martedì 31 gennaio 2017

PREGHIERA

Dio nostro, noi riconosciamo
che troppo spesso non l'amore di
Cristo ci possiede e ci guida ma
altre forze governano la nostra
vita. Siamo bisognosi del tuo 
perdono. Aiutaci ad accogliere a
mani vuote il tuo amore così che
esso muova la nostra vita e la
faccia rifiorire. Donaci una fede
salda che ci aiuti a riconoscerci
tutti come tuoi figli e figlie ogni
giorno bisognosi di perdono e
ogni giorno riconoscenti della
tua grazia. Benedicici, Signore,
insieme al mondo che non hai mai
cessato di amare.
Amen.
(da "Riforma.it")

I VESCOVI CONTRO TRUMP

I vescovi americani si ribellano al bando anti-islamici di Donald Trump che vieta l’ingresso negli Stati Uniti per quanti arrivano da 7 Paesi a maggioranza islamica. «Il mondo ci guarda mentre abbandoniamo il nostro impegno verso i valori americani», denuncia il cardinale di Chicago, Blaise Cupich. Il porporato intravede in quest’operazione discriminatoria «un’ora buia nella storia dell’America». Indigeste anche le eccezioni riservate ai cristiani e ad altre minoranze religiose del Medio Oriente, senza contare, continua Cupich, che la decisione di non inserire nel bando i Paesi di origine di 15 dirottatori responsabili della tragedia dell’11 settembre è alquanto strana mentre ha come obiettivo gli iracheni, «perfino quanti hanno assistito le nostre forze armate in una guerra distruttiva». Quella costruita dagli Usa è una «trappola», sintetizza Louis Raphael I Sako, Primate della Chiesa cattolica orientale a cui appartiene la maggioranza dei cristiani iracheni. «Queste scelte discriminanti - chiarisce - creano e alimentano tensioni con i nostri concittadini musulmani. I sofferenti che chiedono aiuto non hanno bisogno di essere divisi in base a etichette religiose. E noi non vogliamo privilegi. Ce lo insegna il Vangelo e lo ha mostrato anche papa Francesco, che ha accolto a Roma rifugiati fuggiti dal Medio Oriente sia cristiani che musulmani, senza distinzioni». L’ordine di Trump, a cui si lavorava da mesi - come ha rivelato ieri il Wall Street Journal - ha però anche (pochi) supporter: tra questi, il reverendo Franklin Graham, figlio del predicatore Billy Graham, un evangelico che da tempo denuncia «il cancro» dell’Islam e prima ancora di Trump aveva proposto il bando dei musulmani alle frontiere: «Dobbiamo essere sicuri - ha spiegato, difendendo le misure ordinate dalla Casa Bianca - che le loro filosofie in materia di libertà siano in linea con le nostre». Un modo di pensare, questo, che non aiuta a superare la paura, anzi. «Queste azioni - è il monito di Cupich - danno conforto a coloro che vorrebbero distruggere il nostro modo di vivere. Abbassano la nostra stima agli occhi di molti popoli che conoscono l’America come un difensore dei diritti umani e della libertà religiosa, non una nazione che ha come bersaglio le popolazioni religiose e poi chiude loro la porta in faccia. È tempo di unirsi per recuperare il senso di chi siamo e cosa rappresentiamo in un mondo che ha disperato bisogno di speranza e di solidarietà». 
Estratto da “Trentino” del 31 gennaio 2017

UNA NUOVA MA VECCHIA MALATTIA DELL'UOMO

A ben guardare l'inizio della presidenza Trump non è stata molto promettente. In fondo ci troviamo di fronte all'ennesima affermazione di una destra ultranazionalista e xenofoba che da alcuni anni sta montando nei maggiori paesi europei e che punta alla decisa avversione per il popolo dei migranti.
Si pensi al successo di Farage nel referendum per la Brexit, o al crescente consenso di Marine Le Pen in Francia, di Geert Wilders in Olanda e di altri nazionalisti e xenofobi in vari paesi europei.
Purtroppo stiamo assistendo al dilagare di una vera e propria malattia, che però colpisce solo i ceti più deboli. Si era presentata già con un deciso ed evidente peggioramento delle condizioni di lavoro e di conseguenza della vita stessa. In seguito si era ulteriormente espansa negli inganni sulle cause della crisi, sull'illusoria possibilità di una futuribile ricrescita e nel malcontento strumentalizzato dai diretti responsabili. Ed è qui che il problema esplode. Quando non s’intravvedono sbocchi possibili per un futuro migliore, i ceti più deboli ed esposti sul piano inclinato del peggioramento vedono nello status di chi è più vicino e più in basso la minaccia di una condizione in cui è possibile scivolare. E’ in queste situazioni che monta l’avversione verso tutto ciò che è esterno, avvertito come pericoloso.
A questo punto s’apre una biforcazione.
Da un lato è possibile ed anzi probabile che cresca il consenso verso chi alimenta false paure e fa leva su istinti di autodifesa. La prospettiva è quella di una chiusura crescente in false identità di nazione, razza, “civiltà”. L’esperienza storica c’insegna che una società chiusa non ha futuro ed è destinata alla fine.
L’alternativa è andare controcorrente e lottare vigorosamente per un’organizzazione sociale aperta alle trasformazioni. Dobbiamo prendere coscienza che questa enorme migrazione a cui siamo di fronte non è arrestabile ed è destinata ad incidere profondamente sugli equilibri demografici, sui rapporti sociali, gli assetti politici e i modelli di cultura dei paesi. Essa deve costituire il punto di partenza di un approccio diverso al fenomeno. E' arrivato il momento di far valere una delle verità basilari dell'esperienza umana. E' arrivato il momento di riaffermare che i diritti fondamentali di uguaglianza e libertà, di aspirazione alla costruzione di una vita migliore non possono riguardare solo alcune popolazioni. Quei diritti valgono per tutto il popolo-mondo o mancano del fondamento della loro universalità.

venerdì 27 gennaio 2017

GIORNATA DELLA MEMORIA : GRATITUDINE E FUTURO !

Ormai è una tradizione che non può più mancare nel nostro orizzonte di uomini e donne, perché il  27 GENNAIO è la GIORNATA DELLA MEMORIA. Una memoria che non può andar perduta, perché perduto sarebbe il nostro senso umano, il nostro essere uomini e donne. Finalmente abbiamo in parte superato il momento della sola celebrazione ufficiale per dare spazio ad un'opportuna argomentazione complessiva partendo da una seria e fondamentale attenzione agli studenti, di ogni ordine e scuola.
Ciò che vorrei anche sottolineare è la prospettiva futura per almeno due ragioni. 
La prima attiene un senso di gratitudine. Molte volte il sacrificio di sei milioni di Ebrei non è parso significativo rispetto agli eventi di una crescita di civiltà e soprattutto di convivenza pacifica; più spesso si è sottolineato l’apporto della Resistenza che certamente è stato rilevante. Eppure non ci possono essere dubbi che i massacri devastanti della seconda guerra mondiale hanno finito per determinare in Europa un periodo pluridecennale di pace tra le sue nazioni: tanto basterebbe per un
grazie alle vittime. 
La seconda è veramente di prospettiva perché riguarda la necessità che si guardi avanti, che gli egoismi nazionali e le programmazioni degli euroscettici non intralcino il cammino della federazione europea; e su questo obiettivo la strada è lunga e contestata. C’è però da considerare che l’unione europea si spera che possa determinare un contributo essenziale perché ciò che è testimoniato con verità non sia mai più ritenuto incredibile e rimanga impresso nel cuore e nella mente di ogni cittadino europeo.

