venerdì 30 gennaio 2015


PAPA FRANCESCO E LA SCUOLA

«Io amo la scuola perché ci educa al vero, al bene e al bello. Vanno insieme tutti e tre. L’educazione non può essere neutra. O è positiva o è negativa; o arricchisce o impoverisce; o fa crescere la persona o la deprime, persino può corromperla… La missione della scuola è di sviluppare il senso del vero, il senso del bene e il senso del bello. E questo avviene attraverso un cammino ricco, fatto di tanti “ingredienti”. Ecco perché ci sono tante discipline! Perché lo sviluppo è frutto di diversi elementi che agiscono insieme e stimolano l’intelligenza, la coscienza, l’affettività, il corpo, eccetera. Per esempio, se studio questa Piazza, Piazza San Pietro, apprendo cose di architettura, di storia, di religione, anche di astronomia – l’obelisco richiama il sole, ma pochi sanno che questa piazza è anche una grande meridiana. In questo modo coltiviamo in noi il vero, il bene e il bello; e impariamo che queste tre dimensioni non sono mai separate, ma sempre intrecciate».

giovedì 29 gennaio 2015

46 RISPOSTE PER IL NUOVO CORSO DELLA CHIESA

“La pastorale sacramentale nei riguardi dei divorziati risposati necessita di un ulteriore
approfondimento, valutando anche la prassi ortodossa e tenendo presente «la
distinzione tra situazione oggettiva di peccato e circostanze attenuanti». È vero. Un ulteriore periodo di riflessione e di raccolta dati ci vuole. I problemi emersi nello scorso Sinodo dei Vescovi sui temi della famiglia sono davvero molti e di non facile né immediata soluzione.
Quali le prospettive in cui muoversi? Quali i passi possibili? Quali suggerimenti per ovviare a
forme di impedimenti non dovute o non necessarie?” Quarantasei domande come questa
compongono il nuovo questionario per il prossimo appuntamento assembleare dell’ottobre 2015(Le puoi trovare raccolte in questo blog alla pagina "Documenti"). Le penne dei commentatori si sono subito esercitate soprattutto sul grado di apertura alle riforme che si intravede nella formulazione delle domande sui temi più spinosi e controversi (omosessualità e divorziati). Io credo invece che occorre porre attenzione al “processo” che il questionario dovrebbe avviare dentro la Chiesa stessa.
In occasione del questionario redatto in preparazione del sinodo straordinario dello scorso ottobre, ho avuto la sensazione che fossero stati gli uffici diocesani a pilotare e a fornire tutte le risposte.
No,così non va bene. Ora le cose devono andare in maniera un po' diversa. Anzi,molto diversa.
La diffusione del questionario deve servire ad avviare, come lo stesso documento sinodale prevede, un'ampia discussione nella base cattolica, nelle parrocchie, negli oratori, nei gruppi ecclesiali,là dove vive e lavora il “popolo di Dio”,perché è proprio quest’ultimo che oggi ha un’occasione storica e assolutamente inedita per farsi sentire , per raccontare come sia cambiato lo scenario religioso, quali siano i problemi reali con i quali i credenti debbono davvero misurarsi in quelle “periferie esistenziali” che per tanti di loro sono scenario quotidiano di vita e di lavoro.
Sarebbe bello che il tempo che ci separa dal nuovo sinodo fosse per la Chiesa fino in fondo un tempo, un’occasione di verità, perché la Chiesa fosse capace di dare un esempio memorabile ad una società italiana desertificata nei suoi ideali e scioccata dalla tragica insipienza delle sue classe dirigenti, pronunciando finalmente la verità su se stessa, dichiarando che la recita è finita, che è venuto il momento della sincerità. Costi quel che costi. Sarebbe bello che tanti sacerdoti avessero, in uno spirito di autentica liberazione, la possibilità e il coraggio di dire come si comportano davvero quando si trovano di fronte ad un divorziato risposato che desidera intraprendere un percorso di profonda riflessione spirituale per essere riammesso all’eucarestia. Sarebbe bello che quei tanti preti potessero esprimersi con verità e cioè che sì la comunione a quella persona loro la danno già oggi, che non hanno atteso le decisioni del Sinodo e quelle del pontefice per comportarsi come la fede suggerisce loro: e cioè con comprensione e misericordia. E che agiscono in maniera analoga anche con gli omosessuali che si avvicinano alla Chiesa: ascoltando, comprendendo,accompagnando. Allora sì che la Chiesa avvierebbe un vero cambiamento e in una direzione molto simile a quella auspicata da Francesco, dove quei fedeli ai quali il Concilio di Trento e una vecchia mentalità clericale assegnavano il compito mortificante di obbedir tacendo sono oggi diventati adulti, usano la propria ragione, vogliono comprendere e non si considerano cristiani di serie B solo perché non indossano una tonaca. Tra di loro vi sono anche tante donne che non accettano più di essere il “sesso debole” dell’istituzione, il supporto invisibile e silenzioso della grande macchina del sacro. A tutti costoro, le riforme che auspicabilmente verranno dal nuovo Sinodo e dalle decisioni del pontefice daranno entusiasmo e slancio, insieme alla sensazione di vivere in un’istituzione che ha finalmente aperto le sue finestre, che ha rinnovato l’aria delle sacre stanze. Facendosi invadere da quei “segni dei tempi” che cinquant’anni fa annunciarono il nuovo inizio di una storia antica.

mercoledì 28 gennaio 2015

QUALE PREGHIERA DOPO AUSCHWITZ?

Nel 1967, il filosofo ceco Milan Machovec chiese al teologo cattolico tedesco Johann Baptist Metz se i cristiani potessero ancora pregare dopo Auschwitz. Metz rispose: “Possiamo pregare dopo Auschwitz perché la gente ha pregato ad Auschwitz" . Quindi, sì è possibile pregare perché ebrei e cristiani sono morti recitando lo Shema' Jisra'el ed invocando il Padre nostro.
 

martedì 27 gennaio 2015

IL RABBINO LAU: "DOPO 70 ANNI IL MONDO NON HA IMPARATO NULLA"


Oggi non sono spaventato, ma preoccupato. Perché se settanta anni dopo l'Olocausto in Europa dobbiamo ancora proteggere le sinagoghe e le scuole dove studiano i nostri bambini, vuol dire che il mondo non ha imparato nulla”. 

"Sapete perché Hitler costruì i campi di sterminio in territorio polacco invece che in Germania? Perché era certo che il mondo avrebbe reagito all'Olocausto, bombardando i campi. Ma il mondo non fece nulla. Non fu bombardata neppure una delle tante linee ferroviarie sui cui viaggiavano i treni carichi di ebrei diretti ai campi”.

“Spesso la gente si chiede e ci chiede dove era Dio Onnipotente durante l'Olocausto. Io ribatto chiedendo: dove era il mondo? Dove erano i capi politici e religiosi?"

Rav Israel Meir Lau, ex rabbino capo di Israele e rabbino di Tel Aviv.

"SE QUESTO È UN UOMO!"- Primo Levi


Voi che vivete sicuri
Nelle vostre tiepide case,
voi che trovate tornando a sera
Il cibo caldo e visi amici:
Considerate se questo è un uomo
Che lavora nel fango
Che non conosce pace
Che lotta per un pezzo di pane
Che muore per un sì o per un no.
Considerate se questa è una donna,
Senza capelli e senza nome
Senza più forza di ricordare
Vuoti gli occhi e freddo il grembo
Come una rana d'inverno.
Meditate che questo è stato:
Vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
Stando in casa andando per via,
Coricandovi alzandovi;
Ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
La malattia vi impedisca,
I vostri nati torcano il viso da voi.

"NON ODIARE MAI!"


