domenica 27 gennaio 2019

Migranti, dal mondo della cultura un appello per le stragi nel Mediterraneo

Lo hanno chiamato «Non siamo pesci» e in poche ore l’appello di Luigi Manconi e Sandro Veronesi a favore dei migranti ha raccolto oltre seicento firme. Non firme qualunque, c’è davvero tutto il mondo della cultura e dello spettacolo in calce a quel documento dove si chiede di instituire una commissione parlamentare d’inchiesta sulle stragi del Mediterraneo e di realizzare una missione in Libia. Solo per citare qualche nome tra i firmatari: Andrea Camilleri e Roberto Benigni, Leonardo Pieraccioni e Antonio Albanese, Alessandro Baricco, Edoardo Nesi, Domenico Procacci, Paolo Virzì, Carlo Verdone. Ma sono davvero soltanto alcune.
Sos Sea Watch
Il primo Sos del documento-appello è per la nave Sea Watch: «Sabato scorso ha salvato 47 persone ripristinando il rispetto delle leggi e delle convenzioni internazionali, deve avere un porto sicuro in Italia». Luigi Manconi e Sandro Veronesi hanno redatto l’appello con il collettivo #corpi. Si chiede anche di consentire alle navi militari e alle Ong che salvano le vite in mare di poter intervenire.
«Non siamo pesci»
L’appello sta girando in rete (nonsiamopesci@gmail.com) e sta continuando a raccogliere firme. «Sono ben diciannove giorni che la nave Sea Watch sta cercando un porto dove attraccare», scrivono Veronesi e Manconi in un comunicato stampa dove spiegano che «non siamo pesci» viene da una frase di Fanny, una donna del Congo a Bordo della Sea Watch.
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Da www.corriere.it

NON POSSIAMO DIMENTICARE!


L'artista Gunter Demnig ricorda le vittime dell'era nazista, i deportati di religione ebraica e i deportati politici o militari, lasciando targhe di ottone sui  marciapiedi o lungo le strade con incisi i nomi di coloro che in quelle case vi abitavano, prima di esservi strappati dalla violenza antisemita del nazismo. Le STOLPERSTEINE o PIETRE D'INCIAMPO si trovano ora in 1.265 comuni in Germania e in ventuno paesi europei.

'Un uomo è dimenticato solo quando il suo nome è dimenticato', Gunter Demnig cita il Talmud. Le pietre di fronte alle case danno vita alla memoria delle persone che un tempo vivevano qui. Sulle pietre è scritto: QUI VISSUTO ... Una pietra. Un nome. Un essere umano.

Le pietre della Memoria vengono inserite nella pavimentazione urbana, su piazze e marciapiedi, in modo da farne parte senza interruzioni o dislivelli e così evidenziare come le persone i cui nomi sono ricordati sulle superfici lucide siano state strappate dal tessuto sociale e civico di cui erano parte. In questo senso le Stolpersteine sono come cicatrici nel cuore delle nostre città. Non meno importante, queste pietre sono parte della pavimentazione e assolvono alla funzione di sostenere il nostro passo: non monumenti isolati da additare da lontano, dunque, ma superfici calpestabili da vivere ogni giorno. E su cui, di tanto in tanto, fare inciampare la memoria.

Devono anche servire a dire ad un'umanità indifferente: guardate che Auschwitz non è stato un luogo lontano che non riguarda la vostra storia, la storia di tutti, guardate che da qui partirono i vagoni piombati con destinazione i campi di sterminio, guardate che durante il rastrellamento del Ghetto, migliaia di ebrei vennero deportati e solo in pochissimi sopravvissero al massacro, guardate che queste pietre parlano di noi, di noi tutti, non potete far finta di niente e restare indifferenti.

sabato 26 gennaio 2019

"Per non dimenticare" di Germana Bruno

Voglio narrarti una storia assai brutta,
te la racconto perché è importante,
voglio che tu la conosca tutta
per non dimenticarla neanche da grande.
C’erano mamme, c’erano bambini,
c’erano vecchi, c’erano malati,
e a tutti quanti cambiarono i destini,
persone malvagie, miseri esaltati.
Andavano dietro ad una mente pazza,
che vaneggiava su di una pura razza
e, come fossero rifiuti e sudiciume,
trattavano preziose vite umane.
Spero che tu ne colga la morale
per inventarne un’altra con diverso finale,
che sia più lieto, che sia più giusto,
e che non lasci questo disgusto,
ma che dia a tutti la voglia di fare
perché non si ripeta, non certo per dimenticare.

