sabato 27 settembre 2014

"...VI PRECEDERANNO NEL REGNO DEI CIELI!"

HA SCRITTO DON FORTUNATO DI NOTO.
Milano e i bambini che dormono (per terra) alla Stazione Centrale. In tanti mi hanno chiesto perché non denunciare queste incresciose e ignobili situazioni. Come mai una voce come la mia rimane nel silenzio e non scuote le coscienze sopite e distratte sulla condizione dei bambini. Sapete perché? Perché non verrà ascoltata.

L’Italia – per l’infanzia - è piena di Garanti, Osservatori, Commissioni parlamentari, Tavoli istituzionali, Gruppi di lavoro, manifestazioni per raccolta fondi. Organizzazioni che hanno bilanci lauti e ricchi che potrebbero sfamare i “bambini poveri presenti nel nostro territorio”. Lo sappiamo tutti che basterebbe poco nel molto di chi possiede e nello spicciolo di chi anche non possiede molto la risoluzione di tanti problemi legati alla povertà dei piccoli.

Di cosa dovremmo meravigliarci, di cosa dovremmo dolorosamente indignarci? Dei bambini abbandonati in una stazione, di quelli che nei tuguri nascosti delle nostre case, delle innumerevoli periferie, sono vessati dimenticati, abusati, venduti, trafficati, rapiti, uccisi. Forse siamo così narcotizzati che le immagini e i video che ritraggono questi nostri piccoli ci sembrano una fiction; un banale film a puntate che non ci provoca neanche più una emozione e azzarderei neanche una azione che sia una per il loro bene. Ci accontentiamo sapere che le manifestazioni, di qualunque tipo, rechino la confortante dicitura “una parte del ricavato andrà in beneficenza”. Se cerchiamo di capire meglio e di approfondire forse c’è qualcosa che non quadra, che non rientra nella logica matematica: se tutto questo è così non dovrebbe esserci nessun bambino deprivato e che muoia di Dei bambini un tempo non molto lontano, a Natale mi scrissero che sul modello di Gesù Bambino, che nacque al gelo e al freddo, nel mondo avremo sempre – anche se uno solo – bambini come Gesù Bambino. Per ricordarci di essere buoni. Ma qualcun altro – e conoscevo la sua situazione familiare – invece mi diceva che era stanco di essere povero, di non avere un panino da mangiare durante 
la ricreazione scolastica, di non avere dei colori per colorare la vita grigia della sua famiglia. Era arrabbiato quel bambino che per diversi mesi in inverno ha dormito in macchina. Questo è accaduto in Italia, immaginiamoci nel resto del mondo!........... 

Ho visto situazioni che farebbero impallidire una schiera di demoni; che lo stesso male non comprenderebbe se stesso. Ecco la sfida per l’uomo: non disumanizzare se stesso per sopravvivere e sconfiggere il male con il bene. Già, è vero: parole dette, ridette, scontate. Ma se leggete bene, tra il significato velato delle parole forse scorgiamo una determinata azione di speranza, perché non dobbiamo far prevalere lo scoraggiamento e operare nell’amore e nella verità. Per i bambini... della stazione e che per paura sono sotto il letto della propria casa.

