domenica 24 marzo 2019

L'ITALIA STA DIVENTANDO PIU' RAZZISTA?

«È la prima volta che mi capita di essere apostrofato con la parola ebreo adoperata come un insulto».
A sera, Gad Lerner è ancora colpito da quanto successo a Prato. Quando l’hanno offesa? 
«Li ho incrociati prima di andare nella piazza della manifestazione di sinistra. Prima un anziano mi ha gridato “ebreo vattene in Palestina”. Io l’ho ignorato. Poi anche un tipo più giovane mi ha ripetuto “ebreo” urlando mentre mi allontanavo. Sono tornato indietro e gli ho detto “certo che sono ebreo”».
Come si è sentito? 
«Sono rimasto impietrito Non avrei mai creduto che nel 2019 in Italia si potesse usare in una pubblica piazza la parola ebreo come un insulto. A questo siamo ridotti».
L’Italia sta diventando più razzista? 
«Certo. Pur avendo chiaro che oggi le vittime principali non sono gli ebrei ma i neri, i rom e i musulmani, vedo che è tornata una chiave di interpretazione tipica del razzismo. E cioè quella dell’ebreo come burattinaio, anche dell’immigrazione. Devono dimostrare che esiste un piano delirante di sostituzione etnica, con il trapianto di popolazioni e dicono che a muoverlo sono finanzieri ebrei. Sui social ricevo offese come non mi era mai capitato. Torna l’argomento cospirazionista. Mi danno di burattinaio ricco ebreo, giudeo bolscevico, servo di Soros».
________________________________________________________________________
intervista a Gad Lerner a cura di Michele Bocci in “la Repubblica” del 24 marzo 2019

sabato 9 marzo 2019

"LETTERA A UN RAZZISTA DEL TERZO MILLENNIO", in libreria il nuovo libro di don Luigi Ciotti

«Il tempo che viviamo è segnato da una dittatura dell’effimero, da un eterno presente in cui tutto accade senza lasciare traccia. Conta l’emozione, il clamore, la polemica del momento, ma poi tutto finisce lì, soppiantato da altre emozioni, clamori, polemiche. Calato il polverone dell’emergenza, il passaggio che si offre ai nostri occhi è sempre lo stesso, solo più desolante e trascurato. I tempi sono bui e le prospettive ancor più fosche. Ma non abbandoniamo la speranza, a patto che non sia generica e di maniera».

venerdì 8 marzo 2019

8 MARZO...INVISIBILITÀ DELLA DONNA NELLA CHIESA

 L'odierno contesto culturale è mutato in profondità: è emerso il SOGGETTO FEMMINILE ed è esplosa la CRISI DELL'IDENTITA' MASCHILE”. E' in crisi lo sguardo maschile sulle donne. Il potere sociale, simbolico del clero si è incrinato perchè è venuto a mancare il privilegio, il controllo, l'autorità. Il DISAGIO MASCHILE è evidente. Il ruolo del prete e la legge del celibato vanno inseriti nella più ampia questione della RIFORMA DELLA CHIESA, che significa dare una FORMA NUOVA a strutture che sono mutabili e nel ripensare i ministeri e la distribuzione del potere, dare forma ad una CHIESA INCLUSIVA: un NOI chiesa, fatta di donne e di uomini. E' necessario pertanto, ripensare in profondità al nostro patrimonio tradizionale che ha portato alla legge del celibato e:
RIPENSARE ALLA VISIONE ANTROPOLOGICA: il femminile è cosa buona? Riconosco la donna come persona degna e compagna di cammino?
RIPENSARE LA REALTA' MATRIMONIALE: è cosa buona? Il sesso è buono?
RIPENSARE I MINISTERI IN UNA CHIESA RIFORMATA: il clero è a servizio nella molteplicità degli stati di vita?
RIPENSARE ALL'ESSERE MASCHI E FEMMINE, in una Chiesa inclusiva educando ai sentimenti.
  La sfida riguarda soprattutto il clero chiamato oggi a riflettere su di sé e sul proprio essere maschi; a pensare in forme nuove i concetti di limite, differenza, parzialità ponendo al centro la “Relazione” come dimensione costitutiva del soggetto.
Il clero deve riflettere: su di sé, sui propri sentimenti, sulla incapacità di esprimere affetti, sulle dinamiche della violenza e del sopruso, sulla propria fragilità.
   Il prete si è sempre sentito “al centro” della scena per dirigere, coordinare, guidare, amministrare, governare, controllare e sentirsi importante, riconosciuto, riverito, ossequiato. Ora deve saper uscire dal “centro” per mettersi in “cerchio” come dice con una bella espressione BEPPE PAVAN, (sensibilità maschili), per occupare lo spazio alla pari con gli altri. Deve cioè imparare a cambiare il modo di stare al mondo e stare nelle relazioni in modo rispettoso.
Il nuovo posizionamento dell'uomo (prete) deve partire dal riconoscere la soggettività femminile, e assumendo uno sguardo parziale sul mondo, uscire dalla solitudine vulnerabile del dominio iscritto nel proprio corpo e nei propri desideri.
   Deve uscire dal mito del soggetto auto-fondato che si afferma emancipandosi dai vincoli della relazione o dal proprio corpo e riconoscere la radice relazionale del soggetto.
   Deve infine rifiutare le relazioni asimmetriche (dove la donna è al servizio) e riconoscere le donne e accettarle come compagne di vita e di fede. Questo cammino è indispensabile per ripensare in profondità la legge del celibato e il ruolo della donna nella vita della Chiesa. 
___________________________________________________________________________
Da una riflessione di Adriana Valerio (Laureata in Filosofia (Napoli 1975) e in Teologia (Napoli 1982); ha conseguito la Licenza a Fribourg in Svizzera, è docente di Storia del Cristianesimo e delle Chiese, presso il Dipartimento di Studi umanistici dell'Università  degli Studi di Napoli “Federico II”)