L'INCREDIBILE ORRORE

Una testimonianza, tra le moltissime altre, prova, oltre ogni ragionevole dubbio, che non solo le Chiese cristiane, come spesso si vorrebbe, ma tutto l’Occidente “civile” sapeva già dal 1942 e forse anche prima, dello sterminio sistematico degli Ebrei d’Europa, perpetrato da Hitler e dalla Germania nazista. Si tratta di una denuncia inquietante anche e soprattutto per l’oggi ed il futuro; viene riportata dal testo “La mia testimonianza davanti al mondo” di Jan Karski, redatto nei primi anni novanta del secolo scorso, ma tradotto in italiano solo nel 2013. Karski non era Ebreo, non fu mai deportato, ma, convinto e tenace oppositore del nazismo, era riuscito ad entrare clandestinamente, prima nel ghetto di Varsavia e poi nel campo di sterminio di Belzec. Inoltre aveva raccolto indicazioni di conferma, a quanto già sapeva, da alcuni Ebrei fuggiti da Auschwitz. Sfuggito alle ricerche della Gestapo, nel 1943 riuscì a contattare il governo inglese, ma quando parlò con lo stesso Churchill e lo pregò di intervenire anche con un eventuale bombardamento di Auschwitz, si sentì rispondere che il problema ebraico non era nelle finalità strategiche degli alleati, i quali, se avevano una priorità era quella di vincere la guerra. Vinta la guerra anche gli Ebrei sarebbero stati liberati: di semplice conseguenza, non per diretta priorità. Karski non si scoraggia ed il 28 luglio 1943 incontra il Presidente degli USA, Roosevelt, il quale lo ascolta attentamente e lo interroga ripetutamente sulle notizie di una sterminio inedito che l’interlocutore gli propone. Questi però la vera risposta la ottiene da un giudice della corte federale, il giorno dopo, “Complimenti, ma non posso credervi”. Alle inevitabili, successive rimostranze di alcuni presenti, precisa, “Non ho detto che questo giovanotto stia mentendo. Ho detto che non posso credergli. C’è una differenza.”

L’inquietudine è la conseguenza di questa differenza. Ci sono eventi epocali, devastanti che sono tanto lontani dalla ragionevole logica umana da essere incredibili, benché assolutamente veri.

Joyce Lussu

C’è un paio di scarpette rosse
numero ventiquattro
quasi nuove:
sulla suola interna si vede
ancora la marca di fabbrica
Schulze Monaco
c’è un paio di scarpette rosse
in cima a un mucchio
di scarpette infantili
a Buchenwald
più in là c’è un mucchio di riccioli biondi
di ciocche nere e castane
a Buchenwald
servivano a far coperte per i soldati
non si sprecava nulla
e i bimbi li spogliavano e li radevano
prima di spingerli nelle camere a gas
c’è un paio di scarpette rosse
di scarpette rosse per la domenica
a Buchenwald
erano di un bimbo di tre anni
forse di tre anni e mezzo
chi sa di che colore erano gli occhi
bruciati nei forni
ma il suo pianto
lo possiamo immaginare
si sa come piangono i bambini
anche i suoi piedini
li possiamo immaginare
scarpa numero ventiquattro
per l’eternità
perché i piedini dei bambini morti
non crescono
c’è un paio di scarpette rosse
a Buchenwald
quasi nuove
perché i piedini dei bambini morti
non consumano le suole…

giovedì 26 gennaio 2017

IL LIBRO

Miriam, un’elegante signora svedese, ha rivelato la verità dei lager solo a 85 anni, quando, davanti allo stupore dei parenti presenti alla festa del suo compleanno ha gridato la verità che per una vita aveva tenuto nascosta: “Io non mi chiamo Miriam”.
E questo è il titolo del libro di Majgull Axelsson, basato su eventi reali, che racconta la storia di Malika, personaggio di fantasia, che per 70 anni ha custodito il segreto della vera identità, perduta quando, all’età di 16 anni aveva infilato i vestiti di una sua coetanea ebrea morta dentro un vagone che da Auschwitz la portava nel campo di Ravensbrück. Da quel giorno una ragazza rom di 16 anni, cambiò i vestiti e con essi il suo nome e il suo destino.
Perché l’ha fatto? “Potrei dire di averlo fatto – si legge nel libro – solo perché desideravo tanto sopravvivere, ma non è vero. In realtà non volevo vivere. Didi, il mio fratellino, era appena morto e Anuscha lo era da tempo. Però volevo essere un cadavere intatto, non volevo morire fucilata o fustigata o uccisa a calci… Non so perché ma era così. Volevo essere un cadavere intatto“.
Da quel giorno la sua vita da internata cambia. Non è più Malika ma Miriam. Fuori dai campi di concentramento gli ebrei occupavano l’ultimo posto ma dentro esso era preso dagli “zingari”, odiati e detestati da tutti “Ti dirò – racconta Miriam a sua nipote Camilla – I tedeschi erano abominevoli con quelli che avevano il triangolo giallo, disgustosamente abominevoli, ma le prigioniere, comprese le kapò erano peggio nei confronti degli “zingari”, e in fondo era soprattutto con gli altri prigionieri che si aveva a che fare. Così continuai a essere Miriam”.
Dopo la prigionia, la liberazione e il lungo viaggio in Svezia, Miriam si sposa, diventando madre e nonna. Fingendo e continuando sempre a fingere, come la vita nel lager le aveva insegnato a fare. Perché per una rom che teme di essere scoperta tale, non esiste possibilità di fidarsi di qualcuno e l’unica strada è quella di soffocare i ricordi, i desideri, le gioie e i dolori. Non si può essere se stessi se si vuole sopravvivere.
La solitudine di Malika prende forma in un vestito nel quale deve entrare – quello di Miriam – in una maschera che, se vuole continuare a vivere deve fare propria. Ma arriva per tutti loro il giorno in cui la coltre che copre il segreto si squarcia improvvisamente in maniera devastante e incontrollata. E’ il giorno in cui Miriam, distinta anziana, riceve un regalo dai suoi parenti: un bracciale di fattura rom...
La Giornata della Memoria non rappresenta solo il doveroso esercizio di sfogliare una pagina di storia. Essa ci introduce nel dramma di quanti, vittime dell’odio passato – ma anche contemporaneo – vestono maschere e vivono identità diverse come strategie di sopravvivenza, nell’attesa di spazi di accoglienza nei quali svelarsi. 