giovedì 25 settembre 2014

LA BANALITÀ DEL BENE

Ho una  breve  vacanza da proporvi. Salite  sulle  alture  di  Marzabotto,  a  Casaglia  di 
Montesole,  dove  si  è  consumato  uno  degli  eccidi  più  efferati  della  seconda  guerra 
mondiale:le popolazioni civili tra la fine di settembre ed i primi di ottobre del 1944, sono state massacrate da una ferocia inaudita, la ferocia della guerra totale. Ci sono ancora  le  mura  e  l’altare  della  Chiesa  in  cui,  ucciso  il  parroco,  le  SS  hanno  rinchiuso anche i bambini, prima di esplodere alcune bombe e dare il segnale della carneficina; altri furono condotti nel cimitero e fucilati con raffiche ad altezza di bambino per colpire tutte le vittime. 
Nella località don Dossetti, parecchi anni dopo essersi ritirato dalla vita politica, ha fondato 
una  comunità  monastica  della  “Piccola  famiglia  dell’Annunziata”,  ma  molto  più emblematicamente  l’uomo  che  ha  redatto  la  prima  parte  della  Costituzione  della 
Repubblica,  è  sepolto  nella  terra  del  piccolo  cimitero  della  strage.  Lui  che  ha  voluto 
scrivere e stabilire, con la solennità della Carta costituzionale, che l’Italia ripudia la guerra, 
lui che ha voluto trarre dalla tragedia delle popolazioni civili ed inermi l’insegnamento della 
crudeltà dei conflitti, ha anche voluto vivere, in uno dei posti testimonianza,  gli ultimi anni 
della vita ed ha voluto essere sepolto in quei luoghi. 
Che dire  di  un  personaggio  tanto  straordinario,  quanto  schivo  dalla  potenza  del 
mondo;  ci  sarebbe  da  ragionare  sulla  sua  idea  di  politica  al  servizio  della  democrazia 
sostanziale  a  favore  degli  ultimi,  ma  senza  la  possibilità  di  un’elaborazione  adeguata  si 
finirebbe  nella  retorica di una celebrazione che offenderebbe una  memoria  che  tende  a  tutt’altra  direzione.   E' molto bello però respirare la  testimonianza  dei  luoghi  che, assieme  a  tante  altre  testimonianze  della  vita  del  personaggio  e  della  sua  attività, costituisce parte essenziale del messaggio. 
Il viaggio non si esaurisce qui,perché c'è una seconda meta,  molto  diversa,  ma  interpretata  da  un personaggio  che  ha  dato  carne  viva,  esperienza  concreta,  alla  sensibilità  verso  gli  ultimi. 
Disceso dalle alture dell’Emilia e salito, più a sud, nelle località sperdute, nelle alte colline 
della  Toscana ci sono  i  luoghi  resi  celebri  da  don  Lorenzo  Milani, presso quella che fu la parrocchia di Barbiana. 
Il sacerdote vi fu sostanzialmente esiliato, per  aver  scritto  con  sincerità  e  spirito profetico  degli  “incidenti”  pastorali  e  dei  relativi  percorsi inadeguati  di  una  Chiesa  chiusa  nel  suo  ruolo  istituzionale  e nelle sue scelte di  potere . 
Arrivò a Barbiana nel 1954 e vi rimase fino alla morte (1967) che lo colse in giovane età, 
poco  più  che  quarantenne.  Dal  1956  dette  vita  ad  una  scuola  straordinaria,  con  il  preciso intento  (accostamento  a  don  Dossetti)  di  riscattare  le  popolazioni  relegate,  senza  loro 
colpa,  nell’ignoranza  e  farle  capaci  di  partecipazione  concreta  al  progetto  di  una 
democrazia  progressiva:  una  democrazia  della  consapevolezza.  Semplicemente 
“innamorato”  del  suo  popolo  orientò  i  giovani  alla  scuola  sottraendoli  alla  banalità  del 
consumismo;  li  invitò  alla  formazione  senza  pretendere  nulla  se  non  un  impegno  che 
vedeva i suoi alunni occupati per 365 giorni all’anno e 366 negli anni bisestili, senza feste 
e per dodici ore circa al giorno. 
Quanto ci sarebbe dire del suo  metodo  didattico  che  coinvolgeva  tutti nell’apprendimento  come  nell’insegnamento:  i  più  maturi  ed  i  più  preparati  aiutavano  i  più piccoli ed i bambini in difficoltà. Ci sarebbe da dire di un insegnamento che con tematiche tratte  dalla  Costituzione  formavano  alla  consapevolezza  civile,  alla  responsabilità,  alla politica come interesse al bene comune, contro l’individualismo e l’interesse personale. Ci sarebbe da dire di uno sforzo straordinario che ha indirizzato parecchi giovani, già relegati ai margini di un sistema scolastico selettivo e discriminante, a posti di alta responsabilità. 
E  ci  sarebbero  tante  altre  riflessioni,  ma tutte le vorrei riporre in una “confessione” emblematica del sacerdote ai suoi ragazzi: “ho voluto più bene a voi che a Dio, ma ho speranza che Lui non stia attento a queste sottigliezze ed abbia scritto tutto al suo conto”. 
A  mio  avviso  si  tratta  di  una  fra  le  più  belle  “confessioni”  che  mi  sia  dato  leggere;  di  una dichiarazione  coerente  per  un  cristiano,  interprete  di  una  religione  incarnata  nella storia  e  nella  vicenda  dell’uomo,  di  una  religione  che  si  fa  vita:  la  vita  di  un  Dio  che  si  è fatto uomo per acquistare, con il sacrificio di sé, la salvezza del mondo. 

mercoledì 24 settembre 2014

"NIENTE DI NUOVO SUL FRONTE OCCIDENTALE"

"Io sono giovane,ho vent'anni : ma della vita non conosco altro che la disperazione,la morte,il terrore,e la insensata superficialità congiunta con un abisso di sofferenze. Io vedo dei popoli spinti l'uno contro l'altro,e che senza una parola,incoscientemente,stupidamente,in una incolpevole obbedienza si uccidono a vicenda. Io vedo i più acuti intelletti del mondo inventare armi e parole perché tutto questo si perfezioni e duri più a lungo. E con me lo vedono tutti gli altri uomini della mia età,da questa parte e da quell'altra del fronte,in tutto il mondo;lo vede e lo vive la mia generazione. Che faranno i nostri padri,quando un giorno sorgeremo e andremo davanti a loro a chieder conto? Che aspettano essi da noi, quando verrà il tempo in cui non vi sarà guerra?  Per anni e anni la nostra occupazione è stata di uccidere,è stata la nostra prima professsione nella vita. Il nostro sapere della vita si limita alla morte. Che accadrà,dopo? Che sarà di noi?".
Erich Maria Remarque

