martedì 31 dicembre 2019

AUGURI DI UN NUOVO ANNO RISCALDATO E ILLUMINATO DALLA PACE CHE E' IN NOI!

"Gli Hibakusha, i sopravvissuti ai bombardamenti atomici di Hiroshima e Nagasaki, sono tra quelli che oggi mantengono viva la fiamma della coscienza collettiva, testimoniando alle generazioni successive l’orrore di ciò che accadde nell’agosto del 1945 e le sofferenze indicibili che ne sono seguite fino ad oggi. La loro testimonianza risveglia e conserva in questo modo la memoria delle vittime, affinché la coscienza umana diventi sempre più forte di fronte ad ogni volontà di dominio e di distruzione: «Non possiamo permettere che le attuali e le nuove generazioni perdano la memoria di quanto accaduto, quella memoria che è garanzia e stimolo per costruire un futuro più giusto e fraterno»
Il mondo non ha bisogno di parole vuote, ma di testimoni convinti, di artigiani della pace aperti al dialogo senza esclusioni né manipolazioni. Infatti, non si può giungere veramente alla pace se non quando vi sia un convinto dialogo di uomini e donne che cercano la verità al di là delle ideologie e delle opinioni diverse. La pace è «un edificio da costruirsi continuamente», un cammino che facciamo insieme cercando sempre il bene comune e impegnandoci a mantenere la parola data e a rispettare il diritto. Nell’ascolto reciproco possono crescere anche la conoscenza e la stima dell’altro, fino al punto di riconoscere nel nemico il volto di un fratello.

Il processo di pace è quindi un impegno che dura nel tempo. È un lavoro paziente di ricerca della verità e della giustizia, che onora la memoria delle vittime e che apre, passo dopo passo, a una speranza comune, più forte della vendetta. In uno Stato di diritto, la democrazia può essere un paradigma significativo di questo processo, se è basata sulla giustizia e sull’impegno a salvaguardare i diritti di ciascuno, specie se debole o emarginato, nella continua ricerca della verità. Si tratta di una costruzione sociale e di un’elaborazione in divenire, in cui ciascuno porta responsabilmente il proprio contributo, a tutti i livelli della collettività locale, nazionale e mondiale."
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DAL MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO PER LA CELEBRAZIONE DELLA LIII GIORNATA MONDIALE DELLA PACE

lunedì 30 dicembre 2019

LA CARITÀ OVVERO LA RIVOLUZIONE DI PAPA FRANCESCO

Doveva diventare un hotel di lusso in zona Vaticano ma Papa Francesco lo ha trasformato in un dormitorio destinato ai senza fissa dimora. La struttura situata a due passi dal Colonnato di San Pietro è l’ultimo regalo del Papa agli homeless della zona, un esercito di invisibili che aumenta sempre di più e non è difficile scorgerli, la notte, accampati e infreddoliti sotto cumuli di cartoni per proteggersi dal freddo. È a loro che il Papa ha donato un palazzo antico e di pregio, con volte affrescate e stucchi decò, a fianco della chiesa degli Olandesi, a via di Borgo Santo Spirito. L’edificio porta ancora il nome della antica famiglia che fino agli anni Trenta lo possedeva. Palazzo Migliori, da allora, è passato alla Santa Sede e gestito dall’Apsa. 
Il Papa ha così chiesto all’Apsa la disponibilità del palazzo che altrimenti sarebbe stato trasformato in un hotel a cinque stelle. Le stanze per il riposo notturno occupano il terzo e il quarto piano e potranno ospitare sia uomini che donne, fino ad un massimo di 50 ospiti. Il numero potrà aumentare con l’emergenza freddo. La colazione e la cena sono garantite ad ogni ospite grazie ad una attrezzata cucina che potrà preparare fino a 250 pasti caldi. Il palazzo è dotato anche di un ascensore e persino di una cappella interna. Il primo e il secondo piano sono invece riservati ai servizi diurni con sale per l’ascolto, la lettura e l’uso di internet. I lavori per allestire l’ostello sono durati alcuni mesi e sono stati finanziati dall’Elemosineria Apostolica sia attraverso generose offerte di privati, sia dai ricavi della vendita di pergamene con la benedizione papale.
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estratto da www.ilmessaggero.it

venerdì 27 dicembre 2019

NATALE ... L'INFINITO DI DIO IN NOI

Non ci sono distanze col Cielo.
Per ciò che tocca Dio tutto è al suo posto:
nel canto pitagorico degli astri
nell’ ondulata corsa dei minuti
nel seme vivo che fiorisce in frutto.
E anche nel sangue, nella morte assurda
non ci sono intenzioni taciute,
non c’è ragione che non sia l’Amore.
E questo è il segno della Sua imminenza:
dov’è passato, ritornare, è udirlo,
dov’è restato, credergli, è incontrarlo;
e non è un gioco tra illusione e inganno,
un’altalena tra Infinito e Nulla.
Aperti oltre il crepuscolo del pianto,
come la mano che alzerà il sipario,
gli occhi di Dio oramai sono di carne.

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Giuseppe Centore

martedì 24 dicembre 2019

ANCHE QUEST'ANNO E' NATALE!

E' tornato il Natale! O meglio eccoci nel giorno del ricordo della nascita del nostro Signore Gesù! E come sempre le emozioni, i sentimenti, i colori, le tradizioni si fanno sentire. A Natale siamo tutti più buoni o dovremmo esserlo, secondo la tradizione e le frasi fatte. A questo però si aggiunge, da qualche anno, una serie di polemiche. Quelle sul Presepe, sulle recite natalizie a scuola, su quali siano le modalità più opportune per aiutare tutti i bambini e i ragazzini a festeggiare, a non sentirsi esclusi. 

C'è anche chi non celebra Natale per rispetto verso Gesù, “divenuto ormai un «oggetto/gadget» tra le cianfrusaglie natalizie, mentre chi dovrebbe tutelarlo, almeno come bambino indifeso e rifiutato dai «suoi» e dalla politica al potere, gioca al presepe e «gioisce» al canto di insulse ninne-nanne e ignominiose cantilene come «Tu scendi dalle stelle… al freddo e al gelo». Tutti felici e contenti del «freddo e del gelo». Sadici fino a questo punto…”. 

Qualcuno ha annunciato il <digiuno eucaristico> a Natale, contro la celebrazione del Natale ormai divenuto una minestra riscaldata, un qualcosa di avvolto nella bambagia delle nostre comodità e certezza, senza alcuna attenzione a tutto ciò che produce estromissione, separazione, per rinchiudere in una stalla l’Emmanuele che viene in mezzo a noi. 
Qualche sacerdote in linea con Papa Francesco ha però sottolineato “che la prospettiva della Chiesa, sull'esempio di Giuseppe, è quella di custodire: non la Chiesa, non la dottrina, non i valori non negoziabili, ma di custodirci gli uni gli altri; non in modo generico ma con riferimento concreto agli affamati, agli assetati, ai denudati di vestiti, di verità e di dignità, ai carcerati, agli ammalati, agli stranieri… E insieme custodire tutti gli esseri viventi, l’intero creato..“. Anche questo è Natale!
Sembra quasi che siano gli stessi cristiani i primi ad aver abolito il Natale e ad averlo trasformato in una favoletta magica e sentimentale con uno sfondo edificante che possa spegnere le inquietudini dei tempi moderni!
Un amico,che qualcuno sicuramente conosce, Savino Pezzotta, scriveva:“Da Pechino a Tokyo, da Roma a Palermo, da Berlino a Vienna, a New York e Toronto , ovunque si vedono i segni esteriori di quello che appare ormai come un festival invernale perché diventa sempre più obliata la festa del Natale. Ovunque vediamo sfilare i Babbo Natale con il cappello rosso e bianco accompagnati da una musica che mescola diversi generi. Lentamente ma inesorabilmente le nostre società sembrano dimenticare la dimensione religiosa e umana di questa Festa. Il mio vecchio Parroco , nel sermone della Messa di Mezzanotte era solito criticare le forme e gli strumenti che trasformavano il ricordo della Nascita di Gesù in un evento consumistico e borghese: in una Festa Commerciale. Mi chiedo , con tremore e timore, se ha ancora senso parlare del Natale come una festa , quando il suo contenuto viene da tutti noi svuotato. Resta come appuntamento sognato, come momento di incontro e di convivialità con la famiglia, questa famiglia che resta una protezione simbolica contro il freddo , il maltempo climatico, sociale e politico. Dobbiamo rintracciare sotto gli addobbi che esponiamo nell'illusione di fare festa , il significato vero di questa giornata e collocarla all'interno di ciò che stiamo vivendo, nelle difficoltà del lavoro, della vita, del vivere insieme , la fatica nel riconoscere la ricchezza che ci apporta colui che viene da fuori e la bellezza di vivere un modo di differenze”. 
Che aggiungere? Auguriamoci solo che il Natale sia una festa autentica, rivoluzionaria, davvero evangelica per chi crede, e utile al recupero di atteggiamenti fraterni ed essenziali per chi dice di non credere. 
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Agostino

domenica 22 dicembre 2019

CROCE E SALVAGENTE...IL GRIDO DEL BISOGNOSO!

