mercoledì 18 dicembre 2013

I NOSTRI ATTI DEGLI APOSTOLI

di Christoph Schönborn |
L'arcidiocesi di Milano sta vivendo quest'anno l'anno pastorale scandito dal tema «Il campo è il mondo». Al centro c'è evidentemente il tema della nuova evangelizzazione. Tra le iniziative proposte da Scola c'è anche l'ascolto dell'esperienza vissuta in altre metropoli. Il primo appuntamento ha avuto come ospite a Milano il cardinale arcivescovo di Vienna, Christoph Schönborn. Riportiamo qui sotto alcuni passaggi dell'intervento realizzata da FILIPPO MAGNI per il portale diocesano www.chiesadimilano.it a cui si rimanda per l'intervento completo tenuto dal cardinale Schönborn.

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Nella sua Diocesi la nuova evangelizzazione è già da tempo realtà. Per questo Schömborn, per usare le parole di Scola, «porta la testimonianza di cosa significa evangelizzare la metropoli». A Vienna meno del 40% dei cittadini si dice cattolico. «Il dato è in costante calo principalmente per tre motivi - spiega il cardinale austriaco -. In primo luogo la demografia: crescono nei numeri solo i neocatecumenali e musulmani». In secondo luogo «la possibilità dell'abbandono civile della Chiesa, che si effettua dal magistrato: molti di quelli che lo scelgono non si possono definire apostati, ma lo fanno per non pagare la tassa obbligatoria per gli appartenenti a una religione, o anche perché, sebbene battezzati, non hanno più contatti con la Chiesa». Il terzo punto è la continua perdita di prassi religiosa. Schönborn non nasconde che la sua terra ha vissuto «gravi scandali che hanno ferito molti dei nostri fedeli. Il mio predecessore ha lasciato il magistero a causa delle accuse di pedofilia e diversi hanno lasciato la Chiesa scandalizzati da questi eventi».
E dunque, in ragione di questi presupposti, oggi la situazione è radicalmente cambiata: «Siamo stati Chiesa di Stato per secoli, Chiesa imperiale. E ora siamo umiliati. Poveri, non ancora economicamente, ma umanamente». Ed è proprio «in questa situazione umiliata» che, secondo l'Arcivescovo, «il Signore ci chiama alla missione». Ma come vivere questa situazione di Chiesa diminuita e scoraggiata? «Focalizzando l'attenzione non sui problemi, ma su quello che Dio compie tra di noi». Un'intuizione nata dalla lettura degli Atti degli apostoli, «in particolare tre testi, che per noi sono diventati un faro»; l'ultima parte del capitolo 28, dove si legge che San Paolo, pur prigioniero in una casa a Roma, annuncia il regno di Dio senza impedimento. Il secondo testo è il capitolo 15, quando Paolo e Barnaba si recano a Gerusalemme per discutere con gli apostoli della necessità o meno della circoncisione. E lungo la strada raccontano Cristo a chi incontrano, dando poi conto agli apostoli di ciò che Dio ha operato, tramite loro, durante il viaggio. «Il cristianesimo è una comunità di racconto - sottolinea Schönborn -. Dobbiamo riscoprire il racconto vicendevole di ciò che Dio fa nella nostra vita». Nello stile «di accoglienza, ascolto, preghiera in comune». Quando Papa Benedetto si è recato in visita in Austria nel 2007, ricorda il Cardinale, «abbiamo chiesto ai Consigli pastorali parrocchiali di scrivere la continuazione degli Atti degli apostoli. Col racconto di cosa ha operato Dio nelle parrocchie negli ultimi 5 anni. E il Papa alla fine della visita ha chiesto di continuare a scrivere gli Atti degli apostoli». E infine il terzo testo, il brano evangelico che riporta il naufragio di San Paolo a Malta, lungamente meditato nelle parrocchie viennesi «nel modo in cui voi milanesi siete stati abituati dal cardinale Carlo Maria Martini». Nella sua Lettera pastorale, ricorda l'Arcivescovo austriaco, «Scola scrive della necessità di "non vedere prima la zizzania, ma il buon grano". E su questa base rapportarsi con gli uomini».
Raccontando la propria esperienza Schönborn spiega di «non potervi portare gloriose esperienze di missione, perché la missione va scoperta». E aggiunge di aver avuto una «delusione al recente Sinodo sull'evangelizzazione. I vescovi dovrebbero essere i primi evangelizzatori, ma tutti, nei loro discorsi, hanno aggiunto l'etichetta "evangelizzazione" su tutto ciò che già si fa». Per esempio il Battesimo, i corsi di preparazione al matrimonio. «Certo - ammette il cardinale -, sono un'occasione di primo annuncio, oggi sono missione. Ma non sono evangelizzazione». Se è vero che tutto, nella Chiesa, ha un impulso evangelizzatore, «c'è però una gioia speciale, indimenticabile dell'atto proprio dell'evangelizzazione. E questo si fa solo faccia-a-faccia. In parte anche con twitter, facebook, con i libri. Ma è nell'incontro faccia a faccia che Cristo opera l'evangelizzazione attraverso noi».
La Diocesi di Vienna sperimenta anche metodi non convenzionali per raggiungere chi è lontano dalla Chiesa. "Da alcuni anni a San Valentino - racconta Schönborn - distribuiamo nelle stazioni della metropolitana lettere d'amore di Dio ai passanti. Scritte a mano, contengono affermazioni di questo tipo: "Tu sei la mia più bella idea, ti invito, incontriamoci di nuovo"». Questo, aggiunge, «ovviamente non è il tutto dell'evangelizzazione, ma è qualcosa fatto personalmente tramite chi si rende disponibile a consegnare queste lettere. Scendere nella stazione significa trovarsi in una situazione un po' ridicola, ma questo atto di contatto faccia a faccia cambia noi che lo operiamo, più che chi lo riceve. Ma forse anche loro». Papa Francesco «ci invita a cambiare lo sguardo. Io e i miei fratelli nel sacerdozio cerchiamo di capire come gestire le caselle entro cui cataloghiamo le persone. Sono necessarie per affrontare la società, ma devono essere considerate dopo essersi chiesti chi è la persona che abbiamo davanti». Come catalogare, e dove trovare il Signore, si chiede l'Arcivescovo, «nelle famiglie patchwork? Cioè quelle composte da divorziati, risposati, o da rapporti complicati? Come realizzare un'alleanza tra la verità da propugnare, che libera e salva, e la misericordia? Questa è la grande sfida della nuova evangelizzazione».
Emblematico un caso, di cui si è molto parlato, prosegue, «accaduto nella più piccola nostra parrocchia. Nel Consiglio pastorale fu eletto un giovane che vive con un altro uomo. È un ragazzo che partecipa alla messa, suona l'organo in chiesa. Li ho incontrati e ho visto due giovani puri, anche se la loro convivenza non è ciò che l'ordine della creazione ha previsto». Dall'incontro la decisione «di non toglierlo dal Consiglio pastorale. Attendevo le critiche, ma con quel gesto non volevo dire che sono d'accordo col cosiddetto matrimonio gay. Non sono per niente d'accordo. Ma ci sono situazioni in cui dobbiamo guardare prima alla persona. Papa Francesco ci mette davanti a questa sfida».
A Vienna il 60% dei matrimoni finisce con un divorzio: la famiglia cristiana non è il caso normale, ma l'eccezione, la norma è la patchwork family. «Cosa dice questo a noi preti? - si chiede l'Arcivescovo -. A imparare di nuovo cosa vuol dire vivere nella diaspora». Atteggiamento che Schönborn ha sintetizzato in «5 sì per la nuova evangelizzazione».

