giovedì 27 giugno 2019

MESSAGGIO IN CODICE: N-O-N--V-O-L-U-T-I-!

La foto di Oscar e di sua figlia, morti avvinghiati in un inutile ultimo respiro nelle acque del Rio Grande, al confine tra il nord e il sud, tra la prosperità e la miseria, è la metafora di un desiderio sacrificato sull’altare del rifiuto, della rabbia e della stanchezza di questa umanità: il desiderio di cercare una vita migliore per sé e per i propri figli. Nel loro mutismo, quei due pezzi di carne gridano una parola: perché?
Perché abbiamo smarrito attenzione, compassione e umiltà? Forse perché abbiamo dimenticato di essere fragili come quella parte di noi stessi che non vogliamo e rifiutiamo. Se solo prendessimo coscienza di quanto siamo deboli, forse ricominceremmo a prenderci cura l’uno dell’altro.
Tuttavia, non mi sento di condannare, ma di comprendere. Perché altrimenti cadrei anche io nella stessa logica di rifiuto di chi non la pensa come me: è facile puntare il dito sugli altri, più difficile è capire le loro ragioni, camminare nelle loro scarpe, gioire per i loro successi e piangere le loro lacrime.
E allora anche io voglio iniziare oggi a non rifiutare quella parte di me che non vorrei, voglio iniziare a ospitare anche le mie paure e i mie fantasmi.
Sono pronto ad accoglierli, se me lo chiederanno, ad andare a prendere quei pezzi di carne, morti a terra o sbattuti dalle onde. Aveva ragione David Maria Turoldo:
“La terra è una nave sulla quale siamo imbarcati tutti, magari c’è chi viaggia in prima classe, chi in seconda e chi nella stiva, e sarà opportuno fare in modo che tutti viaggino bene, ma non possiamo permettere che affondi, perché non ci sarà un’altra Arca di Noè che ci salverà”.
È vero, condividiamo tutti la stessa barca: un’imbarcazione malconcia che naviga verso un porto malsicuro, come la nave Sea Watch in rotta verso Lampedusa con il suo carico di sofferenza, come tutti i relitti di una solidarietà europea naufragata in questo ping-pong di responsabilità tra Unione e Italia.
L’acqua è la migliore illusione e la peggior nemica di chi spera in un nuovo mondo.
Oggi più che mai, penso che le parole siano inutili: sento solo di raccogliermi in silenzio in preghiera sulla tomba di San Francesco, cercando di far sgorgare dagli occhi le gocce d’acqua che rendano fertile il terreno di ogni vita.
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Padre Enzo FortunatoDirettore sala stampa Sacro Convento di Assisi

venerdì 21 giugno 2019

A COSA SERVONO CHIUSURE E FILI SPINATI?

C' è chi chiacchiera e chi passa alla realtà dei numeri. Come quelli resi pubblici dall’Alto commissariato delle nazioni unite per i rifugiati (Unhcr) nel rapporto Global Trends 2018. Le persone in fuga sono 70,8 milioni (stima per difetto): il doppio di 20 anni fa e 2,3 milioni in più rispetto ai dodici mesi precedenti. «La situazione non vede alcuna inversione di tendenza – spiega Carlotta Sami, portavoce Unhcr per il Sud Europa – È la dimostrazione che le politiche globali basate su esclusione e odio, tradotti in muri e fili spinati, non funzionano».
PUNTO UNO: la maggioranza delle persone in fuga rimangono all’interno del loro paese, senza varcare alcuna frontiera internazionale. Sono i 41,3 milioni di sfollati interni, il 58,57% del totale. Si tratta del gruppo principale che compone la cifra di 70,8 milioni. Gli altri due sono i richiedenti asilo e i rifugiati veri e propri. Durante lo scorso anno le persone in attesa dell’esito della domanda d’asilo erano 3,5 milioni, mentre quelle che hanno avuto responso positivo 25,9 milioni.
PUNTO DUE: le destinazioni principali di chi è costretto a lasciare la propria casa sono gli stati confinanti. Quattro su cinque vivono in paesi adiacenti a quello di origine. Così gli stati che occupano le prime tre posizioni della classifica per numero di rifugiati in termini assoluti (Turchia 3,7 milioni; Pakistan 1,4 milioni; Uganda 1,2 milioni) confinano con i primi tre da cui le persone scappano (Siria 6,7 milioni; Afghanistan 2,7 milioni; Sud Sudan 2,3 milioni). 
PUNTO TRE: la direttrice migratoria principale è da paesi poveri a paesi poveri, nell’83% dei casi. In media gli stati ad alto reddito accolgono 2,7 persone ogni mille abitanti, quelli a reddito medio o medio-basso più del doppio, 5,8. Lo scorso anno solo il 16% dei rifugiati sono stati accolti in paesi di regioni sviluppate. 
PUNTO QUATTRO: i minori rappresentano il 50% del totale delle persone in fuga. Nel 2018, almeno 138 mila tra loro vivevano soli o senza famiglia. 
SE RESTANO completamente assenti dall’orizzonte politico globale strategie strutturali per cambiare di segno al drammatico fenomeno della fuga delle persone, anche gli interventi per trovare soluzioni a chi è costretto ad abbandonare il luogo di origine incontrano ostacoli e difficoltà. Questi interventi sono di tre tipi: rientro volontario, integrazione nella comunità di accoglienza o reinsediamento in un paese terzo. Nel 2018 poco meno di 594 mila rifugiati sono tornati a casa, solo 92 mila e 400 sono stati reinsediati (meno del 7% di quelli in attesa), mentre 62 mila e 600 hanno acquisito una nuova cittadinanza. 
IN QUESTO QUADRO fosco le uniche tinte positive vengono da un sempre maggiore impegno della società civile e di nuovi attori. «Dobbiamo ripartire da questi esempi ed esprimere solidarietà ancora maggiore nei confronti delle diverse migliaia di persone innocenti costrette ogni giorno ad abbandonare le proprie case», ha dichiarato Filippo Grandi, Alto commissario delle nazioni unite per i rifugiati.

