giovedì 30 giugno 2016

«Siate in pace gli uni con gli altri» (Mc 9, 50).

Il Vangelo di Marco riporta questa parola di Gesù al termine di una serie di detti rivolti ai discepoli, riuniti in casa a Cafarnao, nei quali spiega come avrebbe dovuto vivere la sua comunità. La conclusione è chiara: tutto deve condurre alla pace, nella quale è racchiuso ogni bene.
Una pace che siamo chiamati a sperimentare nella vita quotidiana: in famiglia, al lavoro, con chi pensa diversamente in politica. Una pace che non ha paura di affrontare le opinioni discordanti, di cui occorre parlare apertamente, se vogliamo un’unità sempre più vera e profonda. Una pace che, nello
stesso tempo, domanda di essere attenti a che il rapporto d’amore non venga mai meno, perché l’altro vale più delle diversità che possono esserci tra noi. 
E' una parola, quella di Gesù, non facile da capire oggi di fronte agli innumerevoli conflitti e alle violenze terroristiche che feriscono l'umanità in tante parti del mondo. E' davvero triste dover riconoscere che in auge sono tornate parole ed espressioni che pensavamo sepolte, come: “il nemico”, “i nemici”, e poi i bollettini di guerra, i prigionieri, le vittorie e le sconfitte...
A ben pensarci ci stiamo rendendo conto con sgomento che è stato ferito nel cuore il principio fondamentale del cristianesimo, il “comando” per eccellenza di Gesù, quello “nuovo”. 
Invece di amarsi a vicenda, invece di essere pronti a morire l’uno per l’altro, ecco l’umanità di nuovo nel baratro dell’odio. E quindi?
Rimettiamo innanzitutto le cose in ordine. Restauriamo tra persone e popoli rapporti di ascolto, di aiuto reciproco, di amore, fino, come dice la novità evangelica, ad “essere pronti a morire l’uno per l’altro”... e non ad ammazzare l'uno e poi l'altro!
Occorre spostare le proprie ragioni per capire quelle dell’altro, pur sapendo che non sempre arriveremo a comprenderlo fino in fondo. Anche l’altro probabilmente fa lo stesso con me e neppure lui, forse, a volte capisce me e le mie ragioni. Vogliamo tuttavia rimanere aperti all'altro, pur nella
diversità e nell'incomprensione, salvando prima di tutto la relazione con lui.
Il Vangelo lo pone come un imperativo: “Siate in pace”, segno che richiede un impegno serio ed esigente. È una delle più essenziali espressioni dell’amore e della misericordia che siamo chiamati ad avere gli uni verso gli altri.
A.B.

NUTRIRE LE GUERRE O ALIMENTARE LA PACE? Comunicato stampa di "PAXCHRISTI"

Il Consiglio Nazionale di Pax Christi, riunito a Firenze il 18-19 giugno, riflettendo sui conflitti armati e sulle violenze diffuse, sulle migrazioni forzate e sui muri europei, ha condiviso pienamente l’osservazione del papa, espressa il 13 giugno scorso “sembra che le armi abbiano acquistato una preponderanza inusitata, in modo tale da accantonare totalmente altre maniere di risolvere le questioni oggetto di contrasto”. Così mentre si moltiplicano gli ostacoli per i piani di sviluppo, le armi “circolano con spavalda e quasi assoluta libertà in tante parti del mondo. E in questo modo a nutrirsi sono le guerre” (alla Giunta Esecutiva del Programma Alimentare Mondiale).
Per questo motivo, Pax Christi intende rinnovare il suo impegno nelle campagne e iniziative in corso: No F-35, – attuazione della legge sul commercio delle armi 185/90, – Difesa civile non armata e nonviolenta, – Stop al Trattato commerciale transcontinentale TTIP, – Giubileo del debito, – Forum dell’acqua, – difesa del popolo palestinese, adesione al BDS e al boicottaggio HP, – smilitarizzazione dei cappellani militari, – possibilità di una delegazione in Iraq, – settimana di spiritualità presso la Casa per la pace, – concorso sulla pace nelle scuole e altro. Al Brennero, lo scorso 4 giugno con Pax Christi Austria, c’è stato un appuntamento significativo: “Anche in Europa ponti e non muri”. Per i giorni 1-2 luglio è in programma a Firenze un seminario del Centro Studi “L’Europa per la pace” che si aprirà con gli interventi di Luigi Bettazzi e Romando Prodi.
Dopo il Convegno di Prato, lo scorso 11 giugno, Pax Christi promuove l’Appello al governo e al Parlamento italiano, ai consigli comunali e regionali per un grande “No alle bombe nucleari in Italia”, per impedire l’installazione di nuove bombe nucleari B61-12 in violazione del Trattato di non proliferazione nucleare.
Aderisce alla marcia Perugia-Assisi del 9 ottobre prossimo evidenziando gli obiettivi del disarmo italiano ed europeo.
Si impegna a diffondere l’ “Appello alla Chiesa italiana per promuovere la centralità ella nonviolenza evangelica”, firmato il 13 aprile scorso da Pax Christi International e dal Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, attuando i sei punti proposti al fine di sviluppare operativamente l’insegnamento sociale cattolico sulla nonviolenza attiva e creativa.
Firenze, 21 giugno 2016 Pax Christi Italia