«1) Sì all'oggi, al nostro tempo. Lasciamo la nostalgia degli anni '50, '60, '70. Dio ama il mondo di oggi.

2) Sì consapevole e deciso alla nostra situazione, cioè la decrescita dei cattolici. Vediamo buoni semi anche dove non c'è esplicitamente la Chiesa.

3) Sì alla nostra condizione comune di battezzati. La differenza tra il sacerdozio comune dei laici e quello ministeriale dei preti è di sostanza, non di grado. Non c'è un grado superiore dell'essere cristiano. Il sacerdozio comune ci fa fratelli, vicini, amici.

4) Sì a una Chiesa che impara passo passo a essere in diaspora, una diaspora feconda. Dobbiamo imparare una vita di rappresentanza, dove la fede non è vissuta solo per sé, ma anche per gli altri Impariamo dagli ebrei, convinti che se in una città ci sono 10 ebrei, questo è una benedizione per la città. I cattolici sono benedizione per la città.

5) Sì al nostro ruolo per la societa. Anche se siamo minoranza, anche se politicamente in molti campi - per esempio in Europa (penso alle recenti proposte di legge sull'aborto) - non abbiamo il potere di imporre la giurisdizione che ci piacerebbe, quella che risponderebbe al diritto naturale. Il sale è sempre minoranza, nel piatto. Ma i nostri gruppi, le nostre associazioni, sono una grande rete. E quanto più la rete sociale diventa fragile, tanto più diventano importanti le nostre iniziative per i più deboli».

martedì 17 dicembre 2013

PERSONE...

Le persone non sono ridicole se non quando non vogliono parere o essere ciò che non sono.
Giacomo Leopardi

Quando qualcuno può aiutare un'altra persona a conoscere e a capire un uomo, allora quel qualcuno si ritroverà fortemente arricchito.
Herbert Von Karajan

martedì 10 dicembre 2013





"BEATI GLI OPERATORI DI PACE.."