lunedì 17 giugno 2019

IL MIRACOLO DI JOSE'

Ha solo tredici anni ma possiede un talento da businessman di lungo corso: sa trasformare i rifiuti in denaro. E insegna ai ragazzini peruviani a seguirlo in questa avventura. José Adolfo Quisocala Condori aveva appena sette anni quando decise di aprire una «banca», il Banco Cooperativo del Estudiante Barselana, per aiutare i suoi coetanei della città di Arequipa a far soldi. L’idea è semplice e molto intelligente al contempo. I bambini portano alla sua banca i rifiuti che trovano a casa o in giro e in cambio ricevono un corrispettivo in denaro, che viene accreditato sul loro conto. Conto cui possono accedere soltanto loro, e non i genitori. Dove recupera quei soldi José? Grazie agli accordi sottoscritti con diverse aziende locali di riciclo, che offrono alla banca un prezzo più alto di quello che di norma viene pagato a chi conferisce rifiuti riciclabili. Non è però un affare in perdita, o pura beneficenza: in questo modo, infatti, ad Arequipa è aumentato notevolmente il tasso di raccolta e quindi anche il giro di affari delle stesse riciclerie mentre i bambini, spesso provenienti da famiglie e quartieri estremamente poveri, riescono a risparmiare qualcosa per il proprio futuro. Non solo. La banca di José, che oggi conta più di 2000 «correntisti», offre loro anche corsi gratuiti di educazione finanziaria, imprenditorialità e gestione ambientale.

José racconta di aver iniziato con soli 15 dollari e 20 «correntisti». Il suo obbiettivo oggi è di raggiungere almeno 20mila persone. La spinta per aprire il suo originale istituto di credito gli è venuta vedendo molti suoi compagni arrivare a lezione con lo stomaco vuoto. Oppure, ancor peggio, osservando i ragazzini di strada che a scuola neppure ci andavano. «Bambini che vivono in miseria, vendendo caramelle ai semafori, chiedendo la carità... ». E i cestini erano pieni di carta e plastica che finiva nell’indifferenziata.

«Il conto di risparmio viene aperto con un contributo iniziale di 6 chili di rifiuti, che equivalgono a 0,30 centesimi» spiega il giovanissimo bancario. «Siamo il primo Banco Cooperativo per ragazzi, ragazze, giovani e donne, un luogo di “alfabetizzazione economica” con la nostra Scuola di educazione finanziaria e manageriale. Il nostro obiettivo è quello di sradicare la povertà attraverso la cultura del risparmio e dell’imprenditorialità, rendendo accessibile il sistema finanziario al fine di risolvere quelle difficoltà che portano a problemi sociali nella nostra comunità». Parole da adulto...
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Estratto da Corriere.it

domenica 2 giugno 2019

DOVE VA LA CHIESA?

"Oggi dobbiamo essere consapevoli che la Chiesa ha iniziato un esodo del quale per ora non si intravede la terra di arrivo. Camminiamo in un faticoso e accidentato deserto, nella calma del giorno e nell'oscurità della notte. A volte ci pare di essere una carovana che procede incerta, mentre molti di quanti la compongono la lasciano o addirittura la fuggono, come accadde per la comunità di Gesù nei giorni della sua uccisione ignominiosa. Che cosa ci resta da fare come assoluto necessario? Nel cuore di chi aderisce al Vangelo e tenta di restare discepolo di Gesù, c'è una sola risposta: celebrare e vivere l'eucaristia. Al cuore della nostra crisi ecclesiale, l'atto che rifonda costantemente la Chiesa come comunità del Signore Gesù e che le dà vita, è l'eucaristia. Gesù Cristo è con noi, noi entriamo in comunione con lui e viviamo della sua stessa vita, noi cadiamo e ci alziamo, cadiamo ancora e ci alziamo ancora. È il mistero della risurrezione!"
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Estratto di Enzo Bianchi in “Vita Pastorale” del giugno 2019

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