Horst Hoheisel

Il ricordo è una forma di conflitto
<<La memoria è un processo dinamico e continuo. Racconta molto di noi e del nostro tempo e assai meno della storia in sé. Ciò che mettiamo in atto nei lavori che intraprendono la strada della memoria rischia di essere sbagliato. Non esistono metafore per l’Olocausto. L’unica cosa che possono fare gli artisti è esercitare al minimo l’errore. Ogni epoca, ogni società crea la propria memoria...
Un Memoriale edificato in marmo e bronzo non fa che congelare la possibilità di rievocazione, è come se mettesse una pietra definitiva sul passato. È il rischio che corre il Memoriale dell’Olocausto a Berlino: abbiamo questo grande monumento nel centro della città, quindi possiamo dimenticare quel periodo. Consente di far ripartire, dopo la riunificazione, una nuova era accompagnata da un sentimento nazionale: l’identità di una storia tedesca ininterrotta. Ma dal momento che proprio con l’Olocausto quell'identità tedesca si è spezzata, anche in futuro dobbiamo continuare a convivere con questa «spaccatura»...
Quello che stiamo vivendo è un periodo molto importante. L’Olocausto comincia a entrare nella storia e nei libri scolastici senza più i suoi testimoni. Così, storici e autori di manuali hanno un’enorme responsabilità sulle spalle. Naturalmente, fioriscono interessi e interpretazioni dal proprio punto di vista e a proprio vantaggio. Gli storici non sono mai neutrali!>>

mercoledì 25 gennaio 2017

GIORNATA DELLA MEMORIA

Come ogni anno, la ricorrenza del Giorno della Memoria impone non soltanto di rapportarci con la tremenda realtà di ciò che è stato (di rendere testimonianza alle vittime, di tenere fermo il giudizio morale sui colpevoli, di onorare coloro che lottarono contro la tirannia, di elaborare, custodire e trasmettere un insegnamento per le future generazioni), ma anche con la diversa, problematica realtà dei nostri giorni (che solleva molteplici domande sulla Memoria, sulla sua utilità, i suoi aspetti controversi, i sempre incombenti rischi di banalizzazione, ritualizzazione, svuotamento e inquinamento di significato).  La Memoria del passato va utilizzata come misura etica per il presente? O, così facendo, la si strumentalizza? E, se si vuole ricordare il passato per difendere chi è colpito o minacciato oggi, quali devono essere i soggetti colpiti o in pericolo a cui, specificamente, rivolgere la nostra attenzione? Ma, se si sceglie diversamente, è lecito commemorare le vittime di ieri mostrandosi indifferenti alle sorti di quelle di oggi, o di domani?
Ci sono state due figure, di cui ricorre in questi giorni l'anniversario della morte, che pur nella loro differenza, vanno ricordate in questa giornata per la loro forza comunicativa ed etica: PRIMO LEVI ed ELIE WIESEL.
Primo Levi, uomo di scienza e razionalità, ebreo decisamente assimilato, con uno scarso senso della propria ebraicità (almeno fino all’esperienza dell’internamento) e una debole percezione del fenomeno dell’antisemitismo (al di là di quello nazifascista), ha cercato di interpretare l’accaduto come una sorta di inspiegabile oscuramento della ragione umana, le cui cause la stessa ragione avrebbe chiesto, invano, di poter comprendere. Ma, come egli stesso disse, comprendere è impossibile, e le modalità della sua morte, al di là degli scritti e dei libri lasciati, rappresentano la più eloquente testimonianza di quello che gli dovette apparire come una morte della parola, un fallimento della testimonianza. 
Wiesel, invece, uomo di fede, fortemente legato alla propria identità ebraica, cresciuto in una famiglia di salda religiosità, ben memore delle antiche, infinite sofferenze patite dal suo popolo, colloca “ebraicamente” il problema del senso e della inintellegibilità di Auschwitz all’interno dell’antica domanda di Giobbe, di quel “silenzio di Dio” che, già manifestatosi, tante volte, in passato, è parso ripresentarsi, il secolo scorso, nel più assoluto e definitivo dei modi.
Un'idea, un'esperienza, una rilettura storica differenziata l'uno rispetto all'altro, come se la Shoah fosse un discorso sempre aperto, che cambia di significato da uomo a uomo, di giorno in giorno. Ed è proprio questo il motivo che impone una istituzionalizzazione della Giornata della Memoria, perché in essa il mondo scopre la propria disponibilità all'ascolto e alla comprensione.

martedì 24 gennaio 2017

BRAVO DON GIULIO!!!

 «Le idee, quando sono giuste, meritano di vincere anche qualora fossero in pochi a sostenerle», dice don Giulio Mignani, `pastore´ delle anime di Bonassola, piccolo centro dello Spezzino. «Non prevalga mai la logica che a vincere debba essere sempre il più forte, colui che alza maggiormente la voce. A vincere siano sempre e solo quelle idee di giustizia e civiltà che non devono mai essere calpestate», aggiunge il parroco. «Il giusto riconoscimento delle forme d’amore che possono essere vissute è una battaglia di civiltà». Ancora: «Importante è riconoscere quell’amore profondo e bello vissuto anche dalle coppie omosessuali».

Il RICORDO

<<La riflessione teologica in Italia non può continuare a essere una cosa che interessa solo i preti, anzi, direi una parte piuttosto elitaria dei preti. Dovrebbe invece rientrare a pieno titolo nella comunicazione e nel dibattito pubblico. Parlare di teologia non vuol dire solo occuparsi di Dio e della Chiesa ma anche dell’umano. Vedere come la fede in Dio e il vissuto della Chiesa hanno a che fare con l’esistenza nei suoi aspetti personali ma anche pubblici e sociali. Penso che l’assenza della teologia dalla cultura italiana renda entrambe più povere (Credere, aprile 2016).>>

<<“Irregolari”. Con questo termine intendo quelle persone, soprattutto semplici battezzati, che all’interno della Chiesa cattolica non hanno seguito i cammini definiti e strutturati che interessano soprattutto presbiteri e religiosi, ma che riescono comunque a ritagliarsi con serietà e fatica un proprio ruolo e a costruire una propria autorevolezza. Magari scomoda e non sempre universalmente riconosciuta, ma reale. Sergio Quinzio è un altro nome a cui penso spontaneamente. Il “marrano” De Benedetti è stato sicuramente uno di questi irregolari e la sua refrattarietà a tutte le etichette ne è la palese dimostrazione. L’esistenza di persone così, e di altri che magari non sono mai riusciti a trovare un proprio posto nella Chiesa, pone una questione: lo scarso investimento sulle  vocazioni laicali che – a parte l’accompagnamento al matrimonio e pochi altri momenti – sono lasciate molto a se stesse. Coloro che hanno sensibilità particolari le devono coltivare spesso a livello individuale. Pensiamoci.>>
(CHRISTIAN ALBINI)



Milano : la Memoria sfregiata

“Ero ancora così commossa per la Pietra messa in ricordo di mio padre, che quando sono scesa in strada, sabato mattina, e l’ho vista coperta di vernice nera, mi sono sentita male. Che oltraggio, che vergogna. Non abbiamo nemmeno una tomba per piangerlo, ci negano anche la possibilità di ricordare chi non si può più difendere”. A parlare, Ornella Coen, figlia di Dante, assassinato dai nazisti a Buchenwald il 4 aprile del 1945. In sua memoria, in via Plinio 20, è stata posizionata una delle prime sei Pietre d’inciampo apposte a Milano lo scorso 19 gennaio. Ma il sanpietrino, come racconta Repubblica Milano, è stato imbrattato di nero dalla stupidità di qualcuno. “Abito vicino alla casa di via Plinio 20, dove venne arrestato mio padre – ha raccontato la figlia Ornella Coen -. Sono scesa con mia figlia Laura, abbiamo comprato l’acquaragia, ci siamo inginocchiate sull’asfalto e l’abbiamo ripulita Rimane l’amarezza per l’umanità che ci circonda, dove serpeggiano ancora l’antisemitismo e il negazionismo”. “La memoria viene prima di tutto e Milano non si piegherà mai di fronte a chi vuole cancellare le nostre radici”, ha commentato a caldo il sindaco Giuseppe Sala mentre dalla Comunità ebraica milanese arriva la promessa: “Metteremo ancora più Pietre, perché la memoria va difesa e tenuta alta”. Di gesto gravissimo parla Roberto Cenati, presidente provinciale dell’Anpi Milano.
(su Moked.it)