venerdì 25 gennaio 2019

L’Associazione Carta di Roma lancia una proposta

La scelta delle parole dà forma al racconto, lo rende visibile, diventa contenuto.
Le parole non sono mai sbagliate, è l‘uso che ne facciamo che può essere sbagliato, che può deformare il fatto che viene raccontato. Nel racconto delle migrazioni è sempre successo che le parole disegnassero il fenomeno con una forma diversa da quella reale.All‘inizio, ad esempio, erano tutti marocchini, a prescindere dal colore, dalla provenienza. Erano talmente marocchini che un giornale fece un titolo su un incidente stradale scrivendo “morto un uomo e un marocchino”.
Le parole usate male spersonalizzano, cancellano le identità, incutono paura.
Le parole fanno le cose e diventano cose, si trasformano sempre più facilmente in azione. Se sono parole violente diventano atti violenti e se non diamo la giusta importanza alle parole non riusciremo a dare giusta importanza neanche agli atti che ne sono diretta conseguenza.
È necessario ed urgente riportare in primo piano parole chiave come rispettoverità e giustizia per arginare il dilagare dell‘intolleranza che si nutre di false notizie che si nutrono di odio, in un circolo perverso e devastante.
Noi dell‘Associazione Carta di Roma abbiamo pensato ad un piccolo esercizio per cominciare a ragionare sull‘uso delle parole: proviamo a sostituire “clandestino” con “persona” e vediamo l‘effetto che fa.

"27 gennaio" di Marzia Cabano

C’è una data, a fine gennaio,
appuntata con penna e calamaio,
che invita a NON DIMENTICARE
l’odio che l’uomo ha saputo mostrare
nei confronti di tante altre persone,
giovani uomini, figli, madri buone.
Non si tratta solo di una brutta storia,
il “Giorno della Memoria”
deve restare scolpito nel tempo
dopo che anche l’ultimo testimone
con gli altri sarà volato nel vento.
Resisterà quel documento, scolpito rimarrà nei cuori,
non sarà mai permesso l’oblio di quegli orrori!

CRESCE ANCHE IN ITALIA L'ANTISEMITISMO

In crescita considerevole la percezione dell’antisemitismo in Italia. È quanto emerge dalla sesta indagine sulla Memoria condotta dall’istituto di ricerca SWG. Un rapporto che permette, nell’arco di tempo monitorato, di cogliere alcuni segnali importanti. Il 49% del campione, il dato più alto del sessennio, ritiene infatti significativa la minaccia antiebraica. Alla domanda “Secondo lei oggi in Italia esiste ancora molto, abbastanza, poco o per niente un sentimento antisemita?” l’11% per cento dei rispondenti ha scelto l’opzione “molto”, il 38% “abbastanza”. Nel 2018, chi riteneva questa minaccia particolarmente intensa era appena il 5% degli intervistati. Un dato non dissimile dalle rilevazioni precedenti. Questa opzione era stata infatti scelta dal 7% sia nel 2014 che nel 2015, dal 4% nel 2016, dal 6% nel 2017. Per la prima volta si va quindi in doppia cifra.
L’invito di Riccardo Grassi, direttore di ricerca SWG, è a leggere questo numero in relazione al rafforzamento di una percezione del Giorno della Memoria che emerge dall’indagine: non più un appuntamento soltanto giusto o necessario, ma “necessario” per un numero sempre più rilevante di italiani. La domanda “Secondo lei, ricordare il genocidio degli ebrei e delle altre vittime del nazismo attraverso il Giorno della Memoria è?” è stata infatti completata con l’aggettivo “necessario” dal 36% dei rispondenti (erano 32% nel 2018, appena 26% nel 2017). Cala il dato di chi ritiene “retorico” l’appuntamento (dal 13 al 12%). Stabile invece il numero di chi lo definisce “inutile” (8%).
Tra i diversi spunti di questa indagine spicca un confronto tra la conoscenza “spontanea” e quella invece “sollecitata”. “Lei sa quale commemorazione ricorre il 27 gennaio?”, viene chiesto. Risponde affermativamente il 50,4% degli intervistati (nel 2018 era il 54,3%). “Tra quelle indicate qual è la commemorazione che ricorre il 27 gennaio?”, il secondo interrogativo formulato con tre possibili opzioni: a) è il Giorno della Memoria; b) si ricorda la Shoah/l’Olocausto; c) non sa/non ricorda. Il 52,8% sceglie la prima ipotesi (nel 2018 era il 54,5%), mentre il 23,5% per cento propende la seconda (nel 2018 era il 24,2%). Aumenta invece il numero di chi sa o non ricorda: il 23,8%, rispetto al 21,4% del 2018.
Per quanto riguarda l’utilità del Giorno della Memoria, secondo l’87% di coloro che hanno scelto una delle prime due opzioni “aiuta a mantenere viva l’attenzione su queste problematiche”. Un dato in forte aumento rispetto al 2018: +7%. Non “serve più a nulla” per il 21% degli intervistati (erano il 20% dodici mesi fa).
Per quanto riguarda la partecipazione all’iniziativa, alla domanda se gli italiani si sentano “molto, abbastanza, poco o per nulla coinvolti” la risposta prevalente è “poco, per niente” con il 59%, seguita da “abbastanza” con il 34% e “molto” con il 7%. Dei rispondenti si sente “molto” coinvolto il 19%, “abbastanza” il 42% e poco/per nulla il 40%.
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Estratto da "moked.it"