Pochi, come lui, possono essere considerati operatori di pace; e la sua vicenda di uomo pacifico fu risultato di una scelta maturata nel tempo e nel corso di una lotta in cui non esitò a servire un ideale di uguaglianza che, ancora nei primi anni sessanta, in alcune parti del mondo, sembrava improponibile.
...tre brevi considerazioni.
Mandela non fu un pacifista; dopo la strage di Shaperville, durante la quale, nel 1960, la polizia del Sudafrica massacrò alcune decine di civili, non esclusi dei bambini, per una manifestazione contro la segregazione razziale, Mandela non escluse la possibilità di una difesa armata dei diritti conculcati. Non confuse l’opera di pace coll’ideologia di un pacifismo che viene usata come strumento di scontro con gli avversari, fatti nemici. E tuttavia, dopo decenni di detenzione, dalla fine degli anni cinquanta, fino ai primi anni novanta, sia pure con alcune brevi parentesi di libertà, egli si presentò sulla scena politica rifiutando il sistema della violenza; non solo, ma con sensibilità fatta di interiore maturazione, volle precisare che “…provare risentimento è come bere veleno, sperando che ciò uccida il nemico”. Il passato, per quanto ingiusto e feroce va ricordato, ma non vendicato; e chi non crede nei risultati della vendetta, riesce a costruire (parola di papa Francesco nel ricordo del leader scomparso) “su solide basi di non violenza, riconciliazione e verità”.
Mandela fu operatore di pace. Per lui infatti, l’educazione era da ritenersi “…l’arma più potente per cambiare il mondo”. Non serve la rinuncia, non paga l’omologazione alla violenza del potere ed in ultima istanza, alla fine di un percorso di formazione pacifica pagata col proprio sofferto contributo di sacrificio personale, egli non ritenne neppure lecito correre il rischio di rispondere con la violenza alla prepotenza dei forti; in lui si rafforza la fiducia nella formazione delle mentalità, delle coscienze ed, in ultima istanza, delle persone.
Infine una terza ed ultima considerazione. Siamo nel 2013; a cinquant’anni dalla “Pacem in terris” di papa Giovanni, un testo in cui si afferma esplicitamente che non c’è mai “guerra giusta” perché l’uso della guerra come strumento per ristabilire la giustizia offesa è contrario alla ragione “…alienum est a ratione”; siamo però anche nel ventesimo anniversario della concessione del premio Nobel per la pace a Nelson Mandela (1993). Ora ci capita di ricordare un testimone esemplare: coincidenze straordinarie, perché queste varie e diverse occasioni e ricorrenze indicano un difficile percorso di tutti gli uomini, ma in particolare di questi eccezionali “operatori di pace”, verso un traguardo di “non violenza, riconciliazione e verità”.

Agostino Pietrasanta su Appunti Alessandrini.


mercoledì 4 dicembre 2013

Divorziati risposati, la Chiesa tedesca va per conto suo
di Matteo Matzuzzi

Al Sinodo straordinario sulla famiglia indetto da Papa Francesco manca quasi un anno, ma i vescovi tedeschi hanno già molto chiare le idee sull'orientamento da dare all'assise. A nulla sono serviti gli inviti alla prudenza e i richiami all'ordine giunti da Roma. Tutti rispediti al mittente, a cominciare dalle prese di posizione del prefetto della congregazione per la Dottrina della fede, monsignor Gerhard Ludwig Müller. A originare la tensione fu, ai primi d'ottobre, il documento rilasciato dall'Ufficio preposto alla cura d'anime della diocesi di Friburgo, retta fino a settembre dal vescovo Robert Zollitsch – rimasto come amministratore apostolico –, presidente uscente della conferenza episcopale locale. In quel testo si invitava «a rendere visibile l'atteggiamento umano e rispettoso di Gesù nel contatto con le persone divorziate e con chi ha deciso di risposarsi con rito civile». In pratica, il primo passo per la riammissione dei divorziati risposati ai sacramenti, a partire dalla comunione. Non appena lo Spiegel rivelò il contenuto del testo, il Vaticano disse che non sarebbe cambiato nulla, perché quel documento era privo della firma del vescovo di Friburgo. Nulla di nuovo, dunque. Nel frattempo, a frenare voli pindarici e a richiamare all'ordine nell'ottica dell'ortodossia cattolica, arrivava il lungo intervento di Müller pubblicato sull'Osservatore Romano, il 22 ottobre.
Presentandolo, il giornale del Papa definì quell'articolo "un contributo" alla discussione in vista del Sinodo, ma a leggerlo sembrava molto di più, quasi una chiara risposta a quei vescovi pronti ad agire unilateralmente sulla pastorale matrimoniale senza il previo e indispensabile consenso pontificio. Un testo, quello del prefetto dell'ex Sant'Uffizio, ancora più importante se si considera che era già stato pubblicato a giugno sulla Tagespost. Una riproposizione, quattro mesi dopo e sull'organo ufficiale della Santa Sede, assumeva così un valore non trascurabile. Müller chiariva che si rischiava di «banalizzare la misericordia, dando l'immagine sbagliata secondo la quale Dio non potrebbe far altro che perdonare». E questo perché, aggiungeva, «al mistero di Dio appartengono, oltre alla misericordia, anche la santità e la giustizia; se si nascondono questi attributi di Dio e non si prende sul serio la realtà del peccato, non si può nemmeno mediare alle persone la sua misericordia». Sul matrimonio, poi, Müller spiegava che esso rappresenta «l'atto personale e libero del reciproco consenso» attraverso il quale «viene fondata per diritto divino un'istituzione stabile, ordinata al bene dei coniugi e della prole, e non dipendente dall'arbitrio dell'uomo». A scanso di equivoci, il prefetto definiva il matrimonio come "indissolubile". In virtù di tali considerazioni, invitava la diocesi di Friburgo a ritirare il documento "incriminato", giudicato «contrario all'insegnamento e al Magistero della Chiesa cattolica».
Ma Zollitsch diceva no, chiarendo che il testo diffuso dall'ufficio per la cura delle anime rappresentava anch'esso un contributo alla formazione delle linee guida che, verosimilmente, saranno approvate definitivamente dalla conferenza episcopale tedesca la prossima primavera. «Noi abbiamo già le nostre linee guida, e il Papa adesso ha chiaramente specificato che certe questioni possono essere decise a livello locale», aggiungeva Robert Eberle, il portavoce della diocesi di Friburgo. Il riferimento è all'esortazione "Evangelii Gaudium" di Francesco svelata al mondo martedì scorso, e in particolare ai paragrafi in cui si parla della necessità di conferire alle chiese locali "qualche autorità anche dottrinale". Secondo Eberle, "molti punti" del documento papale suggeriscono che la Germania "si sta muovendo nella giusta direzione". Idea condivisa anche dal vescovo di Stoccarda, monsignor Gebhard Fürst, che spiegava come l'episcopato tedesco avrebbe adottato le proposte dell'ufficio diocesano di Friburgo in occasione della sessione plenaria di marzo – che, tra l'altro, sarà l'ultima presieduta da Zollitsch. Alle polemiche e alle accuse mosse dai settori conservatori di aprire la strada quasi alla "protestantizzazione" della chiesa tedesca, il portavoce della diocesi di Stoccarda rispondeva che la strada seguita va "nello spirito dell'insegnamento papale".
A rispondere a Müller c'aveva già pensato l'arcivescovo di Monaco-Frisinga, il cardinale Reinhard Marx, che durante l'ultima assemblea dei vescovi bavaresi aveva chiarito senza mezze parole e senza troppi complimenti che «il prefetto della congregazione per la Dottrina della fede non può fermare il dibattito» e che «al Sinodo si discuterà di tutto». Al momento, aggiungeva il porporato, «non è possibile dire quali saranno i risultati del dibattito». Inoltre, «qualcosa al gran numero di fedeli che non comprende perché una seconda unione non è accettata dalla chiesa andrà detto», sottolineava Marx, che esprimeva altresì un giudizio negativo sulla definizione data da Müller del divorzio come "fallimento morale". È "inadeguato", diceva l'arcivescovo di Monaco e Frisinga.
Se la Chiesa tedesca è intenzionata a imprimere un'accelerata riguardo l'accostamento ai sacramenti dei divorziati risposati, cercando così di orientare il dibattito sinodale, anche a Roma c'è chi dà un peso relativo agli ammonimenti del prefetto dell'ex Sant'Uffizio. Primo fra tutti era stato il presidente del Pontificio consiglio per la Famiglia, mons. Vincenzo Paglia, ancora in attesa di conferma ufficiale nell'incarico da parte di Francesco. Tentando di imitare Bergoglio e il lessico del Papa preso quasi alla fine del mondo, l'ex vescovo di Terni aveva detto in un'intervista ad Avvenire che l'urgenza è «di accogliere e ascoltare le famiglie così come sono, tutte le famiglie, nella complessità delle varie situazioni». E questo perché «dobbiamo essere sempre più in grado di parlare a tutti, con un linguaggio capace di coniugare verità e misericordia». Pazienza, insomma, se il custode dell'ortodossia avesse ripetuto che di famiglia ce n'è una soltanto e che il Pontefice in persona, già ad Assisi, avesse chiarito che la famiglia si concretizza nella «vocazione a formare di due, maschio e femmina, una sola carne, una sola vita».
Per Müller, poi, non valeva neppure portare a esempio la prassi ortodossa, la cosiddetta "seconda possibilità" ai divorziati risposati di accostarsi ai sacramenti: «Questa prassi non è coerente con la volontà di Dio, chiaramente espressa dalle parole di Gesù sull'indissolubilità del matrimonio», scriveva il prefetto sull'Osservatore Romano. Ma anche qui, c'è chi entro le mura leonine non è d'accordo. In un'intervista concessa a Vatican Insider, il segretario generale del Sinodo, monsignor Lorenzo Baldisseri, diceva infatti che «quello dei sacramenti ai divorziati risposati è un tema da affrontare con un approccio nuovo» e che, a tal riguardo, «l'esperienza della Chiesa ortodossa può esserci di aiuto, non solo per quanto riguarda la sinodalità e la collegialità, ma anche nel caso di cui stiamo parlando, per illuminare il cammino».