Ricorre il settantesimo anniversario della liberazione di Auschwitz, il giorno della Memoria, istituito dieci anni fa dall’Onu. Non mancano interrogativi attorno a quest’anniversario, perché talvolta si ha l’impressione che le celebrazioni siano di circostanza, poco partecipate a livello popolare. C'è il rischio di una «ipertrofia della memoria», per il moltiplicarsi di eventi, per lo più di carattere politico o accademico, con scarsa incidenza nella cultura e nella coscienza dei popoli. Tuttavia, ricordare è un imperativo. È necessario far sì che il Giorno della Memoria non si riduca a una rievocazione del passato, ma ci interroghi anche sul presente e sulla realtà delle società europee. Infatti, l’antisemitismo, che fu l’anticamera dei lager, resta ancora oggi un problema europeo. Non solo per i recenti e tragici fatti di Parigi, in cui oltre alla sede di Charlie Hebdo è stato colpito un negozio ebraico, con quattro vittime. Basti ricordare l’attacco alla scuola ebraica di Tolosa il 19 marzo 2012, con quattro morti di cui tre bambini, o quello al Museo ebraico di Bruxelles, il 24 maggio 2014, con quattro vittime anche in quel caso. Sono gli episodi più gravi, ma molti, troppi, sono quelli di minore entità. Nel corso del 2014 circa 15mila ebrei hanno lasciato i Paesi europei. Una ripresa dell’emigrazione ebraica è indice di profonda incertezza. L’Europa rischia di smarrire la strada della convivenza tra persone di fedi religiose, culture, tradizioni differenti. 
Auschwitz, nel 2015, può apparire lontano. Poche settimane fa è morto uno degli ultimi sopravvissuti romani alla Shoah, Enzo Camerino, che il 16 ottobre 1943 fu deportato, appena quattordicenne. 
Aveva preso a raccontare in modo semplice la sua storia, per trasmetterla ai giovani, ai quali ripeteva le parole che il padre gli disse nel lager: «Non odiare mai». È un insegnamento da non disperdere. Come trasmettere alle nuove generazioni la memoria della Shoah, ora che anche gli ultimi testimoni scompaiono? Le visite delle scuole ad Auschwitz hanno un grande significato. I media possono dare un contributo. Soprattutto, però, c’è bisogno di legare la memoria della guerra e della Shoah alla realtà del nostro tempo, per capire come il razzismo e l’antisemitismo siano stati elementi di una catastrofe per l’Europa e come, oggi, sia urgente ritrovare il filo di una società in cui tutti possano vivere insieme in modo pacifico. Politiche lungimiranti, buona informazione, coinvolgimento dei leader religiosi in una rete d’incontro e di dialogo, attenzione alle periferie, sono alcuni dei passi da compiere verso una società del convivere dove ci sia spazio per tutti. 
Auschwitz, luogo che forse più di tutti ha visto manifestarsi la forza del male nella storia, sia occasione di una riflessione sull’Europa. La pluralità, elemento ineludibile delle società contemporanee, può evolvere nel conflitto o, al contrario, essere il fondamento di una civiltà del convivere. 

lunedì 26 gennaio 2015

“Ho deciso di affrontare una nuova scelta di vita”

in “La Stampa” (edizioni locali) del 26 gennaio 2015
Ha celebrato la funzione come sempre, ma le voci a Borgo correvano da tempo e molti già sapevano che sarebbe stata la sua ultima messa. E che avrebbe parlato. Emozionato ed a tratti commosso, si è rivolto alla folla di fedeli e ha chiesto loro di «sedersi ancora per pochi minuti, perché ho da darvi un avviso insolito». Così don Claudio Cavallo, 50 anni, da 5 parroco della chiesa di San Dalmazzo, ha annunciato ieri che mercoledì lascerà la sua parrocchia. A marzo diventerà padre di un bambino e con la sua compagna, darà vita a una famiglia. 
«Resto una persona felice».
«Sono qui per salutarvi, e ringraziare il Signore per il tratto di strada che abbiamo percorso insieme - ha detto il sacerdote -. So per certo che Lui è il mio maestro, per questo resto una persona felice». 
Quindi la confessione, senza però riferimenti diretti alla vicenda, e il motivo di una «scelta che non cancella idealmente tutto ciò che fino ad oggi ho continuato a vivere, ma mio malgrado lo farà». 
«Perché nella Chiesa - ha aggiunto - non è ancora ammessa la possibilità di svolgere il ministero sacerdotale e nel contempo, portare avanti una famiglia». Sul futuro: «Vorrei continuare a lavorare per la Chiesa che amo, alla quale ho dedicato tutto me stesso».
Il vescovo di Cuneo e Fossano, monsignor Giuseppe Cavallotto, l’ha sospeso e già sostituito con un altro parroco, che a Borgo raccoglierà un’eredità pesante. Quella di un prete molto amato e rispettato dalla comunità, che mai ha parlato di «scandalo» e mai ha voltato le spalle al suo sacerdote.
«Perdiamo un fratello»
E che forse, dopo ieri, lo rispetta ancora di più. Al commosso discorso di don Claudio, la comunità ha risposto con un lunghissimo applauso e molti non hanno trattenuto le lacrime: «Perdiamo un fratello entrato nel cuore della gente». Altri ne hanno sottolineato il grande coraggio e la coerenza, rammaricandosi che i sacerdoti della Chiesa cattolica non possano ancora sposarsi.
«Sottovoce, e con tutta umiltà - ha concluso don Cavallo - so che ho sempre cercato di svolgere il mio ministero di parroco con diligenza e dedizione. Se ho urtato qualcuno per il mio carattere, chiedo perdono e misericordia». 
«Venticinque anni fa sono diventato prete. Dopo tutto questo tempo, nonostante momenti anche non facili, posso dire di non aver mai chiuso una giornata senza un grazie al Signore e una gioia profonda nel cuore. Ora, dopo una lunga e seria meditazione, preghiera, confidenza, confronto con i miei superiori, ho preso la mia decisione, di affrontare una nuova scelta».
È uno dei passi del discorso di don Claudio Cavallo ai parrocchiani. «Mi rendo conto che questa mia confessione vi sorprenderà. Sono grato per l’amicizia e la stima che ho ricevuto da tanti di voi».
Poi un lungo elenco di «grazie» ai parrocchiani, in particolare ai bambini, agli anziani e ai malati, alle persone che non possono più uscire di casa. «La loro sincera amicizia e affetto mi hanno sempre più convinto - ha concluso - che soltanto l’amore costruisce una vita e la rende vera».
«Continuerete a essere presenti nelle mie preghiere–ha concluso prima dell’ultima benedizione-. Anche a tutti voi, oggi, presenti e assenti, chiedo nella piena libertà, una piccola preghiera».
“Gli siamo grati per il servizio che ha reso alla nostra Chiesa” (Monsignor Giuseppe Cavallotto) 
«Oggi, 25 gennaio, al termine della Messa domenicale don Claudio Cavallo ha salutato la sua 
comunità parrocchiale, comunicando di lasciare il suo ministero sacerdotale. La decisione, maturata a lungo e concordata con il Vescovo, è stata una scelta sofferta, vissuta con sincerità e dettata da coerenza con il suo nuovo orientamento di vita. Siamo grati per il generoso servizio reso da don Claudio nella nostra Chiesa, in Camerun e in particolare nella parrocchia di San Dalmazzo. 
Se da una parte restano il dolore e l’amarezza del presbiterio diocesano e delle comunità che lo hanno conosciuto ed apprezzato, dall’altra Claudio continua ad essere figlio di questa Chiesa e nostro fratello che amiamo. Sono certo che la sorpresa suscitata dalla sua scelta si trasformerà in comprensione e preghiera». 

venerdì 23 gennaio 2015

PRIMO LEVI SPIEGA L'OLOCAUSTO AD UNA BAMBINA





A 11 anni, nel 1983, avevo appena finito di leggere Se questo è un uomo. L’avevo letto durante le vacanze di Natale, e riletto pochi giorni dopo l’Epifania. Ma restavano domande senza risposta: esiste la malvagità? 
Così, spinta dalla logica senza curve di un’undicenne, mi parve ovvio andare alla fonte. Cercai l’indirizzo di Primo Levi sulla guida del telefono per chiedere direttamente a lui: perché nessuno ha fatto niente per fermare lo sterminio? I tedeschi erano cattivi?  
 Nemmeno per un attimo pensai che stavo scrivendo allo scrittore di fama planetaria. Per me era «solo» Primo Levi e il suo libro era anche un po’ mio. Chiedere conto a lui mi parve la cosa più naturale del mondo. Lui doveva sapere per forza. Presi la mia carta da lettere preferita, zeppa di fiori e pupazzi, e scrissi una paginetta di lettere tozze. Già che c’ero lo invitai nella mia scuola. 
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25/4/83  
Cara Monica,  
la domanda che mi poni, sulla crudeltà dei tedeschi, ha dato molto filo da torcere agli storici. A mio parere, sarebbe assurdo accusare tutti i tedeschi di allora; ed è ancora più assurdo coinvolgere nell’accusa i tedeschi di oggi. È però certo che una grande maggioranza del popolo tedesco ha accettato Hitler, ha votato per lui, lo ha approvato ed applaudito, finché ha avuto successi politici e militari; eppure, molti tedeschi, direttamente o indirettamente, avevano pur dovuto sapere cosa avveniva, non solo nei Lager, ma in tutti i territori occupati, e specialmente in Europa Orientale. Perciò, piuttosto che di crudeltà, accuserei i tedeschi di allora di egoismo, di indifferenza, e soprattutto di ignoranza volontaria, perché chi voleva veramente conoscere la verità poteva conoscerla, e farla conoscere, anche senza correre eccessivi rischi. La cosa più brutta vista in Lager credo sia proprio la selezione che ho descritta nel libro che conosci.  
Ti ringrazio per avermi scritto e per l’invito a venire nella tua scuola, ma in questo periodo sono molto occupato, e mi sarebbe impossibile accettare. Ti saluto con affetto  
Primo Levi  
("LA STAMPA" del 23/1/15)