giovedì 24 gennaio 2019

"27 GENNAIO" di Giuseppe Bordi


INDIFFERENZA

La senatrice Liliana Segre da qualche anno ha scelto di raccontare la sua vita di ebrea deportata ad Auschwitz a causa delle Leggi razziali applicate in Italia nel 1938 ai ragazzi, perché possano affrontare il loro futuro salvaguardandolo da ciò che crea segregazione, emarginazione, indifferenza e violenza.
E così anche in questa settimana dedicata alla Memoria dei terribili campi di concentramento nazisti si è  trovata di fronte ad una platea di numerosi ragazzi ai quali ha voluto parlare della sua vita collegandola ad alcuni fatti di attualità.
 “Vi parlo come una nonna, sono qui per raccontarvi come un giorno sono stata espulsa dalla scuola quando avevo 8 anni per la sola colpa di essere nata. Per la colpa di essere ebrea. Anch’io sono stata una clandestina nella terra di nessuno, io lo so cosa vuol dire essere respinti quando le frontiere sono chiuse. Quando si ergono muri. Io lo so cosa vuol dire quando si nega l’asilo. Io sono una che le ha provate queste cose. Sono stata una richiedente asilo. Mi disse l’ufficiale svizzero che non era vero che in Italia c’era la guerra e ci rimandò indietro“.
Inoltre ha esortato ad essere coraggiosi e a riflettere su quanto è accaduto, a leggere Primo Levi. 
“La vita è una cosa meravigliosa e noi volevamo resistere con tutte le forze. Uccisero la mia amica Janine, francese, io non mi fermai quando la presero, non mi voltai a dirle ti voglio bene. Era il 1944. Ero diventata quello che volevano i nazisti. Vorrei che voi ragazzi oggi qui vi ricordaste il suo nome che solo io trasmetto perché di Janine è rimasta memoria. Oltre l’indifferenza più grave ancora sono stati i silenzi di dio, della Croce rossa, degli alleati, di chi non mosse un dito per noi“. 
Non si è parlato di odio e di vendetta, ma i ragazzi sono stati invitati a non essere indifferenti, ad accettare la verità e a non fare finta di niente di fronte al dolore umano. Una gran bella testimonianza.

mercoledì 23 gennaio 2019

"Vedrai che è bello vivere" - Poesia del 1941, di cui non si conosce il nome di chi l’ha scritta

Chi s’aggrappa al nido
non sa che cos’è il mondo,
non sa quello che tutti gli uccelli sanno
e non sa perché voglia cantare
il creato e la sua bellezza.
Quando all’alba il raggio del sole
illumina la terra
e l’erba scintilla di perle dorate,
quando l’aurora scompare
e i merli fischiano tra le siepi,
allora capisco come è bello vivere.
Prova, amico, ad aprire il tuo cuore alla bellezza
quando cammini tra la natura
per intrecciare ghirlande coi tuoi ricordi:
anche se le lacrime ti cadono lungo la strada,
vedrai che è bello vivere.