mercoledì 29 giugno 2016

RIFORMATORI

<<Io credo che le intenzioni di Martin Lutero non fossero sbagliate: era un riformatore. Forse alcuni metodi non erano giusti, ma in quel tempo, vediamo che la Chiesa non era proprio un modello da imitare: c’era corruzione nella Chiesa, c’era mondanità, c’era attaccamento ai soldi e al potere. E per questo lui ha protestato. Poi era intelligente, e ha fatto un passo avanti giustificando il perché faceva questo. E oggi luterani e cattolici, con tutti i protestanti, siamo d’accordo sulla dottrina della giustificazione: su questo punto tanto importante lui non aveva sbagliato. Lui ha fatto una “medicina” per la Chiesa, poi questa medicina si è consolidata in uno stato di cose, in una disciplina, in un modo di credere, in un modo di fare, in modo liturgico. Ma non era lui solo: c’era Zwingli, c’era Calvino… E dietro di loro chi c’era? I principi, “cuius regio eius religio”. Dobbiamo metterci nella storia di quel tempo. E’ una storia non facile da capire, non facile. Poi sono andate avanti le cose. Oggi il dialogo è molto buono e quel documento sulla giustificazione credo che sia uno dei  documenti ecumenici più ricchi, più ricchi e più profondi. Ci sono divisioni, ma dipendono anche dalle Chiese. A Buenos Aires c’erano due chiese luterane: una pensava in un modo e l’altra in un altro. Anche nella stessa Chiesa luterana non c’è unità. Si rispettano, si amano… La diversità è quello che forse ha fatto tanto male a tutti noi e oggi cerchiamo di riprendere la strada per incontrarci dopo 500 anni. Io credo che dobbiamo pregare insieme, pregare. Per questo la preghiera è importante. Secondo: lavorare per i poveri, per i perseguitati, per tanta gente che soffre, per i profughi… Lavorare insieme e pregare insieme. E che i teologi studino insieme, cercando… Ma questa è una strada lunga, lunghissima. Una volta ho detto scherzando: “Io so quando sarà il giorno dell’unità piena” – “Quale?” – “Il giorno dopo la venuta del Figlio dell’uomo!”. Perché non si sa… Lo Spirito Santo farà questa grazia. Ma nel frattempo bisogna pregare, amarci e lavorare insieme, soprattutto per i poveri, per la gente che soffre, per la pace e tante altre cose, contro lo sfruttamento della gente… Tante cose per le quali si sta lavorando congiuntamente.>>
CONFERENZA STAMPA DEL SANTO PADRE DURANTE IL VOLO DI RITORNO DALL'ARMENIA/Domenica, 26 giugno 2016

martedì 28 giugno 2016

VOGLIA DI RIFORMA

<<Si sente il bisogno di un salto di qualità che crei strutture di partecipazione responsabile dei fedeli alla vita della Chiesa, dei vescovi con il ministero del Papa, dei preti con quello dei vescovi e dei fedeli laici con quello dei preti. Occorre inquadrare la missione della Chiesa all'interno di una società ormai pluralista. Il rischio è quello di operare ancora al di dentro di un quadro mentale riferito ad un vecchio mondo, dove la società era fondamentalmente cristiana. Il mondo non si trasforma attraverso l’esercizio del potere, bensì attraverso quello dell’amore: è questa la via di Gesù. Conversione e riforma sono concetti da non sovrapporre: la conversione riguarda un cammino di santità della persona, mentre la riforma riguarda gli ordinamenti, le procedure, le prassi delle istituzioni ecclesiastiche. Dal Concilio Vaticano II si sono imposte l’attuazione della collegialità episcopale e la creazione di strutture sinodali nella chiesa locale al livello della diocesi e della parrocchia. Richiamando le parole di Papa Benedetto XVI – per il quale nell'esercizio del magistero i fedeli laici non dovrebbero essere soltanto fruitori ed esecutori passivi, ma collaboratori preziosi dei pastori nella sua formulazione – è auspicabile che non si lasci vuoto il grande spazio intermedio fra l’inizio, la partecipazione di tutti all'evangelizzazione da cui nasce la Chiesa e la partecipazione dei fedeli alla celebrazione eucaristica, che è ne è ‘culmen et fons’>>.
Severino Dianich alla 66ª Settimana nazionale di aggiornamento pastorale del Centro di orientamento pastorale (Cop) a Foligno

lunedì 27 giugno 2016

COME SEMPRE IL CALCIO FA EMERGERE IL NOSTRO NAZIONALISMO MA SOPRATTUTTO LE NOSTRE SOTTOVALUTATE DOTI : VAMOS!


QUELLA LEGGE CONTRO LA TORTURA

Poco più di un anno fa, le speranze che entro la "Giornata internazionale per le vittime della tortura" il parlamento italiano potesse approvare l’introduzione del reato di tortura nel codice penale erano elevate. E invece negli ultimi 12 mesi non se n’è più parlato.

Sono passati oltre 27 anni da quando, all’inizio del 1989, la Gazzetta ufficiale pubblicò la legge di ratifica della Convenzione contro la tortura delle Nazioni Unite. Ed è passato un quarto di secolo da quando il Parlamento ha cominciato a discutere della definizione del reato di tortura. Un tempo trascorso invano, nel corso del quale l’Italia è stata tanto rimproverata dagli organi di controllo dell’Onu quanto, soprattutto, condannata sia per atti di tortura che per la mancata sanzione degli stessi da parte della Corte europea dei diritti umani.

Come in precedenza, nell’attuale legislatura i due rami del parlamento hanno dato luogo a una sorta di “ping-pong” istituzionale, anziché trovare l’accordo su un testo condiviso. E, in continuità col passato, hanno perpetuato l’equivoco che l’introduzione di un reato specifico di tortura possa andare contro gli interessi delle forze di polizia (e non essere, invece, anche nel loro interesse).

Non è mancata neanche quella inaccettabile tendenza a proporre e a volte approvare emendamenti (come quello per cui si può parlare di tortura solo in caso di “reiterazione”, ossia se compiuta più di una volta) in profondo contrasto con gli obblighi previsti dalla Convenzione contro la tortura delle Nazioni Unite.

Nel frattempo, processi per fatti di tortura si sono conclusi senza che i responsabili venissero puniti: per limitarci ai più remoti nel tempo, i paracadutisti della Folgore riconosciuti colpevoli di avere praticato la tortura in Somalia nel 1993; gli autori delle brutalità commesse a Genova nel 2001; gli agenti di polizia penitenziaria che praticarono la tortura nel carcere di Asti nel 2004. Più tutti i casi dell’ultimo decennio, il cui elenco è tragicamente lungo.