CHI ' SE LA VA A CERCARE'

di Ascanio Celestini,in “MicroMega” del 21 gennaio 2015.
Greta e Vanessa se la sono andata a cercare. Ma chi gliel’ha fatto fare di andarsene a fare le superdonne in un posto dove ci sta la guerra? Se la vanno a cercare? Come quelle diciottenni che vanno in giro in minigonna alle due di notte nelle stradine buie delle città e poi si lamentano se qualcuno se le violenta. Perché se la vanno a cercare?
E Saviano? Poteva scrivere una bella guida turistica di Napoli, o in alternativa una cosa intellettuale su qualche rivista intellettuale che si leggono gli intellettuali. Perché s’è messo in mezzo a una cosa più grossa di lui? Non gli basta di guadagnare un sacco di soldi? Si lamenta perché vive sotto scorta? Colpa sua, se l’è andata a cercare.
Pure James Wright Foley se l’è andata a cercare, l’ha detto Edward Luttwak che non è mica l’ultimo arrivato. "Se l'è cercata totalmente… Il suo, come quello della vostra Sgrena, non è giornalismo, ma protagonismo” così dice Luttwak. E infatti è pieno di giornalisti che se la vanno a cercare. A  Luttwak non gli capita davvero di farsi decapitare. Non si capisce perché il mondo è pieno di gente che se la cerca.
Per esempio ti ricordi di Ernesto Guevara detto Che? La sua faccia è stampata su un sacco di magliette. Pure lui è uno che se l’è andata a cercare. C’aveva pure l’asma e dopo la rivoluzione cubana, invece di aprirsi uno studio medico, se n’è andato a sparare e a esportare la rivoluzione in Bolivia. L’hanno ammazzato. Cavoli suoi… se l’è andata a cercare.....
...Pure in Italia c’abbiamo avuto il fascismo, ma mica ammazzavano a tutti. Se facevi il dovere tuo senza rompere troppo le scatole vivevi come cristo comanda. Mussolini ti dava pure i soldi quando davi un figlio alla patria. Eppure sotto al fascismo ci stava un sacco di gente che se l’andava a cercare lo stesso. E mica era gente scema. Lo sapevano a che andavano incontro.
Mio nonno mica aveva studiato eppure lo sapeva che era meglio non prendersela troppo col fascismo. Se l’hanno preso sott’occhio è stato solo per una battuta. A quel tempo il cesso si chiamava anche “ritirata”. Mio nonno lavorava al cinema Iris e quando un fascista gli ha chiesto “dove sta la ritirata?” lui ha risposto “in Grecia!”. Per questo l’hanno preso sott’occhio, ma mica si metteva a parlare contro il Duce. Mica era scemo. E pure Matteotti non era mica scemo, lo sapeva che sarebbe finito male se andava avanti a parlare contro il fascismo. E infatti è andata proprio così.
E ti ricordi i confinati? Per esempio ti ricordi Leone Ginzburg? L’avevano mandato a Pizzoli. Gli è andata male perché altri come lui venivano spediti in certe isole che oggi la gente ci va in vacanza.
Eppure continuava a tradurre dal russo come se non ci fosse la guerra. Ma dove hanno la testa questi intellettuali? Per non parlare di Gramsci che ha fatto i salti mortali per far uscire i suoi quaderni dalla cella del carcere. Un altro avrebbe abbassato la testa, chiesto scusa e sperato nei domiciliari. Lui no. Continuava a scrivere contro questo e contro quello. Almeno Saviano e Rushdie si prendono le royalties, il sardo invece non ha preso manco quelle. Lo sapeva che non c’avrebbe guadagnato. Perché se l’è andata a cercare?
Mia madre dice “attacca l’asino dove vuole il padrone!” è un modo saggio per campare cent’anni. E invece pare che sia ancora pieno di gente che non attacca mai l’asino al posto giusto. Guarda per esempio quei blasfemi di Charlie Hebdo. L’hanno ammazzati e il primo giorno stavamo tutti dalla parte loro. Pure i commentatori dei giornali della borghesia europea.
Certo che è bastato che passasse un giorno o al massimo due che tutti erano d’accordo su un fatto: gli anarchici del giornaletto comico francese se la sono andata a cercare! Se la prendono col profeta e con il dio dei cristiani, con gli ebrei e chissà contro quali altre religioni. Come pensano di poterla fare franca? Puntano sul fatto che, tutto sommato, anche Gesucristo se l’è andata a cercare? E gli ebrei? C’hanno messo un mucchio di secoli prima di prendersi uno stato come si deve e nel frattempo se la sono andata a cercare. Se Hitler e tanti altri ce l’avevano con loro mica sarà un caso!
Ornella oggi mi scrive che si trova “a discutere con tante persone, anche colte e non votanti Lega, che additano Greta e Vanessa come frikkettone e si piangono i soldi del riscatto, anzi chiedono che adesso venga restituito all'Italia il maltolto e che quindi lavorino gratis a vita per risarcirci del danno”. Loro come tutti gli altri sono gli squinternati che se la sono cercata. “Ma – scrive Ornella – cosa sarebbe questo mondo se nessuno se la fosse andata a cercare?".

giovedì 22 gennaio 2015

ACCOGLIENZA E BIBBIA

In Levitico 19,33-34 si legge: «Quando un forestiero dimorerà presso di voi, nel vostro paese, non gli farete torto. Il forestiero dimorante fra di voi lo tratterete come colui che è nato fra di voi. Tu l’amerai come te stesso, perché anche voi siete stati forestieri nel paese d’Egitto».

SI PUÒ ANCORA PARLARE DI IMMIGRAZIONE?

Dopo Cahrlie Hebdo e dopo Hyper Cacher, non sono più concesse ambiguità. Se non vogliamo lasciare campo libero alle risorgenti xenofobie e agli ancor più pericolosi razzismi, occorre che puntiamo dritti a rafforzare il paradigma dell’integrazione, abbandonando i cedimenti relativisti che, troppo spesso, ci hanno accompagnati nel vecchio e caro atteggiamento politically correct.

In questo senso, attenzione, occorre rinsaldare con ferrea determinazione i capisaldi dell’integrazione con quelli della formazione alla e della cittadinanza. Detta diversamente: non può esserci vera integrazione senza un progetto che dia piena cittadinanza ai migranti nati sul suolo italiano, ma non possono esserci né integrazione né cittadinanza senza un progetto di formazione culturale (e prima ancora scolastica) che faccia dei “nuovi cittadini”, cittadini a tutto tondo italiani, non solo nella lingua, ma nella costruzione del proprio sistema di riferimenti culturali e valoriali.

In modo che la dimensione religiosa e di fede, rispettosamente e rigorosamente tutelata nella sfera della persona, non travalichi però quegli ambiti cui in uno stato laico essa non deve poter avere accesso. Altra cosa è, ovviamente, favorire tutti i percorsi in atto tra i molti “uomini di buona volontà” che le diverse confessioni esprimono, finalizzati al dialogo interreligioso e alla valorizzazione dei valori dell’uomo che, ogni autentica religione, punta a promuovere.

Questa mi pare la strada giusta. Molto meno, anzi per nulla, mi convincono invece le ricette che puntano a stimolare, quasi per reazione all’aggressione dei fondamentalismo di matrice islamista, una sorta di mobilitazione “militante” e difensiva di matrice cristiana e/o ebraica. Che finirebbe per perdere di vista le molte responsabilità che anche l’Occidente ha accumulato nei secoli nei confronti dei “dannati della terra” e, giacché la memoria dolente dei popoli è molto dura a morire, rischierebbe di funzionare come ulteriore benzina versata nei pressi del fuoco.