lunedì 4 marzo 2019

ANCHE LA CARITÀ HA COLORE E RAZZA ?


 Una persona lascia una busta con un'offerta per i poveri, accompagnandola con l'invito a darla agli "italiani in primis" e "gli stranieri per ultimi", e il parroco lo invita a riprendersela.    Il fatto è stato rivelato da don Gino Cicutto, a capo della collaborazione pastorale di San Nicolò e San Marco a Mira (Venezia), sul foglio parrocchiale.
    "Quanto era scritto sulla busta - scrive don Cicutto - mi ha profondamente amareggiato e umiliato. Queste parole ripropongono slogan che siamo abituati a sentire, ma non hanno niente a che fare con la fede e la vita cristiana che considera i più poveri tra i primi, senza guardare il colore della pelle o la provenienza", sottolinea.
    Secondo don Gino "la persona che ha scritto queste parole deve interrogarsi seriamente sul suo essere cristiano, e se non è d'accordo su quello che è la vera carità, può passare per la canonica a riprendersi la sua 'offerta'; eventualmente può consegnarla a chi la pensa come lui - conclude - ma non deporla davanti al Signore".
___________________________________________
da Ansa.it

domenica 3 marzo 2019

Sondaggio diffuso alla viglia della Giornata internazionale contro le discriminazioni da Save the Children

Il 61% degli studenti intervistati – emerge dal sondaggio realizzato da SottoSopra con il sostegno dell’Invalsi - ha subìto direttamente situazioni di discriminazione dai propri coetanei. Tra questi, il 19% ha dichiarato di essere stato emarginato ed escluso dal gruppo, mentre il 17% è stato vittima di brutte voci messe in giro sul proprio conto, il 16% deriso e 1 su 10 ha subito furti, minacce o pestaggi. Tra chi ha subito discriminazioni, il 32% ha scelto di rivolgersi ai genitori, un altro 32% ha preferito parlarne agli amici, mentre un significativo 31% non si è rivolto a nessuno. Da sottolineare come solo 1 intervistato su 20 abbia scelto di rivolgersi agli insegnanti: un dato che assume ancor più peso se pensiamo che proprio la scuola si configura, secondo i risultati dell’indagine, come il luogo principale (45% dei casi) dove gli studenti assistono a discriminazioni nei confronti dei loro compagni di pari età, seguita dal contesto della strada (30%) e dai social (21%).
A giocare un ruolo decisivo nelle discriminazioni che i giovani subiscono – sostengono gli intervistati nelle loro risposte – sono soprattutto le etichette e gli stereotipi che ad essi vengono affibbiati. Tra gli studenti che hanno dichiarato di essere stati testimoni di un comportamento discriminatorio verso un loro coetaneo – quasi il 90% degli intervistati - il 16% ha detto che la vittima era tale perché omosessuale o giudicata grassa, in più di 1 caso su 10 perché di genere femminile, mentre nel 9% dei casi si è trattato di una discriminazione dovuta al colore della pelle, nell’8,5% a una condizione di povertà economica e nel 7% perché la vittima era disabile.
I ragazzi intervistati hanno anche stilato una scala precisa di quelle che, per loro, sono le categorie di persone che nella loro vita rischiano maggiormente di essere discriminate per via dell’etichetta che viene loro associata, relativamente all’orientamento sessuale, all’aspetto fisico, alla disabilità, alla religione o alla provenienza. In cima, nello specifico, tra coloro che corrono il rischio di subire comportamenti discriminatori, per l’88% degli studenti, sono le persone omosessuali, seguite da persone di origine rom e persone grasse (entrambi all’85%), persone di colore (82%), di religione islamica (76%), poveri (71%), persone con disabilità (67%), arabi (67%), asiatici ed ebrei (53% per entrambi).
Dall’indagine, infine, emerge come sia complesso combattere gli stereotipi proprio perché sono difficili da stanare e perché, alle volte, si tende a giustificare o sminuire le proprie azioni o quelle commesse da altri. Quasi il 13% dei ragazzi intervistati, infatti, ha risposto che “picchiare i compagni di classe odiosi significa solo dargli una lezione”, quasi 1 su 5 pensa che “ai ragazzi non importa essere presi in giro perché è un segno di interesse” mentre quasi 1 su 3 ritiene “giusto maltrattare qualcuno che si è comportato come un verme”. 

Lettori fissi

Archivio blog