Fin dove arriva la lacuna dell’assenza del reato di tortura lo dimostra la mancata estradizione in Argentina di un cappellano militare, attualmente in Italia, accusato di avere preso parte a sessioni di tortura in quel paese.

L’introduzione di un reato di tortura, descritto in modo coerente con la Convenzione delle Nazioni Unite e sanzionato con pene adeguate alla gravità del reato e che preveda un termine di prescrizione ampio perché la tortura possa essere, oltre che accertata, anche punita, resta l’obiettivo primario delle organizzazioni per i diritti umani.

Ci sarebbe persino il tempo per raggiungerlo, quell’obiettivo, in questa Legislatura. Sempre che lo si voglia, naturalmente. L’impunità garantita ai responsabili di atti di tortura, che continua a caratterizzare il nostro ordinamento giuridico, è una situazione inaccettabile per un paese che dice che avere a cuore i diritti umani.
di Riccardo Noury su "Corriere.it"

BREXIT

Il presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna è intervenuto sulla situazione politica in Europa e sugli esiti del referendum per l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea con la seguente dichiarazione: "L'Europa, così come la conoscevamo, quella nata dalle macerie del Secondo conflitto mondiale, l'Europa libera, aperta e inclusiva, sognata e realizzata dai nostri padri, è ora minacciata. Ci attendono mesi di grande difficoltà in cui tutti i moderati d'Europa saranno chiamati a cooperare per evitare altre brutte sorprese che rischierebbero di mettere a rischio e più importanti conquiste democratiche degli ultimi 70 anni. “È ora che tutte le nazioni che fanno parte della grande famiglia europea ritrovino un reale senso di unità e cooperazione e che insieme combattano affinché i veleni del populismo e gli inquietanti propositi dei tanti gruppi razzisti, xenofobi e reazionari che in queste ore esultano per l'esito del voto sull’uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea, siano sconfitti con la forza e il coraggio di idee, progetti e impegni di segno diametralmente opposto.
“Ma è anche il momento, per tutti gli ebrei d’Europa, di riprendere in mano quei valori che sono i nostri e che abbiamo da sempre il compito di attualizzare e disseminare nei luoghi dove viviamo: democrazia, tolleranza, rispetto per le diverse opinioni e per le altrui scelte di vita, amore per la cultura e per la ricerca, strenua difesa della libertà d’espressione e della giustizia sociale, modestia, trasparenza, onestà. Senza questi valori non sarà solo una singola realtà del Vecchio continente, ma l’Europa intera ad essere minacciata e ogni realtà che si affaccia sul Mediterraneo, a cominciare da Israele, corre il rischio di restare più sola. “Gli inquietanti segnali registrati in questi giorni servono anche a ricordarci che per gli ebrei non esiste pericolo peggiore della chiusura in se stessi, dell’astrazione dal contesto sociale nel quale vivono e nel quale hanno il diritto e il dovere di agire. Siamo una piccola minoranza, in Italia, in Europa e nel mondo, ma abbiamo il dovere di fare fino in fondo la nostra parte. Tutti insieme, mettendo da un canto le paure, i particolarismi e le gelosie, possiamo garantire alle generazioni che verranno un futuro degno delle speranze e degli ideali che il popolo ebraico si tramanda di generazione in generazione”.

E FRANCESCO CONTINUA IL SUO CAMMINO NELLA VERITA'

Ancora una volta, papa Francesco ha sorpreso tutti. È successo a Yerevan, capitale dell’Armenia, durante la tre giorni di visita nel Paese caucasico iniziata venerdì. Un fuori programma gravido di conseguenze per la politica internazionale, destinato a suscitare le ire di Erdogan, ma anche a vincere forti resitenze all’interno del Vaticano stesso. Il tutto per una parola, «genocidio», che a cent’anni di distanza dallo sterminio degli armeni pesa ancora come un macigno. Ma Francesco, si sa, ama andare contro corrente e sa colpire duro anche fra le sue file, quando necessario. Come già nel 2015, il pontefice ha preferito non ascoltare i timori e le reticenze della diplomazia vaticana, cambiando il programma all’ultimo momento. Come ha ricordato padre Lombardi nella conferenza stampa: «la realtà è chiara, e non abbiamo rinnegato quanto è reale». Un’ennesimo schiaffo alla Turchia – erede dell’Impero ottomano che pianificò e mise in atto quello sterminio nel 1915 – che arriva a pochi giorni dal riconoscimento del genocidio armeno fatto dal parlamento tedesco, il Bundestag. Ma, come nella risoluzione approvata in Germania, Francesco ha voluto ribadire qualcosa in più di una generica condanna ai turchi. Nel primo giorno della visita, ha sottolineato le complicità delle potenze europee, che «guardavano dall’altra parte» mentre si compiva la prima delle «tre grandi tragedie inaudite» – come le aveva definite Francesco lo scorso anno a Roma – che hanno segnato il ventesimo secolo: il genocidio degli armeni (insieme a quello di siri cattolici e ortodossi, assiri, caldei e greci), il nazismo e lo stalinismo.