mercoledì 21 gennaio 2015

IL CORAGGIO DI DUE NOSTRE RAGAZZE

di Bia Sarasini,in “il manifesto” del 21 gennaio 2015
Giovani, troppo giovani. E ragazze. Si potrebbero riassumere così le «colpe» che sono state buttate addosso a Vanessa Marzullo e Greta Ramelli da quando sono scese dall’aereo che le ha riportate in Italia. Alle due cooperanti che sono state prese appena hanno attraversato il confine tra la Turchia e la Siria e sono rimaste in mano ai sequestratori per cinque mesi e mezzo, non è stato risparmiato nulla  di un miserabile repertorio di stereotipi, pregiudizi, rancori conditi da cupa misoginia.
La colpa principale è essersi avventurate – loro così giovani, così ragazze, quindi prede predestinate – in una vicenda più grande di loro, non si capisce perché. O meglio, ricama qualcuno, per inconfessabili motivi, che nei titoli a effetto oscillano tra il fiancheggiamento del terrorismo e il richiamo del sesso, variamente mescolati tra loro.
Eppure nelle poche semplici parole che hanno detto ci hanno ricordato che: «Non dimentichiamo che c’è un massacro in corso». Un massacro, appunto. Proprio lì, in Siria, in corso da tempo, da cui tutti, o quasi, abbiamo voltato gli occhi. Certamente i governi. Di cui ci ricordiamo solo quando arrivano nuovi rifugiati, o quando la guerra lontana sembra che arrivi nel cuore dell’Europa. Come si sono permesse loro, ragazzine senza pensieri, a prendersi a cuore una questione di cui nessuno si vuole occupare, o che tuttalpiù va lasciata agli addetti ai lavori, a quelli che «sanno».
Una ben strana invocazione, in un’epoca che ha fatto dell’ignoranza diffusa, del mancato riconoscimento di competenze e saperi addirittura un fondamento della politica. Come se nella medesima trappola, nel medesimo territorio non fossero stati presi uomini adulti e più che esperti,  come l’inviato de La Stampa Domenico Quirico. È questa la sottotraccia delle parole violente con cui Vanessa e Greta vengono apostrofate. Perché siete donne, il vostro corpo porta con sé un carico di sventure che proprio perché siete femmine vi tirate addosso, anzi, visto che vi siete ostinate a essere libere, non potete che essere meritevoli e nello stesso tempo complici di quello che vi è successo. Insomma, ve lo siete cercato. Questo più o meno è il funzionamento della sorda misoginia che sta alla base delle invettive che circolano.
All’origine c’è la libertà. La libertà di due giovani donne occidentali di potersi muovere nel mondo come meglio credono. Il padre di Vanessa l’ha detto chiaramente: «Ho cercato in tutti i modi di fermarla, ma non ho potuto fare niente, è maggiorenne». Suona ovvio, è la certificazione di un cambiamento epocale. Non solo nella vita delle donne, ma nella vita di tutti, come mostrano le convulse reazioni a questa vicenda. Mi stupisce che non si provi a raccontarla diversamente, questa storia.
Due, molto giovani, partono per andare in soccorso di popolazioni in difficoltà, sanno di affrontare rischi, devono attraversare la frontiera clandestinamente, hanno paura, ma anche il cuore che batte forte per l’impresa che hanno in mente. Dopo la cattura, resistono, non si perdono d’animo si fanno forza a vicenda. Al ritorno, chiedono perdono di avere procurato dolore, ma non cedono sulle loro convinzioni. Lì c’è un massacro, dicono. Mi riguarda. Non pensate che se fossero stati ragazzi sarebbe stato più facile riconoscere il coraggio?
Mi spiego meglio. Penso anch’io che il generoso impulso a partire verso luoghi difficili debba essere sottoposto al vaglio della ragione, della prudenza, delle competenze. Eppure mi colpisce vedere che nel nostro paese si sia dimenticato cosa vuol dire la generosità, la passione, l’impulso che spinge la giovinezza a grandi imprese. E soprattutto che non lo si riconosca a loro: due semplici ragazze coraggiose.

SOLO UNA BATTUTA?

Sull'argomento che sembra contraddire, tra l'altro, il comando evangelico "porgi l'altra guancia", è intervenuto il cardinale Walter Kasper, intervistato dal quotidiano La Repubblica (17 gennaio). "La battuta sul pugno che il Papa darebbe a chi dicesse una parolaccia contro sua mamma è una battuta – ha affermato Kasper che si è occupato di ecumenismo e dialogo interreligioso ed è l'estensore della relatio di apertura dello scorso Sinodo sulla famiglia - e come tale va presa. Tutti sull’aereo hanno riso, anche io l’ho fatto riascoltandola". E' più importante, invece, capire bene il senso generale del discorso e cioè che la libertà d'espressione è "un diritto che comporta anche dei doveri. Fra questi il comprendere che esistono dei limiti e che esiste una responsabilità". La battuta sul pugno a chi offendesse sua mamma rientra nello stile del papa: "Ama sorprendere – ha detto Kasper -. E, sorprendendo, fa comprendere meglio le cose. Come quando usò il paradosso dell’abbondanza: 'C’è cibo per tutti, ma non tutti possono mangiare'. Così in queste ore: gli atti di terrorismo sono aberranti, e il papa non li ha giustificati, ma insieme occorre fare un richiamo alla responsabilità e al senso del limite».

IL PUGNO DI PAPA FRANCESCO

Oso stupirmi e sconcertarmi per questa frase del papa che non mi sarei mai aspettato di sentir dire dalla persona che riconosco come il successore di Pietro e il Vicario di Cristo, il sommo punto di riferimento della religione in cui credo, la religione dell’Amore di Dio e del prossimo.
Cristo, sulla croce, fu insultato, deriso e provocato: “Se sei figlio di Dio, scendi dalla croce! Ti crederemo!”. Che avrebbe fatto papa Francesco? Sarebbe sceso dalla croce e, sfregandosi le dita della mano destra sulla spalla destra, avrebbe passeggiato con aria di sfida fra quei beceri carnefici che – ne sono certo – sarebbero stati colti da un incontenibile attacco di diarrea ed avrebbe loro detto: “E adesso?, come la mettiamo?”
Fu o non fu Gesù Cristo a dire: “Se uno ti percuote su una guancia, porgigli anche l’altra; se uno ti costringe a fare con lui un miglio, tu fanne con lui due; se uno ti toglie la tunica, tu dagli anche il mantello”? E ancora: “Non dovrai perdonare fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette”. Il messaggio evangelico, per il suo anticonformismo e la sua radicalità, catturò milioni e milioni di persone che, per esso e su di esso, giocarono la propria vita.
E’ quel messaggio d’amore e di perdono che, a fatica, molti di noi cercano di vivere quotidianamente ed è in nome di quel messaggio che crediamo che dà la vita solo chi muore, ama chi sa perdere, è signore solo chi serve, che farsi schiavo è essere libero, che non basta non rubare ma che bisogna dare, non basta non uccidere ma bisogna amare la vita, non basta non dire falsa testimonianza ma bisogna dire la verità perché solo la verità ci fa essere liberi, non basta non commettere atti impuri o non desiderare la donna d’altri ma bisogna vivere appieno l’amore.
E’ il fondatore della nostra religione che, sulla croce, pregò il Padre di perdonare i suoi carnefici.
Sono stupito e sconcertato che il capo della religione in cui credo dica che non avrebbe problema a sferrare un pugno a chi s’azzardasse ad esprimere  apprezzamenti poco lusinghieri su sua madre.
E’ troppo ovvio che il papa predichi e pratichi il perdono?
I media si sbracciano a spiegarci che un papa che molla un pugno è più vicino a noi, assomiglia ad uno di noi, si comporta come si comporterebbe ognuno di noi e l’esegesi semiotica dei gesti delle espressioni papali si allarga fino a sdottorare che solo in questo modo la chiesa si avvicina alla gente e la gente si avvicina alla chiesa. Ad una chiesa che appariva sempre più lontana, ricca, compromessa col potere, sazia e sporca delle sporcizie più indicibili.
A me viene ancora in mente qualche frase di Gesù. Tipo: “Volete andarvene anche voi?”  “Guai a voi quando tutti gli uomini diranno bene di voi”.
Se papa Francesco picchia un pugno sul tavolo perché non si risolvono in fretta le questioni dello I.O.R, della pedofilia clericale, del clero che vive una doppia vita, delle belle e costose feste che s’organizzano in Vaticano e dintorni ecc.ecc., lo sento davvero uno come me.
Se molla un pugno sul muso di chi l’offende, no perché ha il dovere di essermi d’esempio, il primo esempio.
ERNESTO MIRAGOLI

sabato 17 gennaio 2015

ANCORA A PROPOSITO DI "JE SUIS...!"