"Questo è il secondo giubbotto salvagente che ricevo in dono...Questo secondo giubbotto, consegnato da un altro gruppo di soccorritori solo qualche giorno fa, è appartenuto a un migrante scomparso in mare lo scorso luglio. Nessuno sa chi fosse o da dove venisse. Solo si sa che il suo giubbotto è stato recuperato alla deriva nel Mediterraneo Centrale, il 3 luglio 2019, a determinate coordinate geografiche. Siamo di fronte ad un’altra morte causata dall'ingiustizia. Già, perché è l’ingiustizia che costringe molti migranti a lasciare le loro terre. È l’ingiustizia che li obbliga ad attraversare deserti e a subire abusi e torture nei campi di detenzione. È l’ingiustizia che li respinge e li fa morire in mare...
Ho deciso di esporre qui questo giubbotto salvagente, “crocifisso” su questa croce, per ricordarci che dobbiamo tenere aperti gli occhi, tenere aperto il cuore, per ricordare a tutti l’impegno inderogabile di salvare ogni vita umana, un dovere morale che unisce credenti e non credenti.
Come possiamo non ascoltare il grido disperato di tanti fratelli e sorelle che preferiscono affrontare un mare in tempesta piuttosto che morire lentamente nei campi di detenzione libici, luoghi di tortura e schiavitù ignobile? Come possiamo rimanere indifferenti di fronte agli abusi e alle violenze di cui sono vittime innocenti, lasciandoli alle mercé di trafficanti senza scrupoli? Come possiamo “passare oltre”, come il sacerdote e il levita della parabola del Buon Samaritano (cfr Lc 10,31-32), facendoci così responsabili della loro morte? ... Non è bloccando le loro imbarcazioni che si risolve il problema. Bisogna impegnarsi seriamente a svuotare i campi di detenzione in Libia, valutando e attuando tutte le soluzioni possibili. Bisogna denunciare e perseguire i trafficanti che sfruttano e maltrattano i migranti, senza timore di rivelare connivenze e complicità con le istituzioni. Bisogna mettere da parte gli interessi economici perché al centro ci sia la persona, ogni persona, la cui vita e dignità sono preziose agli occhi di Dio. Bisogna soccorrere e salvare, perché siamo tutti responsabili della vita del nostro prossimo, e il Signore ce ne chiederà conto al momento del giudizio."
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PAPA FRANCESCO DURANTE L'INCONTRO CON I RIFUGIATI  ARRIVATI DA LESBO CON I CORRIDOI UMANITARI-Giovedì, 19 dicembre 2019

sabato 21 dicembre 2019

TUTTI I NOSTRI GUAI ...

Come ci si muove, si finisce per sbattere contro la logica del massimo profitto. La catastrofe climatica? Gratta gratta e trovi la logica del massimo profitto. Le aree più travagliate del globo?Gratta gratta e trovi la logica del massimo profitto. Le guerre a catena per portare la democrazia? Gratta gratta e trovi la logica del massimo profitto. Le mafie e il quadro legalillegale dentro cui agiscono ora con delinquenza signorile, ora assassinando al vecchio modo? Gratta gratta e trovi la logica del massimo profitto. Tutti ma proprio tutti i guai di casa nostra e del pianeta, dalla Mittal alle banche disastrate, alla schiavizzazione della forza lavoro, a insopportabili disuguaglianze, derivano dalla logica del massimo profitto. E i politici, la cui dichiarata ambizione di agire per il bene della nazione e casomai dell’Europa e del mondo urta di continuo con gli interessi palesi e segreti che rappresentano, non sono spesso al servizio della logica del massimo profitto? E noi, i singoli individui, non sposiamo ogni possibile porcheria (sì, dagli a Segre, dagli alla sorella di Cucchi, dagli ai giornalisti disobbedienti, dagli a chiunque non abbia capito che il manovratore non va disturbato) sperando di raccogliere così almeno le briciole del massimo profitto altrui? Sicché, se tornassimo a pensare che – forse, eh, forse – quella logica è illogica e va combattuta? 
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Domenico Starnone in “Internazionale” del 21 dicembre 2019

domenica 8 dicembre 2019

EMERGENZA SCUOLA ... DEGLI ADULTI!

Su ilLibraio.it una parte della riflessione di Enrico Galiano, insegnante e scrittore, dopo la pubblicazione dei risultati del test Ocse-Pisa
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"Sono usciti anche quest’anno i risultati dei test Ocse-Pisa : programma per la valutazione internazionale dello studente (Programme for International Student Assessment).
È un’indagine annuale che valuta gli allievi a cui manca poco per concludere l’obbligo scolastico, per capire come se la cavano con alcune delle conoscenze e delle abilità essenziali del loro corso di studi. Si effettua in circa settanta Paesi in tutto il mondo.
E gli studenti italiani? Come al solito: cioè maluccio, per cui solo un quindicenne su venti sarebbe in grado di comprendere un testo scritto. E' vero, non sono risultati positivi, non ci nascondiamo dietro un dito. Siamo più o meno a metà classifica su 68 Paesi.
Ma purtroppo c'è anche qualcosa di catastrofico: i dati sugli adulti. Eh sì, perché oltre ai test Ocse-Pisa esiste anche l’indagine Ocse Piaac, che fa praticamente la stessa cosa del Pisa, solo con gli adulti.
E lì come andiamo? Malissimo. Malissimissimo. Lì siamo ultimi, ragazzi. Noi qui a puntare il dito sui nostri quindicenni, ma la situazione del mondo adulto è molto, molto peggiore. I dati sull’analfabetismo funzionale della popolazione adulta sono davvero gravi, e ci parlano di un’emergenza ben più impellente, perché mentre un quindicenne che non capisce un testo è terribile ma può causare danni limitati, un trentenne che non sa capire quello che legge è una persona che vota, che fa scelte di vita importanti, che partecipa attivamente alla vita pubblica, magari proprio decidendo quanti fondi dare alla scuola e all’istruzione. Abbiamo bisogno di sistemare la scuola dei nostri figli, è vero. Ma prima ancora di quella, abbiamo bisogno di far capire ai loro genitori quanto è importante non smettere mai di leggere e di studiare."

sabato 7 dicembre 2019

IL CANTO DELL'EMIGRANTE

Ingoia le lacrime, stringi i denti di fronte al dolore, ‎
non dar retta alle ingiurie e alle umiliazioni, ‎
mantieni ferrea la volontà, ‎
così sopravviverai alla sofferenza. ‎

Tutto andrà per il meglio, tutto andrà per il meglio. ‎
Sopporta con pazienza l’attesa, ‎
abbi fiducia nel futuro, ‎
non perdere il coraggio: il mondo tornerà ad essere un giardino!‎

Finirà l’ostilità, ‎
l’odio e la cupidigia ed ogni sofferenza svaniranno
Il tuo nemico tornerà a chiamarti: Fratello, Uomo! ‎
E ti porgerà la mano con vergogna. ‎

E non sarai più solitario in disparte ‎
quando gli altri gioiscono e ridono. ‎
Anche per te il sole sorgerà, ‎
anche per te si risveglieranno gli uccellini. ‎

Per te splenderà il sole, ‎
per te l’albero fiorirà, ‎
avrai di nuovo una patria, dei fratelli. ‎
Il male svanirà come un incubo oscuro e la tua anima tornerà alla vita.‎
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L'AUTRICE.
Ilse Herlinger Weber è stata una poetessa e scrittrice di origine ceca e di religione ebraica.