martedì 3 dicembre 2013

"QUALE AVVENTO?" di Tonino Bello

C'è, nella storia, una continuità secondo ragione, che è il futurum. E' la continuità di ciò che si incastra armonicamente secondo la logica del prima e del dopo. Secondo le categorie di causa ed effetto. Secondo gli schemi biblici, in cui alle voci in uscita, si cercano i riscontri corrispondenti delle voci in entrata: finché tutto non quadra.

E c'è una continuità secondo lo Spirito, che è l'adventus.

E' il totalmente nuovo, il futuro che viene come mutamento imprevedibile, il sopraggiungere gaudioso e repentino di ciò che non aveva neppure il coraggio di attendere.

In un canto che viene eseguito nelle nostre chiese, e che è tratto dai salmi si dice "Grandi cose ha fatto il Signore per noi: ha fatto germogliare i fiori tra le rocce!". Ecco, adventus è questo germogliare dei fiori carichi di rugiada tra le rocce del deserto battute dal sole meridiano.

Promuovere l'Avvento, allora, è optare l'inedito, accogliere la diversità come gemma di un fiore nuovo, come primizia di un tempo nuovo. Cantare, accennadolo appena, il ritornello di una canzone che non è stata ancora scritta, ma che si sa rimarrà per sempre in testa all'hit parade della storia.

Mettere al centro delle attenzioni pastorali il povero, è avvento.

E' avvento, per una madre, amare il figlio handicappato più di ogni altro.

E' avvento, per una coppia felice e con figli, mettere in forse la propria tranquillità avventurandosi in operazioni di affidamento, con tutte le incertezze che tale ulteriore "fecondità" si porta dietro, anzi, si porta avanti.

E' avvento, per un giovane, affidare il futuro alla non-garanzia di un volontario, alla non-copertura di un impegno sociale in terre lontane, all'alea di un servizio umanitario che, se non è mai ricompensato sul piano economico, qualche volta non garantisce neppure su quello morale.