Cara Daniela, senza aver ancora letto questa tua lettera, proprio ieri, in 1^ G, ho sentito il bisogno di sostenere che "je ne suis pas Charlie, perché pur non essendoci ragioni valide per uccidere, uccidere mai e poi mai, per nessuna ragione!, nondimeno è concesso ad alcuno di offendere un'altro e soprattutto nel suo credo religioso; questo modo di agire non è sinonimo di libertà, la libertà finisce dove prevarica l'altro, non ti pare? e poi libertà di che, di blasfemia....?
Tutto questo poi l'ho sentito confermato da papa Francesco e ciò ha ulteriormente rafforzato le mie convinzioni.
Capisco le tue motivazioni, ma io come non avrei comprato Charlie un anno fa, così non lo comprerei né oggi né mai.
In amicizia, Luigina.
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Carissima Luigina,
anch'io ho sentito Papa Francesco e francamente mi ha sbalordito,  perché  il messaggio cristiano non è rispondere con un pugno a <<Chi parla male della mia mamma!>>, ma, evangelicamente, un <<Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno!>> o un più radicale <<Porgi l'altra guancia!>>. Se un Cristiano se lo dimentica, diventa come il peggiore dei talebani, e, comunque, il rivoluzionario messaggio di Gesù Cristo è quello della Misericordia sempre e ad ogni costo!  Spero che la spiegazione impulsiva di Sua Santità sia stata limitata da una padronanza non ancora completa della Lingua Italiana, prova ne è il fatto che la Sua considerazione iniziale smentisce quella successiva. Il mio "Je suis ..." significa non certo condividere un atto di "blasfemia", neppure io comprerei, né comprerò mai il settimanale satirico "Charlie", ma mi dissocio, nella maniera più totale, da un atto di violenza che si è spinto fino a togliere la vita ad altri uomini. Mi permetto, inoltre, di ricordarti il comportamento adottato da Gesù al Tempio, riportato da tutti gli evangelisti, nel momento in cui era stata fatta della casa del Padre Suo una "spelonca di ladri". La Sua reazione è stata quella di sbraitare e di ribaltare i tavoli dei venditori, perché se ne andassero e non profanassero più quel luogo sacro, e non quella di imbracciare un arma per uccidere! Gesù ha usato una sana violenza contro le "cose", ma non ha sfiorato neppure un capello di quelle persone! Bisogna condannare, con coraggio e coerenza, ogni forma di blasfemia: per quanto mi riguarda, mi ha rivoltato la vignetta, sempre apparsa in precedenza su "Charlie", della Trinità in atteggiamenti equivoci e, non condivido una linea satirica, che vada a toccare questioni di carattere dottrinale, urtando la sensibilità dei credenti ... Tuttavia, in nome della libertà di opinione e soprattutto in nome del mio essere Cristiana, rispetto, pur contestando, e solo contestando a parole, con il dialogo e il confronto critico, chi non la pensa come me!
Concludo, cara Amica, riportando testualmente un altro passo del Vangelo che racconta la cattura del Figlio di Dio nell'Orto degli Ulivi da parte delle guardie del sinedrio  (Mt. 26, 50b-53) : << 50b Allora si fecero avanti e misero le mani addosso a Gesù e lo arrestarono. 51 Ed ecco, uno di quelli che erano con Gesù, messa mano alla spada, la estrasse e colpì il servo del sommo sacerdote staccandogli un orecchio.52 Allora Gesù gli disse: «Rimetti la spada nel fodero, perché tutti quelli che mettono mano alla spada periranno di spada. 53 Pensi forse che io non possa pregare il Padre mio, che mi darebbe subito più di dodici legioni di angeli?>>.

Con Affetto e Amicizia,

Daniela Villa

giovedì 15 gennaio 2015


LA STRANA MISERICORDIA CRISTIANA

Tutte le TV hanno mostrato un video in aereo verso le Filippine in cui Papa Francesco, a domanda sugli avvenimenti di Parigi, esclude la legittimità della violenza, e questa è la ovvia premessa. Poi però afferma che di fronte alla blasfemia, all’irrisione o all’insulto verso la religione, tutte le religioni, la violenza te la devi aspettare. Se la sono andata a cercare, dunque, i libertini di Charlie Hebdo?
Agostino.

QUANDO LA SCUOLA E LA FAMIGLIA CRESCONO NEL DIALOGO EDUCATIVO

Ho la fortuna non solo di praticare una professione, che vivo e amo come un'autentica vocazione e scelta di vita, ma anche di avere un "dialogo" ricco e costruttivo con i genitori dei miei alunni.
È stato sufficiente inoltrare il mio intervento, fatto su questo blog, ai genitori rappresentanti di classe, che subito, per un silenzioso e consapevole "tam-tam", mi è giunta una serie di risposte via email e in forma diretta. In particolare, voglio segnalare il gesto di una mamma, che la mattina dopo, mi ha fatto pervenire, tramite suo figlio, una busta contenente una matita e una lettera con un bellissimo e profondo contributo, che di seguito riporto.
P.S. = Certamente, il nome di quell'Istituto Scolastico Superiore, citato dall'Autrice della lettera, meriterebbe di essere pubblicato!
DANIELA VILLA.
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Caselle Lurani, 10 gennaio 2015

 Gent.ma Prof.ssa Villa,
ieri, per tutto il giorno, sono stata sintonizzata sulla televisione che, in diretta, seguiva quanto stava succedendo a Parigi. Mi sono sentita pervadere da una miriade di sensazioni: sgomento, paura, rabbia, ma, soprattutto di sopraffazione. Tornata a casa, mia figlia, che frequenta la 2a liceo, mi ha comunicato che la sua Insegnante di Lettere era arrabbiata perché la "Scuola" non le permetteva di commentare e discutere con gli studenti di quanto accaduto. 
Sono rimasta allibita e ho avuto la consapevolezza di quanto poco siamo liberi e quanto poco valore diamo a questa parola.
Ho sempre cercato di insegnare ai miei figli quanto sia importante questo valore: di impostare la loro esistenza su questo credo anche se, spesso, a fronte di ciò, c'è un prezzo da pagare.
MI ero ripromessa, dopo essermi andata a rileggere l'intervista della Fallaci, di affrontare e cercare di spiegare loro, in modo imparziale, perché, ancora oggi, nel 2015, esistono popoli che non hanno nessun concetto di civiltà e, con e solo con la violenza, cercano di avere il sopravvento su chiunque non abbia lo stesso pensiero e lo stesso credo. Ma, il non riuscire a comprendere come si possa in nome di un barbaro fanatismo uccidere un altro essere umano, mi avrebbe portato ad un atteggiamento decisamente razzista, che non volevo trasmettere ai miei ragazzi.
Oggi, mi è pervenuto, passatomi da altre mamme, il suo messaggio. 
Non avevo dubbi sul suo ruolo di educatrice che spesso prevale su quello dell'insegnante che io approvo, condivido e ammiro. Ancora una volta, mi è stata di grande aiuto con i miei pargoli!
Cara Daniela (mi permetto, perché le parlo con il cuore), la scuola, la comunità, il mondo ha bisogno di persone come lei; ha bisogno di gente che alzi la voce e gridi che non ha paura ...
Con infinita stima
Antonella Santoro

JE SUIS CHARLIE !

domenica 11 gennaio 2015

Battesimo del Signore (Mc 1,7-11)

(7)Giovanni proclamava: "Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. 
(8)Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo".
(9)Ed ecco, in quei giorni, Gesù venne da Nazareth di Galilea e fu battezzato nel Giordano da Giovanni. 
(10)E subito, uscendo dall'acqua, vide squarciarsi i cieli e lo Spirito discendere verso di lui come una colomba. 
(11)E venne una voce dal cielo: "Tu sei il Figlio mio, l'amato: in te ho posto il mio compiacimento".
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L'evangelista Marco non ha molte parole per raccontare il Battesimo di Gesù nel Giordano. O forse bisognerebbe dire che la comunità cristiana non ha molte parole per descrivere il Battesimo di Gesù. Probabilmente perché non era facile riconoscere che Gesù era stato in origine un discepolo di Giovanni il Battista. Già,perché nel gesto di Gesù di mettersi in fila per ricevere questo battesimo penitenziale c'è un riconoscimento di qual'è la strada da seguire:la predicazione di Giovanni il Battista! Gesù, che è un discepolo di Giovanni, che si era messo alla sequela del profeta (“dietro a me”, come precisa Giovanni), ora chiede al Battista di essere come uno di quei peccatori che in fila attendevano l’immersione, chiede di essere immerso in modo che i peccati siano inabissati nell’acqua e dall’acqua possa risorgere quale nuova creatura. Ma quali peccati aveva Gesù da inabissare? Non è una questione di peccati o di confessione.  Gesù è un uomo libero e maturo, ha coscienza della sua missione, non vuole privilegi, ma vuole compiere, realizzare ciò che Dio gli chiede come cosa giusta: essere solidale con i peccatori che hanno bisogno dell’immersione, essere un uomo credente come tutti gli altri. Quanta umanità! Veramente Dio si è fatto uomo tra gli uomini! Non è un Dio che rimane a guardare,ma un Padre che sceglie una stretta comunione grazie anche al dono del suo stesso Spirito Santo.
Il Battesimo allora non è un semplice rito fatto solo di parole e di effetti benefici,ma soprattutto un simbolo,espressione di una esperienza, per esempio un abbraccio, un bacio, uno sguardo (di affetto, di odio, di indifferenza….). Un rito, da solo, tranquillizza la coscienza, ma non cambia la condotta. Un simbolo vissuto sinceramente aumenta l’affetto o l’odio secondo i casi. Da quel gesto Gesù esce come uomo nuovo:libero e consacrato alla Verità! Anche il nostro Battesimo allora non è soltanto l'inizio dell'appartenenza ad una religione,ma un cambiamento di vita radicale dove abbiamo scoperto di essere liberi perché amati e scelti come Figli di Dio,dove il cielo è aperto sopra di noi per ascoltare la voce di Dio,come Gesù nel Giordano!

Signore inizia un tempo nuovo 
il mio tempo con te 
sembra sempre lo stesso 
eppure è diverso 
perché tu mi poni nel tuo tempo. 
Le tue mani mi guidano 
la tua volontà mi sostiene. 
Così questo è un tempo di speranza, 
di promesse e di benedizione. 
Grazie Signore di questo tempo, 
di questo oggi e di ogni domani, 
grazie di pormi nel tuo tempo. 
Amen 
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Agostino Bonassi
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sabato 10 gennaio 2015

"JE SUIS...!"