venerdì 19 settembre 2014

PENSA AGLI ALTRI

Mentre prepari la tua colazione, pensa agli altri,
non dimenticare il cibo delle colombe.
Mentre combatti le tue guerre, pensa agli altri,
non dimenticare coloro che reclamano la pace.
Mentre paghi la bolletta dell’acqua, pensa agli altri,
coloro che sorseggiano le nuvole.
Mentre torni a casa, casa tua, pensa agli altri,
non dimenticare il popolo delle tende.
Mentre conti le stelle per addormentarti, pensa agli altri,
che hanno perso il diritto di parlare.
Mentre pensi agli altri lontani, pensa a te stesso,
dì: magari fossi una candela nelle tenebre!
(Mahmud Darwish, la voce più nota della letteratura palestinese, da Qualevita 158)

lunedì 15 settembre 2014

“La Colpa di mio Padre” di Chloè Barreau: lo scandalo del prete che lascia il sacerdozio per sposare la donna che ama

Ho sempre  saputo di essere la figlia di un prete spretato. Siccome non mi piaceva l’espressione, preferivo dichiarami il frutto di un amore proibito. Questa è la storia di uno scandalo. I personaggi: un prete e un’infermiera,mio padre e mia madre, la bella e l’abate.”
La colpa di mio padre” (film di Chloè Barreau), racconta con grande capacità analitica e fine sensibilità, la storia di un grande amore e di un “grande scandalo”: l’incontro tra Jean Claude Barreau (prete della diocesi di Parigi molto conosciuto) e Segolene (appassionata cattolica, molto impegnata nel sociale), genitori della regista.
Nel settembre del 71, Padre Jean Claude Barreau, molto conosciuto e apprezzato nella diocesi di Parigi, decise di lasciare il sacerdozio per sposare la donna che amava da due anni: fu un vero e proprio scandalo, che portò la questione sulle copertine di molti settimanali, e perfino in un dibattito in tv, in cui Jean Claude, fu chiamato a difendersi dalle accuse provenienti dalla Chiesa “lei ha lasciato il Signore per una donna… la crisi della chiesa comincia con lei”.
La vicenda è raccontata dallo sguardo attento e minuzioso di una figlia, che quarant’anni dopo, decide di tornare sulla vicenda, regalando al pubblico una visione d’insieme della figura di padre Claude Barreau, di un grande amore che vince su ogni ostacolo e della società di allora.
Risalta e colpisce la storia e l’aspetto umano di padre Barreau: l’adolescenza trascorsa con il nonno, gli anni del seminario, la capacità, durante i suoi anni di impegno nel sociale, di essere veramente vicino alle situazioni difficili, (in primo luogo ai giovani sbandati) senza traccia di rigidità o ottusità tipiche di alcuni ambienti conservatori.
“La colpa di mio padre” è la storia di un amore, ma è anche un grande atto di onestà: la presa di consapevolezza da parte di padre Barreau di non poter più far parte della Chiesa, (perché folle d’amore per una donna) la decisione di voler cambiare vita, e di voler condividere i propri giorni e i propri sogni con un’altra persona perché non ne può fare a meno.
Come nasce l’amore al primo sguardo?
Quel momento in cui ci si riconosce, e si sente per uno sconosciuto uno strano bisogno, complicato e impossibile.
La risposta è da qualche parte dentro di sé, laddove ci sono le ferite.
Ce l’abbiamo tutti, un posto così”.
La sua è una scelta che sembra dettata dalla coscienza di un uomo libero interiormente: accusato di preferire una donna alla Chiesa, (durante un talk show) Padre Barreau risponde di sentirsi a posto con la propria coscienza e i suoi sguardi, le sue parole, rispecchiano perfettamente il senso di questa profonda libertà interiore.
L’aspetto più interessante del documentario, èil perfetto bilanciamento delle diverse storie che si intrecciano e si confondono: le vicende personali dei due genitori, (per altro molto simili ) la loro storia d’amore, i due anni di passione  clandestina, l’accanimento della stampa e dell’opinione pubblica.
Attraverso materiale dell’epoca, (il famoso talk show televisivo) interviste ai genitori, fotografie, immagini, Chloè Barreau ci racconta la storia dalla sua prospettiva, riuscendo a regalare al pubblico la fotografia di un’epoca con le sue caratteristiche e contraddizioni, senza tralasciare l’aspetto emotivo  che in alcuni tratti riesce a toccare zone del nostro inconscio arrivando a commuovere.

DIVIETO DI ELEMOSINA

di Paola Springhetti | 12 settembre 2014
La notizia è del 9 settembre, ma è solo l'ultima della serie. A Pontremoli il sindaco Lucia Baracchini ha emesso un'ordinanza, che vieta di chiedere l'elemosina nel centro storico, nei mercati, davanti alle chiese e di fronte ai negozi, pena multe dai 25 ai 250 euro. Motivazione: evitare "potenziali situazioni di pericolo per pedoni e veicoli" e "garantire l'incolumità delle persone". Verrebbe da obiettare che se c'è qualche mendicante che ha comportamenti pericolosi, si agisce su di lui, non sull'intera categoria: sarebbe come dire che siccome ho un collega assenteista, il mio datore di lavoro licenzia tutti i dipendenti.