E' avvento, per una comunità, condividere l'esistenza del terzomondiale e sfidare l'opinione dei benpensanti che si chiude davanti al diverso, per non permettere infiltrazioni inquinanti al proprio patrimonio culturale e religioso.

E' avvento, per una congregazione religiosa o per un presbitero diocesano, allentare le cautele della circospezione mondana, per tutelarsi il sostentamento, facendo affidamento sulla "insostenibile leggerezza" della Provvidenza di Dio.

Per Antonella, mia amica, è avvento abbandonare le lusinghe della carriera sportiva per farsi suora di clausura.

Per Karol Tarantelli è avvento perdonare l'assassino di suo marito ...

Per Madre Teresa di Calcutta avvento è stato abbandonare la clausura per farsi prossimo sulle strade del mondo.

Ecco come è avvenuta la nascita di Gesù: per promuovere l'Avvento, Dio è partito dal futuro".

SE NON DIVENTERETE COME BAMBINI...

di Giorgio Bernardelli
La legge che in Belgio sta per aprire all'eutanasia per i bambini. E il bisogno di una difesa della vita che dia ragioni per vivere
Come credo tutti sappiamo il Parlamento del Belgio ha dato un primo via libera in commissione (peraltro ampiamente annunciato) alla legge che ammette l'eutanasia anche per i bambini. Si tratta evidentemente di una di quelle notizie che fanno venire un brivido dietro la schiena. Ascoltata la quale è naturale per ciascuno di noi cominciare con la litania del "Ma dove siamo arrivati?" in tutte le sue declinazioni.
Se ci fermiamo qui - però - domani volteremo comunque pagina e questa ideologia di morte sarà comunque andata avanti. Io credo che la sfida stia diventando ogni giorno di più un'altra: quella di non sventolare più semplicemente una bandiera, ma provare a fare i conti realmente con «il dolore innocente». Ripartire dal fatto che non c'è niente di più dilaniante per un genitore dell'esperienza di vedere un figlio soffrire. Capire che è proprio l'incapacità a sostenere il suo sguardo (e la propria incapacità nel dare le risposte che lui in quel momento ti chiede) a portare qualcuno a ritenere ammissibile un gesto che istintivamente avvertiamo subito come inumano.
Per questo le domande vere oggi possono essere solo quelle più radicali: non possiamo mascherarci davanti alle caricature altrui o alle buone parole. Che ci piaccia o no non bastano più. Non si può più difendere la vita solo in astratto; dobbiamo ritornare a dare ragioni per vivere, anche nelle situazioni più estreme. E questa è la strada più faticosa, perché mette in gioco non un principio, ma le nostre vite concrete: non c'è difesa della vita senza un di più di prossimità verso il fratello. Senza una disponibilità a farci carico della sua fatica nel vivere. Dell'assenza di speranze, dell'orizzonte chiuso a qualunque cosa vada oltre noi stessi.
C'è tutto questo - allora - dentro quell'opposizione radicale alla «cultura dello scarto» di cui Papa Francesco non si stanca di parlare. Ed è una lotta a tutto campo. Perché l'eutanasia ai bambini malati terminali è solo il logico punto di arrivo di un modo di guardare alla propria umanità. Di un'idea di benessere che rigetta tutto ciò che non gli è funzionale. E l'unico modo per combatterlo sul serio non è dipingere un mondo pieno di Mengele (che alla fine sono sempre mostri lontani da noi), ma far arrivare la carezza della tenerezza anche in quella corsia d'ospedale.
«Se non diventerete come bambini non entrerete nel Regno dei cieli», dice il Vangelo. I bambini hanno la capacità di svelare ogni nostra ipocrisia. Ci mostrano le strade che non vediamo più. Quante volte è proprio il loro impuntarsi testardo sulle piccole cose a rimetterci sanamente in discussione?
Ecco: forse anche questa sconcertante vicenda belga ci sta dicendo proprio questo. Speriamo ancora che questa legge ingiusta non passi. Alziamo le barricate contro chi dovesse avere l'idea di proporla anche altrove. Ma preoccupiamoci anche di chi - qui accanto a noi, non in Belgio - tanti bambini li sta uccidendo già proponendo un'idea di felicità in cui l'unica regola è non rimanere indietro. E torniamo a interrogarci sul serio sul dolore e sul suo significato nella vita delle persone. Prima che sia troppo tardi.

