venerdì 21 dicembre 2018

AUGURI DI BUON NATALE E DI UN NUOVO ANNO DI PACE!

Se vogliamo ritrovare il senso del Natale...

<<Bisogna spogliarsi di ogni senso di grandezza, affinché possiamo incontrare
la grandezza e l’umiltà di Dio
nella persona di suo figlio.
Dobbiamo essere pronti
all’imprevedibilità della rivelazione.>>
(Matta el Meskin)


... perché ...

<<Ogni Natale è un Natale nuovo,
è una nuova offerta
di amicizia e di condivisione
che Dio fa a ciascuno di noi.
Da parte nostra, allora,
ogni atto di accoglienza
e poi ogni atto di giustizia, di perdono,
di comprensione e di solidarietà
è il coronamento naturale
della celebrazione del Natale.>>

 (Carlo Maria Martini)


venerdì 14 dicembre 2018

NON E' MAI TROPPO TARDI...

Il 28 novembre il parlamento italiano ha approvato il cosiddetto decreto Salvini, che prevede la cancellazione della protezione umanitaria per chi non ha diritto all’asilo ma non può tornare nel suo paese. Subito dopo diversi comuni hanno applicato la norma, spingendo centinaia di persone in un limbo. La chiesa cattolica ha espresso la sua profonda disapprovazione. “Da parte nostra il discorso è molto chiaro. Prima di tutto deve prevalere un senso profondo di solidarietà. Non si possono mettere le persone in queste situazioni. Al centro dev’esserci sempre la persona umana e la sua dignità”, ha dichiarato Pietro Parolin, segretario di stato vaticano.
Il vescovo di Caltagirone, Calogero Peri, ha offerto quaranta letti in una struttura di proprietà della chiesa per accogliere chi rischia di essere espulso. “E se non dovessero bastare i posti letto? Ho già parlato con gli altri vescovi: apriremo le porte delle chiese, di ogni singola parrocchia nel nostro territorio”, dice Peri: “Qui non si tratta di politica. Qui si tratta di stare dalla parte degli esseri umani. Pensate che in Italia, in questo momento, è reato abbandonare i cani per strada, mentre non lo è abbandonare le persone. Anzi, abbandonare uomini, donne e bambini è richiesto da una legge”.
E non è finita qui!
Mons. Giancarlo Maria Bregantini (arcivescovo di Campobasso-Boiano, ex vescovo di Locri) in un articolo pubblicato sul settimanale 'Famigli Cristiana' ha le idee chiare: «Non si può invitare a fare il presepe e non accogliere negli Sprar una coppia vera di giovani sposi che hanno avuto un bimbo qualche mese fa e che ora sono per strada. Non si può venerare il crocifisso senza aver solidarietà con i crocifissi della storia».
«Sono molto belle le nostre tradizioni religiose popolari», continua mons. Bregantini sempre a proposito del presepe, «ma guai se ci accontentiamo solo di questa bellezza. Anzi, quello che viviamo in queste dimensioni religiose diventa ipocrisia se non c'è raccordo con quello che si vive nella realtà quotidiana. Si rischia di andare contro il mistero stesso che celebriamo».
Quello dell'arcivescovo di Campobasso è un invito alla coerenza: «Che facciano il presepe, ma non contro qualcuno. Che mettano il crocifisso, ma sapendo che questo non basta. Chi prepara il presepe e appende il crocifisso sappia che mette il cuore dentro una linea di solidarietà».
Parole che arrivano in ritardo? Forse. Ma sicuramente utili alla Chiesa stessa che riemerge con la profondità del messaggio umanamente cristiano, contro le falsità di chi si nasconde dietro un nazionalismo che rifiuta e divide.

martedì 11 dicembre 2018

SETTANT'ANNI...MA NON LI DIMOSTRA!