Ma quello che mi interessa sottolineare è che esistono non pochi precedenti a questa scelta. A Bressanone l'ordinanza antiaccattonaggio è del 2013, a Cairo del 2012, a Ugento del 2011, a Mantova del 2010, a Cesenatico del 2009, a Civitanova del 2008 e via elencando. Il sindaco di Padova ha promesso che la farà a settembre. A questo tipo di provvedimenti si aggiungono anche le multe e i rimpatri per i senza fissa dimora e altre cose simili adottate in diverse città. Sindaci di destra e di di sinistra, con l'appoggio di molti cittadini e dei privati.

In agosto, a Catania, sulla porta di un supermercato è comparso un cartello che diceva: «la direzione del supermercato invita i propri clienti a non elemosinare gli accattoni davanti al negozio. Il loro elemosinare gli permette di raccogliere dai 60 ai 100 euro al giorno, tanto quanto un operaio specializzato italiano considerando un importo netto senza tasse». La sottolineatura nasce dal fatto che nel cartello la parola "italiano" è evidenziata, il che tradisce una vaga sfumatura razzista. Ma sfumature e inciampi grammaticali a parte, in questo caso a provocare la reazione - secondo la direzione del supermercato - sarebbe stato il fatto che da anni una famiglia Rom chiedeva l'elemosina davanti all'ingresso, allontanando i clienti indispettiti dall'insistenza.

D'altra parte, il problema è antico. Già nel medioevo i mendicanti venivano espulsi dalla nostre città, con la motivazione che erano stranieri: solo i nativi erano autorizzati a chiedere. Anche in età moderna hanno subito spesso persecuzioni, in quanto vagabondi e fannulloni. E in Italia, formalmente mendicare è stato proibito fino al 1995. I divieti però non hanno mai funzionato, pare neanche in età medievale.

Queste piccole guerre civili contro i mendicati sono comunque una sconfitta su tutti i fronti. Su quello politico, perché sono conseguenza e sanciscono l'incapacità della politica e delle Pubbliche amministrazioni di mettere in campo politiche contro la povertà e per l'inclusione sociale. Su quello culturale, perché sono conseguenza e sanciscono la perdita di valori che pure erano fondanti per la nostra civiltà cristiana e occidentale: il riconoscimento della dignità delle persone, il rispetto dei diritti, la pietà per i deboli. Su quello individuale, perché è conseguenza e sancisce l'incapacità delle persone di "guardare negli occhi" i poveri e di aprire gli occhi sul problema.

Come ha detto il direttore della Caritas tirolese Georg Schärmer, «allontanare le persone povere dallo sguardo del pubblico non risolve niente. Il modo migliore per sconfiggere la povertà è aprire gli occhi». Chiedere che i poveri vengano allontanati e quindi nascosti risolve il problema emotivo, non certo quello della carità e della giustizia.

Quando Jorge Maria Bergoglio è stato eletto papa, il cardinale francescano Claudio Hummes gli ha detto: «Non ti dimenticare dei poveri!». Il tema della povertà - la povertà come condizione dolorosa e la povertà come scelta che la Chiesa deve fare propria - è diventato uno dei fili conduttori di questo pontificato. E quando il Papa parla dei poveri, non ne parla come una realtà astratta e indifferenziata. Agli studenti delle scuole dei Gesuiti in Italia ha detto: «Non si può parlare di povertà, di povertà astratta, quella non esiste! La povertà è la carne di Gesù povero, in quel bambino che ha fame, in quello che è ammalato, in quelle strutture sociali che sono ingiuste. Andate, guardate là la carne di Gesù...».

Credo che questa sia la prima cosa che dovrebbe essere chiara, quando si parla di provvedimenti di questo tipo: stiamo parlando di persone, ognuna con la propria storia. Stiamo parlando di vite umane. Dobbiamo guardarli negli occhi, perché anche la vita dei poveri va tutelata.

Su vitatrentina.it - il sito della diocesi di Trento - si legge che secondo Schärmer «può essere vero che alcuni mendicanti danno fastidio, ma sono più molesti quei gruppi politici dai toni populistici che chiedono insistentemente il voto dei cittadini, oppure le pressioni della società dei consumi e del superfluo che cerca, con metodi aggressivi, di sfilare di tasca anche l'ultimo spicciolo, soprattutto ai bambini ed ai giovani». Oltre a guardare in faccia i poveri, dobbiamo guardare in faccia la povertà, per capirne le cause e rimuoverle. Ma non vogliamo farlo, perché questo ci costringe a rispondere ad alcune domande scomode: perché le molestie dei potenti e dei ricchi si possono tollerare e quelle dei poveri no? Perché non riusciamo ad accettare che i poveri saranno sempre tra noi (Mt 26, 11)?

