martedì 29 novembre 2016

AIUTIAMO I COSTRUTTORI DI MURI E BARRICATE

Mi commuove quella notiziola secondaria relegata in un trafiletto scarno di un solo organo d'informazione che racconta della colletta dei cristiani di Erbil in Iraq per i terremotati italiani. Sono riusciti a raccogliere ventimila dollari e li hanno consegnati al Nunzio Apostolico perché li invii alla Caritas Italiana. Perché alla fine resta vero che il dovere della solidarietà viene compreso soprattutto da chi ha sperimentato la precarietà sulla propria pelle. Chi invece erge muri e barricate, di fatto si costruisce una prigione, si chiude dentro un presunto paradiso artificiale separandosi dal mondo. Si condanna a una solitudine collettiva o a un egoismo sterile. È urgente fare qualcosa per loro, tendergli la mano per salvarli da una morte certa, da asfissia dell’anima. Giudicarli è operazione superficiale quanto sterile. Più faticoso (ma forse più responsabile e fecondo) sarebbe accoglierli, ascoltare attentamente le loro ragioni, conoscere le loro storie e le loro fatiche. Esattamente come chiederei di fare a tutti i costruttori di muri verso gli stranieri che respingono. Resto ancora convinto che se solo i barricatori di Goro e di Gorino avessero permesso almeno a una delle donne che hanno respinto di raccontare le condizioni da cui sono state costrette a scappare, cosa hanno dovuto affrontare per giungere da noi, quali progetti, affetti, tradizioni si sono lasciati alle spalle, non esiterebbero a rimuovere i pancali e a far loro spazio nella propria casa.
28 ottobre 2016 - Tonio Dell'Olio

SERVE PULIZIA DI LINGUAGGIO

I problemi di fronte ai quali ci troviamo sono enormi e coinvolgono la vita e la morte di tutti noi, chi prima e chi dopo. Oggi tocca ai siriani, ai bimbi di Aleppo, domani chissà? Il razzismo che rinasce impetuoso, l’antisemitismo, il populismo e il nazionalismo… Abbastanza da cancellare tutto quello che è stato fatto dopo il 1945 e portarci ancora una volta sull’orlo dell’abisso. Parlo per tutti, non solo per noi ebrei e nemmeno in primo luogo per gli ebrei. Ci troviamo di fronte al rischio concreto, soprattutto per quelli che saranno i risultati delle elezioni francesi – di fronte alle quali il nostro referendum è comunque marginale e provinciale – della fine dell’Europa, del ritorno, non si sa come e non si sa a quale prezzo, agli Stati nazione l’uno potenzialmente in guerra contro l’altro. I problemi sono troppo grandi perché possiamo pensare di avere, come individui, una qualsiasi influenza.
Consentitemi però una modesta proposta. Non servirà sui tempi brevi e forse non abbiamo tempi lunghi davanti, ma è comunque un tentativo di cambiare il nostro modo di pensare: lanciamo una campagna contro il linguaggio dell’odio, contro gli insulti che sono visti ormai come una reazione legittima, contro le parole e i gesti che trasformano di per sé le divergenze di opinione in schieramenti armati, il disaccordo in violenza. Non vi ricordate che il fascismo ha portato con sé anche questa violenza linguistica, lanciando il “Me ne frego” e altre simili locuzioni linguistiche che veicolavano i manganelli e le aggressioni? Non sottovalutiamo il linguaggio dell’odio, le parolacce, gli insulti. Sono fra le ruote su cui il disastro corre sempre più veloce.
Anna Foa, storica

E LE DONNE NELLA CHIESA?

Il Portail Catholique suisse ha annunciato, con grande soddisfazione, che finalmente è stata consegnata a papa Francesco la lettera che un gruppo di donne cattoliche svizzere aveva preparato e portato a Roma all'inizio dell'estate, con una lunga marcia a piedi dall'abbazia di San Gallo fino al Vaticano.

La lettera è intitolata L'Eglise avec les femmes e chiede una maggiore integrazione delle donne nelle istituzioni vaticane, e maggiori possibilità di esprimersi all'interno della Chiesa. Niente di nuovo, né di particolarmente rivoluzionario: ormai queste richieste arrivano alla Santa Sede da ogni parte, anche dall'associazione che riunisce le superiori generali, ma ognuno di questi gesti - soprattutto se, come questo, è accompagnato da un forte impegno personale - è significativo e importante.

La cosa invece incredibile è che questa lettera sia giunta nelle mani del Papa solo ora, attraverso un uomo, il cappuccino svizzero Mauro Johri, che si dichiara simpatizzante della richiesta. Egli ha incontrato il Papa nel corso della sua partecipazione alla riunione dei superiori generali e così è riuscito a mettergliela in mano. Lo stesso Johri si è poi dichiarato disponibile a chiedere, in futuro, al Papa cosa pensa della lettera. 

Come mai una lettera portata a mano e in modo clamoroso, attraverso un lungo pellegrinaggio a piedi, da un gruppo di donne, e poi letta ad alta voce nella stessa basilica di san Pietro dal vescovo di san Gallo durante la cerimonia che le ha accolte, non può arrivare al Papa? E ha bisogno di una mediazione maschile per essere consegnata?

E come mai lo stesso religioso si dichiara garante della risposta del Papa? Sono certa che, se il Santo Padre avrà da comunicare qualcosa alle donne che hanno scritto la lettera, lo farà direttamente, perché le considera esseri umani uguali agli uomini. Ma la notizia non finiva qui: con grande entusiasmo si annuncia che l'ordine dei cappuccini ha deciso di promuovere le donne al suo interno, dando loro la facoltà di studiare, perfino andando a Roma.

Mi sembra evidente che molti non hanno ancora capito che le religiose - cappuccine comprese - da decenni studiano, leggono, si interessano e tutto e hanno molte cose da dire, senza il permesso di nessuno.

Sono però episodi come questo, e dichiarazioni come queste, che allontanano le giovani dalla vita religiosa: quale donna di oggi vuole sentirsi sotto tutela, considerata sempre bisognosa di aiuti e permessi da parte degli uomini? Senza l'aiuto dei quali pare che non possa arrivare a niente, neppure a far arrivare una lettera al papa?