Il Fai ha chiesto ad alcuni intellettuali di commentare l’enciclica papale: Wim Wenders lo ha fatto con un poemetto

Mentre leggo l’enciclica Laudato Si’/ sono pienamente consapevole/ che si tratta di uno dei documenti più importanti/ di questo XXI secolo ancora giovane,/ sia a causa del suo autore, Papa Francesco,/ sia per il tema: l’insopportabile sofferenza del pianeta./ Mi coinvolge nel profondo, tanto che non riesco a interrompere la lettura./ E poi mi rendo conto che ciò che mi colpisce,/ ciò che mi tocca di più in questo testo è il tono!/ Il modo in cui penetra con dolcezza nella mia mente trascinandomi pian piano... Non è come leggere un testo teorico o pedagogico,/ somiglia molto più a una lettera personale,/ che mi è stata indirizzata da un amico intimo (e molto competente)./ Vado avanti a leggere/ e riesco quasi a sentire la voce pacata dell’autore,/ una voce che non ha niente di pedante, lontanissima dal tono di chi tiene una conferenza,/ piuttosto la voce di qualcuno che parla come se stesse pensando a voce alta,/ la voce gentile di chi vuol condividere con me i suoi pensieri./ Continuo a dimenticare/ che è il Papa a parlare (o meglio a scrivere)... A volte l’autore scende su un terreno familiare,/ senza mai pretendere di sapere più di quello che già sappiamo,/ ma lo fa con tale passione e convinzione/ che il semplice flusso dei pensieri,/ la complessità e la determinazione del ragionamento/ sono trascinanti e ci uniscono in un’unica convinzione:/ ora o mai più!/ Il danno arrecato alla Terra è un danno fatto a noi stessi./ È a noi stessi che stiamo facendo del male, nel lungo periodo./ (E anche nel breve). Sì, è il tono del messaggio/ a renderlo così potente e convincente,/ ben al di là di qualsiasi saggio o tesi sull’argomento. / Non è che quando finisci di leggere l’enciclica,/ ne saprai necessariamente più di prima./ Non è un testo ricco di nuovi dati e intuizioni sorprendenti,/ eppure, da quella lettura / esci arricchito e in realtà sai di più./ Con molte cose di cui prima eri consapevole/ ora hai un rapporto diverso:/ d’ora in poi apparterranno alla tua vita/ in senso profondamente esistenziale. Sei più convinto che mai,/ perché l’anima stessa ha inteso/ che proteggere il pianeta è una delle questioni più scottanti del nostro tempo. / Spesso le questioni ambientali/ che in certi momenti ci appaiono importantissime e urgenti,/ vengono relegate in secondo piano/ dalla routine e dalle emergenze della quotidianità./ Questa volta è diverso. Papa Francesco ha soprattutto messo una cosa/ in chiaro a voi, a noi, a me: /la sofferenza dei poveri non può essere disgiunta / e considerata una questione separata/ dalla sofferenza del pianeta./ Le due cose si appartengono e devono essere risolte insieme!/ Invece generalmente sono considerate questioni separate./ Le organizzazioni che le combattono sono impegnate sull’uno o sull’altro fronte./ Non così Papa Francesco e la fede che rappresenta. Quindi non è solo il tono di questo libro/ a porlo al di sopra di qualsiasi messaggio politico./ È anche la fonte da cui proviene./ Il titolo stesso, Laudato Si’,/ ci ricorda il motivo per cui Jorge Mario Bergoglio/ ha scelto il nome di san Francesco e perché scrive tutto questo/ rivolgendosi a noi come «Francesco». Nella lunga storia tra l’umanità e la natura/ quest’uomo, questo santo, con la sua vita e le sue convinzioni/ occupa indiscutibilmente una pagina a sé./ È stato il primo a identificare la propria vita/ con quella di ogni altro essere vivente sul pianeta,/ e la sua compassione per i poveri non conosceva limiti. Questa enciclica è scritta nel suo spirito/ da un altro uomo di Dio pieno di amore e compassione e saggezza,/ che ha assunto il nome di Francesco come un segno,/ un’indicazione della sua missione:/ la riconciliazione della fede cristiana/ con la realtà contemporanea e le sue questioni più scottanti:/ da un lato la lotta alla povertà,/ dall’altro quella contro l’abuso dei preziosi tesori del pianeta:/ la sua acqua, la sua aria, le sue piante, i suoi animali, le sue risorse. I nostri principi cristiani,/ (non c’è certo bisogno di insistere su questo punto,/ è talmente ovvio ed evidente)/ non sono solo compatibili, ma identici/ con la compassione per i poveri e per il pianeta! / Siamo i custodi dei nostri fratelli / e abbiamo il compito di aver cura,/ della natura, degli animali e della vita sulla Terra, non di sfruttarli. Per una volta, in questa Enciclica,/ la fede non è qualcosa che porta i cristiani / a trascendere in qualche modo il mondo e lasciarselo alle spalle, / ma qualcosa che conduce dritto nel mondo, / spingendo ad abbracciarlo e a difenderlo. / E per una volta,/ sei impaziente di condividere un testo di chiesa con persone/ che non sono credenti/ o che pregano un altro Dio./ Dopotutto viviamo sullo stesso pianeta,/ siamo fratelli gli uni agli altri,/ e sì, anche i diversi nomi di Dio,/ nello spirito di compassione e di amore che emana da questo testo,/ non possono che essere un ulteriore motivo per rispettare l’altro/ e aver cura di ciò che è stato in dono a tutti noi:/ il pianeta Terra.
in “Il Sole 24 Ore” del 26 giugno 2016

sabato 25 giugno 2016

Fabrizio De André

<<Noi siamo dei venditori. Bisogna vedere se siamo abbastanza onesti da vendere carne fresca oppure carne marcia.>>

