giovedì 12 luglio 2018

FEDE E FILOSOFIA AL TELEFONO...BERGOGLIO E VATTIMO

«Io semplicemente sostengo che l’attuale pontefice sia una delle rare figure nel mondo, anzi forse l’unica, in grado di capeggiare una trasformazione radicale dell’attuale quadro sociale ed economico. Se noi seguiamo con attenzione la predicazione di papa Bergoglio capiamo facilmente che sta lavorando certo non per una rivoluzione, perché un Papa non fa una rivoluzione, ma per realizzare un grande cambiamento. E dal mio punto di vista un’operazione del genere, nel mondo attuale, non può certo avviarla un uomo politico ma solo una personalità religiosamente ispirata, che abbia una motivazione legata alla fede. Ed è la ragione per cui io parlo di papa Francesco. Io non mi aspetto certo che Bergoglio si metta a fare il capo comunista di un movimento, sarebbe assurdo. Papa Francesco è ovviamente legato all’ortodossia della fede , naturalmente io lo so».

mercoledì 11 luglio 2018

IL CONSIGLIO DI BAUMAN:"LA SOLIDARIETÀ E' L'UNICA VIA CONTRO LE SOFFERENZE ALTRUI"

<<Telegiornali, quotidiani, discorsi politici, tweet — avvezzi a offrire temi e sbocchi alle ansie e alle
paure pubbliche — non parlano d’altro oggi che della «crisi migratoria» che travolgerebbe
l’Europa, preannunciando il collasso e la fine dello stile di vita che conosciamo, conduciamo e
amiamo... Bambini che annegano, la fretta di erigere muri, il filo spinato, i campi di accoglienza gremiti, i governi che fanno a gara per aggiungere al danno dell’esilio, della salvezza rocambolesca, di un viaggio  e periglioso la beffa di trattare i migranti come patate bollenti: questi abomini morali ormai non sono più una novità, e tanto meno «fanno notizia». Purtroppo il destino dei traumi è di convertirsi nella tediosa routine della normalità, e il destino del panico morale è di consumarsi e sparire dagli occhi e dalle coscienze avvolte nel velo dell’oblio... 
Le migrazioni di massa non sono certo un fenomeno nuovo: hanno accompagnato tutta l’era moderna fin dai suoi albori (pur cambiando spesso direzione, e in qualche caso persino invertendola). In realtà, la produzione di persone «in esubero» (localmente «inutili» — ovvero numericamente in eccesso e inoccupabili — a causa del progresso economico, oppure localmente inaccettabili — ovvero rifiutate — a causa di disordini, conflitti e scontri dovuti alle trasformazioni sociali/politiche e alle lotte di potere che ne derivano) è parte integrante del nostro «stile di vita moderno»...
La sola via d’uscita dai disagi di oggi e dalle disgrazie di domani passa per il rifiuto delle insidiose tentazioni di separazione; anziché voltarsi dall’altra parte davanti alla realtà delle sfide di oggi — che si condensano nel concetto «un solo pianeta, una sola umanità» —, anziché lavarsi le mani e alzare barriere contro le irritanti differenze e dissomiglianze e le estraniazioni autoimposte, dobbiamo andare in cerca di occasioni di incontro ravvicinato e di contatto sempre più approfondito, sperando di arrivare in tal modo a una fusione di orizzonti anziché a una loro fissione indotta e artefatta ma sempre più esasperata.
Sì, sono pienamente consapevole che questa non è una ricetta per vivere una vita senza nubi e senza problemi, né per sbrigare facilmente il compito cui oggi dobbiamo dedicarci. Al contrario, annuncia tempi terribilmente lunghi, irrequieti e laceranti. Difficilmente potrà alleviare da subito le nostre ansie: all’inizio, potrebbe persino scatenare ulteriori paure, aggravare ancor più le attuali diffidenze e animosità. Ma credo che un’alternativa più sbrigativa, più comoda e meno rischiosa non esista.
L’umanità è in crisi: e da questa crisi non c’è altra via d’uscita che la solidarietà tra gli uomini.>>

lunedì 9 luglio 2018

QUANTO E' PESANTE LA STRUTTURA MINISTERIALE DELLA CHIESA!