Il crollo delle vocazioni femminili al quale stiamo assistendo in questi anni forse farà riflettere, finalmente, anche le gerarchie ecclesiastiche. Speriamo che non sia troppo tardi.

lunedì 28 novembre 2016

E SE CATTOLICI E PROTESTANTI RIPRENDESSERO A DIALOGARE?

Nella celebrazione d’apertura in occasione del 500esimo anniversario della riforma protestante presso la Chiesa evangelica di Cristo a Bolzano, nel corso del suo intervento, il vescovo Ivo Muser ha ammesso in modo sincero che le persone della riforma protestante mosse e guidate da grandi aspettative, non sono state comprese fino in fondo dalla Chiesa cattolica del 16° secolo. Poi il vescovo ha proseguito spiegando che per molti secoli si riteneva che, distaccandosi gli uni dagli altri, si mantenesse e si rafforzasse la propria identità. “Dopo Lutero la Chiesa cattolica si è impoverita”, ha affermato mons. Muser che ha proseguito, dicendo: “Una divisione della Chiesa rende sempre più poveri! Pertanto l’impegno per l’unità è anche una speranza di riuscire nuovamente a superare l’impoverimento e le parzialità dovute al contesto storico – e cioè insieme.”
Sono tre le aspettative del vescovo Ivo: in primo luogo la gratitudine, “poiché negli ultimi 50 anni abbiamo riscoperto che ciò che ci unisce è più forte di ciò che ci divide.” La seconda aspettativa si chiama conversione: “I cattolici e i cristiani evangelici hanno tutti un motivo per chiedere perdono per tutte le incomprensioni, le cattiverie e le ferite che si sono arrecati”. La terza aspettativa è la speranza. “Se insieme ci affidiamo a Cristo, faremo nostro anche il suo desiderio che tutti siano uniti”, ha affermato il vescovo che ha menzionato il suo motto episcopale “Tu es Christus” dal profondo significato ecumenico. “La celebrazione comune dell’anniversario della riforma protestante possa aiutarci a unire le ferite inferte e a perdonarci reciprocamente. Nonostante tutte le differenze che non possiamo e non dobbiamo ignorare o banalizzare, possiamo testimoniare e vivere un’unità che indubbiamente è più grande di ciò che ci divide”, ha concluso il vescovo.
Estratto da www.buongiornosuedtirol.it

DAVID MARIA TUROLDO

Voi che credete

voi che sperate

correte su tutte le strade, le piazze

a svelare il grande segreto...

Andate a dire ai quattro venti

che la notte passa

che tutto ha un senso

che le guerre finiscono

che la storia ha uno sbocco

che l'amore alla fine vincerà l'oblio

e la vita sconfiggerà la morte.

Voi che l'avete intuito per grazia

continuate il cammino

spargete la vostra gioia

continuate a dire

che la speranza non ha confini

venerdì 25 novembre 2016

"NON UNA DI MENO"

Il 25 novembre in tutto il mondo è la giornata contro la violenza sulle donne e a Roma è stata indetta una manifestazione nazionale il 26 novembre.
  • Perché? “La violenza maschile sulle donne non è un fatto privato, non è un’emergenza, ma è un fenomeno strutturale e trasversale della nostra società”. Questo è il pensiero alla base del movimento Non una di meno, nato in Argentina. La rete italiana ha coinvolto donne di ogni età, ma anche uomini. In piazza si manifesterà per sottolineare l’inefficacia dei programmi istituzionali nel contrasto al femminicidio. Ma anche per per ricordare le vittime, per combattere le ingiustizie sul lavoro e per ottenere la parità dei salari. L’obiettivo finale è quello di creare un Piano femminista contro la violenza maschile, che porti alla revisione del piano antiviolenza adottato dal governo italiano nel 2015.
  • Quando si manifesta? Il 26 novembre. Il corteo parte alle 14 da piazza Esedra a Roma e si conclude in piazza San Giovanni. Il 27 novembre alle 10, nella scuola elementare Federico Di Donato della capitale, si terrà poi un’assemblea per decidere come cominciare a lavorare su un piano antiviolenza nazionale.
  • Chi organizza gli incontri? La rete italiana Non una di meno, che è promossa da Donne in rete contro la violenza (D.i.re), Io decido e Unione donne in Italia (Udi). La manifestazione è il frutto di mesi di confronto tra i diversi collettivi.
  • Quali sono i dati sulla violenza contro le donne in Italia? Una donna su tre in Italia è vittima di violenze fisiche, psicologiche e sessuali. Sono più di sei milioni le donne che hanno subìto violenza nell’arco della loro vita. Dall’inizio del 2016 in Italia sono state uccise 93 donne. Le violenze, fisiche e psicologiche, avvengono ovunque: negli uffici, nelle scuole, per strada, negli ospedali, di persona, attraverso internet o altri mezzi di comunicazione. Nella maggior parte dei casi avvengono nell’ambiente domestico, e gli autori sono familiari o conoscenti.
  • Qual è il ruolo dei centri antiviolenza? Ogni anno i centri antiviolenza offrono supporto e assistenza a più di 16mila donne. Molti di questi centri rischiano la chiusura per ragioni burocratiche, legate alla revoca degli spazi a loro assegnati, e a causa dei tagli alle risorse. Per esempio, a Roma il Servizio sos donna è stato chiuso il 26 giugno, lasciando sole più di 300 donne che avevano appena cominciato un percorso di riabilitazione.

giovedì 24 novembre 2016

GOCCE...DI SPIRITUALITA'

Che cosa accade all'acqua quando la goccia cessa di esistere? Niente. La goccia cade nel mare, ma l'acqua tuttavia non scompare…

Noi siamo gocce d'acqua.
Che cosa ne è della goccia d'acqua quando muoio? La goccia scompare. Cade nel pèlagos infinito.
Scompari? Ma che cosa sei tu in realtà, la goccia d'acqua oppure l'acqua della goccia?
Durante la nostra vita mortale, noi dobbiamo realizzarci come acqua, e non soltanto come goccia.
La goccia è il luogo delle mie lotte, delle mie cadute e delle mie vittorie, di tutto quello che mi causa gioia e sofferenza in forma immediata.

