venerdì 31 ottobre 2014

REYHANEH JABBARI


"Mia dolce madre, l'unica che mi è più cara della vita, non voglio marcire sottoterra. Non voglio che i miei occhi o il mio giovane cuore divengano polvere. Accuserò gli ispettori, il giudice e e i giudici della Corte Suprema di fronte al tribunale di Dio".

Con queste parole Reyhaneh Jabbari, la donna iraniana di 27 anni impiccata nel suo Paese sabato 25 ottobre per aver ucciso l’uomo che aveva tentato di stuprarla, ha salutato la madre. (Huffington Post, 27 ottobre)

Le disposizioni che Reyhaneh lascia a sua mamma sono precise: "Non voglio che tu ti vesta di nero per me. Fai di tutto per dimenticare i miei giorni difficili. Dammi al vento perché mi porti via".

Poi le ultime generose volontà: "Prega perché venga disposto che, non appena sarò stata impiccata, il mio cuore, i miei reni, i miei occhi, le mie ossa e qualunque altra cosa che possa essere trapiantata venga presa dal mio corpo e data a qualcuno che ne ha bisogno, come un
dono. Non voglio che il destinatario conosca il mio nome, compratemi un mazzo di fiori oppure pregate per me."
PS. PUOI TROVARE LA LETTERA INTEGRALE TRADOTTA NELLA SEZIONE DI QUESTO STESSO BLOG "HO SCRITTO UNA LETTERA".

domenica 26 ottobre 2014

SPERANZA


La Speranza c’è, quando uno crede
che non un sogno, ma corpo vivo è la terra,
e che vista, tatto e udito non mentono.
E tutte le cose che qui ho conosciuto
son come un  giardino, quando stai sulla soglia.

Entrarvi non si può. Ma c’è di sicuro.
Se guardassimo meglio e più saggiamente
un nuovo fiore ancora e più d’una stella
nel giardino del mondo scorgeremmo.

Taluni dicono che l’occhio ci inganna
e che non c’è nulla, sola apparenza.
Ma proprio questi non hanno speranza.
Pensano che appena l’uomo volta le spalle
il mondo intero dietro a lui più non sia,
come da  mani di ladro portato via.
                               
 O.V. Milosz, Speranza, 1943

martedì 21 ottobre 2014

 A margine del Sinodo sulla famiglia

Si è chiuso a Roma il Sinodo straordinario dei vescovi dedicato alla famiglia. L’ anno venturo ce ne sarà un altro, questa volta ordinario, dedicato allo stesso tema. I problemi, vecchi e nuovi, della famiglia restano al centro dell’interesse del mondo cattolico.
     A settembre a Roma si è svolto il Festival internazionale della letteratura e della cultura ebraiche. Il tema di quest’anno era dedicato proprio alla famiglia. Nessuna convergenza esplicita con il Sinodo. Eppure il riferimento è emerso nel corso di un confronto tra la famiglia ebraica e quella cristiana.
     Da parte ebraica,  come ha confermato il rabbino Roberto Colombo, il solo fatto che un’assemblea di celibi discuta sulla famiglia suona in maniera piuttosto strana. Per l’ebraismo, infatti, sposarsi è un precetto, applicazione concreta del comando  secondo il quale l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà alla sua donna per essere una carne sola (Genesi 2,24). Restare celibi significa quindi non ottemperare alla volontà di Dio.
     Sono emerse però anche altre differenze. Secondo la legge ebraica si è ebrei per nascita: è ebreo il figlio di madre ebrea. È vero, ci si può anche convertire all’ebraismo. Pure una convertita mette al mondo figli ebrei. Il che conferma che si tratta di legge e non solo di discendenza etnica.
     Per il cattolicesimo il matrimonio è un sacramento. La  sua dignità è così alta da essere addirittura pensata in base al  rapporto tra Cristo e la Chiesa. Eppure è norma di fede che due coniugi consacrati nel vincolo nuziale mettano al mondo figli non cristiani. Nessuno è costituito cristiano in virtù della  nascita, a renderlo tale è solo la fede manifestatasi nel battesimo.
Per l’ebreo l’itinerario che conduce alla sua crescita religiosa può essere riassunto nel motto: divieni quel che sei. Per il cristiano occorrerebbe invece affermare: diventa que che non sei. Egli deve nascere da acqua e Spirito (Giovanni 3,6). Non sono differenze di poco conto che dovrebbero ripercuotersi anche sulla visione religiosa della famiglia.