giovedì 23 giugno 2016

L'ILLUSIONE DI AVER TROVATO IL PARADISO

«L’Europa non è un posto dove andare a cercare fortuna. Va bene se hai un titolo di studio o hai una proposta di lavoro, altrimenti è meglio che rimani in Africa». È il pensiero che Josiah Timothy Tinat, 31 anni, nigeriano che dal 2007 gioca nel Cus Cagliari Hockey, esprime in maniera schietta e lucida nel suo libro «Perché migriamo?» (ESB Print, aprile 2016). In 113 pagine Tinat racconta le storie di sei africani che, arrivati in Europa pensando di trovare «il paradiso», hanno vissuto il fallimento dei propri sogni.
«La maggior parte delle persone che viaggiano su un barcone rischiando la vita, vengono in Europa con l’idea che qui guadagneranno subito dei soldi. Non condivido questo tipo di approccio all’immigrazione. Non sono contro la migrazione, che è una cosa bella, ma facciamola senza rischio, legale, secondo modalità che garantiscano il rispetto e la dignità della persona. Non arriviamo in Europa, o in Italia, solo con l’idea di ricevere cibo, abitazione e lavoro».
«Ho raccontato queste storie per mettere in luce una realtà che spesso non vediamo o che non abbiamo il coraggio di denunciare. Molti africani quando arrivano in Europa scoprono una realtà completamente diversa da quella che sognavano. Il 99% degli stranieri non ha il coraggio di tornare indietro o non può farlo: hanno venduto tutto quello che avevano per affrontare il viaggio, oppure i genitori si sono indebitati per mandarli in Occidente. Molti si chiedono: cosa dico alla famiglia? Da dove ricomincio? Così ci si sente costretti a rimanere qui, rischiando tutto, anche la propria vita. Non c’è il coraggio di tornare indietro e neanche di dire ai propri fratelli di non partire: stiamo nascondendo questa verità per vergogna. C’è chi si fa fotografare vicino a belle macchine o fuori a lussuose abitazioni, ma la verità è un’altra». E non sempre è accolta con favore. «In genere gli italiani mi fanno capire di condividere questo mio pensiero, anche se in pochi hanno il coraggio di dire ciò che veramente pensano, perché temono di essere giudicati razzisti e contrari all’accoglienza. Devo dire che anche molti africani non sono contenti delle cose che dico».
Senza giri di parole, gli chiedo se lui tornerebbe in Nigeria. «L’anno scorso mi sono sposato con Martina, ma prima del matrimonio le ho detto che il mio desiderio è di tornare a casa, perché per me l’Africa è casa. Mi manca soprattutto quella gioia di vivere che provavo al mio Paese. Lì anche se uno è povero, non sta bene, ha la certezza di avere la famiglia, gli amici, sa di essere parte di una comunità più ampia. Qui invece c’è molta più solitudine, non si conoscono neanche i vicini di casa propria. Il mio sogno è dunque di tornare in Nigeria, dove per il momento vado almeno una volta l’anno, per ritrovare forza».

IL CONFINE

«Il confine indica un limite comune, una separazione tra spazi contigui; è anche un modo per stabilire in via pacifica il diritto di proprietà di ognuno in un territorio conteso. La frontiera rappresenta invece la fine della terra, il limite ultimo oltre il quale avventurarsi significava andare al di là della superstizione contro il volere degli dèi, oltre il giusto e il consentito, verso l’inconoscibile che ne avrebbe scatenato l’invidia. Varcare la frontiera, significa inoltrarsi dentro un territorio fatto di terre aspre, dure, difficili, abitato da mostri pericolosi contro cui dover combattere. Vuol dire uscire da uno spazio familiare, conosciuto, rassicurante, ed entrare in quello dell’incertezza. Questo passaggio, oltrepassare la frontiera, muta anche il carattere di un individuo: al di là di essa si diventa stranieri, emigranti, diversi non solo per gli altri ma talvolta anche per se stessi.»
Piero ZANINI, Significati del confine - I limiti naturali, storici, mentali - Edizioni scolastiche Mondadori, Milano 1997

Questa riportata era una delle tracce per il tema che gli studenti della maturità di quest'anno si sono ritrovati davanti. Probabilmente uno dei temi più attesi e per certi versi un po' scontato. Un tema che ha fatto riflettere i giovani maturandi proprio nel giorno in cui l’Unione europea trovava un accordo sulla gestione di polizia alle frontiere esterne dell’Unione. E mentre papa Bergoglio, instancabile difensore dei deboli, ha di nuovo detto che i rifugiati non sono nemici ma fratelli. E poi come non avere in cuore  il problema della Brexit, cioè l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea, che in questi giorni si decide con un referendum Oltremanica. 
Ma il confine è oggetto di divisione, di separazione, o è una via all'unione? Sicuramente la preoccupazione principale è quella della difesa, la paura di perdere la propria identità geografica e antropomorfica. Difendo la mia identità blindando il confine. Ma mentre costruisco la mia difesa sul confine, spargo i semi della divisione, dell'intolleranza, dell'odio e della segregazione all'interno dei confini. E allora se già all'interno tutto è frazionato e delimitato, come potrà esserci uno spazio per coloro che chiedono aiuto e un pezzo di pane?
A.B.

UN TRISTE PRIMATO

Il 2015 ha stabilito il triste primato di anno con il maggior numero di uccisioni di attivisti ambientalisti nel mondo. Lo sostiene un rapporto della organizzazione per i diritti dei popoli indigeni Global Witness. L'anno scorso sono stati registrati 185 omicidi in 16 paesi. I paesi più colpiti sono stati il Brasile (50 omicidi), le Filippine (33) e la Colombia (26).
La principale causa scatenante dei delitti sono le lotte contro i progetti minerari: seguono le lotte contro l'agribusiness, le dighe e il disboscamento. Nel 2015 il 40% degli attivisti uccisi appartenevano a gruppi indigeni. Global Witness ha documentato 16 omicidi opera di gruppi paramilitari, 13 dell'esercito, 11 della polizia e 11 di vigilantes privati.

Secondo la ong, "è probabile che il bilancio reale delle vittime sia molto più alto. Molti degli omicidi di cui abbiamo notizia sono avvenuti in villaggi remoti o in foreste profonde.
Per ogni delitto che siamo in grado di documentare, altri non possono essere verificati, o rimangono sconosciuti".

mercoledì 15 giugno 2016

martedì 14 giugno 2016

TU SEI PRONTO?

