restituire alla “Chiesa popolo di Dio” per la missione di Cristo una scelta che è solo appannaggio del potere clericale. Non è un’idea nuova in quanto già formulata, ormai anni fa, dal vescovo emerito mons. Fritz Lobinger nei due volumi,"Équipe di ministri ordinati" e "L’altare vuoto". Nel primo dei due è la prefazione a firma del vescovo di Jales (in Brasile), mons. Demetrio Valentini a riassumere l’intuizione di Lobinger, mettendo in risalto che essa non entra mai in contraddizione con il sacerdozio celibatario: «Una soluzione per il problema della scarsità di sacerdoti deve cominciare dalla valorizzazione dei sacerdoti che abbiamo ora. Essi sono chiamati ad essere i formatori e gli animatori dei “ministri ordinati nelle comunità” in modo che la Chiesa abbia la garanzia di non prescindere dall’importanza e dall’attuazione degli attuali “sacerdoti diocesani” celibatari»; ma, al contempo, non mancherebbero alle comunità ministri dell’eucarestia. Valentini ci tiene a precisare che già «esistono équipe di animatori di comunità, ben preparati, adatti ad esercitare i ministeri dei quali le comunità hanno bisogno! Perciò, potremmo dire: i ministri di comunità sono già pronti. Manca solo che la Chiesa decida la loro ordinazione presbiterale».

Nel libro, inoltre, l’idea che una tale forma di sacerdoti di comunità non metta in questione la prassi del sacerdozio solo celibatario è approfondita nel sostanzioso contributo biblico-teologico di p. Antonio José de Almeida, teologo e saggista brasiliano. Si ritrova nelle comunità paoline del Nuovo Testamento – sostiene – l’esperienza della formazione, nelle comunità, dei ministri anche per la celebrazione eucaristica, e ne individua un sostegno in documenti, conciliari e magisteriali. «Non si richiede – puntualizza il teologo – la possibilità di ordinare qualsiasi persona, ma di ordinare, nelle comunità oggettivamente meritevoli di questa definizione, persone sposate o no, accademicamente formate o no, a tempo pieno o parziale, che abbiano le qualità necessarie per un buon, efficace e fruttuoso ministero presbiterale».

Non c’è contraddizione fra i due tipi di ministri ordinati, quello che viene “alla comunità” e quello che viene “dalla comunità”. L’articolazione fra i due modelli di presbiteri è spiegata, ancora nel libro, dal gesuita Juan Antonio Estrada quando traccia il profilo dei ministri comunitari: «Sarebbero uguali ai laici per forma di vita, tranne che per quanto concerne l’ordinazione sacerdotale»; apparterrebbero «alle comunità locali» e offrirebbero un servizio «a tempo parziale e completo. Non è questa una novità assoluta, perché attualmente ci sono preti che dedicano alle funzioni pastorali comunitarie solo parte del loro tempo, essendo professori, o impegnati nelle relative comunità monastiche o religiose, o in incarichi curiali di amministrazione», ecc. Estrada sostiene che, comunque, il testo di Lobinger «insiste sempre sul carattere ecclesiale della proposta. Si offre a tutta la Chiesa e alla gerarchia di competenza, papale, episcopale e sacerdotale, come un’alternativa pienamente inquadrabile nel diritto e nella teologia attuali». (eletta cucuzza su Adista)


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