Piero Stefani

lunedì 20 ottobre 2014

Quando in situazioni difficili qualcuno mi chiede:"Perché Dio non interviene?Perché permette tutto questo?",io rispondo:"Perché qualcosa l'ha già fatto.Ha creato noi uomini per aiutare gli altri a non soffrire.Il destino di sofferenza degli uomini lo abbiamo tracciato noi uomini,non Dio,e sulla base di questo verremo giudicati".
                                                                                                 don Andrea Gallo

IMPARARE A DECIDERE

Viviamo in un contesto di cambiamenti costanti, informazioni abbondanti e poco tempo per
processarle. Non basta leggere le informazioni se non vengono analizzate e integrate con gli
aspetti fondamentali del progetto organizzativo o anche con il proprio progetto di vita, basato
sull'identità, i valori e la missione che dobbiamo compiere.
Per questo, è necessario sviluppare la capacità di discernere per poter distinguere ciò che è
essenziale da ciò che è accessorio, il che permetterà alla persona di mantenersi concentrata sui
principi, senza cedere a pressioni o a circostanze esterne.
Il termine “discernimento” deriva dal latino “discernere”, che significa separare, riconoscere.
Il primo passo nel processo è la diagnosi che ci permette di avere una chiave di lettura
appropriata e una presa di coscienza degli aspetti che sono presenti in ambito sia personale che
organizzativo.
Bisogna evitare di prendere decisioni basate su stati d'animo o sulla regola del mi piace-non mi
piace: fare ciò che ci risulta gradevole e mettere da parte quello che ci pesa di più.
La precipitazione o la mancanza di riflessione è la manifestazione di un'azione che lasciandosi
trascinare dagli impulsi manca del discernimento dovuto.
In campo lavorativo, ciò significa chiedersi quanto di ciò che facciamo segna una vera differenza
per l'organizzazione. Non basta mantenersi occupati, se si svolgono compiti prioritari per
l'istituzione o si destinano sforzi superflui a lavori che possono essere delegati a terzi.
Per incrementare la qualità nel processo decisionale, è molto utile coltivare la virtù dell'umiltà e
della docilità per aprirsi alle opinioni degli altri e compiere un'opzione fondamentale per vivere
nella verità.
In questo modo eviteremo il pericolo di relativizzare le situazioni per giustificare l'utilizzo di
metodi errati per ragioni errate: “tutti lo fanno”, “ciò che conta è che l'intenzione sia buona” e
tante altre argomentazioni che nascondono falle del pensiero.
Perché le azioni diano frutti permanenti devono derivare da un retto discernimento basato sulla
verità. Applichiamo alla nostra vita la nota frase “Li riconoscerete dai loro frutti”.