“#WeRemember, il 27 gennaio noi ricordiamo la tragedia”

Nell’era digitale, la battaglia contro negazionisti, antisemiti e intolleranti deve essere necessariamente portata avanti anche sul web. Da questa convinzione è nata l’iniziativa del World Jewish Congress di lanciare una grande campagna sui social network in occasione del Giorno della Memoria: si chiama “We Remember”, noi ricordiamo, e chiama tutti gli utenti virtuali (e non) a fare un gesto per dimostrare che le vittime della Shoah, dell’orrore della Seconda guerra mondiale, non sono state dimenticate. Per partecipare servono carta e penna (o una stampante) su cui scrivere a caratteri cubitali “We Remember”. Secondo step, farsi una fotografia con il cartello e postarlo sui social network con l’hashtag #WeRemember il 27 gennaio, il Giorno della Memoria. “Incoraggia gli altri a fare lo stesso: i tuoi amici, gli altri studenti, professori, istituzioni e così via”, l’appello del World Jewish Congress che spiega, “l’obiettivo di questa campagna è quello di passare il testimone alle future generazioni. Presto saremo responsabili di raccontare noi quelle storie – prosegue il Wjc ricordando che presto i Testimoni dell’orrore non ci saranno più – e di dire al mondo che noi non dimenticheremo mai quanto accaduto”.

d.r. @dreichelmoked

lunedì 23 gennaio 2017

POPULISMO

Donald Trump, nuovo  presidente degli Stati Uniti d’America — «vedremo quello che farà, e allora valuteremo; non si può  essere profeti di calamità» —, anche se «nei momenti di crisi» non funzionano «muri e fili». 
Si torna a parlare di populismo...«È una parola fuorviante perché il populismo in America  Latina ha un altro significato. Lì significa che i popoli sono protagonisti, per esempio, i movimenti  popolari. Si organizzano tra di loro... è un’altra cosa. Certo, le crisi provocano delle paure, delle  allerte. Per me, l’esempio più tipico dei populismi europei è quello tedesco del ‘33. Dopo [Paul  von] Hindenburg, la crisi del 30, la Germania è in frantumi, cerca di rialzarsi, cerca la sua identità,  cerca un leader, qualcuno che gli ridia la sua identità e c’è un ragazzetto di nome Adolf Hitler che  dice “io posso, io posso”. E tutta la Germania vota Hitler. Hitler non rubò il potere, fu votato dal suo popolo, e poi distrusse il suo popolo. Questo è il pericolo. In tempi di crisi, non funziona il  discernimento e per me rappresenta un punto di riferimento continuo. Cerchiamo un salvatore che ci restituisca la nostra identità, difendiamoci con muri, con fili spinati, con qualsiasi cosa dagli altri  popoli che possono toglierci la nostra identità. E questo è molto grave. Per questo cerco sempre di  dire: dialogate tra voi, dialogate tra voi. Ma il caso della Germania nel ‘33 è tipico, un popolo che si trovava in quella crisi, che ha cercato la sua identità e a cui è apparso questo leader carismatico che  ha promesso di dare loro un’identità, e diede loro un’identità distorta e sappiamo che cosa è  successo. Dove non c’è dialogo.... Si possono controllare le frontiere? Sì, ogni Paese ha il diritto di  controllare i propri confini, chi entra e chi esce, e i Paesi che sono in pericolo — per il terrorismo o  cose del genere — hanno più diritto di controllarli maggiormente, ma nessun Paese ha il diritto di  privare i suoi cittadini del dialogo con i vicini». 
(Dall'intervista di Papa Francesco a El Pais)

UN LIBRO DA LEGGERE

Il libro affronta il tema del “male” per come è avvertito oggi (violenza diffusa, indifferenza per l’altro, odio legittimato,…) e come conseguenza delle ideologie, degli autoritarismi, dei terrorismi, delle oppressioni, degli imperialismi, delle mafie da cui la società è pervasa. Il “grande male” quindi. È un tema smisurato, di cui la stessa Bibbia rende conto presentando molteplici dimensioni e situazioni. E da qui prende le mosse il testo di Christian Albini per cogliervi, senza avere la pretesa di dire tutto, l’atteggiamento del credente che cerca di resistere al male. Il cuore del libro è nei capitoli in cui è presentata quella che può essere definita come un’eredità contemporanea della tradizione biblica.
Il primo capitolo descrive, quindi, come nella Bibbia è presentata la potenza di una malvagità dilagante e soprattutto l’atteggiamento del credente che resiste al male. Il cuore del libro è nei capitoli due e tre, dove è presentata quella che potremmo definire come un’eredità contemporanea della tradizione biblica. Nel 2016 sono caduti i centodieci anni dalla nascita di due figure chiave del Novecento: Hannah Arendt e Dietrich Bonhoeffer. Le loro origini, personalità e vicende biografiche sono molto diverse. Lei è una filosofa ebrea che si è occupata soprattutto di teoria politica, esule dalla Germania per sfuggire al nazismo e approdata negli Stati Uniti, dove ha condotto un’intensa vita intellettuale e accademica. Lui è un teologo cristiano che ha scelto la via dell’opposizione attiva a Hitler, condannato a morte e ucciso all’età di trentanove anni. Hanno seguito percorsi molto differenti che non si sono mai incrociati. Però, da un altro punto di vista, hanno molto in comune. Entrambi hanno le loro radici nella Bibbia, entrambi si sono confrontati con il problema del male nazista e hanno cercato una risposta.
Una comparazione tra le loro riflessioni non è mai stata tentata. Eppure, si tratta di un’operazione molto interessante. Arendt e Bonhoeffer rappresentano due importanti vie di resistenza al male: una è impostata sulla ragione e l’altra sulla fede; in una l’agire nasce dal pensare e nell’altra dall’ascoltare la Parola di Dio. Vie diverse, certo, ma sono perciò incompatibili e inconciliabili? E possono essere attuali anche per noi oggi? Queste domande sono affrontate dalle conclusioni, nelle quali si tenta un’attualizzazione, sottolineando come alla filosofia di Hannah Arendt appartenga uno sforzo di fiducia nell’umanità e alla teologia di Dietrich Bonhoeffer un impegno a pensare criticamente il cristianesimo. Per assumere la nostra responsabilità storica di abitatori del XXI secolo e per educare le nostre coscienze a essere all’altezza di questo tempo, abbiamo bisogno di entrambi.