A Praga, dove viveva, scrisse molti racconti per l’infanzia e condusse anche programmi radiofonici ‎per i bambini. Dopo l’occupazione nazista, nel 1939, riuscì a mettere in salvo il suo primogenito ‎Hanuš mandandolo da amici in Svezia attraverso un “kindertransport”. Poi lei, il marito ed il figlio ‎più piccolo furono rinchiusi nel ghetto di Praga e quindi internati nel campo/ghetto di ‎Theresienstadt. A Terezìn, dove erano stati deportati moltissimi bambini, Ilse Weber svolse ‎l’attività di infermiera nel reparto infantile della locale infermeria. E’ in questo periodo che, per ‎alleviare le pene dei piccoli ospiti, compose molte poesie che improvvisava in canzoni ‎accompagnandosi con la chitarra. Nell’ottobre del 1944 suo marito Willi fu scelto per il ‎trasferimento ad Auschwitz e Ilse chiese di seguirlo: lei ed il figlioletto Tommy vennero subito ‎uccisi al loro arrivo. Willi sopravvisse e potè poi riabbracciare Hanuš, il figlio sopravvissuto.‎

venerdì 6 dicembre 2019

Antisemitismo,razzismi e nazionalismi

Episodi di antisemitismo – omicidi, aggressioni fisiche, insulti e minacce nei media, profanazioni di luoghi di culto e cimiteri ebraici – segnano un risorgere preoccupante in più paesi d’Europa, in Francia, in Germania, nel Regno Unito e altrove, secondo le statistiche rilasciate dai governi. I dati registrati sono una sottostima del fenomeno perché riflettono le denunce esplicite, e non la miriade di casi che restano ignoti. Anche in Italia, secondo l’Osservatorio antisemitismo del Centro di documentazione ebraica contemporanea, vi è un crescere di minacce, insulti, atti vandalici e violenza digitale. 
È una patologia che persiste, ricorre ancora 75 anni dopo lo sterminio nazista, appare muoversi per l’Europa senza complessi, rimuovendo tabù, riesumando vecchi stereotipi quali il potere finanziario e politico eccessivo degli ebrei e l’invenzione falsificatrice di un complotto mondiale da questi ordito. Nelle società dell’est europeo, in particolare – Polonia e Ungheria in primis – ma anche negli Stati Uniti proliferano falsità fino ad attribuire agli ebrei la volontà di demolire attraverso l’ingresso di immigrati dall’Africa, dal Medio Oriente o dall’America Latina la supremazia dell’etnia “bianca”. Una recente indagine condotta dall’Anti defamation League americana in 18 Paesi fra cui numerosi europei conferma il prevalere di forti stereotipi antisemiti – il potere economico, la “doppia lealtà” rispetto al proprio paese e a Israele, l’ossessione della memoria dell’Olocausto – in Polonia, Ucraina, Ungheria e Russia; assai meno in Svezia, Olanda, Danimarca, Germania e anche Italia.
Dell’antisemitismo, della sua lunga, orribile storia nell’Europa sono gli ebrei a soffrire, ma esso è un indice acuto del malessere di una società, del degrado di forme di convivenza civile e democratica. Riflette partiti e movimenti che esaltano l’identità etno-nazionale o persino razziale, l’intolleranza del diverso, il rifiuto dei diritti delle minoranze. Minoranze come quella ebraica, per la quale una società aperta e plurale in cui le molteplici identità, culture, comunità siano rispettate, è una condizione vitale di esistenza.
Non vi è un antisemitismo di stato come fu nel Novecento; in generale, le istituzioni pubbliche sono impegnate nel combattere rigurgiti antisemiti con un’azione di educazione alla memoria, vigilanza e prevenzione. Vi sono leggi severe contro la discriminazione razziale e religiosa, il negazionismo. Ma l’azione di repressione appare insufficiente: in diversi segmenti della società europea restano zone di connivenza, copertura o sorda passività che alimentano un senso di impunità in coloro che predicano ostilità contro gli ebrei. 
Lo conferma l’indagine condotta dall’Agenzia europea per i diritti fondamentali (www.fra.europa.eu) che ha pubblicato il secondo sondaggio – il primo risale al 2013 – circa la percezione dell’antisemitismo come pericolo, sulla base di interviste con 16.500 cittadini ebrei in 12 paesi dell’Unione europea. Ben l’85% degli intervistati ritiene che antisemitismo e razzismo siano il problema più grave dell’ Europa (l’Italia fa eccezione al riguardo); l’89% che l’antisemitismo, specie quello diffuso dalla rete, si sia accentuato nei loro Paesi. Ne risulta un sentimento di insicurezza fisica che influisce sul modo di vita, una minaccia per il presente e il futuro degli ebrei europei, oggi appena 1,5 milione, solo il 10% degli ebrei del mondo.
Il 70 % degli intervistati ritiene che l’azione dei governi non sia sufficiente nel reprimere la barbarie antisemita. In questo senso l’annuncio fatto alcuni giorni or sono nel corso di un dibattito a Roma dal ministro degli Affari Europei Amendola dell’intento del governo di nominare un Commissario ad hoc contro l’antisemitismo sul modello di quanto avvenuto in Germania è certamente qualcosa di positivo.
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Giorgio Gomel su www.riforma.it

mercoledì 4 dicembre 2019

NEGARE L'OLOCAUSTO?

La negazione dell'Olocausto non è protetta dal diritto alla libertà d'espressione: lo ha stabilito la Corte di Strasburgo rigettando il ricorso di Udo Pastors, ex capo del partito Npd, contro la sua condanna in Germania. L'uomo negò l'Olocausto durante un discorso fatto davanti al Parlamento del lander di Meclemburgo-Pomerania Anteriore nel 2010, il giorno dopo la giornata della memoria. Il politico disse che "il cosiddetto Olocausto è utilizzato per ragioni politiche e commerciali", che "dalla Seconda Guerra Mondiale i tedeschi sono stati esposti a un'infinita raffica di critiche e bugie propagandistiche" e che gli eventi organizzati per il giorno della memoria "non sono che una proiezione di Auschwitz imposte sui tedeschi". Secondo la Corte di Strasburgo l'uomo ha volutamente dichiarato falsità per diffamare gli ebrei e la persecuzione che hanno subito. Parti del suo discorso devono essere "definite come negazioniste perché mostrano disprezzo per le vittime e si contrappongono a fatti storici accertati". La Corte ha rigettato il ricorso spiegando che Udo Pastors "ha cercato di usare il suo diritto alla libertà d'espressione per diffondere idee contrarie nel testo e lo spirito alla Convenzione dei diritti umani".
Da Ansa.it del 4/12/2019

martedì 3 dicembre 2019

COSTRUIRE UN'IDENTITÀ DIALOGANTE E CONDIVISA

Nell'estate del 1954, ventidue ragazzini di età compresa tra gli undici e i dodici anni parteciparono ad un campeggio presso il parco di Robbers Cave nella parte meridionale dello stato dell'Oklahoma. Nessuno di loro si era mai incontrato prima di allora. Undici di loro vennero alloggiati in una zona del parco e gli altri undici in un'altra zona. Le due aree erano così distanti e separate che nessuno dei membri di un gruppo sospettava dell'esistenza dell'altro gruppo. Ma quando si incontrano scoppia il conflitto: bandiere bruciate, alloggi razziati, risse, spedizioni punitive. Poi i problemi si aggravano. Iniziano a scarseggiare l'acqua e il cibo. Le divisioni fittizie e le differenze artificiali allora scompaiono. I ragazzi imparano a collaborare e a risolvere, insieme, problemi comuni.
Era un esperimento di psicologia sociale. Solo un esperimento ma, pur con tutti i limiti metodologici della scienza di quegli anni e le indubbie ambiguità morali ed etiche, ci appare ancora oggi come una potente rappresentazione della vita sociale, delle sue patologie e, forse, anche delle sue possibili terapie. La divisione, alimentata ad arte da un linguaggio, da atteggiamenti, da un armamentario ideologico volto a creare un malinteso senso di identità. L'identità che si forgia contro chi ci viene descritto come diverso da noi e che non produce nient'altro che conflitti evitabili, sprechi di risorse umane e ideali, malessere e inefficienze. In fondo questo vecchio esperimento ci insegna quanto, spesso, queste divisioni possono essere artificiose e strumentali.
Diffidiamo di chi, in ambito politico, o in tv, o sui social o sui giornali usa espressioni come «grillino»,«buonista»,... perché costoro difficilmente sono in buona fede. La strategia è quella di creare identità e quindi divisione, sulla base di differenze che sono artificiose e innaturali, ma, allo stesso tempo, potenti ed efficaci. 
Proviamo a riflettere su questo esperimento del campeggio. Uscire dalla falsa partigianeria e, come i ragazzi del campo, iniziare a cooperare in misura maggiore, perché i problemi comuni da tentare di risolvere insieme, certo non ci mancano. L'esperimento del campeggio mostra anche che il conflitto tra gruppi viene aggravato quando le risorse sono scarse o che siano anche soltanto percepite come scarse.
Diffidiamo, allora, di chi ci fa sentire privati di qualcosa, depredati, di chi alimenta l'insicurezza e di chi rappresenta la realtà più fosca di quanto sia. Diffidiamo di chi crea divisione e conflitto con atti e con parole, con la finta ironia o con studiata superiorità. Diffidiamo di chi vuole metterci l'uno contro l'altro; di chi afferma la propria identità, appartenenza, storia e perfino la propria religione, contro quelle di qualcun altro; per differenza.
Certamente non abbiamo bisogno di chi, in questo modo, alimenta conflitti e divisioni creati ad arte. Ciò che ci serve è altro: dialogo vero, rispetto reciproco e fiducia, anche in chi la pensa diversamente.

martedì 26 novembre 2019

E' UN CRIMINE ...