Leggendo vari articoli, ho trovato molte volte un’equazione di questo tipo per “risolvere”, a livello concettuale, il problema delle vocazioni nella Chiesa: non ci sono più vocazioni al ministero ordinato, perché è in atto una grande crisi di fede nelle giovani generazioni. Non ci sono più giovani in grado di scegliere la strada della vita ministeriale, perché molte volte questi stessi giovani sono attratti da altre vie e strade che non poche volte distolgono il loro cuore e la loro mente dal desiderio di donare tutta la loro esistenza alla cura e all’edificazione della Chiesa.
Questa equazione – crisi di fede = crisi delle vocazioni –, se la confronto con la mia piccola esperienza – sia di condivisione franca con alcuni amici presbiteri sia nel mio lavoro quotidiano di educatore – vedo che è una soluzione “semplice” di un problema che, a mio modo di vedere, è da decenni che la Chiesa cattolica non ha il coraggio di affrontare e di prendere in mano sul serio.
Da un lato, certamente, sussiste il “problema” legato alla scelta (obbligo!) della vita celibataria che, sebbene la Chiesa cattolica non lo ritenga un “dogma” nel senso pieno del termine, nella prassi viene vissuto e imposto in forma dogmatistica (o senti dentro di te che Dio ti chiama ad essere celibe, e ne accetti le conseguenze, oppure io – Chiesa cattolica – non posso ordinarti!). Dall’altro lato, sussiste un ulteriore problema che intendiamo esprimere in questo modo: il ministero ordinato, volenti o nolenti, diventa e deve essere – per il soggetto che chiede l’ordinazione ministeriale – il tutto della sua vita. Tutta l’esistenza del ministro ordinato, in effetti, si gioca e deve tutta giocarsi in una vita pastorale che diventa ed è il “tutto”, lo “spazio” esistenziale in cui l’uomo-presbitero vive e deve giocarsi.
Ci sarebbe molto da riflettere – a mio modesto avviso – sul grande tema dell’obbedienza sia essa promessa al vescovo diocesano sia ai superiori di una congregazione religiosa.
Questa struttura ministeriale, ancora così fortemente intrisa di spirito monarchico e di tridentinismo, in cui io ministro ordinato sono chiamato costantemente a “farmi andar bene” ciò che altri hanno scelto per me, oppure a “dovermi accontentare” di un’esistenza che dev’essere tutta spesa in strutture ormai caduche o fortemente in crisi (basta pensare ad alcuni aspetti della pastorale parrocchiale…), non chiede forse il coraggio di aprire altre strade o altre vie per l’umanizzazione della vita del prete?
Perché la Chiesa cattolica non ha il coraggio di affrontare con coraggio, verità e lealtà questi nodi problematici?
Perché non ci si rende conto che ciò che allontana i giovani dal ministero ordinato non è la loro poca fede in Gesù Cristo, bensì la pesantezza che emana la struttura ministeriale della Chiesa?
Non c’è forse qualche differenza tra lo spirito evangelico (l’Evangelo di Gesù Cristo) e le strutture che dovrebbero essere al suo servizio?
La Chiesa non dovrebbe ascoltare maggiormente quei giovani presbiteri che, dopo qualche passaggio doloroso e di crisi, hanno scelto di abbandonare la via del ministero ordinato?
Non possiamo accontentarci, e credo proprio in nome dell’Evangelo di Cristo, di criticare semplicemente questi figli di Dio e della Chiesa bollandoli come degli infedeli o dei traditori, ma ne dobbiamo ascoltare le storie e la vita perché da essi la Chiesa potrebbe ancora e nuovamente trovare quelle “critiche” e quelle “criticità” che potrebbero spingerla al suo rinnovamento!
Credo che il peso della storia gloriosa di una Chiesa militante e forte si faccia ancora sentire sulle spalle della gerarchia. Il fascino di un certo potere e delle “sicurezze” che “vengono dai primi posti nei banchetti” potrebbero ancora affascinare (e, forse, affascinano davvero) alcuni a cercare nella “via della vocazione ministeriale” la strada per emergere dal nascondimento o dall’inferiorità.
Il Vangelo, però, mi sembra chieda altro… e che inviti costantemente a spogliarsi per servire, ad umanizzarsi per umanizzare, a sporcarsi nella strada per pulire e risollevare. Il ministero ordinato, così come oggi la Chiesa cattolica continua ad offrirlo ai giovani e agli uomini del nostro tempo è davvero una via umanizzante?
Perché non pensare ad un ministero ordinato più quotidiano, più incarnato nella vita ordinaria… fatta di lavoro per la sussistenza, per il bene altrui e per la vita pastorale? La forma di mantenimento economico attuale dei preti non è, in realtà, una forma di privilegio sociale? “Tanto, che lavori o meno…, lo stipendio mensile lo ricevo comunque!”. Non è così, però, nella vita ordinaria e quotidiana del popolo…
La domanda è volutamente provocatoria e, benché io sia conscio di non possedere la chiave di volta o risolutrice del problema, vorrei aprire una via per la discussione e la riflessione…
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Un giovane teologo in www.settimananews.it