L'ora è tarda e nel cuore pesa un senso di profonda tristezza! Il rombo di una Francia gratuitamente e stupidamente “sotto assedio” stenta a smorzarsi. La percezione di un' Europa ferita e massacrata mi sanguina dentro. Oggi, nel corso di una mia lezione di Storia e di Educazione alla Cittadinanza, mi sono trovata a spiegare ai miei ragazzi, spero con la massima chiarezza possibile, alcuni aspetti del Mondo arabo-islamico. Con gli alunni di prima, ho affrontato Maometto e la nascita dell'Islam, in terza, invece, la polveriera nei Balcani, dominio dell'Impero turco-ottomano, quale premessa alla Prima Guerra Mondiale. Ebbene? Prima di una qualsiasi domanda a raffica dei miei curiosi studenti, mi sono arrivati dritti al cuore lo sguardo allibito e il muto disagio di un mio alunno musulmano Yassin: tanti perché lasciati in sospeso e tanto disagio di fronte alla crudeltà omicida di questi fedeli ed eroici combattenti islamisti, morti da martiri secondo la propaganda di un demenziale fanatismo religioso. Giorgio ha esordito, chiedendomi sconcertato: - Ha sentito Prof, cosa è successo? Quelli non sono normali!!! - Fanno eco gli interrogativi di tutti e c'è la voglia di interpellare, di sfogarsi, di confrontarsi, ma soprattutto la richiesta di una mia risposta … Lì per lì, una giustificata indignazione cerca di avere la meglio, mi sono tornate in mente le parole più che mai attuali di un articolo di Oriana Fallaci: - Io trovo vergognoso stare dalla parte di chi, citando i versi del Corano, inaugura e rinnova il terrorismo ammazzandoci! Divertendosi ad ammazzare i giornalisti occidentali e i comuni civili! A fucilarli, a rapirli, a tagliargli la gola, a decapitarli! … Io trovo vergognoso che, secondo una vantaggiosissima moda del Politically Correct, i soliti fetenti opportunisti, anzi, i soliti parassiti sfruttino la parola Pace e che, in in nome della parola Pace, ormai più sputtanata delle parole Amore e Umanità, giustifichino l'odio e la bestialità – E' quanto sinceramente Io condivido e penso nel profondo del mio cuore, e non mi si accusi di razzismo, però sono anche un'educatrice prima che un'insegnante, e per questo ho stemperato e integrato tali affermazioni, con un riferimento importante per la nostra Storia occidentale, soprattutto europea: ho ricordato ai miei alunni il Corpus Iuris Civilis, il primo ordinato Codice civile di leggi scritte dell'ultimo Imperatore Romano d'Occidente, Giustiniano, che sancì, già nel VI secolo, la prammatica ius dell'accoglienza e dell'integrazione dei Regni Romano-Barbarici. In un Impero, ormai avviato al tramonto, la ius romana diventò la legge che regolava e disciplinava la convivenza tra i cittadini nel rispetto reciproco di origini, provenienze, costumi, tradizioni differenti … E, in nome di quel senso di civiltà, radicato nel DNA di Noi Europei, non toglieremo mai la parola, non tarperemo mai le ali, non bruceremo mai i simboli della libera informazione: libertà di opinione, libertà di stampa, libertà di pensiero, libertà di associazione, libertà di senso critico!!! Evviva la Satira, anche se mordente e dissacrante!!! Se torceremo i nostri colli per paura di ritorsioni, se imporremo freni inibitori al nostro occhio sardonico e umoristico sulla società, e, perché no, anche su alcuni aspetti della religione stessa, rischieremo di essere schiavi dei nostri pregiudizi, delle nostre inibizioni, della nostra ignoranza, dei nostri paraocchi. Le “Favole” di Esopo e di Fedro, il “Principe” di Niccolò Machiavelli, le “Satire” di Ludovico Ariosto e Altri, e altro ancora ce lo insegnano. Io non ho paura, alzo la mia voce, seppur strozzata dal pianto, e grido: - Je suis Charlie! Je suis Danielle! – Alzo, come vessillo, la mia matita, che nessuna bomba, nessun coltello, nessuna mitraglia spezzerà! Sì, con forza, con coraggio e con fierezza: - Je suis Charlie! Je suis Danielle! – E che bello e come il cuore ha cantato, quando un altro mio alunno Lorenzo, con un sorriso soddisfatto, ha riconosciuto: - Sa Prof, siamo fortunati ad avere come compagno Yassin, perché così ci può spiegare meglio il significato di alcune parole del Corano e di alcuni riti dell'Islam! – Sì, bravo il mio Lorenzo, bravi e nobili i miei ragazzi: - Je suis Charlie! - Il becero e vigliacco Terrorismo non ci fa paura e non potrà mai vincere! - Je suis Charlie! - per onorare tutto il sangue innocente versato! Autentico martirio!

Daniela Villa




venerdì 9 gennaio 2015

DIO,AMA E VUOLE ESSERE AMATO!

Mi piacerebbe che Egli fosse sempre il centro della mia vita, e non tanto i miei progetti e i miei desideri. Padre José Kentenich diceva: “Se non coltiviamo il senso spirituale della vita e se Egli non penetra nel più profondo del nostro essere, fin nell'inconscio, potremo dire e predicare molte cose sull'uomo nuovo, ma non saremo mai uomini nuovi”.

Oggi è un giorno per tornare a innamorarci di Lui. Per tornare a chiedere che Egli metta un po' di pace nell'anima e ci crei di nuovo. Gli chiediamo di seminare il suo amore. Come amare come Egli ci ama? Come percepire quanto ci ama?

Dio ci ama tanto che si è fatto uomo come noi per poter stare alla nostra altezza. Avere i nostri sentimenti, avere le nostre malattie, soffrire il dolore e godere della bellezza della vita, come noi. Solo Lui può saziare il cuore. È venuto per fare il bene, per seminare speranze.

Se non penetra fin nel profondo, ci sentiremo vuoti, soli, spezzati, perduti. Voglio che venga. Perché solo Lui riesce a far sì che non siamo in contrasto con nessuno. La vita non consiste nell'essere in contrasto difendendo posizioni. Nel parlare più alto, nel gridare più forte. Non consiste nel vivere in contrasto con la vita, con il mondo.

A volte sembra che la religione ci metta in contrasto anziché unirci. Possiamo addirittura arrivare a finire per vivere senza pace, difendendo Dio, cercando certezze, imponendo verità.

Penso al mio Natale appena trascorso,a quel Dio che si è fatto bambino indifeso. Penso alla povertà di una culla, alla precarietà dei suoi genitori, all'assenza di sicurezze. Tutto incerto. Penso alla verità nascosta nella notte, nascosta in poveri panni.

Penso alla pace di Colui che non è venuto a difendersi, né a imporsi. A Colui che non cerca guardie e non ne ha bisogno.

Non vogliamo vivere in contrasto. Vogliamo vivere in pace, nella pace di Dio che viene nella nostra vita. Nella pace di quell'amore per Cristo che ci salva, ci solleva, ci cura. Che ci sostiene sull'argilla. Oggi voglio toccare il suo amore. Ed essere un pallido riflesso di quell'amore così grande.


giovedì 8 gennaio 2015


Je suis
Charlie !
FERMIAMO GLI ATTACCHI A PAPA FRANCESCO

http://firmiamo.it/fermiamo-gli-attacchi-a-papa-francesco

Chi condivide l’appello che segue può firmare al link sopra riportato.