Ma se mi realizzerò in maniera autentica, se sono in ascolto della realtà che io sono in profondità, io sono acqua.
Che cosa accade all'acqua quando la goccia cessa di esistere? Niente. La goccia cade nel mare, ma l'acqua tuttavia non scompare… la mia acqua, l'acqua che io sono.
Quest'acqua è unica. Nessun pericolo di dissolvermi.
Credo di poter affermare che, personalmente, non ho paura di morire.
Raimon Panikkar

mercoledì 23 novembre 2016

VIVIAMO IN UN PAESE CATTOLICO?

Già i molti e ripetuti fatti di corruzione devono far riflettere.
Un crescente individualismo si evidenzia ad ogni livello. E una caduta libera dell’interesse collettivo che da anni ha portato tanti al “riflusso nel privato” per usare un termine da anni ottanta.
Poi è iniziato il montare della protesta contro i politici tout court. Se c’era bisogno di una reazione contro comportamenti offensivi dell’intelligenza dei cittadini, la polemica anti casta però era in molti casi esclusiva rivendicazione dei propri interessi. Roma ladrona significava soprattutto che i miei soldi me li gestisco io anziché avere una visione comunitaria in cui proporzionalmente e con progressività si concorre a garantire le risorse per lo sviluppo e la crescita della nazione in modo solidale.
E infine si è cavalcato il fenomeno dell’immigrazione per contestare i potere e per riaffermare una visione localistica ed autarchica.
Prima basandosi sulle paure rispetto al “diverso” da noi, poi sulla necessità di difendersi dalla microcriminalità (addebitata proprio a chi veniva da altre nazioni), poi è scattato l’allarme per stupri e violenze verso “le nostre donne”. In tutte queste cose la responsabilità di immigrati c’è stata, ma non maggiore rispetto ai comportamenti gravi e colpevoli dei “nostri”, di cittadini italiani fino a quel momento normali, o addirittura all’interno di famiglie esemplari.
L’ultimo appiglio è che “gli islamici ci stanno invadendo”, che “non possiamo continuare ad accogliere” perché abbiamo anche le nostre difficoltà e la crisi sta incidendo sulle nostre famiglie sui nostri giovani, la disoccupazione è sempre a livelli inaccettabili, ecc.
Se altri Paesi hanno deciso di reagire alla “invasione” di immigrati alzando muri e fissando filo spinato alla frontiera, da noi – civilissima nazione dell’occidente, culla dei diritti dell’uomo e ricco di una tradizione religiosa che ha radici profonde – le barricate le facciamo con la protesta, le offese sui social a chi è ritenuto cedevole e “buonista”, con il rifiuto ad accogliere strutture nei nostri paesi e rioni(I fatti di Gorino, di qualche tempo fa, rappresentano solo l’ultimo esempio).
Qualche settimana fa la liturgia presentava una pagina di Vangelo che parlando di una vedova che riuscì ad ottenere giustizia da un giudice disonesto per via della sua insistenza concludeva “ma quando il Figlio dell’uomo verrà, troverà la fede sulla terra?”. Ecco la domanda, per chi dice di avere fede: che tipo di fede abbiamo? quale fede manifestiamo per ottenere giustizia? quale livello di adesione al messaggio di Gesù abbiamo raggiunto e compreso, e soprattutto riusciamo a mettere in pratica?
Non intendo dare giudizi. Sono il primo ad interrogarmi, e a trovarmi carente di coerenza. Però leggo prese di posizione rispetto al fenomeno dell’accoglienza dei profughi a dir poco irriguardose verso chi si pone con spirito samaritano verso il profugo, verso il richiedente asilo, verso il fratello in difficoltà. Siamo passati dall’aiutiamoli a casa loro, dal prima gli italiani, all’aboliamo l’8‰, ai Vescovi e ai preti che continuano a farci la predica, fino al se li prenda il Papa in Vaticano e al mettano a disposizione le loro Chiese.
A parte il fatto che in Vaticano qualcuno è stato accolto, e che molte strutture parrocchiali e diocesane sono state attrezzate per questo scopo, oltre ad offrire anche possibilità di svolgere qualche compito attraverso il lavoro di tante cooperative o associazioni di volontariato, si tratta proprio di chiedersi se queste reazioni non siano l’ennesimo segnale che la cattolica Italia non è più cattolica. O per lo meno il cattolicesimo e la fede che tanti italiani esprimono (tutti a difendere l’esposizione del crocifisso nelle scuole, come avversione ai musulmani!) non è il contenuto e lo spirito del Vangelo.
Siamo una nazione pagana, che pensa alla presenza di un <dio> quando serve e fa comodo, se aiuta ad affermare alcune tradizioni, se ci lascia comodi nelle nostre certezze e non smuove i nostri stili di vita e di consumo.
Questo è anche, a mio modesto avviso, il motivo per cui la politica è scivolata verso posizioni in cui l’etica e la morale, in cui la responsabilità comunitaria, in cui le virtù civiche sono scomparse quasi totalmente. I cittadini, gli elettori chiedono ai loro rappresentanti non un futuro in cui cresca lo spirito di comunità, la speranza di maggiore coinvolgimento, il rispetto per le diversità, più conoscenze e opportunità, ma solo un immediato di benessere e beni materiali da consumare.
Carlo Baviera sul blog "Appunti Alessandrini"

domenica 20 novembre 2016

BELLE PAROLE MA PER I SEPARATI/DIVORZIATI/RISPOSATI NON C'E' POSTO AL BANCHETTO EUCARISTICO!