lunedì 2 dicembre 2013

C'E' CHI FRENA SUL QUESTIONARIO PER IL SINODO DEI VESCOVI SULLA FAMIGLIA

Pubblicato il 25 novembre 2013 da NOI SIAMO CHIESA
I vescovi italiani, disorientati, non si stanno impegnando seriamente a promuovere la consultazione sul questionario per il sinodo dei vescovi sulla famiglia. Nei fatti è una specie di boicottaggio.
Il questionario predisposto per la consultazione del Popolo di Dio in preparazione del Sinodo sulla famiglia del prossimo ottobre è un fatto nuovo e molto positivo. Per la prima volta in modo formale e generalizzato si riconosce che queste tematiche devono essere affrontate a partire dal vissuto di tutti i credenti nell’Evangelo, donne, uomini e coppie, con le loro gioie e le loro sofferenze. La proposta di discutere di queste grandi questioni esistenziali, in particolare dei loro aspetti più difficili e controversi, apre il cuore alla speranza che finalmente non si proceda più nella Chiesa sulla vecchia strada di precetti imposti e astratti dalla realtà, ma su quella che inizia dalla volontà di ascolto........
Ciò detto, “Noi Siamo Chiesa” ritiene che la consultazione non debba essere ristretta agli organismi diocesani e neppure solo a quelli parrocchiali (consigli pastorali, ecc…), ma coinvolgere la generalità dei credenti. Essa deve essere aperta anche ai cristiani e alle cristiane di altre Chiese nonché a donne e uomini di buona volontà, che siano sensibili alle tematiche relative alla spiritualità e interessati a offrire il loro apporto costruttivo su questioni che coinvolgono la vita e gli interrogativi etici di ogni persona. Per questo ci sembrano saggi quei parroci che hanno deciso di mettere a disposizione nelle chiese i questionari e quei vescovi di altri paesi che hanno chiesto risposte on-line al testo.
Ci dispiace constatare che le strutture della Chiesa italiana si stanno invece muovendo con troppo ritardo e con evidenti reticenze. Il 23 ottobre il segretario uscente della CEI Mons. Mariano Crociata ha inviato tempestivamente, prima ancora che il questionario diventasse pubblico, una lettera ai vescovi per attivarli sulla consultazione. Ma troppe diocesi sono ferme o, peggio, reticenti (a Bologna, per esempio, non è stata diffusa alcuna circolare ai parroci per sollecitarli a far conoscere capillarmente il documento). Un mese è stato perso, solo in questi giorni arrivano ai parroci indicazioni dalle Curie diocesane ed esse prevedono, a quanto ci risulta, l’intervento sul questionario al massimo degli organismi parrocchiali e, in certi casi, neanche di quelli. L’Avvenire tace completamente dall’inizio sulla consultazione mentre è ben noto come sia pronto e assillante in altre “campagne”. Tutto ciò non ci sembra casuale, indica il disorientamento di molti vescovi. I tempi sono strettissimi, l’Avvento e il periodo natalizio sono già densi di impegni di ogni tipo. Ci chiediamo, allora, se non ci si trovi di fronte a un vero e proprio strisciante boicottaggio del questionario o, nel migliore dei casi, alla convinzione che si tratti solo di un dovere burocratico, inutile o quasi, da mettere in coda a tutti gli altri, necessario solo per non dire di NO apertamente al Vaticano.
La nostra opinione è radicalmente diversa. Ogni sede del mondo cattolico, dalle associazioni alle riviste (per esempio “Il Regno”), ai siti internet, è buona per ricevere le risposte, per elaborarle correttamente o non elaborarle e trasmetterle direttamente alla segreteria generale del Sinodo, che è un terminale abilitato a ricevere i questionari anche dai singoli. La possibilità di inviare direttamente i questionari dovrebbe sempre essere fatta presente dai nostri vescovi. Sul questionario si pronuncino i teologi, le facoltà teologiche, gli insegnanti di religione, le comunità di religiose e di religiosi, anche i monasteri di clausura, ma soprattutto le madri e i padri di famiglia, le giovani e i giovani, gli appartenenti alle minoranze sessuali, le coppie di ogni tipo e tutti quanti vivono in prima persona le tematiche esistenziali poste dal questionario. Anche i cristiani e le cristiane delle altre Chiese offrano, in spirito ecumenico, il loro apporto.
“Noi Siamo Chiesa” elaborerà in tempi rapidi una propria risposta al questionario, accogliendo così la richiesta di Papa Francesco di una partecipazione la più ampia possibile a un’iniziativa di per sé storica.