“Oggi, 24 novembre, è una giornata molto importante, direi storica per la pace.”  Mons. Giovanni Ricchiuti, Presidente di Pax Christi, così commenta, a caldo, le parole di papa Francesco a Hiroshima e Nagasaki. “Non posso che esprimere la più totale condivisione e sintonia con papa Francesco”. E credo di interpretare i sentimenti non solo di Pax Christi Italia ma anche di Pax Christi International.”
            “Con convinzione desidero ribadire che l’uso dell’energia atomica per fini di guerra è, oggi più che mai, un crimine, non solo contro l’uomo e la sua dignità, ma contro ogni possibilità di futuro nella nostra casa comune. L’uso dell’energia atomica per fini di guerra è immorale, come allo stesso modo è immorale il possesso delle armi atomiche, come ho già detto due anni fa.”Così ha detto papa Francesco, e ha aggiunto “saremo giudicati per questo”. E ancora “Come possiamo parlare di pace mentre costruiamo nuove e formidabili armi di guerra? Come possiamo parlare di pace mentre giustifichiamo determinate azioni illegittime con discorsi di discriminazione e di odio?”
            “Sono parole forti – commenta il vescovo Ricchiuti  e danno forza a tutti quelli che lavorano per la pace, che nei nostri territori denunciano la corsa al riarmo, che chiedono che anche l’Italia aderisca al Trattato che mette al bando le armi nucleari. Abbiamo davanti un grande lavoro da fare!  Sia come chiesa, sia come società civile.
Penso alla decisione che la Camera ha preso, qualche giorno fa approvando, di fatto, il progetto degli F35. Penso alle dichiarazioni del Ministro degli Esteri che, dopo l’ennesimo naufragio con alcuni morti davanti a Lampedusa, dice che ‘dobbiamo lavorare per fare in modo che le imbarcazioni non partano più dalle coste libiche, da quelle tunisine e dal Nord Africa.’
“Ma con quale competenza, e come si permette di affermare certe cose?
Non possiamo lasciare cadere nel vuoto gli appelli di papa Francesco. Non lo vogliamo lasciare solo. Quando lo abbiamo incontrato come Consiglio Nazionale lo scorso 12 gennaio, ci ha detto le stesse cose che ha detto oggi, aggiungendo “forse non mi ascolteranno, ma la Chiesa non può tacere”. “La strada degli artigiani di pace – conclude il Presidente di Pax Christi – è una strada che non si può abbandonare. Dobbiamo continuare a lavorare, costruire, denunciare, annunciare, perché la storia non si cambia se non cambiano le radici profonde dell’ingiustizia e della guerra.  Nunca mas ha detto Francesco nella sua lingua…”
            ‘Mai più la guerra, mai più il boato delle armi, mai più tanta sofferenza. Venga la pace nei nostri giorni, in questo nostro mondo. O Dio, tu ce l’hai promesso…”
24 novembre 2019
mons. Giovanni Ricchiuti
Presidente Nazionale di Pax Christi
vescovo di Altamura – Gravina – Acquaviva delle Fonti

giovedì 14 novembre 2019

Io sto con Papa Francesco: "Gli ebrei sono fratelli"

Si torna a perseguitare gli ebrei, l’orrore di una storia millenaria non è finito. La denuncia di Papa Francesco è netta, scandita ai fedeli durante l’udienza generale del mercoledì in piazza San Pietro. Il pontefice ne parla a braccio, mentre legge la sua catechesi sugli Atti degli Apostoli e l’arrivo a Corinto di San Paolo, «trovò ospitalità presso una coppia di sposi, Aquila e Priscilla, costretti a trasferirsi da Roma a Corinto dopo che l’imperatore Claudio aveva ordinato l’espulsione dei giudei...». È qui che Francesco alza lo sguardo sulla piazza e aggiunge: «Il popolo ebraico ha sofferto tanto, nella storia. È stato cacciato via, perseguitato... Nel secolo scorso abbiamo visto tante, tante brutalità che hanno fatto al popolo ebraico, e tutti eravamo convinti che questo fosse finito. Ma oggi incomincia a rinascere qua, là, là, l’abitudine di perseguitare gli ebrei. Fratelli e sorelle, questo non è né umano né cristiano. Gli ebrei sono fratelli nostri e non vanno perseguitati. Capito?». Le parole del Papa arrivano in un momento nel quale si moltiplicano gli atti di antisemitismo in tutta Europa, e in Italia la senatrice a vita Liliana Segre è stata costretta ad avere una scorta per le minacce ricevute: una donna che è tra i testimoni più alti della Shoah e ha tatuato sul braccio il numero 75190, «non si cancella, è in me, sono io il 75190». Del resto accade da tempo, lo stesso Francesco aveva già messo in guardia il Vecchio Continente dal ritorno dell’odio contro gli ebrei. Un anno fa, il 23 settembre 2018, visitò la Lituania e parlò a Vilnius, la «Gerusalemme del Nord», dove il 96 per cento dei duecentomila ebrei lituani fu sterminato dai nazisti. Un mazzo di rose gialle, due minuti di preghiera silenziosa nel luogo dove sorgeva il Grande Ghetto — quarantamila persone — liquidato dai tedeschi il 23 settembre 1943. Quel giorno, dalla periferia dell’Europa, il Pontefice aveva avvertito del pericolo: «Come si legge nel Libro della Sapienza, il popolo ebraico passò attraverso oltraggi e tormenti. Facciamo memoria di quei tempi, e chiediamo al Signore che ci faccia dono del discernimento per scoprire in tempo qualsiasi nuovo germe di quell’atteggiamento pernicioso, di qualsiasi aria che atrofizza il cuore delle generazioni che non l’hanno sperimentato e che potrebbero correre dietro quei canti di sirena».
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 Gian Guido Vecchi in “Corriere della Sera” del 14 novembre 2019

mercoledì 13 novembre 2019

«Giornata della Gentilezza»


Si celebra oggi, 13 Novembre, la "Giornata Mondiale della Gentilezza". In questo giorno l’invito è quello di promuovere l’attenzione e il rispetto verso il prossimo, la cortesia dei piccoli gesti, la pazienza, la cura, l’ascolto dei bisogni degli altri senza dimenticare i propri. È anche «urbanità», intesa come modalità di comportamento che ci fa vivere in società, armonizzandoci con essa e contribuendo attivamente affinchè un luogo, un posto, sia più «felice». Per celebrarla c’è anche un decalogo pubblicato sul sito www.gentletude.com e inteso come i «Dieci piaceri della Gentilezza». Eccolo

1. Vivere bene insieme: ascoltare ed essere pazienti
2. Essere aperti verso tutti: salutare, ringraziare e sorridere
3. Lasciare scivolare le sgarberie e abbandonare l’aggressività
4. Rispettare e valorizzare le diversità, grande fonte di ricchezza
5. Non essere gelosi del sapere: comunicare, trasmettere e condividere
6. Il pianeta è uno solo, non inquinare e non sporcare
7. Ridurre gli sprechi: riciclare, riutilizzare e riparare
8. Seguire le stagionalità e preferire i prodotti locali
9. Proteggere gli animali: non sfruttarli, non maltrattarli, non abbandonarli
10. Allevare gli animali in modo etico, non infliggere sofferenze.