<<Nella Prima Lettera di Pietro (5,2-3) troviamo un punto di riferimento fondamentale dell’ufficio episcopale: «Pascete il gregge di Dio che vi è affidato, sorvegliandolo non perché costretti, ma volentieri, come piace a Dio, non per vergognoso interesse, ma con animo generoso, non come padroni delle persone a voi affidate, ma facendovi modelli del gregge». Questa esortazione illumina l’intera missione del Vescovo, presentandone la potestà spirituale come un servizio per la salvezza degli uomini. In tale prospettiva, occorre eliminare con decisione ogni impedimento di carattere mondano che rende difficile a un largo numero di fedeli l’accesso ai Tribunali ecclesiastici. Questioni di tipo economico e organizzativo non possono costituire un ostacolo per la verifica canonica circa la validità di un matrimonio...
In questa prospettiva la Chiesa cammina da sempre, come madre che accoglie e ama, sull'esempio di Gesù Buon Samaritano. Chiesa del Verbo Incarnato, si “incarna” nelle vicende tristi e sofferte della gente, si china sui poveri e su quanti sono lontani dalla comunità ecclesiale o si considerano fuori da essa a causa del loro fallimento coniugale. Tuttavia, essi sono e restano incorporati a Cristo in virtù del Battesimo. Pertanto, a noi spetta la grave responsabilità di esercitare il munus, ricevuto da Gesù divino Pastore medico e giudice delle anime, di non considerarli mai estranei al Corpo di Cristo, che è la Chiesa. Siamo chiamati a non escluderli dalla nostra ansia pastorale, ma dedicarci a loro e alla loro situazione irregolare e sofferta con ogni sollecitudine e carità.>>
ESTRATTO DAL DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO AI PARTECIPANTI AL CORSO DI FORMAZIONE PER I VESCOVI SUL NUOVO PROCESSO MATRIMONIALE

PAPA FRANCESCO AI NUOVI CARDINALI

"La nostra è un’epoca caratterizzata da forti problematiche e interrogativi su scala mondiale. Ci capita di attraversare un tempo in cui risorgono epidemicamente, nelle nostre società, la polarizzazione e l’esclusione come unico modo possibile per risolvere i conflitti. Vediamo, ad esempio, come rapidamente chi sta accanto a noi non solo possiede lo status di sconosciuto o di immigrante o di rifugiato, ma diventa una minaccia, acquista lo status di nemico. Nemico perché viene da una terra lontana o perché ha altre usanze. Nemico per il colore della sua pelle, per la sua lingua o la sua condizione sociale, nemico perché pensa in maniera diversa e anche perché ha un’altra fede. Nemico per… E, senza che ce ne rendiamo conto, questa logica si installa nel nostro modo di vivere, di agire e di procedere. Quindi, tutto e tutti cominciano ad avere sapore di inimicizia. Poco a poco le differenze si trasformano in sintomi di ostilità, minaccia e violenza. Quante ferite si allargano a causa di questa epidemia di inimicizia e di violenza, che si imprime nella carne di molti che non hanno voce perché il loro grido si è indebolito e ridotto al silenzio a causa di questa patologia dell’indifferenza! Quante situazioni di precarietà e di sofferenza si seminano attraverso questa crescita di inimicizia tra i popoli, tra di noi! Sì, tra di noi, dentro le nostre comunità, i nostri presbiteri, le nostre riunioni. Il virus della polarizzazione e dell’inimicizia permea i nostri modi di pensare, di sentire e di agire. Non siamo immuni da questo e dobbiamo stare attenti perché tale atteggiamento non occupi il nostro cuore, perché andrebbe contro la ricchezza e l’universalità della Chiesa. Proveniamo da terre lontane, abbiamo usanze, colore della pelle, lingue e condizioni sociali diversi; pensiamo in modo diverso e celebriamo anche la fede con riti diversi. E niente di tutto questo ci rende nemici, al contrario, è una delle nostre più grandi ricchezze."

venerdì 18 novembre 2016

Dal Vangelo di Luca 23,35-43

In quel tempo, [dopo che ebbero crocifisso Gesù,] il popolo stava a vedere; i capi invece deridevano Gesù dicendo: «Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto». 
Anche i soldati lo deridevano, gli si accostavano per porgergli dell’aceto e dicevano: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso». Sopra di lui c’era anche una scritta: «Costui è il re dei Giudei».
Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!». L’altro invece lo rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male». 
E disse: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». Gli rispose: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso».


I RECORD DELL'ITALIA CHE ACCOGLIE

Un numero shock gira tra i corridoi del Viminale: 170mila. Sono i migranti sbarcati quest’anno sulle nostre coste. «Un record. Abbiamo bruciato il primato del 2014 con oltre un mese d’anticipo.
Non ce l’aspettavamo: l’onda grossa è proseguita anche con l’arrivo dell’autunno ». I tecnici del ministero non nascondono la preoccupazione: gli sbarchi e le tragedie in mare non si fermano. La macchina dell’accoglienza è sotto stress: a fine anno si prevede di raggiungere la cifra di 200mila migranti ospitati. Mai così tanti nel nostro Paese. E c’è un altro dato a fare ancora più paura: quello
dei minori stranieri non accompagnati. Un esercito di ragazzini quest’anno: già 22.772, quasi il doppio di quanti arrivati nell’intero 2015.
Al ministero dell’Interno si controllano gli ultimi numeri: il 16,49% in più rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso e 9mila persone in più rispetto allo stesso periodo del 2014, anno che segnò con i suoi 170mila arrivi un record di sbarchi. 
«Insomma – ragionano al Viminale – abbiamo battuto il record negativo del 2014 e pensare che manca più di un mese alla fine dell’anno. Il problema è che ormai in Paesi come Niger, Sudan, Libia sul business dei migranti campano in tanti e non solo i trafficanti: ci sono quelli che affittano il loro camion per il trasporto, quelli che offrono la propria casa come centro di raccolta. Difficile scardinare questi meccanismi».
Ma chi è che arriva oggi sulle nostre coste? Pochissimi i siriani, quasi tutti sono africani: da Nigeria (21%), Eritrea (12%), Guinea (7%), Gambia (7%), Costa d’Avorio (7%), Senegal (5%), Sudan (5%). E anche chi non otterrà l’asilo, difficilmente potrà essere rimpatriato. L’Italia infatti ha pochi accordi di riammissione: e senza accordi non ci sono rimpatri. Non solo. Con la chiusura di gran parte delle frontiere europee, l’Italia si sta trasformando da Paese corridoio a una “trappola” per tanti migranti che vorrebbero raggiungere il Nord Europa. 
Da qui i numeri dell’accoglienza: sono ben 175.188 i profughi oggi ospitati nei centri governativi e nelle strutture temporanee. E l’emergenza rischia di aggravarsi: come ha reso noto dal capo dipartimento immigrazione del Viminale, Mario Morcone, in Commissione diritti umani al Senato, «viaggiamo verso le 200mila persone: un numero che se fosse supportato dagli 8mila sindaci non creerebbe problemi sul territorio ». Peccato che oggi sono solo 2.600 i comuni che accolgono. Eppure un nuovo Piano nazionale d’accoglienza c’è: siglato tra Viminale e Anci, prevede la distribuzione in tutti i comuni di 2,5 migranti ogni mille abitanti. I sindaci otterrebbero 500 euro per ogni profugo ospitato. Insomma un’accoglienza diffusa che eviterebbe concentrazioni pericolose. «Ma per evitare polemiche politiche – confidano al ministero – è tutto congelato fino al referendum costituzionale».
Vladimiro Polchi in “la Repubblica” del 18 novembre 2016