sabato 18 ottobre 2014

Un Nobel per difendere i diritti dei bambini
di Anna Bono


Il Premio Nobel per la pace 2014 è stato assegnato a Malala Yousafzai e a Kailash Satyarthi, premiati entrambi “per il contributo offerto alla lotta in difesa dei più piccoli e per il loro diritto all’istruzione”.
Malala Yousafzai, nata nel distretto di Swat, in Pakistan, ha 17 anni ed è la persona più giovane mai insignita di un Premio Nobel. Ad appena 11 anni aveva incominciato a scrivere il diario che ha cambiato la sua vita. All’epoca i talebani, che controllavano lo Swat, avevano ordinato la chiusura di tutte le scuole private femminili del distretto per impedire che alle bambine fosse impartita l’educazione scolastica. Nei mesi precedenti avevano distrutto circa 150 scuole. Nel diario Malala raccontava come la proibizione di andare a scuola fosse vissuta da lei e dalle sue compagne, manifestava il proprio desiderio di ricevere un’istruzione e che tutte le bambine potessero avere l’opportunità di studiare. Nel 2009, su iniziativa dei suoi genitori, il diario è andato in onda sulla BBC on line in lingua urdu. Divenuta famosa nel suo paese, nell’ottobre 2012 Malala è stata vittima di un attentato rivendicato dai talebani. Gravemente ferita da colpi di arma da fuoco alla testa mentre con le sue compagne si trovava sul bus della sua scuola, ha rischiato di morire. È stata curata prima in Pakistan e poi in Gran Bretagna dove ora risiede e studia, ormai divenuta un personaggio di fama internazionale. Un fondo istituito in suo nome assiste bambini di tutto il mondo affinché possano ricevere un’istruzione.
Kailash Satyarthi ha 60 anni è indiano, vive a New Delhi. Nel 1980, a 26 anni, ha abbandonato una promettente carriera di ingegnere per dedicare la vita ad aiutare i bambini indiani ridotti in schiavitù. Risale a quell’anno la fondazione del Bachpan Bachao Andolan, Movimento per la salvaguardia dell’infanzia, che da allora  lotta contro la schiavitù per debiti, il lavoro infantile e il commercio di esseri umani e per il diritto di tutti i bambini all’istruzione. La sua missione è “creare una società ben disposta verso i bambini, in cui tutti i bambini sia liberi da ogni forma di sfruttamento e ricevano un’istruzione libera e di buona qualità”.
L’organizzazione mira a identificare, liberare, riabilitare e istruire i bambini schiavi tramite interventi diretti, attività di sensibilizzazione per promuovere comportamenti etici nel commercio, proteste e campagne a livello nazionale e internazionale. Una delle iniziative di maggior impatto è la Marcia globale contro il lavoro infantile: una manifestazione che nella sua prima edizione, nel 1998, ha toccato 90 paesi, inclusa l’Italia, percorrendo 80.000 chilometri. La Marcia è riuscita a mobilitare milioni di persone e ha contribuito a far adottare nel 1999 dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro la convezione n.182 contro le forme peggiori di sfruttamento del lavoro minorile. Dalla sua fondazione, Bachpan Bachao Andolan ha liberato dalla schiavitù e ha reinserito nella vita sociale oltre 80.000 bambini.
Nel motivare la propria scelta, su ben 278 nomine ricevute, il Comitato per il Nobel ha valutato come estremamente positivo che una musulmana e un indù, una pakistana e un indiano si trovino uniti e accomunati in una battaglia contro l’estremismo e in favore dell’istruzione. Di Malala, che era come ogni giorno a scuola, a Birmingham dove risiede, ed è stata fatta uscire dalla classe per essere informata della decisione del Comitato, ha detto: “nonostante la sua giovane età, già da anni combatte per i diritti della bambine all’educazione e ha dimostrato con l’esempio che bambini e giovani possono anche loro
contribuire a migliorare la situazione. E lo ha fatto nelle circostanze più pericolose: attraverso la sua battaglia eroica, è diventata una voce guida per i diritti dei bambini all’educazione”. Quanto a Satyarthi, è stato scelto per aver dato prova di “grande coraggio personale, mantenendo la tradizione di Gandhi, guidando varie forme di protesta e dimostrazione, tutte pacifiche, contro il grave sfruttamento dei bambini a scopi di finanziari, contribuendo anche allo sviluppo di importanti convenzioni internazionali sui diritti dei bambini”.
“I bambini devono poter andare a scuola – si legge nel comunicato del Comitato – e non essere sfruttati per denaro; (...) è un prerequisito per lo sviluppo pacifico del mondo che i diritti dei bambini e dei giovani vengano rispettati”.

venerdì 17 ottobre 2014

"IO STO CON LA MAGGIORANZA"

UNA PROBABILE INTERVISTA A DON ANDREA GALLO SUL SINODO STRAORDINARIO SULLA FAMIGLIA.

Il Sinodo straordinario sulla famiglia in corso in Vaticano ha aperto un ventaglio di problematiche che da tempo pesano sulle spalle dell'umanità. Le risposte sono sempre state molto variegate,a volte interessanti,a volte pungolanti,ma altre volte stupide e scontate. Le attese ora sono enormi. Le situazioni da prendere in considerazione e le storie degli uomini che vi appartengono sono numerosissime. Le voci che si sono espresse e i materiali umani raccolti sono state moltissimi. Usciranno soluzioni e indicazioni attente affinché l'umano torni a coniugarsi con il cristiano?
Una parola in proposito mi sarebbe piaciuta ascoltarla da don Andrea Gallo.Un uomo amato e criticato,ma sempre onesto e limpido nel suo dire e nel suo fare. Purtroppo la sua morte l'ha tolto dalla vita ma il suo pensiero illumina ancora i passi dei suoi amici. Io penso che si sarebbe così espresso.

Don Andrea,finalmente una Chiesa che sembra rimettersi in gioco.E su temi fondamentali. Lei dove si pone?
Molti mi chiedono di andarmene dalla Chiesa,visto che non sono d'accordo quasi su niente. Ma io nella mia casa ci sto bene,la amo,rispetto la sua struttura gerarchica,perché non può essere acefala. Considero il mio dissenso un atto di fedeltà ai principi fondamentali della Chiesa e ritengo le reazioni scomposte alle mie posizioni un segno vitale.