martedì 22 gennaio 2019

"Per non dimenticare" di Gina Tota - 25 gennaio 2002

Un giorno fummo presi
da uomini di ghiaccio
e portati lontani dal sole.
Non un frammento di luce,
lasciarono nei nostri cuori
in silenzio, camminavano
i nostri sogni e, fu così che,
diventammo dei numeri, delle ombre,
mucchi di tenebre.
Poi leggeri leggeri, uscimmo
da alti camini.

lunedì 21 gennaio 2019

"Non dimentichiamo" di Jolanda Restano

La lacrima che lascia la guancia bagnata
non deve essere dimenticata.
Il dolore che lascia il corpo sfregiato
non deve essere dimenticato.
Le baracche, il freddo, i corpi denutriti
non devono essere dimenticati.
Gli occhi dei bambini,
le grida, i silenzi,
i volti oltre i fili spinati
non devono essere dimenticati.

Perché se dimentichiamo questo dolore,
se chiudiamo occhi e orecchie al dolente ricordo,
rischiamo che l’orrore possa ripetersi.

domenica 20 gennaio 2019

"La farfalla" di Pavel Friedman (1921 – 1944)

L’ultima, proprio l’ultima,
di un giallo così intenso, così
assolutamente giallo,
come una lacrima di sole quando cade
sopra una roccia bianca
così gialla, così gialla!
L’ultima
volava in alto leggera,
aleggiava sicura
per baciare il suo ultimo mondo.
Tra qualche giorno
sarà già la mia settima settimana
di ghetto: i miei mi hanno ritrovato qui
e qui mi chiamano i fiori di ruta
e il bianco candeliere del castagno
nel cortile.
Ma qui non ho visto nessuna farfalla.
Quella dell’altra volta fu l’ultima:
le farfalle non vivono nel ghetto.

sabato 19 gennaio 2019

"Filo spinato" di Peter, bambino ebreo ucciso dai nazisti nel ghetto di Terezin

Su un acceso rosso tramonto,
sotto gl’ippocastani fioriti,
sul piazzale giallo di sabbia,
i giorni sono tutti uguali,
belli come gli alberi fioriti.
È il mondo che sorride
e io vorrei volare. Ma dove?
Un filo spinato impedisce
che qui dentro sboccino fiori.
Non posso volare.
Non voglio morire.

venerdì 18 gennaio 2019

Dal Diario di Anna Frank

15 luglio 1944
“Ecco la difficoltà di questi tempi: gli ideali, i sogni, le splendide speranze non sono ancora sorti in noi che già sono colpiti e completamente distrutti dalla crudele realtà.
È un gran miracolo che io non abbia rinunciato a tutte le mie speranze perché esse sembrano assurde e inattuabili. Le conservo ancora, nonostante tutto, perché continuo a credere nell’intima bontà dell’uomo. Mi è impossibile costruire tutto sulla base della morte, della miseria, della confusione.
Vedo il mondo mutarsi lentamente in un deserto, odo sempre più forte il rombo l’avvicinarsi del rombo che ucciderà noi pure, partecipo al dolore di milioni di uomini, eppure, quando guardo il cielo, penso che tutto volgerà nuovamente al bene, che anche questa spietata durezza cesserà, che ritorneranno l’ordine, la pace e la serenità.
Intanto debbo conservare intatti i miei ideali; verrà un tempo in cui forse saranno ancora attuabili”.
la tua Anna

giovedì 17 gennaio 2019

NELLE TASCHE DEI MIGRANTI

 Hanno commosso i social le storie dei migranti morti in diversi naufragi e raccontate in un libro ("Naufraghi senza volto") da Cristina Cattaneo, il medico legale che negli ultimi anni si è occupata di riconoscere i corpi dei migranti annegati in mare.
    A moltiplicare condivisioni e commenti è in particolare la storia del 14enne del Mali morto in un barcone nel Mediterraneo il 18 aprile del 2015, che ha fatto il giro del web anche grazie ad una vignetta che il disegnatore Makkox ha fatto per Il Foglio. "Uau tutti dieci. Una perla rara", dicono guardando la pagella i pesci e molluschi al ragazzino che nel disegno rivive nel fondale del Mediterraneo, nel tratteggio di Makkox.