L’arrivo del Papa «venuto dalla fine del mondo» che assume il nome di Francesco presentandosi non come Pontefice Massimo, ma come Vescovo di Roma, provoca reazioni scomposte dentro la Curia vaticana che, falcidiata da scandali e corruzioni, considera il Papa come corpo «estraneo» al suo sistema consolidato di alleanze col potere mondano, alimentato da due strumenti perversi: il denaro e il sesso.
Dapprima il chiacchiericcio sul «Papa strano» inizia in sordina, poi via via diventa sempre più palese davanti alle aperture di papa Francesco in fatto di famiglia, di «pastorale popolare» e di vicinanza con il Popolo di Dio per arrivare anche – scandalo degli scandali – a parlare con i non credenti e gli atei.
Dopo lo sgomento di un sinodo «libero di parlare», l’attacco frontale di cinque cardinali (Müller, Burke, Brandmüller, Caffarra e De Paolis), tra cui il Prefetto della Congregazione della Fede, ha rafforzato il fronte degli avversari che vedono in Papa Francesco «un pericolo» che bisogna bloccare a tutti i costi.
Rompendo una prassi di formalismo esteriore, durante gli auguri natalizi, lo stesso Papa elenca quindici «malattie» della Curia, mettendo in pubblico la sua solitudine e chiedendo coerenza e autenticità.
Come risposta all’appello del Papa, il giorno dopo, il 24 dicembre 2014, Veglia di Natale, scelto non a caso, il giornalista Vittorio Messori pubblica sul Corriere della Sera «una sorta di confessione che avrei volentieri rimandata, se non mi fosse stata richiesta», dal titolo «I dubbi sulla svolta di Papa Francesco», condito dall’occhiello: «Bergoglio è imprevedibile per il cattolico medio. Suscita un interesse vasto, ma quanto sincero?».
L’attacco è mirato e frontale, «richiesto», una vera dichiarazione di guerra, felpata in stile clericale, ma minacciosa nella sostanza di un avvertimento di stampo mafioso: il Papa è pericoloso, «imprevedibile per il cattolico medio». È tempo che torni a fare il Sommo Pontefice e lasci governare la Curia. L’autore non fa i nomi dei «mandanti», ma si mette al sicuro dicendo che il suo intervento gli «è stato richiesto».
Ci opponiamo a queste manovre, espressione di un conservatorismo, che spesso ha impedito alla Chiesa di adempiere al suo compito «unico» di evangelizzare. Papa Francesco è pericoloso perché annuncia il Vangelo, ripartendo dal Concilio Vaticano II, per troppo tempo congelato. I clericali e i conservatori che gli si oppongono sono gli stessi che hanno affossato il concilio e che fino a ieri erano difensori tetragoni del «primato di Pietro» e dell’«infallibilità del Papa» solo perché i Papi, incidentalmente, pensavano come loro.
Noi non possiamo tacere e con forza gridiamo di stare dalla parte di Papa Francesco. Con il nostro appello alle donne e agli uomini di buona volontà, senza distinzione alcuna, vogliamo fare attorno a lui una corona di sostegno e di preghiera, di affetto e di solidarietà convinta.
La «svolta di Papa Francesco» non genera dubbi, al contrario coinvolge e stimola la maggioranza dei credenti a seguirlo con stima e affetto. Il ministero del Vescovo di Roma e la sua teologia pastorale suscitano speranza e anelito di rinnovamento in tutto il Popolo di Dio e il suo messaggio è ascoltato con attenzione da molte donne e uomini di buona volontà, non credenti o di diverse fedi e convinzioni.
Desideriamo dire al Papa che non è solo, ma che, rispondendo al suo incessante invito, tutta la Chiesa prega per lui (cfr. At 12,2). È la Chiesa dei semplici, delle parrocchie, dei marciapiedi, la Chiesa dei Poveri, dei senza voce, dei senza pastori, la Chiesa «del grembiule» che vive di servizio, testimonianza e generosità, attenta ai «segni dei tempi» (Matteo 16,3) e camminando coi tempi per arrivare in tempo.
Allo stesso modo, molti non credenti, atei o di altre religioni, uomini e donne liberi, gli esprimono pubblicamente la loro stima e la loro amicizia. La sètta di «quelli che portano vesti sontuose e vivono nel lusso stanno nei palazzi dei re» (Luca 7,25) e non possono stare con un Papa di nome Francesco che parla il Vangelo «sine glossa».
Papa Francesco, ricevi il nostro abbraccio e la nostra benedizione.

Roma, 25 dicembre 2014 – Natale di Gesù

sabato 3 gennaio 2015

IL CORAGGIO DEL CONFRONTO

Presentato il “Rapporto finale” della visita apostolica agli Istituti femminili di vita consacrata:racconta le 50 mila suore degli Stati Uniti
Forse l'indagine non era nata sotto i migliori auspici, ma è diventata un'occasione di confronto e
di approfondimento della vitalità dei carismi nel multiforme panorama della vita consacrata al  femminile degli Stati Uniti: è quanto evidenzia il “Rapporto finale della visita apostolica agli Istituti di vita consacrata delle religiose negli Stati Uniti d’America”.
Strutturata in quattro fasi, l’indagine si è svolta dal 2009 e il 2012, coinvolgendo 341 istituti femminili impegnati in ministeri apostolici, sia di diritto diocesano che pontificio: campione ampiamente rappresentativo delle 50 mila religiose degli Usa.
Un visita apostolica “non solo vasta nelle proporzioni – come ha sottolineato il segretario della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata, mons. José Rodriguez Carballo – ma anche perché ha esaminato ampiamente le diverse espressioni della vita religiosa apostolica nel Paese”.
La visita si è svolta secondo il modello “della visita di Maria alla cugina Elisabetta” in un rispettoso “dialogo da ‘sorella a sorella’”.  Per questo motivo il dicastero per la vita consacrata ha nominato come visitatrice apostolica madre Mary Clare Millea, delle Apostole del Sacro Cuore di Gesù, coadiuvata da un’equipe di religiose e religiosi scelti da lei, e sulle cui conclusioni si basa il documento finale.
La visita apostolica ha generato non poche resistenze - lo stesso “Rapporto finale” parla di “apprensione e sospetto” -, tanto che ci sono istituti e congregazioni che hanno deciso di non collaborare. Il cardinale Rodè in un’intervista a Radio vaticana, aveva parlato di voci critiche pervenute “riguardo alcune irregolarità o carenze nella vita delle religiose americane” e di “una certa mentalità secolarista che si è propagata in queste famiglie religiose, forse anche un certo spirito femminista”.
“Alcune sorelle più anziane – ha affermato sr. Sharon Holland, presidente della Leadership Conference of women religious” – hanno pensato che il loro lavoro venisse giudicato. Potevamo sentire l’ansia nell’aria”. Ciò nonostante la franchezza del confronto, ha evidenziato sr. Millea, ha permesso di “condividere le ansie così come le speranze per il futuro” ed è diventata "una grande occasione di dialogo non solo per le religiose, ma anche per pastori e laici".
Nella prima fase dell’indagine, 266 superiore generali (il 78% del totale) si sono impegnate volontariamente in un dialogo personale con il visitatore o visitatrice. In seguito, a tutte le superiori maggiori è stato chiesto di compilare un questionario con dati concreti e informazioni sulla qualità della vita spirituale, comunitaria e apostolica dei singoli Istituti. La terza fase ha previsto visite in loco condotte su un campione rappresentativo di 90 istituti religiosi,corrispondenti a circa metà degli istituti religiosi femminili di vita attiva negli Stati Uniti. Nella fase finale è stata presentata al dicastero vaticano da sr. Millea una relazione generale conclusiva sulle questioni principali e sulle tendenze della vita religiosa femminile negli Stati Uniti, insieme a una panoramica di ciascuno degli istituti partecipanti.
Al di là delle differenze che contraddistinguono gli istituti femminili religiosi degli States, “c’è una preoccupazione comune – ha affermato sr. Holland – perché la vita religiosa è in declino. Oggi, piuttosto, occorre curare la formazione di candidate che sono spesso preparate professionalmente, ma mancano di preparazione teologica”. Per quanto riguarda gli aspetti finanziari degli istituti, ancora, vengono al pettine i nodi di “anni di ministero sottocompensato” con suore che servono in strutture ecclesiastiche e ricevono bassi salari e hanno talvolta perso le loro posizioni a causa di ridimensionamento. Tra le varie sottolineature non ultima emerge la “necessità di una più incisiva presenza delle donne nella Chiesa”.“L’età delle suore avanza, circa 70 anni, e le vocazioni diminuiscono – ha sintetizzato sr. Agnes Mary Donovan, coordinatrice del “Council of Major Superiors of Women Religious” – ma chi è entrato ha potuto beneficiare in questi anni di formazione e della possibilità di sviluppare le proprie qualità di donne”. All'interno delle 125 comunità di membri  quasi il 20% (quasi 1.000) delle suore sono attualmente in formazione iniziale (negli anni precedenti voti perpetui).
L'età media di queste suore è 53 anni, “ben al di sotto del trend generale e questo è motivo di meraviglia e gratitudine”. “La nostra cultura - ha proseguito sr. Donovan - può essere molto ostile verso la fede, e nella migliore delle ipotesi scettica verso la vita religiosa, ma da questo ambiente il Signore chiama con sorpresa donne alla vita consacrata”.
Il “Rapporto finale “ ha l’obiettivo, come è stato evidenziato, di fare da punto di riferimento per l’auto-verifica degli istituti religiosi e per la riflessione ulteriore.
“Gratitudine” è stata espressa dal cardinale Braz de Aviz per “tutto ciò con cui contribuiscono alla missione di evangelizzazione della Chiesa” le religiose degli Stati Uniti delle quali il porporato ha ricordato l’abnegazione con cui si dedicano da sempre alle persone “specialmente povere ed emarginate”. Ha anche ricordato l’apostolato delle religiose nelle scuole cattoliche e come “gran parte del sistema sanitario cattolico negli Stati Uniti, ogni anno a servizio di milioni di persone, è stato creato da congregazioni religiose femminili”. Il cardinale ha anche informato che in linea con le indicazioni del pontefice sul riconoscimento del “genio femminile”, “continueremo a lavorare – ha assicurato - per fare sì che religiose competenti siano attivamente coinvolte nel dialogo religioso rispetto al possibile ruolo della donna lì dove si prendono decisioni importanti, nei diversi ambiti della Chiesa”.
E rispondendo, infine, alla domanda di una giornalista su una possibile visita apostolica che produca uguali frutti positivi anche per gli istituti religiosi maschili degli Stati Uniti, ha risposto che obiettivo della Congregazione della vita religiosa è “lavorare sempre di più insieme” magari superando la divisione di sigle tra unioni superiori femminili e anche tra maschili e femminili. “Tante persone si mettono insieme per guadagnare soldi anche se sono nemici – ha argomentato -, e noi che abbiamo in comune il Vangelo e Dio non riusciamo a metterci insieme?”.
di Chiara Santomiero.

