giovedì 30 giugno 2022

RIPARTE LO SCONTRO CHIESA-POLITICA ... ATTENZIONE ALLE PAROLE!

Alla fine il vescovo uscente ha voluto averla vinta, e nel modo più facile. Mons. Giuseppe Zenti, alla guida della diocesi di Verona dal 2007, già dimissionario dal marzo scorso per raggiunti limiti di età, ha silurato il teologo e insegnante di religione Marco Campedelli, che la settimana scorsa, alla vigilia del secondo turno delle elezioni per il sindaco della città, aveva risposto con franchezza e “parresia” alle indicazioni di voto per i preti diocesani espresse dallo stesso Zenti in un messaggio a loro rivolto con il pretesto di ricordare la scomparsa di p. Flavio Carraro, suo predecessore alla guida della diocesi.

Alla vigilia del ballottaggio fra i due candidati sindaco – Damiano Tommasi per il centro sinistra e Federico Sboarina sostenuto dalla destra –, il vescovo era infatti intervenuto per suggerire ai preti un “modus votandi”  da trasmettere a loro volta ai fedeli, riproponendo così l’idea di una Chiesa clericale che, tramite i pastori, guiderebbe, in questo caso verso i pascoli di “destra”, il “gregge” dei fedeli laici, non ritenuti evidentemente capaci di pensiero autonomo. Una abitudine inveterata, questa di Zenti, che già nel 2015 aveva sostenuto esplicitamente con nome e cognome, in una lettera ai professori di religione, Monica Lavarini, candidata nella lista civica vicina al presidente uscente Luca Zaia per le elezioni regionali in Veneto e iscritta alla Lega Nord di Matteo Salvini.

Qualche giorno dopo la diffusione della lettera di Zenti, Marco Campedelli rispondeva al vescovo con una lettera aperta e rapidamente diventata virale, che faceva riferimento al libero pensiero e intendeva provocare un dialogo, un confronto, un «intelligente e responsabile dissenso», con tante domande poste al vescovo uscente: «Oggi nel 2022, c’è bisogno che il prete dica ancora alla gente che cosa votare? Siamo sicuri che i laici e le laiche circa la vita, con la sua concretezza, siano meno esperti dei preti (che circa la vita in realtà sono sempre un po’ in ritardo)? Perché il vescovo Zenti su certi temi nella lettera è cosi preciso e dettagliato: parla di “gender” “suola cattolica” e su altri è cosi generico come “accoglienza dello straniero”. Perché allora in questo caso non parlare di “ius soli” o di "ius culturae”? Perché il vescovo Zenti ha messo cosi tanto zelo nel voler ostacolare e chiudere esperienze in città e in provincia particolarmente attente al dialogo con le diversità?». Il riferimento è a San Nicolò all’Arena  - dove Campedelli è stato per 18 anni  - e Marcellise.  «Si dice che la Chiesa non sia una democrazia. E questo sarebbe un motivo sufficiente per non esprimere il proprio dissenso? Per cercare di aprire nuovi cammini? I preti devono sempre obbedire? E cosa significa obbedire?». Campedelli accennava anche al caso degli abusi sessuali perpetrati da membri del clero nell'Istituto per sordomuti Provolo, che «ha fatto il giro del mondo. Come è stato trattato a Verona? Come lo ha trattato il vescovo Zenti?». Una presa di posizione franca, laica, trasparente, critica, una rivendicazione dell'adultità e dell'autonomia di pensiero del popolo cattolico, che ha intercettato e interpretato un disagio dei giovani e della gente in generale rispetto a una Chiesa che esprime potere, di contro al vangelo inteso come "bene comune" non escludente, come "bellezza morale" di pasoliniana memoria, nella convinzione che la teologia possa esercitare una istanza critica anche nei confronti dell’autorità costituita.