Il parroco di Rometta, in provincia di Messina, avrebbe negato la prima comunione ad un bambino autistico. Una questione molto delicata sulla quale ha voluto dire la sua anche il sottosegretario all’istruzione e presidente della Fondazione italiana autismo, Davide Faraone: “Avete mai provato a cercare su Google ‘sacerdote nega la comunione a bambino autistico’? –scrive Faraone- Io l’ho appena fatto: viene fuori una sfilza di articoli di giornali, geolocalizzati ovunque in Italia. Ultimi, in ordine di comparsa, quelli che raccontano la storia di un bambino autistico di Rometta, in provincia di Messina, che non può accedere al sacramento della Comunione perché il parroco non lo ritiene ancora ‘pronto’. Ma pronto rispetto a cosa? M’ero fatto l’idea che Dio appartenesse a tutti. Per certuni invece è appannaggio soltanto di chi ha mezzi intellettivi adeguati. O forse casi come quello di Rometta si verificano solo perché sull’autismo, purtroppo, c’è ancora tanta ignoranza. E non può continuare a essere così”.
 “La Comunione di mia figlia Sara la ricordo bene –Continua Faraone- Mentre la vedevo procedere lungo il corridoio vestita di bianco, con il giglio in mano, anche io mi sono chiesto se una bambina autistica potesse esprimere la fede. La risposta non è tardata ad arrivare: la fede non è mente fredda, è cuore. E nessuno più di lei poteva avere un cuore lindo in grado di accogliere Dio. Cosa vuol dire, allora, quell'essere ‘pronti’ del sacerdote di Rometta? Vuol dire applicare sempre la stessa chiave di lettura senza tenere conto delle specificità delle persone. Significa tracciare una linea di confine, noi e loro, ed esprimere giudizi che poco hanno a che vedere con l’accoglienza e l’inclusione che in casi come questo dovrebbero essere prassi indiscussa. Significa non volere andare oltre, non volere cercare di capire un disturbo, le sue cause e i suoi effetti. Ed è un peccato, se pensiamo a quanti invece, sempre nella Chiesa, spalancano le braccia e si rimboccano le maniche per essere sostegno a ragazzi con autismo e alle loro famiglie”.
 “Ogni bambino autistico –aggiunge Faraone- deve poter essere libero di vivere una vita non condizionata dal suo disturbo. Come Fondazione italiana autismo e come Miur, per quanto riguarda l’istruzione, stiamo lavorando in questa direzione, cercando di promuovere una sempre maggiore consapevolezza. Mi auguro che la Curia intervenga per risolvere questa situazione incresciosa e per dare al bambino di Rometta la possibilità di accedere alla Comunione senza discriminazione alcuna. E alla sua famiglia la gioia di vederlo vestito di bianco, con il giglio in mano. Una gioia che conosco bene”.
Estratto da www.tecnicadellascuola.it

domenica 12 giugno 2016

MA ERA PROPRIO IL CASO?

Che avrebbe destato una marea di polemiche c'era da aspettarselo.
Che potesse essere un'idea di Sallusti & C., anche.
Se inseriamo il "Mein Kampf" di Hitler nell'ambito degli studi di idee politiche, è ovvio che lo si possa leggere; ma non come gadget di un quotidiano di informazione.
Che al Giornale se la cavino asserendo che il loro retropensiero sarebbe attivare i controveleni rispetto al nazifascismo fa sorridere.
Tutti sappiamo benissimo che quel giornale, non certo da solo, da anni alimenta razzismo e intolleranza, diffidenza o addirittura odio per lo straniero: e fa specie dunque, che quel giornale (che del revisionismo storico ha fatto una linea di condotta, contribuendo a «normalizzare» il fascismo) distribuisca oggi un testo che se la prende, guarda caso, con «gli sporchi stranieri». E l’ebreo, era per Hitler, il più sporco degli «stranieri», e andava eliminato, in un modo o nell’altro.
Auschwitz è in nuce in quel testo.
Siamo ora giunti a uno dei punti terminali del revisionismo: siamo passati dalla constatazione
filosofica della «banalità del male», alla sua deliberata, volontaria e più sconcertante banalizzazione.

giovedì 9 giugno 2016

Jo Lud-wig

“Signore, insegnaci ad amare il cielo,
perché ci rimanga la terra.
Insegnaci a conservarli entrambi,
a mettere altrettanta forza nella nostra fede,
come nella nostra intelligenza,
ad impegnarci altrettanto nella preghiera,
come nella nostra azione.
Signore, permettici di vedere questa terra
nella Tua prospettiva,
di riconoscere la fragilità della nostra vita
e di tutto quello che ci sembra importante.
Accordaci di apprezzare i gesti d'amore
e di fraternità spesso nascosti.
Dacci la forza di denunciare le parole vuote
e le promesse menzognere e di essere solidali
con coloro che soffrono per l’ingiustizia.
Signore, apri i nostri occhi
affinché abbiano il Tuo sguardo,
non solo per fotografare ciò che esiste,
ma per scoprire ciò che è possibile;
non solo per guardare,
ma per mettere in movimento,
non soltanto per seguire gli avvenimenti,
ma per vederli arrivare.
Signore, insegnaci ad amare il cielo,
perché ci rimanga la terra,
ed insegnaci a guardarli insieme”

(Jo Lud-wig).

LO STATO ITALIANO CONTRO IL NEGAZIONISMO:NON E' MAI TROPPO TARDI PER LEGGI DI QUESTO TIPO!