sabato 9 novembre 2019

9 NOVEMBRE 1989 / 9 NOVEMBRE 2019

Il 13 Agosto del 1961 venne costruito il Muro di Berlino, una barriera che ostacolava legami familiari, affettivi e d’amore. Famiglie, amici e innamorati si trovarono improvvisamente separati da questa ingiusta separazione. Amicizie e grandi amori separati all’improvviso e destinati all’incomunicabilità. Internet non aveva ancora quel largo raggio d'azione e di comunicazione. C'era una sola possibilità:scrivere una lettera! Ecco di seguito una bella testimonianza di due innamorati divisi dal Muro di Berlino.
Mio caro Christoph, mio povero Christoph. Voglio essere breve per non addolorarti troppo. Ritorno ora dall’ufficio competente e sono molto avvilita. Mi è stato spiegato che si rilasciano autorizzazioni esclusivamente a parenti di 1 grado. Anche a Natale, nessun lasciapassare, e tantomeno per i fidanzati. Ciò che abbiamo da discutere, possiamo comunicarcelo tranquillamente per iscritto. Ecco quanto mi ha detto la signora con cui ho appena parlato. E mi ha consigliato di chiederti cosa intenderai fare d’ora in avanti, visto che per il momento di trasloco non se ne parla neanche – e se proprio vogliamo sposarci potremmo farlo quando c’è la fiera. Tuttavia dobbiamo renderci conto delle conseguenze a cui andiamo incontro. E nessuno può sapere quando ci sarà un trattato di pace. Naturalmente questa non è una legge, e nemmeno un ricatto! Il fatto è, mi ha spiegato, che qui adesso dobbiamo darci da fare tutti quanti, e non si può fare a meno di nessuno. Insomma, se le tue intenzioni nei miei confronti sono davvero serie, potrai dimostrarlo venendo qua durante la fiera, quando ti daranno l’autorizzazione. Nulla ti impedisce di fare questo passo. Devo dirti che la logica di concederti il lasciapassare per la fiera ma a natale invece no, è qualcosa che non riesco a comprendere a fondo; però davanti a lei sono rimasta zitta e tranquilla. E non le ho neppure detto che voglio trasferirmi assolutamente ad ovest – che del resto non sarebbe nemmeno la verità, ma al contrario, ho spiegato che tu hai intenzione di venire a vedere quali possibilità di lavoro avresti qui da noi; e che prima non si possono affatto prendere decisioni definitive. Caro Christoph, so bene che in questo momento tu sei molto triste, ti abbraccio forte, ti bacio, ti accarezzo, appoggio la mia bocca sui tuoi occhi. Non essere triste, io tengo duro e sono convinta che il nostro amore sarà più forte di ciò che attualmente ci separa. Adesso chiudo perché ho altre lettere da scrivere.
Per sempre tua, Dorothea.”

giovedì 7 novembre 2019

Albert Einstein

<<Il valore di un uomo dovrebbe essere misurato in base a quanto dà e non in base a quanto è in grado di ricevere.>>

lunedì 4 novembre 2019

UN PENSIERO PER IL GIORNO

"L'amore insegna che si può essere felici per un bene o un gesto che si riceve, ma altrettanto felici per un bene o un gesto che si compie.
Oggi noi viviamo in una società irrigidita nelle espressioni altruistiche a causa del dominio della cultura del nemico. Fino a prova contraria, consideriamo chi non conosciamo bene, lo straniero alla nostra esistenza, pericoloso e quindi 'mostriamo i denti'; un atteggiamento guerriero che invia il messaggio di essere pronti ad aggredire. Questa situazione ha reso buia la relazione interumana, che appare fredda e difensiva. E ci sfugge persino la gioia e il piacere che derivano dall'essere gentili e generosi, nel fare qualcosa che l'altro apprezza, nel mostrare rispetto: solidarietà, comprensione, condivisione, cooperazione.
E' bellissimo fare il bene, altrettanto che riceverlo. Dipende dalla personalità: alcune persone godono più nel farlo che nel riceverlo."
(Vittorino Andreoli in "Uomini di Dio")

martedì 29 ottobre 2019

RAZZISMO E ODIO : I MALI PEGGIORI DELL'UOMO CHE SI RIPRODUCONO SEMPRE!

Per Liliana Segre, senatrice a vita, sopravvissuta agli orrori del lager nazista di Auschwitz, gli haters, compresi quelli che la bersagliano con 200 messaggi razzisti al giorno sulla rete, "sono persone di cui avere pena" e che "andrebbero curate". Le ricordano quei ragazzi della Hitlerjugend che "insultavano noi, 700 donne denutrite, senza capelli mentre percorrevamo la strada che dal campo portava alla fabbrica di munizioni Union, nel fango o nella neve".
"Ci offendevano con parolacce irripetibili - ha raccontato all'Università Iulm di Milano, intervistata nel corso del convegno "Il linguaggio dell'odio", promosso dall'Ordine del giornalisti della Lombardia - e ci sputavano addosso". Per quei giovani, coetanei, lei era una ragazzina di 13 anni, "con le loro divise e fascia con croce uncinata" la senatrice a vita provava "odio, un odio immenso" che tenne dentro di sé fino a quando divenne nonna.
    "Fu allora che ripensai a quei ragazzi che vedo come se fosse ora - ha aggiunto - e mi è successa una cose straordinaria: ero tornata, ero viva, avevo potuto contare sull'amore , potevo essere nonna. Loro, figli e nipoti di nazisti, educati all'odio, quel sentimento se lo sono portati dentro tutta la vita. Ho pensato: sono stata più fortunata di loro, e non li ho odiati più". Un po' come gli haters che le augurano la morte tutti i giorni.
E qui la senatrice a vita dà prova della sua dolce ironia: "Ogni minuto va goduto e sofferto bisogna studiare, vedere le cose belle che abbiamo intorno, combattere quelle brutte, ma perdere tempo a scrivere a un 90enne per augurarle la morte... Tanto c'è già la natura che ci pensa". L'ex deportata si aspetta molto dalla Commissione anti odio di cui si discuterà in Senato. "Spero aderiscano in molti, sarebbe una brutta figura non aderire a una Commissione contro l'odio".
Estratto da Ansa del 29/10/2019

sabato 19 ottobre 2019

GLI ITALIANI SONO FAVOREVOLI ALL'ACCOGLIENZA DEI MIGRANTI!

È un’Italia inedita quella che emerge dalla ricerca su italiani e migranti condotta dall’istituto Ipsos di Nando Pagnoncelli per WeWorld Onlus. Il sondaggio è stato presentato da Marco Chiesara, presidente di WeWorld, che spiega: “I dati mostrano come il clima d’odio costruito negli ultimi anni abbia generato percezioni distorte, che alimentano paure infondate verso chi arriva in Italia in cerca di accoglienza. Paure che diventano prioritarie rispetto a problemi più concreti e reali”.

Quasi sette italiani su dieci sono favorevoli al diritto all'accoglienza dei migranti (il 68%).
Il dato evidenziato dall'istituto di ricerca è ancora più sorprendente se si considera un altro aspetto emerso dall'indagine: gli italiani sono convinti che il 31% dei residenti in Italia sia straniero, quando la cifra reale è del 9%. Una percezione nettamente falsata dunque. Il tema dell'accoglienza tuttavia non è trattato con leggerezza dagli italiani, che per l'84% chiede all'Unione europea di svolgere un ruolo centrale a sostegno dell'Italia. Un terzo degli intervistati invece si dimostra molto ostile al tema dell'accoglienza sostenendo che non sia più possibile ospitare rifugiati e migranti e si dichiara in linea con la chiusura delle frontiere.