venerdì 6 luglio 2018

PERCHÉ VIVIAMO?...RISPONDE UN GENIO!

Nel 1951 una giovane donna, Marion Block Anderson, all’epoca matricola all’Oberlin College, scrisse una breve lettera ad Albert Einstein per chiedergli: «Perché viviamo?»
In seguito la donna raccontò a suo figlio Dave le ragioni che la spinsero a inviare la lettera:Passavamo da una guerra all’altra, prima ci fu la prima guerra mondiale, poi la seconda e non riuscivo a vedere a cosa servisse tutto questo. Così gli scrissi una lettera e gli dissi: «A che serve vivere con quello che stiamo passando qui, da una guerra all’altra?»Non deve sorprendere che il famoso scienziato abbia risposto a una giovane matricola perché in realtà aveva l’abitudine di rispondere a molte delle lettere che riceveva dai suoi giovani ammiratori.
Gentile Miss Bloch,
la domanda “Perché?” nella sfera umana è facile da rispondere: per creare soddisfazione per noi stessi e per gli altri. Nella sfera extra-umana, la domanda non ha senso. Anche credere in Dio non è una via d’uscita perché in questo caso ci si potrebbe chiedere “Perché Dio?”
Sinceramente suo,
Albert Einstein

martedì 3 luglio 2018

Appello di padre Alex Zanotelli* ai giornalisti italiani

«Rompiamo il silenzio sull’Africa. Non vi chiedo atti eroici, ma solo di tentare di far passare ogni giorno qualche notizia per aiutare il popolo italiano a capire i drammi che tanti popoli africani stanno vivendo Scusatemi se mi rivolgo a voi in questa torrida estate, ma è la crescente sofferenza dei più poveri ed emarginati che mi spinge a farlo. Per questo, come missionario e giornalista, uso la penna per far sentire il loro grido, un grido che trova sempre meno spazio nei mass-media italiani, come in quelli di tutto il modo del resto. Trovo infatti la maggior parte dei nostri media, sia cartacei che televisivi, così provinciali, così superficiali, così ben integrati nel mercato globale. So che i mass-media , purtroppo, sono nelle mani dei potenti gruppi economico-finanziari, per cui ognuno di voi ha ben poche possibilità di scrivere quello che veramente sta accadendo in Africa. Mi appello a voi giornalisti/e perché abbiate il coraggio di rompere l’omertà del silenzio mediatico che grava soprattutto sull’Africa. È inaccettabile per me il silenzio sulla drammatica situazione nel Sud Sudan (il più giovane stato dell’Africa) ingarbugliato in una paurosa guerra civile che ha già causato almeno trecentomila morti e milioni di persone in fuga. È inaccettabile il silenzio sul Sudan, retto da un regime dittatoriale in guerra contro il popolo sui monti del Kordofan, i Nuba, il popolo martire dell’Africa e contro le etnie del Darfur. È inaccettabile il silenzio sulla Somalia in guerra civile da oltre trent’anni con milioni di rifugiati interni ed esterni. È inaccettabile il silenzio sull’Eritrea, retta da uno dei regimi più oppressivi al mondo, con centinaia di migliaia di giovani in fuga verso l’Europa. È inaccettabile il silenzio sul Centrafrica che continua ad essere dilaniato da una guerra civile che non sembra finire mai. È inaccettabile il silenzio sulla grave situazione della zona saheliana dal Ciad al Mali dove i potenti gruppi jihadisti potrebbero costituirsi in un nuovo Califfato