Il negazionismo è un abuso di diritto, vietato dall’articolo 17 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU), secondo il quale nessuno può avvalersi delle disposizioni della Convenzione per porre in essere atti tendenti a distruggere altri fondamentali diritti e libertà. Come ha chiarito più volte la Corte di Strasburgo, “l’obiettivo dei negazionisti è un conclamato obiettivo razzista, xenofobo e antisemita, ovvero riabilitare il regime nazionalsocialista e, per conseguenza, accusare di falsificazione della storia le stesse vittime. La contestazione di questo crimine contro l’umanità è una delle forme più sottili di diffamazione razziale e xenofoba e di incitazione all’odio”.
Ed ora anche in Italia, con l’approvazione definitiva del Ddl sul negazionismo, il Parlamento ha finalmente introdotto sanzioni verso chi nega o minimizza accertati crimini di genocidio. Un atto fondamentale per contrastare concretamente atti che continuano a ispirate, o persino a sollecitare e incoraggiare, le azioni di gruppi razzisti, xenofobi e antisemiti.
La norma trasmette un messaggio chiaro e dà seguito agli impegni presi dal nostro Paese. Ricordiamo, ad esempio, che lo stessa Giorno della memoria, istituito dalla Legge n. 211/2000, persegue il fine «di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati (…) affinché simili eventi non possano mai più accadere».
Già nel 2007, l’assemblea generale delle Nazioni Unite aveva adottato la risoluzione 61/255 sulla Negazione dell’Olocausto, che «condanna senza riserve qualsiasi diniego dell’Olocausto e sollecita tutti i membri a respingere qualsiasi negazione, parziale o totale, dell’Olocausto come fatto storico, e qualsiasi attività con questo fine». La norma che sanziona il negazionismo riconosce il significato che riveste la Shoah nella nostra società e rafforza le fondamenta etiche, politiche e giuridiche del patto sorto dopo la Seconda guerra mondiale: il rifiuto incondizionato degli orrori nazisti.

mercoledì 8 giugno 2016

UN MINUTO PER LA PACE !

Un minuto lungo una giornata, per pregare per la pace insieme a Papa Francesco nell’anniversario dell’incontro di preghiera in Vaticano insieme al presidente israeliano Peres e a quello palestinese Abu Mazen per invocare il dono della pace. Da due anni a oggi sono tanti i gesti di pace messi a segno da Francesco, dagli incontri ecumenici alla visita al campo dei rifugiati a Lesbo, dall’incontro con Raul Castro a quello con il patriarca Kirill. Accogliendo l’invito costante di papa Francesco a non stancarsi mai di pregare e operare per la pace, si invitano tutti gli uomini e le donne di buona volontà a fermarsi per un minuto alle 13 dell’8 giugno per pregare per la pace, ovunque si trovino – al lavoro, in strada, a casa – e ognuno secondo la propria tradizione religiosa. 
“È una proposta semplice – sottolinea Emilio Inzaurraga, presidente della Commissione nazionale Giustizia e pace della Conferenza episcopale argentina – che rivolgiamo a tutti. È un modo per ricordarsi che ciascuno di noi può essere strumento di pace. È vero che un minuto è un tempo brevissimo, ma basta per decidere di scegliere il dialogo e la fraternità, per ricordarsi di avere un cuore che il Signore ci ha dato per la misericordia”.
 “Preghiamo per la pace – conclude Inzaurraga – e preghiamo per le vittime dei conflitti. Quest’anno, in particolare, il nostro pensiero va ai rifugiati e ai richiedenti asilo, ai profughi che disperati fuggono dalle guerre per bussare alle porte dei nostri Paesi quando non muoiono attraversando il mare. Li accompagniamo con la nostra preghiera per dire loro che non sono soli e per ribadire il nostro impegno per l’accoglienza e la solidarietà”.

martedì 7 giugno 2016

Giorgio Bassani

<<I luoghi dove si ha pianto, dove si ha sofferto, e dove si trovarono molte risorse interne per sperare e resistere, sono proprio quelli a cui ci si affeziona di più.>>

La saggezza di un cioccolato caldo

Un gruppo di laureati, affermati nelle loro carriere, discutevano sulle loro vite durante una riunione.
Decisero di fare visita al loro vecchio professore universitario, ora in pensione, che era sempre stato un punto di riferimento per loro.
Durante la visita, si lamentarono dello stress che dominava la loro vita, il loro lavoro e le relazioni sociali.
Volendo offrire ai suoi ospiti un cioccolato caldo, il professore andò in cucina e ritornò con una grande brocca e un assortimento di tazze. Alcune di porcellana, altre di vetro, di cristallo, alcune semplici, altre costose, altre di squisita fattura.
Il professore li invitò a servirsi da soli il cioccolato.
Quando tutti ebbero in mano la tazza con il cioccolato caldo il professore espose le sue considerazioni.
"Noto che son state prese tutte le tazze più belle e costose, mentre son state lasciate sul tavolino quelle di poco valore.
La causa dei vostri problemi e dello stress è che per voi è normale volere sempre il meglio.
La tazza da cui state bevendo non aggiunge nulla alla qualità del cioccolato caldo. In alcuni casi la tazza è molto bella mentre alcune altre nascondono anche quello che bevete.
Quello che ognuno di voi voleva in realtà era il cioccolato caldo.
Voi non volevate la tazza...
Ma voi consapevolmente avete scelto le tazze migliori.
E subito, avete cominciato a guardare le tazze degli altri.
Ora amici vi prego di ascoltarmi...
La vita è il cioccolato caldo...
il vostro lavoro, il denaro, la posizione nella società sono le tazze.
Le tazze sono solo contenitori per accogliere e contenere la vita.
La tazza che avete non determina la vita, non cambia la qualità della vita che state vivendo.
Qualche volta, concentrandovi solo sulla tazza, voi non riuscite ad apprezzare il cioccolato caldo che Dio vi ha dato.
Ricordatevi sempre questo:
Dio prepara il cioccolato caldo, Egli non sceglie la tazza.
La gente più felice non ha il meglio di ogni cosa, ma apprezza il meglio di ogni cosa che ha!
Vivere semplicemente.
Amare generosamente.
Preoccuparsi profondamente.
Parlare gentilmente.
Lasciate il resto a Dio.
E ricordatevi:
La persona più ricca non è quella che ha di più, ma quella che ha bisogno del minimo.
Godetevi il vostro caldo cioccolato!!".

Carlo Betocchi

Ciò che occorre è un uomo
non occorre la saggezza,
ciò che occorre è un uomo 
in spirito e verità;
non un paese, non le cose
ciò che occorre è un uomo
un passo sicuro e tanto salda
la mano che porge, che tutti 
possano afferrarla, e camminare
liberi e salvarsi.