Per la Chiesa, questo è un tema cruciale. Una chiesa povera sta con i poveri. Come dice Georg Schärmer, «mi definisco io stesso un mendicante. Perciò non posso certo essere contro gli altri mendicanti». E d'altra parte, ha ricordato il sindaco di Ferrara Tiziano Tagliani, «un paio di millenni fa c'era un tale che scacciava dal tempio i mercanti; non mi pare gli accattoni». A lui resta il problema politico, alla Chiesa quello di testimoniare non solo carità, ma anche la giustizia. Anche aiutando a scacciare qualche mercante dal tempio, non i poveri.

martedì 9 settembre 2014

DONNE CHE HANNO AMATO...FINO ALLA MORTE!

in “il manifesto” del 9 settembre 2014
«Il sangue versato diventi seme di speranza per costruire l’autentica fraternità tra i popoli». 
È questo l’auspicio di papa Francesco espresso in un telegramma di cordoglio inviato ieri,tramite il segretario di Stato vaticano, alla superiora generale delle Missionarie Saveriane, Ines Frizza, la congregazione religiosa a cui appartenevano le tre suore missionarie uccise in Burundi. Un secondo telegramma,è stato indirizzato anche a monsignor Evarist Ngoyagoye, arcivescovo di Bujumbura, per esprimere «vicinanza alla loro comunità religiosa, alle loro famiglie, nonché a tutta la comunità diocesana».
Al «dolore» del papa si è associato lo stesso Ngoyagoye: «Apprendere delle tre missionarie italiane uccise ci ha scioccati. Ancor più nel sapere che erano persone anziane e avevano trascorso la vita in Africa. È un colpo barbaro per tutta la comunità», ha dichiarato l’arcivescovo di Bujumbura, che ha esteso le condoglianze a tutte le missionarie saveriane e «alle famiglie delle vittime, per la perdita di queste donne che si sono totalmente spese per la missione». Le Missionarie Saveriane esprimono «gratitudine per queste sorelle che, nonostante la salute fragile, hanno deciso di tornare in missione e hanno dato la vita fino alla fine»; e «gratitudine anche nei confronti della popolazione e di tutti coloro che stanno esprimendo la loro vicinanza e solidarietà».
«Tutte e tre hanno amato la gente d’Africa, nella Repubblica Democratica del Congo prima, e in Burundi poi». Con la loro testimonianza «ci invitano a non lasciare che il dolore abbia l’ultima parola».
Allarga lo sguardo oltre il cordoglio la Caritas italiana, che da anni collabora con la diocesi di 
Bujumbura e con i missionari saveriani per la promozione della pace tra i giovani proprio nei 
quartieri nord della città, dove è avvenuto l’assassinio. «Purtroppo l’accaduto, al di là delle 
dinamiche che verranno accertate dalle autorità competenti, riporta l’attenzione su un Paese 
dimenticato quale è il Burundi che da decenni vive in condizioni disastrose agli ultimi posti nella 
classifica mondiale di tutti gli indicatori di benessere. Il terribile evento – prosegue la nota della 
Caritas – deve indurre tutti i cristiani e gli uomini di buona volontà a superare la globalizzazione 
dell’indifferenza».

"Laudato sii,o mio Signore,con tutte le tue creature..."

Il ruolo delle donne nella Chiesa è argomento dibattuto, Papa Francesco lo ha ripetuto più volte: è necessario trovare «nuovi spazi e responsabilità» per il “genio” femminile. In questa linea si deve collocare la prossima nomina papale che prevede l'aumento del numero di donne nella Commissione Teologica Internazionale, da due a cinque o sei. Così ha rivelato il cardinale Gerhard Ludwig Muller, prefetto della Congregazione della Dottrina della Fede, a Lucetta Scaraffia che ha riportato il dialogo con il cardinale sull'Osservatore romano. I “nuovi spazi”, però, non sono una qualche imitazione del modello maschile, né possono essere intesi con categorie di stampo femminista.

Benedetto XVI parlando di S. Caterina da Siena ricordava proprio come tanti volevano essere guidati spiritualmente da lei, «desideravano chiamarla mamma», perché capace di orientare le menti a Dio, rafforzare la fede e guidare la vita. Anche oggi siamo in tanti a poter ricordare un qualche episodio legato ad una maternità spirituale: una suora, una catechista, un libro, una professoressa,…maternità spirituale spesso nascosta, ma decisiva.

La storia della Chiesa è piena di esempi straordinari di santità femminile, vette intellettuali e morali che hanno saputo esercitare un fortissimo ascendente sulla vita ecclesiale e sociale. Hanno lasciato un’impronta indelebile. Non rivendicavano, amavano. Ben vengano le nuove nomine femminili nella Commissione Teologica Internazionale, ma per rinnovare il “ruolo” delle donne nella Chiesa c’è innanzitutto bisogno di figlie, spose e madri che, grazie all’amore verso Dio e i fratelli, sappiano rianimare l’uomo che non trova pace. Sappiano risollevare la Chiesa con il genio di chi ama, umilmente, come la Madre. Tutto il resto, ruoli e responsabilità, verranno da sé.

Nell'attesa di questa scelta,gustatevi le foto che trovate di seguito,nella speranza che questo spirito gioioso riempia le ammuffite stanze della Chiesa!!





















domenica 7 settembre 2014

BUON NUOVO ANNO SCOLASTICO A TUTTI!