    Proprio quella cucitura interna in cui era racchiusa la pagella scolastica è l'unico dettaglio che riesce, in piccola parte, a raccontare la vita del piccolo. Quel plico di carta sbiadito e ripiegato su se stesso riportava: "Bulletin scolaire e, in colonna, le parole un po' sbiadite mathematiques, sciences physiques… Era una pagella", si legge nel libro. Frammenti di identità, quelli raccontati da Cattaneo, che vengono ricostruiti per ridare dignità alle vicende di chi ha cercato disperatamente la fuga dalla propria casa per una vita migliore. Così come racconta umanità il ritrovamento del corpo di un ragazzo dell'Eritrea che aveva in tasca un sacchetto di terra del suo paese o quello di un altro, proveniente dal Ghana, con addosso una tessera della biblioteca. Tentativi di portare, nell'incognita di quel viaggio, un pezzettino di passato ancora con sé. Per non scomparire. Insegnando che si può morire con la speranza ancora addosso.
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Estratto da Ansa.it

"Aprile" di Anna Frank

Prova anche tu,
una volta che ti senti solo
o infelice o triste,
a guardare fuori dalla soffitta
quando il tempo è così bello.
Non le case o i tetti, ma il cielo.
Finché potrai guardare
il cielo senza timori,
sarai sicuro
di essere puro dentro
e tornerai
ad essere felice.

mercoledì 16 gennaio 2019

Poesia di un ragazzo trovata in un Ghetto nel 1941

Da domani sarà triste, da domani.
Ma oggi sarò contento,
a che serve essere tristi, a che serve.
Perché soffia un vento cattivo.
Perché dovrei dolermi, oggi, del domani.
Forse il domani è buono, forse il domani è chiaro.
Forse domani splenderà ancora il sole.
E non vi sarà ragione di tristezza.
Da domani sarà triste, da domani.
Ma oggi, oggi sarò contento,
e ad ogni amaro giorno dirò,
da domani, sarà triste,
Oggi no.

martedì 15 gennaio 2019

"C’è un paio di scarpette Rosse" di Joyce Lussu

C’è un paio di scarpette rosse
numero ventiquattro
quasi nuove:
sulla suola interna si vede
ancora la marca di fabbrica
“Schulze Monaco”.
C’è un paio di scarpette rosse
in cima a un mucchio
di scarpette infantili
a Buchenwald.
Più in là c’è un mucchio di riccioli biondi
di ciocche nere e castane
a Buchenwald.
Servivano a far coperte per i soldati.
Non si sprecava nulla
e i bimbi li spogliavano e li radevano
prima di spingerli nelle camere a gas.
C’è un paio di scarpette rosse
di scarpette rosse per la domenica
a Buchenwald.
Erano di un bimbo di tre anni,
forse di tre anni e mezzo.
Chi sa di che colore erano gli occhi
bruciati nei forni,
ma il suo pianto
lo possiamo immaginare,
si sa come piangono i bambini.
Anche i suoi piedini
li possiamo immaginare.
Scarpa numero ventiquattro
per l’eternità
perché i piedini dei bambini morti
non crescono.
C’è un paio di scarpette rosse
a Buchenwald,
quasi nuove,
perché i piedini dei bambini morti
non consumano le suole…

domenica 13 gennaio 2019

      Preghiera per il tempo

Mi prenderò il tempo di lasciare che i miei occhi guardino 
alle cose di tutti i giorni e li vedano in modo diverso, 
quelli che vedo ogni mattina senza vederli. 
Tutte le cose familiari che vivo con tutto il giorno, mese, anno ...
Mi prenderò il tempo di vedere la stranezza degli alberi, 
quelli della foresta, quelli del parco vicino, 
che al crepuscolo arrivano fruscianti di mistero ...
Mi prendo il tempo di chiedere il mio sguardo 
sulle cose che amo e guardo in modo diverso il mio, 
quelli che sono più vicini a me,
            e a volte non riesco nemmeno a vedere, non ho neanche sentito, 
come la preoccupazione per i miei affari, il mio lavoro, parassita il mio cuore e il mio corpo ...
Sì, mi prenderò il tempo di scoprirli 
per farmi sorprendere ancora e ancora da coloro che amo.
Sì, mi prenderò il tempo di incontrarti anche 
tu mio Dio, 
al di là delle parole, delle formule e delle abitudini.
Sì, andrò ad incontrarti come nel deserto 
e mi sorprenderesti, 
mio Dio. 
Sì, mi prenderò il tempo di incontrarti in modo diverso.
Robert Riber
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Traduzione da "jecherchedieu.ch"