L'immigrazione è comunque in alto tra i motivi di preoccupazione degli italiani, anche se non entra nella "top 3", posizionandosi invece al quarto posto. Precedono, come primo motivo di apprensione il tema della disoccupazione, segue poi la situazione economica e in terza posizione il tema delle tasse. La metà degli italiani inoltre ritiene che l'immigrazione stia dividendo il paese in frange opposte e per questa conseguenza indiretta viene considerata negativamente. Non hanno quasi nessun dubbio invece, quando si parla di sfruttamento degli immigrati nel mercato del lavoro: il 75% ritiene che questo problema sia reale. Quando si parla di inserimento nel mondo del lavoro dei nuovi arrivati però, il 55% degli intervistati è convinto che le aziende dovrebbero dare la precedenza alle assunzioni ai lavoratori italiani. E quest'ultimo dato non sorprende se consideriamo che la disoccupazione è il primo motivo di preoccupazione per gli intervistati.
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Estratto da www.fanpage.it


mercoledì 16 ottobre 2019

16 ottobre 1943

NON C'È FUTURO SENZA MEMORIA 
COLORO CHE NON HANNO MEMORIA DEL PASSATO SONO DESTINATI A RIPETERLO

«La grande razzia nel vecchio Ghetto di Roma cominciò attorno alle 5,30 del 16 ottobre 1943. Oltre cento tedeschi armati di mitra circondarono il quartiere ebraico. Contemporaneamente altri duecento militari si distribuirono nelle 26 zone operative in cui il Comando tedesco aveva diviso la città alla ricerca di altre vittime. Quando il gigantesco rastrellamento si concluse erano stati catturati 1022 ebrei romani.
Due giorni dopo in 18 vagoni piombati furono tutti trasferiti ad Auschwitz. Solo 15 di loro sono tornati alla fine del conflitto: 14 uomini e una donna. Tutti gli altri 1066 sono morti in gran parte appena arrivati, nelle camere a gas. Nessuno degli oltre duecento bambini è sopravvissuto.»
(F. Cohen, 16 ottobre 1943. La grande razzia degli ebrei di Roma)

"La memoria del 16 ottobre è uno degli eventi maggiori della storia della nostra Roma contemporanea. A partire da questa memoria si costruisce un'idea di Roma e di solidarietà tra i romani. E' la memoria di una ferita all'intera città, ma soprattutto alla Comunità ebraica perpetrata, come un ladro nella notte, dopo che si era provveduto a isolare quella Comunità con le leggi razziste e con la politica fascista. A partire da quella memoria si afferma la volontà di un patto tra i romani per non dimenticare, per non isolare mai più nessuna comunità, per considerare la Comunità ebraica di questa città come uno dei luoghi decisivi per la nostra identità. Noi, come Sant'Egidio, ci sentiamo dentro questo patto a non dimenticare, che vuol dire non tollerare che nessuna comunità - soprattutto la comunità ebraica - sia isolata nella vita cittadina. Un patto per non dimenticare: è quello che si celebra ogni mese di ottobre con questa manifestazione".
(Andrea Riccardi)

"Io credo che questa commemorazione che viene fatta ogni anno ci deve portare soprattutto a riflettere fino a che punto può decadere l'animo umano, fino a che punto si può scendere nella bassezza, fino ad arrivare a perdere la ragione.
Ci troviamo qui ogni anno per ricordare queste vittime, per rivolgere un pensiero a loro che hanno dato dignità al popolo ebraico, perché erano vittime innocenti e quindi la loro morte è stata un crimine verso il popolo ebraico, ma soprattutto verso l'umanità".
(Elio Toaff)

"Ricordare insieme il 16 ottobre 1943, non è per noi un'abitudine. Anzi, più si allontana quel giorno e più cresce in noi la responsabilità di mantenere vivo il ricordo di quel tragico evento, che ha lasciato una ferita profonda non solo nella comunità ebraica di Roma, ma nella vita dell'intera città. Per questo la Comunità di Sant'Egidio e la Comunità ebraica di Roma, sono fedeli a questo appuntamento, compiendo ogni anno un pellegrinaggio della memoria, che da Trastevere si muove verso il Portico d'Ottavia. E' un pellegrinaggio pacifico che vuole ripercorrere in senso contrario il triste itinerario di quella gente inerme, che fu deportata con violenza da queste strade."
(Alessandro Zuccari)

martedì 15 ottobre 2019

COSA FACCIAMO?... BEVIAMO!

Lodigiano, l’alcol fra minorenni fa sempre più vittime:la dipendenza ora inizia a 12 anni
«Tantissimi minori al Pronto Soccorso per intossicazione alcolica, necessario intervenire fin dalle scuole medie». I tentacoli dell’alcol arrivano ai giovanissimi, l’allarme parte dall’Acat (Associazione club alcologici territoriali) che registra un lieve calo nel consumo ma un forte abbassamento dell’età media, con le prime sbronze a 12 e 13 anni. L’allerta è arrivata a margine della tradizionale festa annuale dell’Acat, tenutasi sabato sera a Codogno nella Sala Cabrini della Rsa Columbus. A oggi le famiglie seguite dall’Acat tra Lodi e Codogno sono 27, con dipendenze legate soprattutto all’alcol, ma non solo, anche alla droga e alle ludopatie, in forte crescita negli ultimi anni. Da gennaio a ottobre sono già 60 i ragazzi che si sono rivolti al dipartimento dipendenze dell’Asst per abuso di cannabis, cocaina, ma anche alcol e dipendenze da gioco.
«Dal nostro osservatorio ci risulta che il consumo sia in lieve flessione in generale, ma contemporaneamente si è abbassata in modo drastico l’età media dei consumatori, tanto che ormai l’allarme arriva all’età della scuola media – spiega Andrea Tramontano, presidente Acat -. È da tempo ormai che l’allarme è stato lanciato, a livello nazionale e locale».
A Codogno la questione era arrivata anche in consiglio comunale, per il diffondersi di pubblicità di eventi che proponevano alcol al pubblico, chiaramente orientato ai minori, come la tombola organizzata per le scolaresche che metteva in palio delle bevute di superalcolici. E le feste di fine anno delle scuole superiori del Lodigiano (per una platea tra i 14 e i 19 anni) da anni registrano casi di intossicazione etilica. L’abuso di alcol però non è confinato solo alle feste o agli eventi straordinari.
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Andrea Bagatta su Il Cittadino del 15/10/2019

venerdì 4 ottobre 2019

“Comunicare la bellezza del creato”

Mi permetto di raccontarvi il testo congiunto che i rappresentanti delle Chiese cristiane in Italia – cattolici, ortodossi ed evangelici – hanno elaborato sul tema della custodia del creato. Nel documento si affermano la responsabilità delle chiese nei confronti della creazione e la necessità di pregare affinché l’umanità rispetti il pianeta. Un messaggio importante che intende promuovere cambiamenti a partire dalle comunità con gesti concreti. 

I dati, davvero preoccupanti, per il futuro prossimo dell’umanità e dell’intero cosmo, ci spronano, come Chiese cristiane, ad agire con progetti e strategie coraggiose e improrogabili per un cambio di stile di vita quotidiana nella luce dei passi che i cristiani hanno già compiuto.

La nostra coscienza credente, attingendo dalla visione ebraico-cristiana del creato, ci invita a coniugare la spinta etica della fede con il sapere umano e scientifico, in vista di scelte sagge ed efficaci. Come? Educando ad uno sguardo nuovo: dal bene per me al bene per tutti.

La Parola del Signore ci chiede la responsabilità e la consapevolezza di esercitare la diaconia della speranza. Insieme alla predicazione occorre promuovere cambiamenti a partire dalle nostre comunità con gesti concreti.  

Esercitare la diaconia della speranza vuol dire:

• comunicare la bellezza del creato;

• denunciare le contraddizioni al disegno di Dio sulla creazione;

• educare al discernimento, imparando a leggere i segni che madre terra ci fa conoscere;

• dare una svolta ai nostri atteggiamenti ed abitudini non conformi all’ecosistema;

• scegliere di costruire insieme una casa comune, frutto di un cuore riconciliato;

• mettere in rete le scelte locali, cioè far conoscere le buone pratiche di proposte eco-sostenibili e promuovere progetti sul territorio;

• promuovere liturgie ecumeniche sulla cura del creato in particolare per il “Tempo del Creato” (1° settembre – 4 ottobre);

• elaborare una strategia educativa integrale, che abbia anche dei risvolti politici e sociali;

• operare in sinergia con tutti coloro che nella società civile si impegnano nello stesso spirito;