Evangelii Gaudium:il vento della Curia
di Hans Küng su Repubblica il 27.11.13

La riforma della chiesa procede: nell’esortazione apostolica “Evangelii Gaudium” Papa Francesco ribadisce non solo la sua critica al capitalismo e al dominio del denaro, ma si dichiara anche inequivocabilmente favorevole ad una riforma ecclesiastica «a tutti i livelli» . Si batte concretamente per riforme strutturali come la decentralizzazione verso diocesi e parrocchie, una riforma del ministero di Pietro, la rivalutazione dei laici e contro la degenerazione del clericalismo, per una efficace presenza femminile nella chiesa, soprattutto negli organi decisionali. Si dichiara altrettanto espressamente favorevole all’ecumenismo e al dialogo interreligioso, soprattutto con l’ebraismo e l’Islam.
Tutto questo troverà ampio consenso ben oltre l’ambito della chiesa cattolica. Il rifiuto indiscriminato dell’aborto e del sacerdozio femminile dovrebbero suscitare critiche.
Mostrano i limiti dogmatici di questo Papa. O forse Francesco subisce le pressioni della congregazione della dottrina della fede e del suo prefetto, l’arcivescovo Gerhard Ludwig Müller? Quest’ultimo ha manifestato la propria posizione ultraconservatrice in un lungo intervento sull’Osservatore Romano (23 Ottobre 2013), in cui ribadisce l’esclusione dai sacramenti dei divorziati risposati. Dato il carattere sessuale della loro relazione vivono presumibilmente nel peccato, a meno che non convivano «come fratello e sorella» (!)
....E già gli osservatori, preoccupati, si chiedono se il Papa emerito Ratzinger per il tramite dell’arcivescovo Müller e di Georg Gänswein, il suo segretario, anch’egli nominato arcivescovo e prefetto della casa pontificia, effettivamente non agisca come una sorta di «Papa-ombra». Agli occhi di molti la situazione appare contraddittoria: da una parte la riforma della chiesa e dall’altra l’atteggiamento nei confronti dei divorziati risposati.
Il Papa vorrebbe andare avanti— il “prefetto della fede” frena. Il Papa ha in mente l’umanità concreta — il prefetto soprattutto la dottrina tradizionale cattolica. Il papa vorrebbe praticare la carità — il prefetto si appella alla santità e alla giustizia divina. Il Papa vorrebbe che i sinodi episcopali nell’ottobre 2014 trovassero soluzioni pratiche ai problemi della famiglia anche sulla base delle consultazioni dei laici — il prefetto si basa su tesi dogmatiche tradizionali per poter mantenere lo status quo, privo di carità.
Il Papa vuole che i sinodi episcopali intraprendano nuovi tentativi di riforma — il prefetto, già docente di teologia dogmatica, pensa di poterli bloccare in partenza con la sua presa di posizione. C’è da chiedersi se il Papa controlli ancora questa sua sentinella della fede.
...E la credibilità di papa Francesco verrebbe immensamente danneggiata se i reazionari del Vaticano gli impedissero di tradurre presto in azioni le sue parole e i suoi gesti pervasi di carità e di senso pastorale. L’enorme capitale di fiducia che il Papa ha accumulato nei primi mesi del suo pontificato non deve essere sperperato dalla Curia. Innumerevoli cattolici sperano che il Papa esamini la discutibile posizione teologica e pastorale di Müller; che vincoli la commissione per la difesa della fede alla sua linea teologica pastorale; che le lodevoli consultazioni dei vescovi e dei laici in vista dei prossimi sinodi sulla famiglia conducano a decisioni dotate di fondamento biblico e vicine alla realtà.
Papa Francesco dispone delle necessarie qualità per guidare da capitano la nave della chiesa attraverso le tempeste di questi tempi; la fiducia dei fedeli gli sarà di sostegno. Avrà contro il vento della curia e spesso dovrà procedere a zig zag, ma la speranza è che affidandosi alla bussola del vangelo (non a quella del diritto canonico) possa mantenere la rotta in direzione del rinnovamento, dell’ecumenismo e dell’apertura al mondo. “Evangelii Gaudium” è una tappa importante in questo senso, ma non è certo il punto di arrivo.

SE I GIOVANI NON DICONO PIU' ''TI AMO''