dell’Africa nera. È inaccettabile il silenzio sulla situazione caotica in Libia dov’è in atto uno scontro di tutti contro tutti, causato da quella nostra maledetta guerra contro Gheddafi. È inaccettabile il silenzio su quanto avviene nel cuore dell’Africa , soprattutto in Congo, da dove arrivano i nostri minerali più preziosi. È inaccettabile il silenzio su trenta milioni di persone a rischio fame in Etiopia, Somalia , Sud Sudan, nord del Kenya e attorno al Lago Ciad, la peggior crisi alimentare degli ultimi 50 anni secondo l’ONU. È inaccettabile il silenzio sui cambiamenti climatici in Africa che rischia a fine secolo di avere tre quarti del suo territorio non abitabile. È inaccettabile il silenzio sulla vendita italiana di armi pesanti e leggere a questi paesi che non fanno che incrementare guerre sempre più feroci da cui sono costretti a fuggire milioni di profughi. (Lo scorso anno l’Italia ha esportato armi per un valore di 14 miliardi di euro!). Non conoscendo tutto questo è chiaro che il popolo italiano non può capire perché così tanta gente stia fuggendo dalle loro terre rischiando la propria vita per arrivare da noi. Questo crea la paranoia dell’“invasione”, furbescamente alimentata anche da partiti xenofobi. Questo forza i governi europei a tentare di bloccare i migranti provenienti dal continente nero con l’Africa Compact , contratti fatti con i governi africani per bloccare i migranti. Ma i disperati della storia nessuno li fermerà. Questa non è una questione emergenziale, ma strutturale al sistema economico-finanziario. L’ONU si aspetta già entro il 2050 circa cinquanta milioni di profughi climatici solo dall’Africa. Ed ora i nostri politici gridano: «Aiutiamoli a casa loro», dopo che per secoli li abbiamo saccheggiati e continuiamo a farlo con una politica economica che va a beneficio delle nostre banche e delle nostre imprese, dall’ENI a Finmeccanica. E così ci troviamo con un Mare Nostrum che è diventato Cimiterium Nostrum dove sono naufragati decine di migliaia di profughi e con loro sta naufragando anche l’Europa come patria dei diritti. Davanti a tutto questo non possiamo rimane in silenzio. (I nostri nipoti non diranno forse quello che noi oggi diciamo dei nazisti?). Per questo vi prego di rompere questo silenzio-stampa sull’Africa, forzando i vostri media a parlarne. Per realizzare questo, non sarebbe possibile una lettera firmata da migliaia di voi da inviare alla Commissione di Sorveglianza della RAI e alla grandi testate nazionali? E se fosse proprio la Federazione Nazionale Stampa Italiana (FNSI) a fare questo gesto? Non potrebbe essere questo un’Africa Compact giornalistico, molto più utile al Continente che non i vari Trattati firmati dai governi per bloccare i migranti? Non possiamo rimanere in silenzio davanti a un’altra Shoah che si sta svolgendo sotto i nostri occhi. Diamoci tutti/e da fare perché si rompa questo maledetto silenzio sull’Africa.
_________________________________________________________________                        *Alex Zanotelli è missionario italiano della comunità dei Comboniani, profondo conoscitore dell’Africa e direttore della rivista Mosaico di Pace

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