C'è chi insegna
guidando gli altri come cavalli
passo per passo:
forse c'è chi si sente soddisfatto
così guidato.
C'è chi insegna lodando
quanto trova di buono e divertendo:
c'è pure chi si sente soddisfatto
essendo incoraggiato.
Profondamente stimavo un amico
quasi invidiando un altro a cui diceva
stupido,e non a me.
C'è pure chi educa,senza nascondere
l'assurdo ch'è nel mondo,aperto ad ogni
sviluppo ma cercando
d'essere franco all'altro come a sé,
sognando gli altri come ora non sono:
ciascuno cresce solo se sognato.
                                  Danilo Dolci          

venerdì 5 settembre 2014


SARA' DIFFICILE DIMENTICARE QUESTO CRISTIANO!!


Ha scritto il suo biografo Marco Garzonio:
A me vien da dire che molti non credenti si sono ritrovati in lui forse
proprio perché hanno avvertito il suo porsi come strumento e veicolo
di «qualcos’altro», di un valore alto capace di trascendere le occupa-
zioni, gli affetti, gli interessi quotidiani, hanno intuito un qualcosa
di misterioso ma insieme di credibile in quel suo «lasciarsi guidare
e fare» dalla Parola, della quale lui ha sempre tenuto a porsi come
annunciatore. E, forse, molti cattolici hanno avuto in antipatia e in
sospetto il cardinale, in quanto si sono resi conto dei «pericoli» che il
riferimento continuo alla Parola presenterebbe per chi della profes-
sione di fede facesse solo un’appartenenza, una consuetudine, uno
strumento. L’appello alla coscienza crea sempre una certa apprensione
all’interno della Chiesa, tra laici e chierici, senza distinzioni. Eppure,
in un’antica preghiera della liturgia ambrosiana i fedeli chiedono a
Dio: «Dona sempre al tuo popolo pastori che inquietino la falsa pace
delle coscienze». E Martini riprese quest’orazione: gli piaceva molto.

mercoledì 3 settembre 2014

E' SOLO UN PROBLEMA TRA CRISTIANI E MUSSULMANI?


Da quando sui muri delle case e sulle proprietà dei cristiani di Mosul è apparsa la “N” scritta in arabo, è incominciata la caccia all’uomo da uccidere e da affamare. Quella “N”, lettera iniziale del termine “nazareno” usato per indicare i cristiani, ci riporta in uno dei periodi più bui e drammatici della storia dell'uomo, quando gli ebrei in Germania e nei paesi occupati dal nazismo, erano costretti a cucirsi sugli abiti una stella gialla, segno di differenziazione e di umiliazione.
L’attività terroristica del fantomatico “Stato Islamico dell’Iraq e del Levante” (ISIS) ha imposto a tutti i cristiani che con coraggio hanno scelto di rimanere nel loro territorio, l’applicazione di una serie di norme fatali: non possono costruire nuovi luoghi di culto e di case religiose, devono lasciare ampia libertà ai loro congiunti se decidono di passare all’islamismo, non devono indossare abiti musulmani e darsi nomi musulmani, non possono esporre crocefissi e testi sacri, devono però versare la “jizya” – la tassa di capitazione – per ottenere protezione dallo Stato islamico.
Tali prescrizioni terroristiche hanno portato i cristiani iracheni ad un bivio: o emigrare o la persecuzione, e molti, per non trovarsi al bivio, hanno abbandonato la religione cristiana.
C’è da chiedersi se l’attuale tragedia sia provocata soltanto da fanatismo religioso o se ci siano anche motivazioni politiche ed economiche che spingono lo Stato islamico ad allargare e a rendere sempre più crudele la persecuzione.
Certo è che motivazioni politiche ce ne sono, se non altro per il fatto che l’ISIS ha avuto le sue prime radici nel movimento di Al Qaeda e nel contatto con tre personaggi molto noti : Osama Bin Laden, il medico egiziano Ayman al-Zawahiri e Abu Musab al-Zarqawi. Personaggi diversi fra loro, talvolta anche in conflitto, ma che hanno contribuito con le loro idee e con i loro comportamenti a costruire una parabola politica che dalla difesa dei territori abitati dai musulmani dall’ingerenza dell’Occidente, è passata all’idea di una guerra civile su larga scala e, da ultimo, alla necessità di creare un Califfato islamico sunnita.

Dal punto di vista economico occorre dire che l’ISIS non ha bisogno di essere aiutato da altri paesi in quanto, nel territorio dove sta operando, ha organizzato un mini-stato largo come Piemonte e Lombardia, raccogliendo denaro attraverso una specie di tassazione imposta. Ma non solo: l’ISIS si permette di vendere energia elettrica al governo siriano, prodotta da centrali sottratte alla Siria stessa, ed è in grado di esportare petrolio della Siria ottenuto con le conquiste militari, esportazione che potrebbe aumentare notevolmente se riuscisse ad impadronirsi dei pozzi sul territorio iracheno.