Alla fine il ballottaggio l'ha vinto Tommasi. La città di Romeo e Giulietta avrà un sindaco cattolico, ma di centrosinistra. E il vescovo, in procinto di lasciare la diocesi – pare che il suo successore stia per essere nominato nei prossimi giorni – ha deciso di sferrare la sua zampata con un atto che ha tutto il sapore amaro della ripicca da parte di un superiore il cui potere istituzionale è in fase crepuscolare: licenziare Marco Campedelli dal suo incarico di insegnante di religione presso il liceo Scipione Maffei della città. Un incarico che portava avanti da ben 22 anni, fulcro della sua vita professionale, e al quale teneva molto, sotto il profilo umano e pedagogico; un lavoro portato avanti sotto la stella polare di don Milani, improntato alla formazione di una coscienza critica in nome della "responsabilità culturale dello studente", come la definì il teologo, di origine veronese, Romano Guardini. Una misura che evidenzia una delle disfunzioni nel rapporto Chiesa-Stato nel nostro Paese, ossia la possibilità per un vescovo di togliere il lavoro - un lavoro che è un servizio allo Stato -  in maniera del tutto discrezionale. Sembra di essere ripiombati negli anni '70, al tempo delle censure ecclesiastiche su dom Giovanni Franzoni che difendeva la libertà di coscienza e di voto politico.

Ludovia Eugenio

mercoledì 15 giugno 2022

OGNI VITA E' IMPORTANTE!

Nei giorni scorsi i telegiornali hanno mostrato il video di Fabio Ridolfi che ha scelto di porre fine alle sue sofferenze tramite la sedazione profonda e continua prevista dalla legge sul fine vita. Poi è arrivata la notizia che la sedazione profonda era stata avviata e in seguito è arrivata la notizia della sua morte.

Il 46enne marchigiano immobilizzato a letto da 18 anni a causa di una tetraparesi aveva scritto: «Da due mesi la mia sofferenza è stata riconosciuta come insopportabile. Ho tutte le condizioni per essere aiutato a morire. Ma lo Stato mi ignora. A questo punto scelgo la sedazione profonda e continua anche se prolunga lo strazio per chi mi vuole bene». Parole che suonano prima di tutto come un drammatico atto di accusa per una società che non è stata in grado di prendersi cura di lui, di tanti altri malati lungodegenti per cui ogni giorno rischia di diventare un peso intollerabile e la morte l’unica via d’uscita e di quanti spendono la loro vita quotidiana a fianco di queste "persone".

Molto toccante la riflessione dell’arcivescovo di Pesaro, Sandro Salvucci, sulla vicenda di Fabio Ridolfi: «Perché dietro ad ogni richiesta di suicidio o di eutanasia, non vi è la conquista di diritti civili, ma la sconfitta di una società che non riesce più a cercare quel “bene che ci accomuna”, divenendo così sempre più incapace a star vicino alle persone e a trasmettere un senso anche in una situazione di difficoltà come quella di un malato che non può muoversi. Ogni vita umana ha un senso. Tuttavia, se manca questo rapporto intimo, di compassione, di amicizia inevitabilmente la vita è difficile da comprendere e le persone possono arrivare a voler morire. Si tratta di continuare a sussurrare al suo cuore: “Tu sei per me importante: la tua vita vale!”».

sabato 11 giugno 2022

Presidente Pax Christi: la Chiesa condanna le armi, che non portano pace ma morte e povertà

«La corsa agli armamenti anche quando è dettata da una preoccupazione di legittima difesa… costituisce in realtà un furto, perché i capitali astronomici destinati alla fabbricazione e alle scorte delle armi costituiscono una vera distorsione dei fondi da parte dei gerenti delle grandi nazioni o dei blocchi meglio favoriti. La contraddizione manifesta tra lo spreco della sovrapproduzione delle attrezzature militari e la somma dei bisogni vitali non soddisfatti (Paesi in via di sviluppo, emarginati e poveri delle società abbienti) costituisce già un’aggressione verso quelli che ne sono vittime. Aggressione che si fa crimine: gli armamenti, anche se non messi in opera, con il loro alto costo uccidono i poveri, facendoli morire di fame».

Ho voluto iniziare questa mia riflessione citando un documento del 3 giugno 1976: La Santa Sede e il disarmo generale. Sono passati 46 anni, ma è ancora un testo di grande attualità. Per tutti. Per i credenti, a cominciare da noi pastori, e per tutte le donne e gli uomini che vogliono la pace. Sono parole nette, chiare e taglienti: aggressione che si fa crimine. Condanna che si riallaccia a tutta la tradizione del Magistero della Chiesa. Penso a papa Benedetto XV che nel 1917 definì la guerra che era in corso una «inutile strage». E penso anche ai numerosissimi interventi di papa Francesco, ad esempio il 24 marzo scorso: «Io mi sono vergognato quando ho letto che non so, un gruppo di Stati si sono compromessi a spendere il due per cento, credo, o il due per mille del Pil nell’acquisto di armi, come risposta a questo che sta adesso… la pazzia, eh? La vera risposta, come ho detto, non sono altre armi, altre sanzioni, altre alleanze politico-militari, ma un’altra impostazione, un modo diverso di governare il mondo, non facendo vedere i denti, come adesso, no?, un mondo ormai globalizzato, un modo diverso di impostare le relazioni internazionali». E quante volte parlando della guerra Francesco ha usato parole come: ripugnante, disumana, barbara, sacrilega. La corsa agli armamenti e le spese militari portano alla strage folle della guerra.