mercoledì 16 novembre 2016

ATLANTE DELL'INFANZIA di SAVE THE CHILDREN

Non si può dire se fa più effetto esprimerlo in numeri assoluti, in percentuale o in numeri relativi. Di certo è un pugno alle nostre certezze: c’è più di un milione di bambini molto poveri che vive nelle nostre città. Un milione e 131 mila, per la precisione. Ovvero un minore su tre.
Sono numeri che ribaltano i luoghi comuni: la maggior parte di questi bambini vivono nelle città del nostro Nord (490 mila), contro i 450 mila del Sud e i 191 mila del Centro. Save the Children ha messo tutti questi numeri in un librone e gli ha dato un nome gentile: «Atlante dell’infanzia (a rischio), Bambini supereroi». Ci sono anche i disegni dei veri supereroi dei bambini in questo Atlante che è una vera e propria radiografia dell’infanzia del nostro Paese e che è arrivato alla sua settima edizione, con una novità, come ha spiegato Valerio Neri, direttore generale di Save the Children: quest’anno per la prima volta verrà pubblicato da una casa editrice e pure di grande prestigio, la Treccani. Sfogliarlo per credere: l’Atlante è un viaggio nell’Italia in 48 mappe e ci segnala che il nostro Paese è il fanalino di coda in Europa circa i disagi dei minori. Per capire: da noi sono poveri il 32,1 per cento dei bambini contro il 27,7 della media europea. E anche la sofferenza che i bambini vivono per abitare in case non riscaldate ci mette in coda: da noi è il 39 per cento contro la media Ue del 24,4. E questo quando nel nostro Paese il tasso di natalità è crollato a picco con il 2015 che ha fatto registrare il record negativo di nati (-485 mila). È un pugno alle nostre certezze, questo Atlante pubblicato a pochi giorni dalla Giornata per i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza che si celebra il 20 novembre.
L'Atlante di Save the Children: va dentro le cifre. E scopre che i bimbi poveri vivono di più dentro le famiglie italiane, 325 mila famiglie contro 232 mila famiglie di stranieri e 60 mila di famiglie cosiddette miste, ovvero con uno dei due straniero. Ma nell’Atlante scopriamo anche che le favelas non sono soltanto nelle periferie delle nostre città, visto che ben 93 mila famiglie povere vivono all’interno delle grandi metropoli. E anche a guardare nell’Atlante l’evoluzione statistica della povertà nel nostro Paese si scatena una vera e propria raffica di pugni sulle nostre certezze: nel 2005 era il 2,8 per cento delle famiglie con almeno un minore che viveva in povertà assoluta, nel 2015 si è arrivati al record del 9,3 per cento.
Estratto di Alessandra Arachidi su Corriere.it

martedì 15 novembre 2016

UNA MAREA UMANA CHE NESSUN MURO POTRA' FERMARE

Duecentoquarantaquattro milioni di persone. Storie, volti, vite, speranze, dolore, paure. Una immensità. Sono i migranti al mondo, il 41% in più dal 2000. Migranti economici ma anche ambientali, in fuga da povertà, carestie, oltre che da guerre e da regimi che fanno scempio di diritti umani, politici, sociali. Di fronte a questa enormità, la Grande emergenza del Terzo Millennio, la risposta più brutale è quella degli edificatori di muri, di chi militarizza le frontiere per cacciare, espellere. Deportare. Parola terribile, quest’ultima, che evoca pagine terribili della storia dell’umanità... 
Secondo il rapporto Unicef «Sradicati », nel mondo ci sono circa 50 milioni di bambini migranti. Che cioè lasciano il loro Paese per fuggire da guerra e carestie . E non sempre lo fanno accompagnati dai loro genitori: lo scorso anno, in 78 nazioni, più di 100mila bimbi soli hanno chiesto asilo, il triplo rispetto a due anni fa. Ventotto milioni di questi bimbi fuggono a causa di conflitti che sono piovuti loro sulla testa per via della stupidità dei grandi. Gli altri milioni lo fanno sperando in un futuro migliore e sicuro...
In Europa, nel solo 2015, 96mila minori non accompagnati hanno presentato richiesta d'asilo; il 40% di loro erano minori afghani, che avevano dovuto affrontare da soli un viaggio di 48mila chilometri. «Non possiamo chiudere gli occhi davanti alle condizioni di miseria che ci sono nel mondo e che nella maggior parte dei casi sono frutto della globalizzazione e dello sfruttamento attuato per anni dai Paesi del Nord del mondo. Dobbiamo guardare agli individui non agli status. A noi la distinzione tra rifugiato e migrante non interessa, interessano le persone», rimarca il responsabile immigrazione della Caritas Oliviero Forti.
«È sbagliato usare la parola migranti. La parola giusta è rifugiati »: così si pronunciava Bono Vox , leader degli U2, a Expo. «Queste persone - aveva aggiunto non lasciano le loro case perché vogliono vivere in Italia o in Irlanda. Lasciano i loro Paesi perché non hanno casa. Dunque è sbagliato usare la parola migranti. La parola giusta è rifugiati. Vi sono leader nel mondo, come Angela Merkel e Matteo Renzi, che stanno facendo enormi sforzi in questo senso». Quanto al neoeletto presidente farebbe bene a riflettere sulle parole del cardinale Sean Patrick O’Malley, arcivescovo di Boston : «Il nostro Paese è stato il beneficiario di così tanti gruppi di immigrati che hanno avuto il coraggio e la costanza di arrivare in America. Sono arrivati superando condizioni orribili e alimentando il sogno di una vita migliore per i loro figli. Essi sono stati alcuni dei cittadini più industriosi, ambiziosi e intraprendenti del nostro Paese, e hanno portato un’energia enorme e un’iniezione di buona volontà nella loro nuova patria. Hanno lavorato duramente e i sacrifici da loro fatti hanno reso grande questa nazione »
Umberto De Giovannangeli in “l'Unità” del 15 novembre 2016