• le Chiese cristiane sappiano promuovere scelte radicali per la salvaguardia del creato

martedì 1 ottobre 2019

A PROPOSITO DEL DIBATTITO SUL FINE VITA

"Chiedevo perché non possiamo avere in Italia la stessa possibilità che esiste in altri Paesi civili di scegliere serenamente il modo in cui morire quando la sofferenza è grave e irrimediabile. Mi rispose allora l’Osservatore Romano, presentando argomenti contrari. Ritengo che il rispetto delle opinioni diverse sia il fondamento della democrazia, e sia particolarmente importante su un tema delicato come questo. 
La prima riguarda le dichiarazioni recenti di alcuni rappresentanti del mondo medico, che chiedono di non essere obbligati ad assistere una persona che vuole terminare la sua vita. Mi ha colpito la frase di un medico che diceva «si parla della libertà del paziente, ma che ne è della libertà del medico?». Il medico curante che per motivi legati alle sue convinzioni morali non può farlo, secondo la legge del Paese, dirige semplicemente il paziente verso un collega che non ha simili impedimenti e salvaguardando la libertà tanto del paziente che del medico. Mi sembra una soluzione civile. Non dobbiamo imporre l’uno all’altro le nostre convinzioni religiose o morali; dobbiamo rispettare le convinzioni di ciascuno, e avere leggi che permettano questo, e limitino la nostra libertà solo se la nostra libertà può nuocere ad altri. Nel rispondere al mio articolo, l’Osservatore Romano presentava l’alternativa fra una morte «in un freddo letto di ospedale», «oscura, tremebonda e piena di tabù», oppure una morte in casa propria, scelta e vissuta serenamente. Sono d’accordo. Il suicidio assistito deve avvenire in casa, serenamente. Eventualmente attorniati dai propri cari. Noi tutti dovremo affrontare l’ultimo giorno della nostra vita. Io spero intensamente che il mio possa essere in una situazione di serenità e affetto. I medici sanno che ci sono condizioni che portano a sofferenze estreme e senza rimedio, e a un degrado e un abbrutimento senza ritorno. Alcuni fra noi vogliono affrontare questo degrado comunque. Li rispetto. Altri preferiscono non farlo. Ritengo meritino eguale rispetto. L’Osservatore Romano mi obietta che se la ragione della scelta di morire è una sofferenza estrema e incurabile, la risposta è che oggi ci sono «cure palliative» che risolvono il problema. Sarebbe bello se tali cure fossero sufficienti, ma purtroppo non lo sono. Aumentare fortemente la dose di farmaci come la morfina è talvolta possibile, ma equivale in molte situazioni a un’eutanasia, perché accelera la fine della vita. Questo lascia una zona grigia, ben conosciuta dai medici, in cui si gioca fra ambiguità e ipocrisia, a fin di bene, per fare senza dire. Non è un modo onesto di gestire qualcosa di sacro e importante come la morte, secondo me. Dopo la nascita, la morte è il passo più importante della vita. Trattiamolo con il rispetto che merita, con il viso scoperto e la fronte alta, non con non-detti e mezze parole oscure. Di fronte a sofferenze irrimediabili e terribili, che purtroppo esistono, di fronte a un degrado fisico e sopratutto spirituale senza ritorno, quando il paziente non chiede altro che smettere di soffrire, e la famiglia ne è consapevole, credo che pochi medici che abbiano un poco di cuore neghino davvero la pace a chi la vuole con tutta l’anima. Non lasciamo che questo avvenga in un oscuro limbo di semi-illegalità, che può poi portare a degenerazioni che arrivano fino alla cronaca nera. I primi beneficiari di una legge su questo argomento sono i medici, che non siano più obbligati a dover far fronte non solo a difficili scelte umane, ma anche ad assurdi rischi legali. Il problema del suicidio assistito non è, e non deve essere, una questione fra laici e religiosi. 
Una delle condizioni che porta al suicidio assistito è che la sofferenza sia grave e irrimediabile. Un’altra, ovvia, è che il desiderio di morire sia forte, sincero, motivato e genuino. Forse non sarà una legge perfetta. È solo una delle soluzioni che Paesi diversi hanno adottato. A me sembra comunque molto migliore della situazione italiana, che mette i medici nella posizione dolorosa di dover scegliere se violare la propria umanità oppure violare la legge. Perché la vera questione qui non è la libertà. È l’umanità. Permettere, a chi lo desidera fortemente, di evitare la sofferenza. Questa è umanità. Quella stessa umanità che anima chi si adopera ad alleviare le sofferenze in tanti altri ambiti, e che anima tantissime persone, tanto nel mondo religioso che in quello delle persone che non sono religiose. La morte è sempre difficile. La si affronta con timori e lascia in chi resta le emozioni più dure. Ciascuno di noi è diverso. Arriviamo con sentimenti diversi alla morte dei propri cari e alla propria. Non pretendo di dire agli altri come dovrebbero avvicinarsi alla morte. Ma penso che questo rispetto dovrebbe essere reciproco. Se una persona, i suoi medici, i suoi familiari, convergono tutti nel ritenere giusto e sereno un modo di morire, penso dobbiamo interrogarci tutti se non sia meglio accettare la possibilità che di fronte al dolore irrimediabile qualcuno preferisca scegliere lui stesso il momento, che viene comunque, in cui sentirsi, come Abramo nella Genesi, «sazio di giorni»."
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ESTRATTO DA UN ARTICOLO DI CARLO ROVELLI in “Corriere della Sera” del 1 ottobre 2019

martedì 24 settembre 2019

Appello al Parlamento e al Governo per l'abrogazione dei cosiddetti Decreti Sicurezza e Sicurezza bis e l'annullamento degli accordi con la Libia


Noi cittadini e cittadine, organizzazioni della società civile, enti e sindacati chiediamo al Parlamento e al Governo di abrogare al più presto le disposizioni in materia di asilo, immigrazione e cittadinanza contenute nei c.d. decreti Sicurezza (d.l. n. 113/18 convertito con legge n. 132/18) e Sicurezza-bis (d.l. n. 53/19 convertito con legge n. 77/19) e di annullare gli accordi con la Libia, in quanto violano i principi affermati dalla nostra Costituzione e dalle Convenzioni internazionali, producono conseguenze negative sull’intera società italiana e ledono la nostra stessa umanità.

In particolare, riteniamo imprescindibili ed urgenti i seguenti interventi, che auspichiamo siano immediatamente adottati dal Governo mediante decreto legge:
  1. - Reintrodurre la protezione umanitaria
Il d.l. n. 113/18 ha abrogato il permesso di soggiorno per motivi umanitari, che era rilasciato in presenza di seri motivi di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali.
Di conseguenza, decine di migliaia di persone che pure avrebbero diritto all’asilo ai sensi dell’art. 10 della Costituzione o che si trovano in condizioni di estrema vulnerabilità per gravi motivi di carattere umanitario, vivono oggi nel nostro Paese senza poter ottenere o rinnovare il permesso di soggiorno, condannate così all’emarginazione e allo sfruttamento. Tra questi, anche molti cittadini stranieri che avevano già trovato un inserimento lavorativo e che, in seguito alla perdita del permesso di soggiorno, non possono più essere impiegati regolarmente.

Per questi motivi riteniamo necessario e urgente reintrodurre la protezione umanitaria.

  1. - Abrogare la norma riguardante la residenza dei richiedenti asilo
In base a un’interpretazione restrittiva del decreto Sicurezza, nella maggior parte dei Comuni italiani i richiedenti asilo non vengono più iscritti all’anagrafe. L’impossibilità di ottenere la residenza determina enormi problemi nell’inserimento lavorativo e nell’accesso ai servizi, contribuendo a ostacolare l’inclusione sociale dei richiedenti asilo e il raggiungimento dell’autonomia.

Per superare tali problemi, è a nostro avviso fondamentale abrogare la norma del decreto Sicurezza riguardante l’iscrizione anagrafica dei richiedenti asilo.


  1. - Ristabilire un sistema nazionale di accoglienza che promuova l’inclusione sociale di richiedenti asilo e titolari di protezione
In seguito all’entrata in vigore del d.l. n. 113/18, i richiedenti asilo non possono più essere inseriti nel sistema di accoglienza gestito dai Comuni (ex-SPRAR), ma possono essere accolti unicamente nei CAS, strutture prefettizie spesso di grandi dimensioni e prive di servizi fondamentali come i corsi di italiano, l’orientamento lavorativo e la mediazione interculturale. Viene così ostacolata l’inclusione sociale delle persone accolte e la loro positiva interazione con i territori.


Dall’entrata in vigore del decreto, inoltre, migliaia di titolari di protezione umanitaria sono stati costretti a lasciare i centri d’accoglienza e abbandonati per strada.
Il progressivo smantellamento del sistema di accoglienza ha infine comportato la perdita del posto di lavoro per migliaia di operatori e operatrici, senza un’adeguata copertura e accompagnamento degli ammortizzatori sociali.

Per questi motivi riteniamo fondamentale reintrodurre il diritto all’inserimento nello SPRAR dei richiedenti asilo e dei titolari di protezione umanitaria e, in attesa del rilancio dello SPRAR quale sistema unico di accoglienza, prevedere che i CAS rispettino standard analoghi a quelli SPRAR, con azioni per l'inclusione sociale, la formazione e l'inserimento lavorativo delle persone accolte.