Secondo dati autorevoli del Sipri, nel 2021 la spesa militare nel mondo ha raggiunto la cifra di 2.113 miliardi di dollari. Non ci sono parole! È davvero una follia! E qui in Italia il Parlamento ha approvato a larghissima maggioranza, solo 19 contrari, un ordine del giorno che impegna il Governo ad avviare l’incremento delle spese per la Difesa verso il traguardo del 2% del Pil. Che vuol dire passare dagli attuali 68 milioni di euro al giorno a circa 104 milioni di euro al giorno: 36 miliardi annui! E tutto sullo scenario orrendo della guerra in Ucraina, che diventa quasi occasione di stimolo a investire ancor di più in armi. Altro che pace! E, infatti, sentiamo risuonare sempre di più, per bocca di politici e commentatori vari, la tetra e sanguinosa frase degli antichi «Si vis pacem, para bellum». Sì, davvero stiamo preparando nuove guerre. Forse vogliamo andare verso la Terza guerra mondiale? Anche con le bombe atomiche, presenti sul territorio italiano a Ghedi e Aviano?

E non ci vuole grande intelligenza per capire che tutti questi soldi investiti per le armi vengono inevitabilmente sottratti ad altre esigenze fondamentali per la comunità: sanità, scuola, lavoro, ambiente ecc. Ora addirittura abbiamo sentito la proposta di togliere l’Iva alle armi. Siamo travolti sia a livello nazionale che a livello mondiale da un’economia sempre più armata. Dove i poveri diventano sempre più poveri e i ricchi sempre più ricchi. Ce lo ricordava già Paolo VI nella Populorum progressio del 1967 al n. 53: «Quando tanti popoli hanno fame ogni estenuante corsa agli armamenti diviene uno scandalo intollerabile. Noi abbiamo il dovere di denunciarlo. Vogliano i responsabili ascoltarci prima che sia troppo tardi».

Purtroppo i politici sanno “girare bene la frittata” e arrivano anche a dire – come il Sottosegretario alla Difesa Giorgio Mulè (un anno fa circa, a proposito degli aerei caccia F-35 dal costo di circa 150 milioni di euro l’uno): «Gli F-35 possono anche essere sistemi di difesa e utilizzati a scopi civili». Come si può dire questo? Giustificare una spesa così folle mascherata con improbabili e impossibili usi civili? Certo siamo chiamati a testimoniare la speranza, e la pace è più forte della guerra. Penso, ad esempio, anche con l’adesione alla campagna banchearmate.org, che invita a scrivere alla propria banca, chiedendo se è coinvolta nel traffico di armi. E, in caso affermativo, arrivare anche a chiudere il proprio conto presso quell’Istituto bancario.

Sono giorni di dolore e di pianto. Un pianto che ci chiede di denunciare i grandi interessi… come affermava papa Francesco a Redipuglia il 13 settembre 2014: «Anche oggi le vittime sono tante Come è possibile questo? È possibile perché anche oggi dietro le quinte ci sono interessi, piani geopolitici, avidità di denaro e di potere, c’è l’industria delle armi, che sembra essere tanto importante!». Siamo invitati a non tacere, a «obbedire a Dio invece che agli uomini» (At 5).

Credo sia un imperativo morale per tutta la Chiesa: rendere ragione della speranza che è in noi. Come ci ricordava don Tonino Bello, ora venerabile, già presidente di Pax Christi, all’Arena di Verona il 30 aprile 1989: «Se non abbiamo la forza di dire che le armi non solo non si devono vendere ma neppure costruire, che la nonviolenza attiva è criterio di prassi cristiana, che certe forme di obiezione sono segno di un amore più grande per la città terrena se non abbiamo la forza di dire tutto questo, rimarremo lucignoli fumiganti invece che essere ceri pasquali».

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Pubblicato su Vita Pastorale di giugno: Giovanni Ricchiuti (Pax Christi)

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