domenica 13 novembre 2016

LA RICERCA DELLA FELICITA'

La mia è soprattutto una filosofia di vita. Il problema è che viviamo in un mondo nel quale si crede che colui che trionfa debba possedere tanto denaro, avere privilegi, una casa grande, maggiordomi, tanti servitori, vacanze extralusso. Mentre io penso che questo modello vincente sia solo un modo idiota di complicarsi la vita. Penso che chi passa la sua vita a accumulare ricchezza sia malato come un tossicodipendente, andrebbe curato.
Ho conosciuto dei multimilionari, anche molto anziani. E a molti ho chiesto per quale ragione continuassero a accumulare denaro se tanto poi alla fine avrebbero dovuto lasciarlo qua. La risposta è sempre stata che non potevano farne a meno, come una malattia.
È fondamentale difendersi dagli attacchi del mercato. E per far ciò serve la sobrietà nel vivere, che consiste nel trovare il tempo di vivere. Questo è l’unico reale esercizio della nostra libertà.
Sono anche convinto che la politica non debba essere una professione. È un servizio, una passione. Chi vuole arricchirsi che si dedichi al commercio, alla banca, ma non alla politica. 
Se non posso cambiare il mondo posso cambiare la mia condotta personale e la posso cambiare adoperandomi nella ricerca della felicità.
La vita è un miracolo, essere vivi è un miracolo. E non possiamo vivere oppressi dal mercato che ci obbliga a comprare, ancora e ancora. Anche perché non paghiamo con i soldi, ma con il tempo della nostra vita.
Non sprecate la vita nel consumismo, trovate il tempo di vivere per essere felici.
( José Mujica )

ANNIVERSARIO

I 137 morti di Parigi stanno a ricordarci che la guerra asimmetrica col terrorismo di origine islamista avrebbe bisogno di una strategia globale condivisa e soprattutto economica per rimuovere le cause di una frattura profonda e purulenta tra certo Occidente e certo mondo arabo. Però si continua a bombardare, magari coi droni, ma si bombarda sempre.

I 137 morti della Ville Lumière ci dovrebbero spingere a una politica intraprendente europea nell'immigrazione, nell'integrazione, nella sicurezza, nel dialogo. Qualcosa si fa, ma sempre più ci si infila in strettoie nazionaliste che potrebbero portare a nuovi conflitti in breve tempo.

I 137 morti del 13 novembre 2015 ci ricordano che la vita umana, ogni vita umana è unica e irripetibile, che la barbarie del sangue versato con la violenza va combattuta con strategie di pace, riconciliazione e perdono.
Da www.cittanuova.it

venerdì 11 novembre 2016

PAPA FRANCESCO NON SMETTE DI OCCUPARSI DEI PRETI SPOSATI

Papa Francesco ha incontrato a Ponte di Nona, quartiere all’estrema periferia di Roma est, 7 famiglie, tutte formate da giovani che hanno lasciato, nel corso di questi ultimi anni, il sacerdozio.

Francesco ha inteso offrire un segno di vicinanza e di affetto a questi giovani che hanno compiuto una scelta spesso non condivisa dai loro confratelli sacerdoti e familiari. Dopo diversi anni dedicati al ministero sacerdotale svolto nelle parrocchie, è accaduto che la solitudine, l’incomprensione, la stanchezza per il grande impegno di responsabilità pastorale hanno messo in crisi la scelta iniziale del sacerdozio. Sono quindi subentrati mesi e anni di incertezza e dubbi che hanno portato spesso a ritenere di aver compiuto, con il sacerdozio, la scelta sbagliata. Da qui, la decisione di lasciare il presbiterato e formare una famiglia.

Papa Francesco, dunque, ha incontrato questi giovani: quattro della diocesi di Roma, dove sono stati parroci in diverse parrocchie della città; uno di Madrid e un altro dell’America latina, che risiedono a Roma, mentre l’ultimo è della Sicilia.

L’ingresso del Papa è stato segnato da grande entusiasmo: i bambini si sono raccolti intorno al Pontefice per abbracciarlo, mentre i genitori non hanno trattenuto la commozione. La visita di Bergoglio è stata fortemente apprezzata da tutti i presenti che hanno sentito non il giudizio del Papa sulla loro scelta, ma la sua vicinanza e l’affetto della sua presenza. Il tempo è passato veloce; il Pontefice ha ascoltato le loro storie e ha seguito con attenzione le considerazioni che venivano fatte circa gli sviluppi dei procedimenti giuridici dei singoli casi. La sua parola paterna ha rassicurato tutti sulla sua amicizia e sulla certezza del suo interessamento personale.

PRESIDENTE DI TUTTI E PER TUTTI?