Dal definitivo istante

lunedì 6 giugno 2016

PREGHIERA INTRODUTTIVA ALL’INCONTRO DEL VENTENNALE DI
NOI SIAMO CHIESA. MILANO 28 MAGGIO 2016
Vieni, Spirito e rinnova il volto della chiesa
Soffia sui suoi orecchi:
Perché possa ascoltare il Silenzio
E dal silenzio le voci delle donne e degli uomini di oggi.
La voce di risurrezione delle altre chiese.
La voce sapiente delle religioni
delle culture del mondo.
La voce dei piccoli della terra che gridano giustizia.
La voce dei bambini pieni di stupore e di attesa.
La voce degli anziani carica di emozioni e di ricordi.
La voce dei giovani che invoca il sogno di pace,
Vieni, Spirito e rinnova il volto della chiesa
Soffia sui suoi occhi:
Perché possa guardare la bellezza di ogni volto.
Gli occhi degli stranieri pieni di nostalgia
per la loro terra.
Gli occhi dei malati che rivelano la fragilità
e le compassione di Dio.
Gli occhi abbassati di chi si sente giudicato
e condannato senza pietà.
Gli occhi di chi rivela orizzonti diversi.
Gli occhi delle Comunità “dei volti” fatti di umanità
e di speranza.
Vieni, Spirito e rinnova il volto della chiesa
Soffia sulla sua bocca:
perché a nessuno sia negata la libertà della parola.
Chiesa che parla con la bocca delle donne
a cui il Cristo consegnò per prime l’annuncio della Pasqua.
Chiesa che parla con la bocca dei filosofi,
degli artisti, dei poeti.
Chiesa che parla con la bocca degli esclusi.
Chiesa che rifiuta di parlare con la bocca dei potenti
e dei “ forti”
Vieni, Spirito e rinnova il volto della Chiesa
Soffia sul suo cuore perché posa
cercare, ascoltare, condividere e celebrare il Vangelo di Cristo.
Perché possa realizzare le ricche promesse del Concilio
ancora da compiere.
Perché, come madre di tenerezza possa donare
“ la carezza della sera “ di papa Giovanni
e la testimonianza evangelica di papa Francesco.
a tutti gli uomini del mondo.
Amen
( dalla raccolta di preghiere della Comunità di S. Nicolò all’Arena di Verona )

Hermann Hesse

<<La saggezza non può essere trasmessa. La saggezza che un saggio tenta di trasmettere suona sempre simile alla follia.>>

giovedì 2 giugno 2016

FRANCESCO, IL PROFETA

Non porta bene fare il profeta, lo sappiamo. Sentiamo il gemito di Gesù stesso davanti a
Gerusalemme, poco prima della sua Passione: “Gerusalemme, Gerusalemme, tu che uccidi i
profeti...” (Matteo 23, 37). Pochi giorni dopo, il profeta di Galilea sarà giudicato e giustiziato. È
proprio da profeta che papa Francesco ha fatto quella visita lampo nei campi di rifugiati
sovrappopolati a causa della crisi del Medio Oriente...
All'Europa ha rivolto questo duro richiamo: “L'Europa è la patria dei diritti umani e chiunque metta piede in terra europea dovrebbe poterlo sperimentare, così si renderà più consapevole di doverli a sua volta rispettare e difendere”. Ecco attualizzate, in una frase, le famose radici dell'Europa, tanto rivendicate. Pur riconoscendo che il problema dei rifugiati è complesso, Francesco indica inequivocabilmente le vie d'uscita: con “soluzioni degne dell'uomo”, invita a “superare la spessa coltre dell'indifferenza che annebbia le menti e i cuori”, e, in quel linguaggio per immagini che sa usare così bene, ricorda, affinché i cuori si aprano, che “i migranti, prima di essere numeri, sono persone, sono volti, nomi, storie”.
Evidentemente, il papa sapeva bene che il suo viaggio a Lesbo non avrebbe risolto niente, ma nel senso più profondo del termine, ha reso testimonianza a quella terribile realtà che cerchiamo di dimenticare ricoprendola di sottigliezze tecnocratiche. La verità è qui svelata: sono uomini, donne, bambini che, attraverso la sua voce, implorano la comunità internazionale di soccorrerli davanti “alla più grande catastrofe umanitaria dalla Seconda Guerra Mondiale”. Di fronte a questo, la risposta cristiana è doppiamente esigente; ognuno di quegli uomini e di quelle donne è un nostro fratello o una nostra sorella, e ognuno di loro è Cristo stesso: “Ciò che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, lo avete fatto a me” (Matteo 25,40). Le parole di Gesù su questo punto sono definitive: è
sull'accoglienza fraterna che saremo giudicati.
E come i profeti, come Geremia o Ezechiele, unendo il gesto alla parola, il papa riporta con sé
dodici di quei rifugiati, musulmani, perché quello che conta, non è la loro religione ma la loro
umanità e il loro stato di bisogno. Quei gesti sono effettivamente profetici, perché ci obbligano a
prendere posizione. Ma c'è anche chi, a volte anche dichiaratamente cattolico, ha fatto commenti da far venire i brividi nella schiena. “Irresponsabile” è il meno peggio tra gli attributi. Alcuni
non esitano: dato che “salva” dei musulmani e non dei cristiani, Francesco è un “antipapa”, un
“massone”, un “devoto del diavolo”. Questa ondata rivela che c'è ancora un volto del cattolicesimo per il quale la religione è solo un indicatore di identità.
Ma queste lamentevoli vociferazioni esagonali non impediscono all'uomo vestito di bianco di
continuare a spalancare le braccia e di incarnare una delle forti coscienze umane di questo mondo.
In questi tempi difficili, abbiamo bisogno di lui.
Estratto da Christine Pedotti in “temoignagechretien.fr”
AUGURI ITALIA PER I TUOI PRIMI SETTANTANNI! 

CHE LA TUA REPUBBLICA SIA COME IL VINO : PIÙ INVECCHIA, PIÙ DIVENTA BUONO E PREGIATO!

Lettori fissi

Archivio blog