Dal punto di vista religioso bisogna prendere atto della doppia anima presente nella realtà islamica: se, da un lato, c’è chi sostiene che l’Islam è contrario alla violenza e lo dimostra anche con i fatti, c’è però chi, come gli aderenti all’ISIS, ritengano che la violenza e il terrorismo di qualsiasi genere siano elementi essenziali per la testimonianza religiosa, soprattutto quando si individua un “nemico” da abbattere.

Questa posizione probabilmente nasce dal fatto che il credente musulmano si senta chiamato ad esprimere l’impegno personale per realizzare la volontà di Dio nella quotidianità, correndo il rischio di confondere la volontà di Dio con la sua. Per questo ci si deve porre alcune domande: è possibile che la volontà di Dio si manifesti nella coscienza del credente e gli indichi anche i minimi particolari per un comportamento che porta alla violenza più sfrenata? E a chi si oppone a questo modo di intendere la volontà di Dio, si può usare la violenza solo per  difendersi o anche per offendere?

Sono aspetti che lasciano molti dubbi, ma che contemporaneamente  evidenziano quanto l’elemento religioso si affianchi alle motivazioni di tipo economico, ideologico e politico che conducono alla violenza e al terrorismo.

Infine riflettiamo sulle reazioni espresse nella Chiesa e nel mondo occidentale di fronte all’ondata di violenza dell’ISIS.
Non c'è stato forse un eccesso di prudenza negli atteggiamenti di alcuni personaggi della Chiesa nell’affrontare questa tragedia e nel condannarla e, soprattutto, non è stata espressa attenzione al dramma dei cristiani perseguitati troppo tardi, quando la violenza è arrivata ad un punto di non ritorno?
Inoltre, in conseguenza di questo, anche l’intervento umanitario di aiuto per una popolazione allo stremo per mancanza degli elementi essenziali, è stato organizzato un po’ troppo in sordina.
Siamo di fronte ad una popolazione che rischia di scomparire e c’è un urgente bisogno di sostenerla, di accoglierla, senza mai perdere di vista l’importanza di sviluppare la cultura della pace, che si oppone in modo netto ad ogni forma di fanatismo religioso: la guerra, le teste mozzate, l’odio, la violenza gratuita non possono stare dalla parte di Dio e ogni volta che la dignità umana è aggredita, Dio lo si mette da parte.

E poi l’Occidente, di fronte alla tragedia dei cristiani iracheni, ha dimostrato la sua pochezza: se i rappresentanti dei paesi importanti si muovono, si incontrano e collaborano, non lo fanno perchè motivati da comuni visioni del mondo e della vita, ma per salvaguardare i legami finanziari ed economici del proprio paese: si è convocata qualche riunione e forse si lancerà anche qualche missile nei punti cosiddetti strategici,  ma saranno solo iniziative per tacitare la coscienza, che serviranno ben poco per sostenere i cristiani in Iraq che stanno scomparendo.
A.B.