Nell'ultima intervista di Eugenio Scalfari a Papa Francesco c'era anche una domanda in riferimento alla figura di Donald Trump: «Io non do giudizi sulle persone e sugli uomini politici, - ha risposto Bergoglio - voglio solo capire quali sono le sofferenze che il loro modo di procedere causa ai poveri e agli esclusi». Non sono certamente parole alla Pilato perché nascondono un giudizio/consiglio ben preciso : "dobbiamo abbattere i muri che dividono: tentare di accrescere il benessere e renderlo più diffuso, ma per raggiungere questo risultato dobbiamo abbattere quei muri e costruire ponti che consentono di far diminuire le diseguaglianze e accrescono la libertà e i diritti. Maggiori diritti e maggiore libertà", ha affermato Papa Francesco in un altro passaggio dell'intervista a Scalfari.
Che Trump sia un costruttore di ponti e un distruttore di muri ... non ci crede nessuno.  Non è possibile che il candidato aggressivo, sessista, razzista e bugiardo sia diventato, in ventiquattro ore, il Presidente ideale. Chi cerca di venderci questa favoletta ci sta imbrogliando e/o si sta illudendo. L’eletto, in democrazia, non è al di là del bene e del male; né al di sopra di ogni giudizio. Dobbiamo accettarlo e rispettarlo. Ma possiamo criticarlo, perché qualcosa di lui lo abbiamo già conosciuto, già si è rivelato...Sarà un repubblicano, ma forse poco amico della democrazia...

mercoledì 9 novembre 2016

UMBERTO VERONESI

<<Perdere Dio mi ha obbligato a cercare valori morali dentro di me. Sono sufficienti a darmi forza. L'impegno etico è la sola cosa che mi ha lasciato Dio. Non ho avuto e non avrò alcun ripensamento, ma ho continuato a studiare le religioni.>>

<<Il progresso scientifico apre nuove opportunità ma anche sfide inedite e profondi dilemmi morali che devono essere governati.>>

<<La religione, per definizione, è integralista, mentre la scienza vive nel dubbio, nella ricerca della verità.>>

<<Non è la morte a essere un "male" e a fare paura, bensì il "processo del morire" nel quale la morte costituisce il punto ultimo.>>






NATHANIEL HAWTHORNE

<<Non c'è uomo che a forza di portare una maschera, non finisca per assimilare a questa anche il suo vero volto.>>

ALESSANDRO BARICCO


lunedì 7 novembre 2016

E' NATO "DADI SHOP"

Ci sono borse, cuscini, coperte e ancora soprammobili, bigiotteria e perfino quadri, pezzi unici e rigorosamente made in Italy, realizzati artigianalmente da un gruppo di ragazzi che nei giorni scorsi, ha inaugurato il primo negozio del Belpaese interamente gestito da persone con sindrome down e con disabilità intellettive.

Lo spazio commerciale è il Dadi-Shop ed è stato messo a disposizione da Alì Supermercati, qui i ragazzi della Cooperativa "Vite Vere - Down Dadi" fanno i commessi mentre, nell’atelier a Padova, danno vita, durante i laboratori, a creazioni originali. Il Dadi-Shop, inaugurato l’8 ottobre, subito prima della Giornata Nazionale delle Persone con sindrome di Down è in un punto strategico della città.

"Non più spazi modesti in luoghi poco attrattivi spesso prerogativa della disabilità ma uno spazio arioso, nuovo, di tendenza, dove la disabilità si inserisce con pari dignità e si confronta con le altre realtà commerciali presenti", spiega la presidente della Cooperativa Vite Vere - Down, Dadi Patrizia Tolot.

L’obiettivo, dunque, è quello di far conoscere questa nuova realtà, contribuendo a creare una cultura della normalità che supera i pregiudizi ed esce dalla logica dell’assistenzialismo, per valorizzare i talenti. E questi 15 ragazzi ne sono un esempio. Per loro un doppio incarico, quello di addetti alle vendite ma anche di artigiani, mestiere ormai raro, che raccontano ai clienti da dove vengono e come sono stati realizzati gli oggetti sui loro scaffali. Tutti pezzi personalizzabili al momento grazie alla loro versatilità.

"Vogliamo far conoscere i successi delle persone con sindrome down e aiutarli a costruire le loro vite possibili di persone e di cittadini, molto è cambiato e ancora molto si può fare".

domenica 6 novembre 2016

RADIOMARIA

“Il terremoto è la punizione per le unioni civili”? Meno male che il Vaticano è intervenuto accusando di paganesimo e l’azienda ha sospeso il reverendo autore. Pensandoci bene: ma è possibile “credere” una cosa così? e si difende dicendo che se sono colpiti da un parte e non da un’altra e non esime suore e preti è per colpa del “peccato originale”? Non è nemmeno paganesimo….
Dal blog di 
Giancarla Codrignani

Enzo Biagi

“Sono credente a giorni alternati, ma penso che in ognuno di noi c'è una scintilla di eternità: un figlio, un albero piantato, una casa costruita per quelli che verranno, una parola che ha consolato una disperazione. Forse bastano. Dio, mi ha detto un bambino, viene col vento.” 

OGGI LA PREDICA VERRA' TENUTA DAL MARESCIALLO...

Non hanno concluso allargando le braccia e dicendo: «Andate in pace!». Ma il senso era quello. In quindici chiese nella diocesi di Ivrea, la messa della domenica è finita con i carabinieri sul pulpito. Un invito, non un’irruzione. Niente arresti, ma una breve lezione. 
Lo scopo era spiegare ai presenti, in maggioranza anziani, come difendersi dalle truffe. Niente citazioni evangeliche; solo consigli pratici. «Certe persone vengono in casa a bussare o a suonare. Ora, a questi signori qua non bisogna dare retta, perché sono quasi sempre dei malviventi! Una volta all’interno dell’abitazione vi raccontano tante storie, magari che vi devono dare dei rimborsi. Ora, rimborsi non ne dà nessuno! E poi non ve li danno con un assegno, ve li scalano magari dalla bolletta...».
L’iniziativa, in collaborazione con la Prefettura di Torino, può sembrare ingenua: invece è importante.
È importante perché le truffe agli anziani stanno diventando un’emergenza e una vergogna nazionale. I truffatori sono sempre più numerosi, più sfacciati e più fantasiosi. Il finto esattore. L’incaricato che, con la scusa di leggere il contatore, cerca contanti e gioielli. Personale in divisa che si presenta mentendo.
A Milano si registrano molti tentativi al giorno. Quanti? Impossibile dirlo. Ogni stima è una stima per difetto, considerando che molte truffe non vengono denunciate, e non vengono denunciate perché la vittima non se n’è resa conto. Oppure ha capito, ma si vergogna della propria debolezza.
In Italia gli anziani crescono, l’economia no: combinazione pericolosa, che aumenta le tentazioni. Una persona anziana è vulnerabile. E diciamolo: per raggirarla non c’è neppure bisogno di commettere un reato. 
E poi chi è anziano, benestante, e vive solo, vede aumentare le visite e gli affetti interessati. Associazioni opache, sedicenti consorterie religiose, badanti senza scrupoli: intorno ai vecchi italiani si muovono correnti inquietanti. 
Certo, la ricchezza, nel corso della storia, è stata redistribuita anche così. Una società sana, tuttavia, non può andare orgogliosa di certi meccanismi. In Italia cresce l’industria della fragilità. Ma non è quella che riporterà in alto la nostra economia, la nostra reputazione e il nostro umore.
Estratto di Beppe Severgnini su Corriere.it