UNA SINAGOGA ALLA COMUNITA’ EBRAICA

Che una chiesa cattolica venga offerta in uso, come sinagoga, alla piccola comunità ebraica di Palermo è senz’altro una buona notizia. Come ai tempi dei Normanni e degli Svevi (prima della sciagurata politica spagnola di persecuzione in nome della “purezza del sangue” e dell’unanimità religiosa) , la città siciliana torna a essere un modello di convivenza pacifica, anzi costruttivamente sinergica, fra etnie e culture differenti. Il che – in una fase storica di integralismi fanatici e aggressivi - non è poco.
L’evento si presta a interpretazioni, e sviluppi, abbastanza diversi. Cosa significa che esso non susciti opposizione da nessuna area socio-politica e ideologica (né, per la verità, particolari manifestazioni di giubilo)? Certamente che un’epoca, durata due millenni sino a pochi decenni fa, si è chiusa. Quando ero ragazzino, in famiglia, “ebreo” era usato dispregiativamente come epiteto per chi si mostrava eccessivamente legato al denaro. In tutte le chiese cattoliche la liturgia del venerdì santo  - giorno in cui come è noto si commemora la morte di Gesù sulla croce – prevedeva che si pregasse per “i perfidi Giudei”, per la conversione di un popolo ritenuto, in blocco, “deicida”: assassino di Dio ! Poi arrivò Giovanni XXIII e soprattutto il Concilio Vaticano II: l’invocazione fu radiata dalla liturgia e sostituita con la preghiera per gli Ebrei, “nostri fratelli maggiori”. Oggi nessun teologo cattolico serio pensa che, per salvarsi l’anima, un ebreo debba convertirsi a una confessione cristiana: egli deve, piuttosto, diventare sempre più convintamente e coerentemente ebreo (e ciò, sia detto per inciso, lo porterebbe molto probabilmente a essere critico nei confronti della politica dell’attuale governo dello Stato d’Israele).
 Questo clima di pacifica convivenza potrebbe essere espressione, e effetto, di una generalizzata indifferenza per le matrici religiose e spirituali: diamo le chiese a chi le vuole, tanto non interessano più quasi nessuno. L’indifferentismo è senz’altro preferibile al fondamentalismo intollerante. Ma è anche il massimo che ci si possa augurare per la ricchezza complessiva di una società? E’ un tema su cui non sarebbe sprecato un tempo per riflettere e confrontarsi.
Personalmente propenderei per sostenere che sarebbe meglio che l’episodio palermitano servisse da spunto per un processo di riscoperta reciproca delle proprie culture di riferimento. La globalizzazione delle idee non può accontentarsi di un rispetto basato, essenzialmente, sull’ignoranza e sul disinteresse. E’ vero: le religioni sono state, e saranno sempre, apparati ideologici utili per conflitti di potere. Ma non solo né necessariamente. Esse sono state, e probabilmente resteranno in futuro, anche riserve di simboli, di intuizioni poetiche, di creazioni artistiche, di aperture contemplative, di energie etiche a favore dei diseredati. Che città come Palermo diventino sempre più multietniche, multiculturali, multicolorate è un fenomeno che potrebbe riservare problematiche spiacevoli (basti pensare alle relazioni instabili fra la mafia indigena e le mafie immigrate); ma anche, e soprattutto, risorse preziose. Per questo sarebbe importante passare dalla domanda “Che cosa possiamo concedere a ebrei, musulmani, induisti, buddhisti…?” alla domanda “Che cosa possiamo imparare da ebrei, musulmani, induisti, buddhisti…?”.
Augusto Cavadi

DON PRIMO MAZZOLARI

«Chi pensa di difendere, con la guerra, la libertà, si troverà con un mondo senza nessuna libertà. Chi pensa di difendere, con la guerra, la giustizia, si troverà con un mondo che avrà perduto perfino l'idea e la passione della giustizia. Chi pensa di fermare con la guerra il comunismo, è almeno un ingenuo prima di essere un criminale. L'Osservatore Romano, nell'aprile 1951, confutando la pretesa di vincere il comunismo con la guerra,«un'idea con le munizioni», rimetteva le cose a posto, affermando:«Si vis pace para pacem». Chi pretende difendere con la guerra la cristianità, riporterà la chiesa alle catacombe. Chi vuol difendere con la guerra la civiltà cristiana, s'accorgerà d'aver aperto la strada alla barbarie.» 
«Purtroppo la guerra è tuttora in mano dei militari, dei politici e dei banchieri: ma se l'opinione mondiale ne sventasse a poco a poco le trame denunciando certi criminali disegni; se li folgorasse con l'orrore del peccato contro l'uomo, prendendo dal Vangelo e dalle lettere degli ultimi papi l'accento e la passione profetica, finiremmo per accorgerci che qualche cosa si muove. È questione d'aver fede quanto un granello di senapa, e prendere l'iniziativa in nome di questa fede, poiché se non ci si deve dare, e neanche si deve firmare per una pace falsa, bisogna che qualcuno si faccia avanti e offra agli uomini di buona volontà la vera pace». 
(Dal libro "Tu non uccidere")

venerdì 20 gennaio 2017

L'ARTE DEI PICCOLI PASSI

Proprio in questi giorni fra i programmi televisivi è stato trasmesso il film "Il Piccolo Principe", prodotto da uno dei libri più famosi e tradotti nel mondo del famoso aviatore e scrittore Antoine de Saint-Exupéry.  Un'opera sicuramente dedicata ai bambini ma anche agli adulti.
Forse non sapevate però che Antoine de Saint-Exupéry è anche l’autore di una preghiera-poesia che ci insegna l’arte dei piccoli passi.
La sua richiesta principale riguarda una maggiore consapevolezza del tempo che ha a disposizione per gestire al meglio le proprie giornate. Per vivere meglio l’autore sa che è necessario avere delle priorità e tralasciare ciò che è secondario. Così lo svolgimento della giornata porterà buoni frutti.
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Non ti chiedo né miracoli né visioni

ma solo la forza necessaria per questo giorno!

Rendimi attento e inventivo per scegliere

al momento giusto

le conoscenze ed esperienze

che mi toccano particolarmente.

Rendi più consapevoli le mie scelte

nell’uso del mio tempo.

Donami di capire ciò che è essenziale

e ciò che è soltanto secondario.

Io ti chiedo la forza, l’autocontrollo e la misura:

che non mi lasci, semplicemente,

portare dalla vita

ma organizzi con sapienza

lo svolgimento della giornata.

Aiutami a far fronte,

il meglio possibile,

all’immediato

e a riconoscere l’ora presente

come la più importante.

Dammi di riconoscere

con lucidità

che le difficoltà e i fallimenti

che accompagnano la vita

sono occasione di crescita e maturazione.

Fa’ di me un uomo capace di raggiungere

coloro che hanno perso la speranza.

E dammi non quello che io desidero

ma solo ciò di cui ho davvero bisogno.

Signore, insegnami l’arte dei piccoli passi.

(Antoine de Saint-Exupéry)

giovedì 19 gennaio 2017

PAROLE D'AMORE

Qualche volta anch'io mi diverto a scorrere i video presenti sul canale di Youtube, In uno di questi "viaggi" mi sono imbattuto in un video che molto mi ha colpito e che propongo alla pubblica visione.
S'intitola "Parole d’Amore". E' il corto ideato dal fotografo Pietro Baroni che ripercorre in maniera semplice e lineare il variegato mondo della discriminazione femminile così tanto svilita, che a volte, viene difficile perfino combatterla.
Le persone che vedete in questo video non sono attori, ma persone comuni. E ciò che dicono non è un copione, ma frasi estrapolate da discorsi che ognuno di noi ha sentito almeno una volta nella sua vita.
Il progetto mira a far riflettere sul sessismo e invita le persone “a cambiare le parole”. Parole come queste: Non ti arrabbiare troppo se ti alzano la gonna a scuola, sono cose da maschi. I capelli corti li hanno solo i maschi. I videogiochi sono cose da maschi.Sei una cattiva moglie. Sei una cattiva madre. Iniziano a venirti le rughe, ritocchino? Hai fatto stirare mio figlio? Che c’è per pranzo? Che c’è per cena? L’uomo è infedele per natura, la donna non può e non deve. Lasciami e ti ammazzo.
Frasi pronunciate con leggerezza, talmente tanto radicate che chi le pronuncia non immagina neanche che il sessismo passa anche attraverso le sue parole.
Un video che lascia l’amaro in bocca e trasuda una mentalità ancora troppo impregnata di maschilismo tipico di quel'età patriarcale che, forse, si pensava superata!