  1. - Abrogare le norme riguardanti i divieti per le navi impegnate nei salvataggi
Il decreto Sicurezza bis ha introdotto una serie di norme finalizzate a impedire l’arrivo in Italia delle navi che trasportano cittadini stranieri soccorsi in mare. Tali norme hanno comportato gravi violazioni del diritto internazionale, che impone agli Stati di indicare alla nave che abbia soccorso dei naufraghi un porto sicuro dove farli sbarcare nel più breve tempo possibile. In attuazione del d.l. n. 53/19, uomini, donne e bambini, già provati dalle violenze subite in Libia, sono stati trattenuti per settimane sulle navi soccorritrici, in condizioni inaccettabili.
Inoltre, come affermato dallo stesso Presidente della Repubblica, le pesantissime sanzioni previste per le navi che violino il divieto d’ingresso in acque territoriali, risultano assolutamente sproporzionate. Il risultato complessivo del decreto Sicurezza-bis, ostacolando l’operato delle navi umanitarie e scoraggiando le navi commerciali dall’intervenire nei salvataggi, è di aumentare le morti in mare.

Per questi motivi riteniamo imprescindibile ed urgente abrogare le norme del decreto Sicurezza-bis che prevedono divieti e sanzioni nei confronti delle navi impegnate nei salvataggi.


Numerose altre norme introdotte dai decreti Sicurezza andrebbero a nostro avviso abrogate al più presto, tra cui le norme che ostacolano il rilascio del permesso di soggiorno ai minori non accompagnati al compimento dei 18 anni e quelle che condizionano i fondi della cooperazione agli accordi sui rimpatri, le disposizioni in materia di trattenimento ed espulsione, le norme relative alla procedura d’asilo e quelle in materia di cittadinanza.

Auspichiamo infine che il Governo annulli immediatamente gli accordi con il Governo libico e che, fatti salvi gli interventi di natura umanitaria, non vengano rifinanziati quelli di supporto alle autorità libiche nella gestione e controllo dei flussi migratori. I migranti intercettati dalla cosiddetta Guardia Costiera libica e riportati forzatamente in Libia vengono infatti sistematicamente rinchiusi nei centri di detenzione, in condizioni disumane, e sono sottoposti a torture, stupri e violenze. Rinviare persone bisognose di protezione verso un Paese non sicuro, come dichiarato anche dall’UNHCR e dalla Commissione europea, viola la nostra Costituzione e il diritto internazionale ed è contrario ai valori fondamentali di umanità.

Le modifiche fin qui auspicate sono assolutamente necessarie, ma di certo non sufficienti, per affrontare la complessa questione dei flussi migratori. E’ evidente l’esigenza di una più generale riforma della legislazione in materia di asilo (inclusa la reintroduzione del secondo grado di giudizio di merito per le domande d’asilo), immigrazione (prevedendo canali di ingresso regolari e forme di regolarizzazione su base individuale dei cittadini stranieri già presenti nel nostro Paese, come nella proposta di legge di iniziativa popolare già all'esame della Camera) e cittadinanza (a partire dal disegno di legge approvato alla Camera nel 2015).


Così come è imprescindibile che l’Italia reclami con forza, in seno all’Unione europea, una revisione del Regolamento Dublino che preveda una equa ripartizione di responsabilità tra tutti i Paesi europei sulla base di criteri che tengano anche conto dei legami significativi dei richiedenti asilo, l’attivazione di una missione di ricerca e salvataggio europea in grado di fermare le morti in mare, con la cooperazione di tutti gli Stati membri, nonché il rilancio di una politica estera e di cooperazione allo sviluppo in grado di promuovere la pace e i diritti umani e ridurre le disuguaglianze nel mondo.

Riteniamo che, in attesa di tali più complessive riforme, l’abrogazione delle disposizioni dei decreti Sicurezza e Sicurezza-bis sopra citate e l’annullamento degli accordi con la Libia rappresentino un primo passo fondamentale affinché i salvataggi in mare non vengano più ostacolati, e le persone accolte in Italia siano inserite in percorsi di accoglienza integrata e diffusa che consentano una loro positiva inclusione nella società italiana.


sabato 7 settembre 2019

E SE VENISSE ABOLITO IL SACERDOZIO COSI' COME LO CONOSCIAMO?

Di fronte ai molti scandali sessuali che hanno come protagonisti i preti cattolici, James Carroll,  noto giornalista americano, saggista, vaticanista – e soprattutto per 5 anni sacerdote, adesso  sposato, in un articolo di Atlantic, rivista statunitense, presenta un punto di vista interessante e stimolante per una possibile discussione in cui cerca di analizzare i motivi della crisi che si trova a vivere la Chiesa, per giungere ad una drastica e indubbiamente provocatoria conclusione: “Sarebbe necessario abolire il sacerdozio cattolico come lo conosciamo oggi, cioè una condizione riservata ai maschi che devono teoricamente astenersi dai rapporti familiari e sessuali “.
Carroll, per dare forza e veridicità al suo ragionamento, racconta di sé e del periodo in cui esercitava il ministero cioè degli anni 70, in cui  la Chiesa coraggiosamente faceva il più grande tentativo di modernizzazione: “ I miei cinque anni da sacerdote, che pure passai nell’ala più liberale della Chiesa, mi fecero assaggiare il fetido gusto della casta. Il clericalismo, con il suo culto della segretezza, la misoginia teorizzata dalla dottrina, la repressione sessuale che pratica e il suo potere gerarchico giustificato dalle minacce di finire all’inferno, sono alla base delle storture della Chiesa cattolica. L’ossessione dei membri del clero per il proprio status cancella anche i meriti dei sacerdoti “buoni”, e distorce il messaggio di amore disinteressato verso il prossimo che la Chiesa aveva avuto il compito di diffondere”.
Carroll sostiene il fatto che nei Vangeli non sia prescritto né il celibato né l’obbedienza cieca alla gerarchia, Molte delle cariche e dei ruoli che oggi diamo per scontati sono stati costruiti soltanto più tardi, secoli dopo la nascita delle prime comunità cristiane, che invece erano sostanzialmente egalitarie. Il celibato divenne la norma soltanto nel Medioevo:“A un certo punto il tratto esclusivamente maschile della Chiesa e la sua misoginia diventarono inseparabili dalla sua struttura.  La colonna portante del clericalismo è semplice: le donne sono subalterne agli uomini. I fedeli comuni sono subalterni ai sacerdoti, che sono “ontologicamente” superiori perché appartengono alla Chiesa. Dato che il celibato rimuove eventuali legami familiari o altre obbligazioni, i sacerdoti sono stati incastrati in una gerarchia che replica il sistema feudale in uso nel Medioevo”.
Una struttura così verticale ed elitaria finisce inevitabilmente per tendere all’autoconservazione del proprio status e del potere acquisito, diventando anche impermeabile agli stimoli esterni: «Dovremmo sorprenderci del fatto che uomini abituati a considerarsi tanto potenti – quasi come alter Christus, un altro Gesù Cristo – possano smarrirsi nell’egocentrismo? O che abbiano difficoltà a distanziarsi da un sistema feudale che garantisce loro una comunità e le eventuali promozioni, per non parlare poi di uno status a cui i fedeli laici non potranno mai accedere? Oppure, ancora, che la Chiesa preveda la scomunica per ogni donna che celebri una Messa, e nessuna punizione del genere per un sacerdote pedofilo? Il clericalismo si autoalimenta e si sostiene da solo: fiorisce nella segretezza, e pensa solo a se stesso”.
La prassi dell’autoconservazione non si esaurirà però molto facilmente nella Chiesa. "Il futuro arriverà senza farsi notare, passo dopo passo, come fa sempre. Ma arriverà. Fra un secolo la Chiesa cattolica esisterà ancora. Se in passato fu appropriato, per la Chiesa, adottare strutture politiche del tempo – la Roma imperiale, l’Europa feudale – perché non dovrebbe assorbire i valori e la forma della democrazia liberale?”

La Preghiera del Mendicante

“Dammi mio Dio, ciò che ti resta,
Dammi ciò che non Ti viene domandato mai,
io non Ti chiedo il riposo
né la tranquillità,
né quella dell’anima
né quella del corpo.
Io non Ti chiedo ricchezza,
né il successo
tutto ciò mio Dio, Ti viene
tanto chiesto
che ormai non devi averne più.
Dammi ciò che gli altri rifiutano di avere da Te.
Io voglio la tormenta
e la mischia;
e che Tu me la dia, mio Dio,
definitivamente
che io sia sicuro di averle in ogni
momento,
Perché non sempre avrò il coraggio di chiederTele,
dà a me, quello che gli altri non vogliono
ma dammi anche l’Orgoglio,
la Forza e la Fede”.
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da www.imgpress.it

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