Isabel Allende

<<Tutti abbiamo dentro un'insospettata riserva di forza che emerge quando la vita ci mette alla prova.>>



giovedì 3 novembre 2016

ACCOGLIENZA E INTEGRAZIONE

Qualcuno ha detto che Papa Francesco ha avuto una correzione di rotta in quanto ha parlato di «prudenza» nell'accogliere i rifugiati, e ancor più i migranti. Ma più che un ripensamento, credo che sia una specificazione importante. Francesco ha fatto bene ad ammonirci a non chiudere il nostro cuore. E poi un conto è accogliere e integrare; un altro è incoraggiare un flusso imponente, che alimenta anche traffici criminali. Per questo l’intervento a bordo del volo papale di ritorno dalla Svezia ha aiutato a dissipare un possibile equivoco. Anche perché, accanto ai sentimenti dei nuovi arrivati, Bergoglio mostra di tener conto anche di quelli degli italiani.
Rifugiati e migranti non arrivano in un Paese prospero, coeso, sereno. Si affacciano in un’Italia che vive un vero e proprio dopoguerra. La crisi ha lacerato in modo devastante il tessuto industriale e sociale, soprattutto al Nord, soprattutto in provincia. Il terremoto infinito e diffuso del Centro Italia assorbe risorse ed energie della Protezione civile. In queste circostanze, è quasi miracolosa la generosità con cui il Paese — a cominciare dall'avamposto di Lampedusa — ha salvato e accolto centinaia di migliaia di stranieri, nel disinteresse pressoché totale dell’Europa. L’accordo sulla ripartizione delle quote dei migranti è stato vergognosamente disatteso. Sui media tende a prevalere una visione irenica e spensierata dell’immigrazione, tipica di un’élite per cui gli stranieri sono colf a basso costo e chef di ristoranti etnici. 
Ecco perché le parole che abbiamo ascoltato da Papa Francesco sono state molto preziose.

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<<La Svezia ha una lunga tradizione di accoglienza. E non soltanto ricevere, ma integrare, cercare subito casa, scuola, lavoro… integrare in un popolo. Quanti abitanti ha la Svezia? Nove milioni? Di questi 9 milioni – mi hanno detto – 850 mila sarebbero “nuovi svedesi”, cioè migranti o rifugiati o i loro figli. Questa è la prima cosa. Secondo: si deve distinguere tra migrante e rifugiato, no? Il migrante dev'essere trattato con certe regole perché migrare è un diritto ma è un diritto molto regolato. Invece, essere rifugiato viene da una situazione di guerra, di angoscia, di fame, di una situazione terribile e lo status di rifugiato ha bisogno di più cura, di più lavoro. Anche in questo, la Svezia sempre ha dato un esempio nel sistemare, nel fare imparare la lingua, la cultura e anche integrare nella cultura. Su questo aspetto dell’integrazione delle culture, non dobbiamo spaventarci, perché l’Europa si è formata con una continua integrazione di culture, tante culture… L’Europa si è formata con le migrazioni… Poi, cosa penso dei Paesi che chiudono le frontiere: credo che in teoria non si può chiudere il cuore a un rifugiato, ma ci vuole anche la prudenza dei governanti: devono essere molto aperti a riceverli, ma anche fare il calcolo di come poterli sistemare, perché un rifugiato non lo si deve solo ricevere, ma lo si deve integrare. E se un Paese ha una capacità di venti, diciamo così, di integrazione, faccia fino a questo. Un altro di più, faccia di più. Ma sempre il cuore aperto: non è umano chiudere le porte, non è umano chiudere il cuore, e alla lunga questo si paga. Qui, si paga politicamente;  come anche si può pagare politicamente una imprudenza nei calcoli, nel ricevere più di quelli che si possono integrare. Perché, qual è il pericolo quando un rifugiato o un migrante – questo vale per tutti e due – non viene integrato, non è integrato? Mi permetto la parola – forse  è un neologismo – si ghettizza, ossia entra in un ghetto. E una cultura che non si sviluppa in rapporto con l’altra cultura, questo è pericoloso. Io credo che il più cattivo consigliere per i Paesi che tendono a chiudere le frontiere sia la paura, e il miglior consigliere sia la prudenza. Ho parlato con un funzionario del governo svedese, in questi giorni, e mi diceva di qualche difficoltà in questo momento perché ne vengono tanti che non si fa a tempo a sistemarli, trovare scuola, casa, lavoro, imparare la lingua. La prudenza deve fare questo calcolo. Ma la Svezia… io non credo che se la Svezia diminuisce la sua capacità di accoglienza lo faccia per egoismo o perché ha perso quella capacità; se c’è qualcosa del genere è per quest’ultima cosa che ho detto: oggi tanti guardano alla Svezia perché ne conoscono l’accoglienza, ma per sistemarli non c’è il tempo necessario per tutti.>>
Dalla conferenza stampa del Santo Padre durante il volo di ritorno dalla Svezia

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