UN INVITO


mercoledì 18 gennaio 2017

NE' CASTIGO NE' VENDETTA MA COOPERAZIONE

Non smette di colpire la sciagura del terremoto nell'Italia centrale. Ed ora alla già pesante situazione degli sfollati, dei sospesi in attesa di ricostruzione, ecco aggiungersi nuove situazioni sismiche e innumerevoli disagi causati dalla stagione invernale, che non fanno altro che aumentare insicurezza e fragilità a migliaia di persone ... Spero soltanto che non ci sia ancora qualcuno che mi venga a parlare di logica conseguenza di cattive attività morali e sociali, o di un presunto e meritato castigo divino!!
Mi sembra invece di scorgere un pressante richiamo alla solidarietà e al senso di vivere in comunione per condividere e alleviare difficoltà e fatiche!
Non la paura del castigo, ma il richiamo dei tempi che viviamo e il dovere di discernimento storico ci chiedono di ritornare a lavorare insieme, per ritrovare obiettivi comuni, stringerci nella difesa dei valori che contano e recuperare le risorse delle relazioni, per ritornare a fidarci e a interessarci del vicino. E pensare non solo o tanto a consumare e beneficiare di ciò che esiste perché realizzato nei decenni o nei secoli precedenti, ma anche a essere a nostra volta costruttori: costruire legami, amicizie, possibilità, occasioni, dignità.
E’ questa l’occasione per ricordare ad ognuno di noi che, anche nel terzo millennio, e anche dove e quando, fortunatamente, non ci sono calamità naturali, o guerre, o emergenze sanitarie, siamo sempre collaboratori di Dio, siamo <coltivatori> del Giardino che abbiamo ereditato dai progenitori, e siamo investiti della dignità di contribuire, sia manualmente che con l’ingegno, all’opera del creatore.

IMMIGRATI: PAROLE, PAROLE, PAROLE ... SOLTANTO PAROLE!

‘No’ alla riapertura dei Cie (Centri di identificazione ed espulsione) ‘se questi dovessero continuare ad essere di fatto luoghi di trattenimento e di reclusione’ per immigrati. Così si è espressa la CEI. E qui si è un po' troppo soffermata l'opinione dei media. Ma effettivamente Mons.Galantino ha enumerato anche un serie di "sì".
Sì “a sbloccare e approvare una legge ferma che allarga la cittadinanza ai minori che hanno concluso il primo ciclo scolastico…”. Sì a sbloccare e approvare una legge ferma che tutela i minori non accompagnati…”. Sì” all’identificazione dei migranti che arrivano  tra noi, anzitutto per un’accoglienza attenta alla diversità delle persone e delle storie…”. Sì “a un’accoglienza diffusa, in tutti i comuni italiani…”. “Sì a un titolo di soggiorno come protezione umanitaria o come protezione sociale a giovani uomini e donne che da oltre un anno sono nei CAS e nei centri di prima accoglienza e hanno iniziato un percorso di scolarizzazione…”.
Difficile dare torto a una lista piena di richieste così nobili e così nobilmente motivate. Ma c’è un ma. Le molte cose richieste non prendono in considerazione le molte difficoltà ad ottenerle, comprese le difficoltà politiche: mettere d’accordo le forze politiche, approvare una legge, creare le strutture per realizzarla. Ma allora gli irregolari si devono espellere o no? E se sì, come? I vescovi non se la sentono di dire che i clandestini vanno espulsi, ma non dicono neppure che cosa si debba concretamente fare. Perché se i clandestini restano, restano da clandestini; e se non possono restare devono essere espulsi e si deve mettere a punto un sistema per espellerli.
Per cui ci troviamo di fronte al solito grosso problema. La Chiesa, attraverso la parola di Papa,vescovi e sacerdoti enunciano grandi e nobili istanze morali. Il mondo  cattolico ascolta quelle prediche e si sforza di mettere in atto un’azione che è, purtroppo, ancora una volta, ecclesiale e sganciata dalla vita politica del paese. E più il problema si ingigantirà e sempre meno basteranno quelle prediche e sempre più ci sarà bisogno di politica, di buona politica, quella che i nostri parlamentari, l'Europa e i cattolici stessi continuano, sdegnosamente, a snobbare.

sabato 14 gennaio 2017

L'Italia è sempre più single

In questi giorni abbiamo conosciuto un po' più a fondo la figura di  Zygmunt Bauman, il grande sociologo di origine polacca che ha saputo disegnare il profilo della post-modernità scoprendone il carattere “liquido”.
Un carattere nel quale siamo tutti immersi, volenti o nolenti, a partire dal nostro percorso esistenziale, dal nostro status relazionale. La liquidità delle relazioni interpersonali sta proprio nella difficoltà di stabilire legami solidi e duraturi. Non stupisce che l’Annuario ISTAT 2016 scopra un’Italia in cui i single sono sempre di più.
I single non vedovi sono più che raddoppiati in vent’anni: ora sono all’incirca 5 milioni, l’8% della popolazione. Se ad essi aggiungiamo vedovi e divorziati non risposati il numero delle persone sole del Bel Paese giunge a sfiorare gli 8 milioni, il 13% del totale. Il che significa che le famiglie composte da un solo membro sono quasi un terzo dell’insieme di riferimento.
Non è solo un problema di sentimenti e di affetti. Il fatto è che una condizione di solitudine sempre più diffusa testimonia della grande difficoltà di instaurare rapporti con gli altri, di una deriva monadica magari non voluta, che però si rivela tanto potente da condizionare e informare l’itinerario esistenziale di una fetta consistente della nostra società. Con tutti i riflessi che ne derivano: come costruire una comunità coesa in un tempo di dispersione? come cercare insieme strade e soluzioni possibili se la solitudine esalta le bolle della post-verità?
Certo, anche chi vive in famiglia può vivere “per conto suo”, e, d’altra parte, anche chi abita da solo può avere una ricca vita relazionale, essere al centro di reti comunitarie.
Ma resta che l’Italia è sempre più un mondo di soli. E che tutti vediamo l’allentamento dei legami che hanno innervato il nostro paese. Attenzione, perché la società può disgregarsi, il singolo può abituarsi a contare solo su se stesso, la crisi può diventare, da economica e sociale, umana e mentale. Abbiamo tutti il dovere - single o no che siamo - di cercare di evitarlo.
Francesco De Palma sul blog www.notizieitalianews.com

Donatella Di Cesare

“Dopo la fine delle ideologie fiorisce ovunque l’ideologia del confort […]. Nel mondo occidentale, e in quello occidentalizzato, si è andato costruendo un sistema di confort, una grande sfera chiusa all’interno della quale vivono, volutamente ignari di quel che accade fuori, i cittadini dei paesi capitalistici vecchi e nuovi. Oltre i confini di questa sfera ci sono i suburbi planetari dello sconforto, lo sterminato hinterland della desolazione. 
[…] Ma l’ideologia del confort ha anche prodotto un nuovo tipo di essere umano: lo scontento soddisfatto. È il cittadino della vecchia Europa, soddisfatto di vivere nella sfera chiusa del confort, ma pur sempre scontento, e in qualche modo anche risentito […]. Soddisfatti insoddisfatti, contenti scontenti: questa è la nostra condizione paradossale […]. Nell’età in cui doveri e obblighi sono stati depennati, la ricerca della vita buona […] si compendia nella norma che impone lo scambio e sconsiglia ciò che va oltre, il dono, la generosità, la gratuità. 
Ma il Bene non è quel piccolo, meschino bene del mio ben-essere, del mio confort. […] L’io non è solo cura di sé; si costituisce facendosi carico dell’altro, si realizza nella responsabilità che prende su di sé. Il bene sta in questa torsione verso l’altro, nell’agire che abbandona ogni per me, ogni interesse e tornaconto. Nessuno è buono volontariamente. Il Bene non è una libera scelta; al contrario è il principio della mia libertà”.