Prima la "scoperta" dei femminicidi. Poi quella della prostituzione minorile a Roma e non solo. Si è detto che sono patologie della nostra società.
Ma la fisiologia dei rapporti affettivi, ciò che oggi consideriamo la normalità, qual è? Siamo certi che sia sana e felice?
Mi ha colpito una lettera – rimasta senza risposta – di uno studente del primo anno di liceo classico, uscita su "Repubblica". Era titolata: "Perché tra noi liceali non si usa più 'ti amo!' ".
PAROLONI?Lo studente, Marco D.G., scrive: "ho notato che le parole 'ti amo' stanno progressivamente scomparendo tra i giovanissimi: diverse persone le ritengono 'paroloni', fastidiosi, estranei, barocchi e patetici".
Poi spiega che i suoi coetanei, i quali non usano più queste espressioni d'amore, lo fanno "per motivazioni molto tristi".
Che lui riassume così: "l'amore, a questa età, non esiste, non è importante, non deve essere importante. Sarà qualcosa che verrà più tardi. Dopotutto, mi dice una mia cara amica a proposito delle sue vicissitudini, 'se smetti di amare vuol dire che non hai amato'. Tutti ragionamenti in larga parte appoggiati e incentivati da parenti, più o meno stretti. Questo modo d'agire non vuol dire sminuire gli amori di quest'età? Non è sbagliato?".
Può essere giusto il realismo di chi fa capire al figlio adolescente che la "cottarella" è solo una piccola scintilla dell'immenso mistero che è l'amore. Ma la lettera dello studente forse coglie anche un altro fenomeno: un cinismo diffuso.
RIDOTTI A CORPIDopo un'epoca che ha inflazionato la parola "amore", applicandola assurdamente a una guerra dei sessi che ha lasciato e lascia a terra morti e feriti (non solo in senso metaforico), si è passati a un tale scetticismo che quasi esclude in partenza la "folle" possibilità di amare ed essere amati.
Così abbiamo una giovane generazione ipersessualizzata a cui è precluso l'amore vero e perfino l'uso della parola amore, mentre tutti gli usi del corpo sono permessi, anzi sono imposti come obbligo: alcune liceali intervistate da "Porta a porta", lunedì, spiegavano come sia diventata una vergogna sociale essere ancora vergini a 16 anni.
Si vuole che sia una generazione di corpi senz'anima. E' il prodotto della generazione del '68 e della sua unica, vera rivoluzione: la rivoluzione sessuale (che poi è il vertice del consumismo contro cui, a parole, si battevano).
E questo è l'esito: il panorama di rovine che abbiamo davanti, un colossale discount planetario del sesso che ha l'aspetto di un campo di battaglia cosparso di feriti, di schiavi e di schiave.
LIBERTA' O DEVASTAZIONE?La famosa "liberazione sessuale" aveva promesso la felicità. Ma quella che vediamo è una società ammalata, infelice e violenta. E che non sa più cos'è l'amore. Tanto che consiglia di "rassegnarsi" già a 17 anni.
Si avvera la "profezia" di Max Horkeimer, il fondatore della Scuola di Francoforte, che, pur provenendo dal marxismo, dette ragione all'Humanae vitae di Paolo VI sostenendo che "la pillola", cioè la trasformazione della sessualità in consumo di corpi sempre disponibili, come una merce di supermercato, sarebbe stata "la morte dell'amore" e quindi dell'eros, trasformando Romeo e Giulietta "in un pezzo da museo".
Questa devastazione sta davanti agli occhi di tutti. Mi ha colpito, ad esempio, ciò che, qualche settimana fa, ha scritto Piero Ottone nella rubrica che tiene sul "Venerdì di Repubblica".
Ottone, come si sa, dopo il licenziamento di Spadolini, nel 1972, diventò direttore del "Corriere della sera" per portare clamorosamente a sinistra, in sintonia con la ventata rivoluzionaria, l'antico giornale della borghesia liberale (è appunto per questo che Indro Montanelli si sentì costretto ad andarsene e a fondare "Il Giornale").
Ebbene, Ottone, da distaccato osservatore, qualche settimana fa ha scritto: "nel giro di mezzo secolo, il costume sessuale è cambiato in modo sensazionale (...). Libertà sessuale, un segno di progresso, dunque?".
Il suo giudizio è opposto: "si può vedere nella libertà oggi imperante (...) il segno della graduale disintegrazione della civiltà... L'abolizione delle regole, il ritorno alla licenza assoluta è un nuovo segno di declino".
Questa è oggi la sua pesante sentenza: "disintegrazione della società", "declino". Ma non avevano promesso – con l'abbattimento dei tabù – il paradiso in terra?
Eppure già allora qualcuno l'aveva predetto e continua a ripeterlo. Ma oggi come ieri si prende gli sberleffi e gli anatemi di quel "progressismo adolescenziale" che – come dice papa Francesco – è al servizio del "pensiero unico".
Però non basta lamentare l'oscurità dei tempi. Io voglio qui testimoniare – soprattutto pensando allo studente di cui ho citato la lettera all'inizio – che, nonostante tutto, ci sono luoghi dove il grande abbraccio dell'amore vero fra uomo e donna si insegna, si scopre e si vive.
GIUSSANI SULL'AMOREMi ha colpito, durante una presentazione del mio libro "Lettera a mia figlia", ascoltare un giovane sacerdote, don Andrea Marinzi, che paragonava la mia primogenita e la vicenda che sta vivendo da quattro anni, alla figura della Maddalena quando, nel Vangelo, per il suo Gesù, ruppe il vasetto d'alabastro contenente un preziosissimo olio profumato per ungere i capelli del Maestro, tanto amato, "e tutta la casa si riempì di quel profumo".
Don Andrea attribuiva a don Giussani questa immagine e l'altroieri ho trovato proprio questa sua pagina nella biografia che gli ha dedicato Alberto Savorana. E' la cosa più bella – secondo me – che sia mai stata scritta sull'amore umano.
A quel tempo, attorno al 1952, Giussani era un giovane prete che non aveva ancora iniziato la storia di CL, ma – confessando in una parrocchia di Milano – attirava l'interesse di molti studenti.
Lui restava però colpito dalla superficialità dei loro legami affettivi senza nostalgia, da quel passare da una ragazza all'altra inseguendo soltanto un piccolo piacere effimero. E non la donna amata, non l'amore della vita.
Per questo annota in un suo appunto che così:"il senso della vita si ottunde e il cerchio resta chiuso, freddo, attorno a noi: egoismo. Non si cerca più la persona per la quale sola l'anima si spacca e si apre: si dona. Si sacrifica... La Maddalena spaccò il vaso di alabastro: 'sciupò' il profumo, lo donò. Ogni dono è perdita. Amare veramente una persona appare come uno sciupare: se stessi, energie, tempo, calcolo, tornaconto, gusti. Gli altri, al gesto della Maddalena, scrollarono il capo: 'pazza! Senza criterio! Senza interesse!'. Ma in quella sala solo lei 'viveva', perché solo amare è vivere (...). Quell'aprirsi ad altri: agli altri, a tutti gli altri – attraverso la scorza rotta del proprio io, solitamente c'è un viso che ha funzione di spaccare la corteccia del nostro egoismo, di tenere aperta questa meravigliosa ferita, quel viso è il suscitatore e lo stimolatore del nostro amore; il nostro spirito si sente fiorire di generosità al suo contatto, ed attraverso a quel viso si dona, a fiotti, agli altri, a tutti gli altri, all'universo".
Si può pensare che sia utopistico ciò che scrive Giussani, si può ritenere che nessuno sia capace di amare così, ma non si può negare che tutti, proprio tutti, nel profondo del cuore desiderano essere amati così.
E che questo miracolo sia possibile lo fa intuire la conclusione di Giussani, facendo intravedere Gesù Cristo:
"quel viso è il riverbero umano di Lui. Se quel viso è lontano, la sua nostalgia, oh, non intorpidisce l'attività. La vera nostalgia di lui è la più dinamica malia, è il più potente richiamo alle energie perché compiamo il nostro dovere così da renderci più degni di chi amiamo. Soffrire per Ciò".
Questi sono i maestri di umanità di cui abbiamo bisogno, noi, i feriti di questo campo di battaglia che è la modernità.
Giussani, papa Francesco, uomini che ci affascinano mostrando cosa sono l'amore, il perdono e la grandezza dell'essere uomini e donne. E' così che ci sorprende la gioia. Quella autentica.
Antonio Socci.

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