Settant’anni ma è come se fosse stata scritta ieri. Ieri perché molti degli articoli della «Dichiarazione universale dei diritti umani» sono ancora lettera e non «spirito», carta e non «carne», vita e storia delle persone. I diritti sono un cammino e una responsabilità. Qualcosa che nasce da un’aspirazione alla libertà e alla dignità, da un desiderio di pace e di giustizia. Dal sogno di una società dove chiunque, a prescindere da condizione, sesso, appartenenza etnica e culturale, riferimenti politici e religiosi, possa esprimere la sua personalità e mettere a disposizione le sue qualità e il suo talento. I diritti sono l’anello di congiunzione tra il bene del singolo e quello della comunità, nell’inesauribile tessitura che li lega e, vicendevolmente, li nutre. Ma per arrivare a questo non basta la politica – che pure ha come prioritario compito il tradurre quell’aspirazione in realtà. Occorre il contributo di tutti, e oggi come non mai dobbiamo avere il coraggio di riconoscere che se i diritti sono così fragili è anche perché non li abbiamo difesi con adeguata forza e continuità, svolgendo sino in fondo il nostro ruolo di cittadini. Giusto allora denunciare lo scandaloso abisso tra il contenuto di quegli articoli e il mondo come si presenta oggi ai nostri occhi: povertà, disoccupazione, guerre, disastri ambientali, migrazioni o, per meglio dire, deportazioni indotte. Un mondo dove il sogno di una società inclusiva, democratica, è stato abbandonato in nome di una logica economica selettiva, «algoritmi» del profitto non di rado coincidenti con dinamiche mafiose e criminali. Giusto denunciarlo così come denunciare una politica in gran parte impotente, inadeguata o spregiudicata fino al cinismo – vedi i negoziati con dittature e Paesi in mano a bande criminali per arrestare i flussi migratori, vedi la propaganda del sovranismo, dove l’odio e l’oblio – odio dello straniero, oblio della propria storia – diventano leve di consenso e di potere. Giusto e necessario. Ma ancora più importante è impegnarsi perché l’anniversario di ieri diventi un nuovo inizio, una storia dei diritti tradotti davvero in linguaggio universale, in grammatica dei rapporti non solo fra Paesi e popoli, ma fra persone e ambiente, perché è tempo ormai – come ci ricorda la «Laudato sì» di Papa Francesco – di riconoscere alla Terra la sua inviolabile dignità e di elevarla a soggetto giuridico, soggetto di diritti. Solo così i diritti umani possono riacquistare l’universalità che li definisce come tali e diventare nel concreto bene comune, base di una società dove ogni persona sia riconosciuta nel suo essere sempre fine e mai mezzo, artefice della propria e della altrui liberazione.
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di Luigi Ciotti in “il manifesto” del 11 dicembre 2018,*Gruppo Abele Libera

"SE NON RITORNERETE COME BAMBINI..."

Il 68% dei bambini e adolescenti di oltre 20 Paesi europei si sentono accoglienti e curiosi nei confronti di persone di diverse nazionalità che vivono nei loro paesi, secondo i risultati di un sondaggio online "Europe Kids Want" ("L'Europa che i bambini vogliono"), pubblicati oggi dall'Unicef e da Eurochild, realizzato su un campione composto da: bambini di 9 o meno anni (3,2%), 10-14 anni (35,2%), 15-17 anni (39,2%), 18-30 anni (22,4%). La tolleranza e la parità di trattamento dei migranti, indipendentemente dalla religione, dalla cultura o dalla lingua, sono gli aspetti più rilevanti dei risultati del sondaggio d'opinione.

L'indagine mostra inoltre che il 53% dei bambini e dei giovani dai 10 anni in su sono preoccupati di non trovare un lavoro nel futuro, soprattutto in Italia, Serbia, Spagna, Irlanda e Bulgaria. Il 74% di quelli che hanno risposto hanno detto che la scuola non li sta preparando abbastanza bene per le prossime fasi della loro vite.

Il sondaggio online 'Europe Kids Want' è stato sviluppato da esperti di diritti dell'infanzia e testato con i bambini prima di essere lanciato nel giugno di quest'anno. In totale, quasi 14.000 bambini e giovani di 23 paesi hanno partecipato all'indagine nel corso di quattro mesi, fornendo oltre 38.000 risposte a temi quali la sicurezza scolastica, il cambiamento climatico, l'ambiente familiare e il comportamento online.

"La partecipazione dei bambini al processo decisionale pubblico non è una cosa che è 'bello avere', ma un contributo necessario per ottenere decisioni migliori e una democrazia maggiormente partecipativa. Abbiamo anche bisogno di un'azione di governo a livello locale, nazionale e comunitario per coinvolgere i bambini. Non dobbiamo pensare ai bambini come 'al futuro', ma piuttosto come 'artefici del cambiamento oggi'", ha aggiunto Hanna Heinonen, Presidente ad interim di Eurochild.

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