UN LIBRO DA LEGGERE

Don Milani morì nel giugno 1967. In vista del cinquantenario dalla scomparsa di questa grande e spesso sottovalutata figura umana e spirituale vorremmo suggerire la lettura del lavoro di uno dei primi allievi del sacerdote ed educatore fiorentino, ovvero di Michele Gesualdi.
Il libro si intitola “Don Lorenzo Milani. L’esilio di Barbiana”, ed è edito da San Paolo. Di un esilio in effetti si tratta. L’esilio di un prete scomodo, di qualcuno che cominciava già a far discutere e pensare, che si riteneva meglio confinare in una remota pieve dell’Appennino, anche se lo stesso card. Dalla Costa aveva scritto in un appunto: “Data la piccolezza del popolo e la posizione scomoda della chiesa, un sacerdote valido a Barbiana non avrebbe lavoro adeguato”. “L’anno della visita pastorale, Barbiana contava 224 abitanti”, commenta Gesualdi, “nel 1954, quando fu mandato parroco don Milani, erano scesi a 127, destinati in poco tempo ad abbassarsi ulteriormente […]. Nel frattempo però il cardinale aveva cambiato opinione”.
Come ha sottolineato in una sua recensione Luca Kocci, “quella scritta da Michele Gesualdi è una biografia atipica del priore di Barbiana. Non ha il rigore storico e documentario di altre ricerche, ma è un racconto in ‘presa diretta’ da parte di quello che è stato uno dei primi sei ragazzi di Barbiana, […] a stretto contatto con don Milani”. In tal modo il racconto scende nel concreto di mille episodi quotidiani, di un vissuto dettato dai tempi lenti della montagna e da quelli veloci dell’azione educativa sui giovani, nonché della capacità del sacerdote toscano di guardare, capire, commentare i fatti del mondo e della Chiesa.
Nel “remoto” dell’esilio, infatti, in quel “piccolo”, prende corpo la prossimità alla vita e la grandezza dello sguardo e dell’impegno di un uomo che giunge, nonostante tutto, a re-inserirsi nel flusso della storia, sconfessando l’esilio stesso, relegandolo sullo sfondo. Perché, come ha notato nella prefazione Andrea Riccardi, “è nel niente di Barbiana […] che si compie il ‘miracolo’ del Milani, [nel] niente che egli ha fatto fiorire e fruttificare, prendendosi cura degli esclusi e degli emarginati. Barbiana [diviene] un simbolo, nonostante la sua piccolezza. Un simbolo su cui converrebbe interrogarsi di più. La dimostrazione di quanto, in condizioni impossibili, possono fare un uomo o una donna che amano e lavorano per gli altri”.
Perché, come il priore stesso scrisse alla madre: “La grandezza di una vita non si misura dalla grandezza del luogo in cui si è svolta, ma da tutt’altre cose. E neanche le possibilità di fare del bene si misurano dal numero dei parrocchiani”.

Francesco De Palma

Ugo Bernasconi

<<Quando un lievito di bene ti è entrato in un solco dell'anima, tutte le altre parti ti si sollevano insieme.>>
 

venerdì 13 gennaio 2017

SPIRITUALITA' LIQUIDA

Della scomparsa del grande sociologo e filosofo ebreo polacco Zygmunt Bauman hanno scritto in questi giorni firme ben più competenti della mia, alle quali rimando anche per ciò che attiene alla ricostruzione del complesso ed articolato pensiero dell’Autore. Quel che vorrei approfondire con le lettrici ed i lettori di MicroMega è un aspetto specifico della riflessione del Nostro, concernente l’aspetto che più lo ha reso celebre, quello della liquidità, posto in relazione con ciò che, sia pure in termini approssimativi e per ciò stesso insoddisfacenti, vorrei denominare spiritualità. Nel fare ricorso a tale termine, mi preme distinguerlo da un altro, con cui sovente esso viene confuso e al quale viene non di rado indebitamente sovrapposto: quello di religiosità. Insisto nel sottolineare la differenza, poiché i due concetti menzionati non sono sinonimi: sono difatti persuaso del fatto che sia possibile (e per certi versi persino auspicabile) coltivare una spiritualità che non possegga venature o implicazioni religiose e che non per questo cessa di essere profondamente rivelativa.

Per altri versi, la spiritualità costituisce quell’aspetto che, assai più che assecondarla, mette in questione la religiosità tradizionale, la quale, per lo meno in seno alla cultura ed alla società dell’Occidente europeo, è ormai tramontata, sebbene qualcuno si affanni (a mio avviso invano) a volerla resuscitare. Mi spingerei persino oltre, affermando che spiritualità e religiosità sono per certi versi più antagoniste che sorelle, poiché la seconda cerca (anche in questo caso invano) di imbrigliare ed irreggimentare la prima, la quale, dal canto suo, è intrinsecamente vocata allo sconfinamento.

La re-ligio in termini istituzionali si prefigge lo scopo di re-legare l’eccedenza (che nella vita e nell’uomo è tutto quanto vi è di nevralgico ed irrinunciabile) entro l’asfittico perimetro delle regole dogmatiche e sociali, guardando con sospetto e stroncando sul nascere ogni accenno evolutivo, ogni propensione all’interrogazione, ogni anelito al cambiamento. Al contrario, la spiritualità germoglia al di là degli argini, là dove le acque tracimano e rendono feconde le sponde e non l’alveo.

La liquidità che Bauman ha individuato quale cifra della post-modernità a cui l’Occidente ha improntato il proprio modus vivendi mostra senza alcun dubbio limiti ed induce perplessità: ma in alcun modo è possibile ignorarla e men che meno eluderla. Se l’evoluzione spirituale dell’uomo non assumerà questa plasticità, che richiede di abbandonare le forme della religiosità tradizionale per abbracciare l’itineranza che invita allo sconfinamento verso l’ignoto, si ridurrà ad un alveo vuoto, privo di quella vitalità che la liquidità, al di là dello sconcerto a cui essa espone, possiede e stimola.

Alessandro Esposito (pastore valdese)


martedì 10 gennaio 2017

Occorre fermare la guerra e la produzione di armamenti.

«Chiamare la guerra il concime del coraggio e della virtù è come chiamare la corruzione il concime dell'amore.
Le glorie della guerra sono tutte macchiate di sangue, farneticanti e infettate dal crimine; l'istinto combattivo è un barbaro suggerimento secondo cui il bene di un uomo si ottiene con il male di un altro».
Solo i morti hanno visto la fine della guerra. 