lunedì 7 gennaio 2019

UNA CATENA ... PER L'UGUAGLIANZA

Più di 3,5 milioni di donne indiane hanno formato una catena umana lunga 620 chilometri per affermare il loro diritto all’uguaglianza e alla preghiera nel tempio sacro agli indù di Sabarimala, storicamente chiuso alle donne «in età fertile».
Il 1 gennaio, per la prima volta nella storia dell’India, alle prime luci dell’alba, Bindu Ammini, 40 anni, e Kanaka Durga, 39, scortate da alcuni agenti hanno superato il muro di cinta e hanno pregato nel sancta sanctorum, la parte più interna del tempio in passato inaccessibile alle fedeli.
L’ingresso delle due donne ha scatenato diverse proteste fuori dal tempio e la polizia ha usato lacrimogeni per disperdere i manifestanti. Il tempio è rimasto chiuso per alcune ore per poter eseguire un rituale di «purificazione» reso necessario dai «custodi» del tempio dopo l’incursione delle due signore.
La vicenda del tempio di Sabarimala, nel Kerala stato del sud dell’India, è al centro dell’attenzione da mesi. Lo scorso settembre la Corte suprema indiana ha stabilito l’illegalità del bando che per centinaia di anni ha impedito alle donne in età fertile (dai 10 ai 50 anni) l’accesso al tempio. Ad impedire l’applicazione della sentenza, finora, sono stati gli integralisti, ancora convinti che la divinità celebrata nel tempio, il Signore Ayyappa, che è celibe, possa essere «tentata» dalle donne sotto i 50 anni.
Le donne hanno raccolto solidarietà da milioni di simpatizzanti in tutto il Paese, maschi e femmine. Nello stato di Kerala, migliaia di uomini hanno affiancato una seconda catena a quella creata dalle fedeli.
Il gesto di Bindu e Kanaka ha spaccato in due l’India anche politicamente. Il Partito popolare indiano (BJP), che guida il paese, si è opposto al loro ingresso. Lo stesso primo ministro, Narendra Mori, in un’intervista rilasciata martedì, ha sostenuto che il divieto «è un credo religioso, non una questione di parità di genere», come riporta il Guardian. Favorevole all’ingresso, invece, il Partito comunista, che guida lo stesso stato di Kerala, da sempre sostenitore dell’uguaglianza tra uomini e donne nei luoghi di culto.
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Da Riforma.it

domenica 6 gennaio 2019

ACCOGLIENZA E OSPITALITA'

Nel giorno dell’Epifania, l’arcivescovo Lauro Tisi ha lanciato dall’altare del Duomo di Trento un appello all’accoglienza e all’ospitalità, paventando il rischio di una nuova ondata di violenza, intolleranza e xenofobia in un’Europa sempre più vecchia e meno aperta al confronto con il resto del Mondo. In occasione della tradizionale funzione dedicata ai popoli, una celebrazione a cui prendono parte delegazioni di buona parte delle comunità di nuovi cittadini presenti in Trentino, ciascuna con il costume tradizionale della propria zona d’origine, il prelato non ha usato mezzi termini per denunciare il risorgere di nazionalismi e razzismi, arrivando a mutuare alcune delle più conosciute parole di Karl Marx e Friedrich Engels dicendo che «uno spettro si fa strada per l’Europa: quello del settarismo e della violenza».
Senza mai fare esplicito riferimenti ai fatti di cronaca delle ultime settimane, l’arcivescovo di Trento ha poi parlato del pericolo connessi al «prevalere dell’isolazionismo sull’unità». «Vi è lo spettro amaro della chiusura delle nazioni - ha infatti aggiunto - e quello amarissimo della pace non più custodita come bene, mentre fatichiamo a riconoscere il valore della novità, e le nostra agende sono piene di cose già viste e di ovvietà. Non ci ricordiamo che ospitare non è solo un atto di bontà e di solidarietà, ma è soprattutto una condizione dell’esistere, della vita. Un popolo refrattario a culture altre, a storie diverse, non ha futuro».
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Estratto da l'Adige.it

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