giovedì 1 gennaio 2015

Per qualche ostia ai divorziati, la chiesa tedesca verso lo scisma

di Matteo Matzuzzi
in “Il Foglio” del 31 dicembre 2014
La conferenza episcopale tedesca gioca d’anticipo e fa sapere al mondo che l’orientamento da seguire in materia di famiglia e matrimonio è quello ampiamente illustrato dal cardinale Walter Kasper nella sua relazione al collegio cardinalizio e in numerose interviste successive al concistoro dello scorso febbraio. E’ il cardinale Reinhard Marx, arcivescovo di Monaco e Frisinga nonché capo dell’episcopato di Germania, a dettare la linea nel corso d’una conferenza stampa.
“La grande maggioranza dei vescovi tedeschi vuole che i divorziati risposati siano ammessi a ricevere i sacramenti a certe e specifiche condizioni”, dice, ribadendo quanto annunciò che al Sinodo straordinario avrebbe portato personalmente – a sostegno delle proposte di Kasper – un documento recante in calce le firme di tutti i vescovi compatrioti sottoscrittori. Marx ne fa una questione di credibilità per la chiesa, basti considerare – sostiene – che anche i “cattolici felicemente sposati” trovano l’esclusione dai sacramenti dei divorziati risposati una cosa “incomprensibile e spietata”. “La ricerca di un accompagnamento pastoralmente appropriato e teologicamente responsabile per i cattolici i cui matrimoni sono naufragati e si sono risposati è una sfida pressante per la chiesa in tutto il mondo”,
chiarisce il porporato che già aveva chiesto pubblicamente a mons. Gerhard Ludwig Müller di non interferire nel dibattito pre sinodale che già animava la chiesa tedesca – “il prefetto della congregazione per la Dottrina della fede non può fermare il dibattito”, e “parlare del divorzio come di un fallimento morale è del tutto inadeguato”, disse Marx alla conferenza episcopale di Frisinga. Se non si svolta, insomma, c’è il rischio concreto di trovarsi a che fare con un esodo di massa, “l’inizio di un processo di allontanamento dalla chiesa”. Per fermarlo, c’è un solo modo: dar retta a Kasper, gettare l’àncora di salvataggio ai naufraghi facendo loro capire che la misericordia divina è un pozzo senza fine. Anche perché, ha chiosato l’arcivescovo di Monaco,“quando l’attuale approccio pastorale riguardo i divorziati risposati è percepito come uno scandalo dai praticanti, ci si deve seriamente domandare se le Scritture e la tradizione davvero non indichino altre strade” da percorrere.In ogni caso, ha aggiunto, questa è la posizione della grande maggioranza dell’episcopato tedesco,che sarà resa ancor più chiara dalle linee guida d’orientamento al Sinodo ordinario del prossimo ottobre. Non tutti, però, la pensano come Marx. Il vescovo di Ratisbona, Rudolf Voderholzer, e quello di Passau, Stefan Oster, si sono smarcati dalla linea ufficiale. Per Oster – che qualche mese fa denunciò come la chiesa si sia “ridotta a una dimensione sociologica” sempre più tentata di “dar retta alla volontà della maggioranza dei fedeli” – c’è il rischio di indebolire la dottrina dell’indissolubilità del matrimonio. Dietro le preoccupazioni della “grande maggioranza” dei vescovi tedeschi c’è chi vede una questione ben più terrena: con la fuga dalla chiesa cattolica di migliaia di fedeli battezzati, anche se divorziati e risposati, verrebbe meno il loro sostegno economico obbligatorio tramite la Kirchensteuer, la tassa sulle religioni che finanzia le comunità religiose in Germania – varia dall’otto al nove per cento della propria imposta sul reddito – capaci così di assicurare il mantenimento dei luoghi di culto. Un bel problema per una delle chiese più ricche del pianeta.

Senza preti né battesimi. Ecco la Francia, vedova prediletta

di Matteo Matzuzzi
in “Il Foglio” del 30 dicembre 2014
In tutta la Francia, nel 2014, sono stati ordinati ottantadue nuovi preti. Mai la cifra era stata così bassa. Mancano le vocazioni, la crisi è spaventosa, dice il portavoce della conferenza episcopale nazionale, mons. Bernard Podvin, a cavallo delle festività natalizie in un messaggio che di gioioso ha ben poco: “Quando si ordinano cento preti l’anno e ne muoiono ottocento, è chiaro dove sia il problema”, dice. Nella Francia un tempo “figlia prediletta” della chiesa, oggi ci sono solo tredicimila sacerdoti – cinquemila in meno rispetto a dodici anni fa – vale a dire più o meno uno ogni cinquemila abitanti. E la maggior parte è in là con gli anni, al punto che in un decennio il bilancio sarà ancora più drammatico e non basteranno accorpamenti di parrocchie sulla scia di quanto, tra non poche polemiche, sta facendo da qualche mese il cardinale Timothy Dolan a NewYork. Si andrà avanti con il programma di chiusure delle chiese “a scarsa frequentazione”.Qualcuna, anche se dal passato illustre e magari impreziosita da opere d’arte di un certo livello, sarà demolita: troppo oneroso mantenerle per i pochi, per lo più anziani, che vi entrano per assistere alle messe domenicali. Il riscaldamento costa, le tasse sono alte, e di trasformare centinaia di edifici di culto cattolici in musei alla mercé di turisti di passaggio non se ne parla.Forse, si adotterà il modello da tempo sperimentato a Vienna dall’arcivescovo Christoph Schönborn: vendita delle chiese a chi può permetterselo e a chi, soprattutto, ha fedeli con cui riempirle. Nella capitale austriaca, ad esempio, tra i più attivi acquirenti si annoverano le comunità ortodosse, in netta espansione a scapito proprio dei cattolici, ormai divenuti una stabile minoranza.
Tanto non si sarebbero potute garantire le messe, visto che preti non ce ne sono più, aveva detto Schönborn rispondendo a quei pochi che avevano mostrato qualche perplessità sul metodo scelto per far fronte alla progressiva estinzione.
A poco sembra servire anche “l’importazione” di preti stranieri, specie dall’Africa, in pieno fermento vocazionale: tappano la falla, ma non risolvono il problema. Negli ultimi tempi, da Parigi a Lione, sono state lanciate diverse iniziative per invertire la tendenza, da ultimo il tentativo di rievangelizzare la Ville Lumière attraverso gruppi di giovani mandati a testimoniare la fede cattolica nei boulevard e nelle piazze dove, intanto, si vietava però l’allestimento dei presepi in nome del rispetto della sacra laïcité bastione fondamentale della République.
Il punto è che, metteva nero su bianco la Conferenza episcopale francese già in un rapporto pubblicato meno di due anni fa e quanto mai attuale, il declino affonda le radici nel passato: se nel 1972 si definiva cattolico l’87 per cento della popolazione, oggi lo fa il 64. Di questi, solo il 4,5 per cento dichiara di essere “praticante”, cioè di recarsi a messa ogni domenica.Era il 20 per cento quarant’anni fa. Una crisi ancora più evidente se si prendono in esame i numeri dei sacramenti celebrati: in dieci anni, il numero dei matrimoni cattolici è calato del 10 per cento(ora è al 29,5), mentre i battesimi sono passati dai 385 mila del 2002 ai 300 mila di oggi. Di questo passo, entro meno di mezzo secolo, i battezzati in Francia saranno l’eccezione, una minoranza esigua. Non basta, riconoscono i vescovi locali, inserire il caso francese dentro la più ampia crisi dell’Europa secolarizzata e progressivamente sempre più decristianizzata.
Altrove nel mondo, infatti, i cristiani crescono. Di poco, ma lo fanno: un punto e mezzo percentuale
in più rispetto al 2012, con l’exploit in Africa e – in parte – in America meridionale.

PREGHIERA DEL BUONUMORE

Signore, donami una buona digestione e anche qualcosa da digerire.

Donami la salute del corpo e il buon umore necessario per mantenerla.

Donami, Signore, un'anima semplice che sappia far tesoro di tutto ciò che è buono e non si spaventi alla vista del male ma piuttosto trovi sempre il modo di rimetter le cose a posto.

Dammi un'anima che non conosca la noia, i brontolamenti, i sospiri, i lamenti, e non permettere che mi crucci eccessivamente per quella cosa troppo ingombrante che si chiama "io".

Dammi, Signore, il senso del buon umore. Concedimi la grazia di comprendere uno scherzo per scoprire nella vita un po' di gioia e farne parte anche agli altri.

Amen.

San Tommaso Moro

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