lunedì 1 settembre 2014

Ricordando dom Hélder Camara

Moriva il 27 agosto di 15 anni fa Hélder Câmara, uno dei vescovi latinoamericani più
amati, grazie alla sua passione per una Chiesa povera e dei poveri, alla sua attenzione
per le persone e alla sua fede incarnata. Il ritratto di un pastore che può essere
certamente considerato un precursore di papa Francesco.
«Il vescovo rosso Câmara sulla via della beatificazione», strillava Il Messaggero del
29 maggio scorso. Un titolo che la dice lunga su come una parte dell’opinione pubblica ha
accolto la notizia dell’imminente apertura del processo canonico che potrebbe portare
sugli altari dom Hélder Câmara, arcivescovo di Olinda­Recife. Tra i protagonisti della
storia recente (non solo ecclesiale) dell’America Latina, Câmara stesso, per tutta la sua
vita, ha dovuto fare i conti con quella pesante etichetta: «Quando do da mangiare a un
povero mi chiamano santo ­ è una delle sue frasi passate alla storia ­, ma quando chiedo
perché i poveri non hanno cibo, allora mi chiamano comunista».
Curioso: anche papa Francesco, rispondendo alle domande di un gruppo di giovani
belgi, pochi mesi fa aveva chiarito: «Ho sentito che una persona ha detto: con tutto
questo parlare dei poveri, questo Papa è un comunista! No, questa è una bandiera del
Vangelo, la povertà senza ideologia; i poveri sono al centro del Vangelo di Gesù».
Ecco: se c’è un motivo per cui valga la pena oggi, a 15 anni esatti dalla morte, rievocare
la figura di dom Hélder ­ nato nel 1909 e morto il 27 agosto 1999 ­, è la sua passione per i
poveri, il suo straordinario impegno per rendere la Chiesa più fedele a quella di Gesù:
«Una Chiesa povera per i poveri». In questo si può affermare, senza tema di smentite,
che Câmara ha anticipato papa Bergoglio.
Un altro tratto che accomuna decisamente l’attuale Papa e il «vescovo rosso» è lo
stile di sobrietà estrema e la distanza siderale da quella mondanità che Bergoglio non
smette di indicare come uno dei mali della Chiesa attuale. Oggi fa colpo la decisione di
Francesco di vivere in un modesto alloggio a Santa Marta, rinunciando al tradizionale
appartamento pontificio. Ma dom Câmara aveva fatto lo stesso, anni prima, decidendo di
prendere dimora in due modesti locali adiacenti alla Igreja das Fronteiras.
Anche la tomba di Câmara parla di essenzialità: una semplice lastra di marmo chiaro,
su cui sono incisi solo il nome e le date di nascita e morte, con una colomba stilizzata. È
collocata nella cattedrale di Olinda, antica città coloniale a pochi chilometri da Recife. Da
quella chiesa, oggi meta di pellegrini e turisti, si gode una vista spettacolare sulla città
sottostante e sull’intera baia.
Ancora. Papa Bergoglio parla dei poveri come della «carne di Cristo». Câmara, per
tutta la sua vita, ha manifestato una premura per gli ultimi che, prima ancora di assumere
i toni della denuncia sociale, si configurava come attenzione alle persone in gesti semplici.
In proposito, ecco una preziosa testimonianza di Marcelo Barros, abate benedettino e
teologo della liberazione, collaboratore di dom Hélder per 12 anni: «In ogni fratello e
sorella che incontrava lui vedeva la presenza divina ­ ha scritto tempo fa su Nigrizia ­. Una
volta alla settimana ci riunivamo a casa sua. Mentre parlavamo, molte persone
bussavano alla porta. Egli stesso si alzava e le riceveva. A volte si dilungava nell’ascolto.
Diceva: “Ci tengo a riceverli personalmente, perché non voglio perdere il privilegio di
accogliere il Signore stesso”».
PROTAGONISTA DEL CONCILIO
È interessante osservare come, al pari di Oscar Romero, altro gigante della Chiesa
latinoamericana, anche monsignor Câmara abbia percorso un cammino personale di
«conversione», prima di prendere le posizioni coraggiose che conosciamo. Nato in una
famiglia numerosa, era cresciuto in un ambiente ecclesiale piuttosto conservatore.
Ordinato sacerdote nel 1931, si converte ai poveri quando, nel 1952, diventa ausiliare del
cardinale di Rio de Janeiro: è in quel periodo che il giovane e dinamico vescovo si
conquista sul campo il soprannome di «vescovo delle favelas».
Il carisma di dom Hélder si dilata presto fuori dai confini della città. Nel 1952 è tra i
promotori della Conferenza episcopale brasiliana, di cui diventa segretario per 12 anni.
Tre anni dopo, lancia la convocazione a Rio della prima Conferenza dei vescovi latino­
americani, da cui nascerà il Celam (Consiglio episcopale latinoamericano).
Nel 1964 ­ anno del golpe che instaura il regime militare in Brasile ­ Câmara viene
nominato arcivescovo di Recife, capitale del Pernambuco, nel Nord­Est, la regione più
povera del Paese. Il giorno dell’ingresso ufficiale, il nuovo arcivescovo non vuole essere
accolto dentro la cattedrale, ma sulla piazza, in mezzo alla gente. Negli anni successivi
l’impegno di dom Hélder a servizio dei più deboli continuerà senza sosta, con prese di
posizione coraggiose che lo renderanno famoso in tutto il mondo. Una frase riassume
efficacemente il senso profondamente evangelico delle sue battaglie: «La rivoluzione
sociale di cui il mondo ha bisogno non è un colpo di Stato, non è una guerra. È una
trasformazione profonda e radicale che suppone Grazia divina».
Pur senza prendere mai la parola durante le sessioni di lavoro, fu uno dei protagonisti del
Concilio Vaticano II, tra gli ispiratori del famoso «Patto delle catacombe»; per
comprenderne il ruolo cruciale basta leggere le sue circolari raccolte in Roma, due del
mattino (San Paolo 2011). Nel 1970 il Sunday Times arrivò a definire dom Hélder «l’uomo
più influente dell’America Latina dopo Fidel Castro».
Il paradosso è che l’interessato non aveva progettato una «carriera» da profeta. Anzi,
all’età di 34 anni, in un momento di sconforto, aveva scritto: «Attraverserò la vita senza
lasciare nessun segno incisivo. Guarderò da lontano san Francesco Saverio senza
poterlo imitare. Ancor più da lontano guarderò san Francesco d’Assisi. Al mio funerale
qualcuno dirà che non ho prodotto tutto quello che avrei potuto produrre».
Oggi sappiamo bene che non è così: Câmara, infatti, va annoverato fra coloro che
hanno impresso una svolta decisiva alla Chiesa del nostro tempo. Bastino queste ultime
parole a mostrarne l’attualità: «Se Marx avesse visto intorno a sé una Chiesa incarnata,
continuatrice dell’incarnazione di Cristo; se avesse vissuto con cristiani che amavano, in
modo reale e con i fatti, gli uomini come espressione per eccellenza dell’amore di Dio, se
avesse vissuto nei giorni del Vaticano II, che ha riassunto tutto ciò che di meglio dice e
insegna la teologia circa le realtà terrene, Marx non avrebbe presentato la religione come
l’oppio dei popoli e la Chiesa come alienata e alienante».
Gerolamo Fazzini

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