(George Santayana)

lunedì 9 gennaio 2017

IL RICORDO

"Sono due i valori ugualmente necessari per condurre una vita accettabile, sostenibile e dignitosa: uno è la sicurezza, l'altro è la libertà. Hanno bisogno l'uno dell'altro, perché la sicurezza, senza libertà è schiavitù e la libertà senza sicurezza è completo caos. E' la stessa cosa che accade in molti matrimoni, in cui le parti non possono vivere l'una senza l'altra, ma al tempo stesso trovano la convivenza molto difficile. Lo stesso vale per gli scenari di sicurezza e libertà: è possibile ottenere una maggiore sicurezza solo cedendo una parte della propria libertà, è possibile ottenere una maggiore libertà solo cedendo una parte della propria salvezza. E questo è esattamente quello che abbiamo fatto negli ultimi tempi"
 Zygmunt Bauman in una intervista a RAI 3

E' TORNATA QUELLA DISASTROSA IDEA DELLA RAZZA!

Non credo che ci sia molto da discutere sul fatto che gli atti di terrorismo che hanno dilaniato la nostra Europa in questi ultimi due anni non abbiano sicuramente fatto crescere un'idea positiva e accogliente nei confronti di immigrati ed extracomunitari. Le opinioni circolanti sono davvero discordanti e variegate. 
Potremmo avere anche avuto un'esperienza di vita positiva e costruttiva, e forse affiancati dall'aiuto di amici, compagni di lavoro e vicini di casa venuti da paesi lontani, ma i fatti di Parigi, Bruxelles, Berlino e Istambul – giusto per citare i più eclatanti e famosi – hanno fatto crescere paura, insofferenza, rabbia e … revisionismo.
E allora basta accogliere, bisogna espellere, meglio: “rimpatriare”, perché sono troppi. E respingere affinché non avvenga quella sostituzione di popoli e la razza venga salvaguardata. Sembra che sia nato un nuovo e unico partito: quello della difesa del popolo. O meglio della razza! 
E anche di fronte al grande e terribile esodo di masse di esseri umani che tentavano di salvarsi dal massacro, l'Europa è incapace non solo di intervenire per salvare ma anche di dichiarare sentimenti a favore di questa umanità sanguinante. Guidata da questa dilagante monocultura l’Europa ha perciò cominciato a orientarsi non sul troppo orrore e il sistematico sterminio dei bambini, ma il troppo delle persone che cercano di arrivare, che muoiono in mare, che riescono a chiedere soccorso. Soccorso negato. Barriere di filo spinato, attese che durano mesi, in luoghi senza alcuna struttura o tentativo di protezione, blocchi e distruzione persino degli accampamenti di fortuna.
Come in un incubo, ci accorgiamo all’improvviso che al posto di ciò che un tempo chiamavamo destra e sinistra adesso si sono collocati due schieramenti: da una parte la caccia all'immigrato (colpevole anche di portare malattie) e l'importanza di parole come espulsione e “rimpatrio” degli “irregolari” (nuovo modo di non usare la parola clandestino per definire qualcuno che ti sta davanti in carne e ossa e vorrebbe dire a qualcuno le sue ragioni); dall'altra la resistenza accanita e isolata di un unico leader, il Papa, che tenta di accogliere, proteggere, salvare i dannati.
A questo punto sembra l'unica scelta politica possibile che rimanga sia solo una folle idea di “rimpatriare” dove non ci sono patrie. Resta fermo il “no”. Il partito della cacciata, del respingimento, del “che se ne tornino ad Aleppo”, guadagna terreno. Una grande quantità di persone e di leader si comporta come la popolazione polacca del piccolo paese di Oswiecym, davanti ad Auschwitz. Non hanno mai visto nulla.  
A.B.

domenica 8 gennaio 2017

David Maria Turoldo. La vita, la testimonianza (1916-1992), Morcelliana, Brescia 2016

In occasione dei cento anni dalla nascita di padre David Maria Turoldo,
è in uscita la prima biografia completa e fondata su fonti archivistiche.
David Maria Turoldo - La vita, la testimonianza
«Poeta, profeta, disturbatore delle coscienze, uomo di fede, uomo di Dio, amico di tutti gli uomini»: così l’arcivescovo di Milano Carlo Maria Martini salutava padre David Maria Turoldo celebrandone il funerale 1’8 febbraio 1992, restituendo in pochi tratti un’esistenza cristiana tra le più intense del Novecento italiano, spesa per la salvezza de «l’Uomo» – nome emblematico di una testata promossa in gioventù -, e volta alla penetrazione del silenzio di Dio. Nella Milano della Resistenza e del dopoguerra, nella Firenze di Giorgio La Pira, a Sotto il Monte – terra di Giovanni XXIII – negli anni precedenti e successivi al Concilio Vaticano Il, dentro e fuori i canoni dell’Ordine dei Servi di Maria a cui con convinzione appartenne, Turoldo diede corpo e voce alle aspirazioni di rinascita religiosa, civile, sociale della sua generazione, guadagnando consensi e suscitando dissensi. Le censure e le sanzioni in cui incorse per via gerarchica non gli impedirono – consolato da una vena poetica che si completò negli anni con una fertile ispirazione di traduttore dei Salmi e creatore di inni per la liturgia – di esprimere in molteplici forme comunicative le domande di libertà, giustizia, pace, che animavano gli scenari e le coscienze del suo tempo.
Questo volume ricostruisce per la prima volta, attraverso un’accurata indagine d’archivio, l’intera vicenda esistenziale di David Maria Turoldo, nell'intento di restituire alla storia una figura più volte rievocata in termini mitizzanti o aneddotici: la ricchezza dei suoi incontri permette di recuperare la memoria di ideali, tensioni, disincanti che, in ambito cattolico e oltre, hanno percorso il secolo scorso.

domenica 1 gennaio 2017

AUGURI A TUTTI PER UN BUON 2017 !!

“I bambini imparano ciò che vivono.
Se un bambino vive nella critica impara a condannare.
Se un bambino vive nell’ostilità impara ad aggredire.
Se un bambino vive nell’ironia impara ad essere timido.
Se un bambino vive nella vergogna impara a sentirsi colpevole.
Se un bambino vive nella tolleranza impara ad essere paziente.
Se un bambino vive nell’incoraggiamento impara ad avere fiducia.
Se un bambino vive nella lealtà impara la giustizia.
Se un bambino vive nella disponibilità impara ad avere una fede.
Se un bambino vive nell’approvazione impara ad accettarsi.
Se un bambino vive nell’accettazione e nell’amicizia impara a trovare
l’amore nel mondo”.
Dorothy Law Nolte,  psichiatra statunitense, ha scritto questa poesia nel 1954.
***
Un anziano cherokee voleva insegnare la vita al nipote. “Dentro di me è in corso una battaglia” disse al bambino “Una battaglia terribile, e a combatterla sono due lupi. Uno dei due è cattivo: è rabbia, invidia, dolore, rimpianto, avidità, arroganza, autocommiserazione, senso di colpa, risentimento, senso di inferiorità, menzogna, vanagloria, senso di superiorità ed egocentrismo.” Quindi proseguì “L’altro è buono: è gioia, pace, amore, speranza, serenità, umiltà, gentilezza, benevolenza, empatia, generosità, verità, compassione e fiducia. La stessa battaglia si combatte dentro di te, così come in tutte le altre persone.”
Il nipote ci pensò su un istante e poi chiese al nonno “Ma qual è il lupo che vince?”
L’anziano cherokee semplicemente rispose “Quello a cui tu darai da mangiare”.
“Educare non è riempire un secchio, ma accendere un fuoco”  Yeats.

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