Per parlare della famiglia,da dove si parte?
Mentre mi preparavo a diventare sacerdote,sul matrimonio insegnavano:-Fine principale:procreazione.Secondo fine:rimedio alla concupiscenza.Terzo:l'amore tra i coniugi-. E io:-Obiezione.Ma l'amore non viene prima di tutto e poi,seguono,la maternità responsabile,la scelta degli sposi che da soli si devono amministrare? Io credo fermamente nell'etica della responsabilità-. Mi spedivano dal Rettore Magnifico.

Uno dei temi più scottanti è quello della riammissione dei separati/divorziati al Sacramento dell'Eucarestia.
C'è molta ipocrisia. Oggi i matrimoni sono proclamati nulli dalla Sacra Rota con più facilità rispetto al passato,anche quando ci sono figli di mezzo. Chi riesce a farsi annullare il matrimonio può ricevere l'Eucarestia,chi invece è divorziato all'anagrafe civile se la vede negata. Non so con quale cuore,una Chiesa accogliente,vieti a un ospite di sedersi alla sua tavola. Per me la discriminante non può essere burocratica. L'unica cosa che conta veramente è che si venga non per fare la comunione,ma per fare comunione,cioè per unirsi alla comunità. Quindi ostia per tutti.

L'altro nodo cruciale sembra essere la figura dell'omosessuale.
Il Catechismo della Chiesa Cattolica dice che gli omosessuali vanno accolti con amore e tenerezza. In Comunità ho ascoltato testimonianze di omosessuali sofferte,meditate,oneste,complesse,in costante ricerca di dialogo per uscire da una pesante emarginazione e curare le ferite gravi procurate dal disprezzo. Mi pare di poter dire a tutti che proprio l'ascolto delle persone fa scoprire una grossa base comune,dove le differenze sono molto meno rilevanti di quanto si pensi. Saper tenere insieme il rispetto delle diversità e la gioia di ritrovare sintonie è il segreto della convivenza.

Ma perché il matrimonio cristiano si sente oggi delegittimato dalle altre unioni?
Il rispetto delle unioni di fatto non va minimamente a inficiare il sacramento del matrimonio,non capisco in che modo i cristiani si sentano aggrediti. Gli sposi devono impegnarsi a testimoniare nella realtà politica e sociale la loro coerenza,nel rispetto tuttavia di altre scelte laiche. Il cristiano non impone nulla e visita tutte le culture. I cristiani si rimboccano le maniche,non temono di contaminarsi,non perdono la loro identità e lavorano insieme agli altri per servire. Bisogna rispettare qualunque coppia. Nella Chiesa cattolica il primo fine è l'amore,ed è arrogante affermare che famiglia e matrimonio vengono svuotati di significato da forme giuridiche alternative.

Quali sono secondo lei i principi che devono sostenere le discussioni e gli approfondimenti del Sinodo? Lei,che cosa avrebbe detto,se fosse stato invitato a partecipare?
L'allarme vero è che i seguaci di Gesù dimenticano quotidianamente i principi irrinunciabili come il perdono,l'amore dei nemici,il servizio agli altri,l'accoglienza.la solidarietà. Il cuore del messaggio cristiano ha ben poco a che fare con giochi di potere,interessi economici,meschinità travestite da nobili parole,impunità,arroganza,xenofobia,omofobia,razzismo. Non è affidato ad un oggetto,ma a uomini e donne in carne ed ossa. E' la «vita» dei cristiani che deve essere un racconto credibile del Vangelo,un racconto che nessuna «crociata» può sconfessare. Al cristianesimo servono testimoni non testimonial.
Non si può credere di essere gli unici interpreti della natura e della verità. Dio è una buona notizia. Non è Lui che nutre l'odio e la costrizione. Bisogna uscire dal dogmatismo perché dalle imposizioni è facile cadere nel fondamentalismo e nell'integralismo. Quella del cattolicesimo è una proposta. Vuol dire:se vuoi. L'unico modo per colmare il solco che ci separa è la contaminazione. Dice bene padre Zanotelli,il venti per cento di questo pianeta consuma l'ottanta per cento delle risorse totali,quindi io non sto dalla parte delle minoranze,ma dalla parte delle maggioranze,ovvero di quei miliardi di persone vittime di ingiustizie.

Credo che sarebbe stato utile avere una presenza come la sua durante le discussioni del Sinodo.
Una barzelletta.
Un giorno Dio decide di trascorrere una vacanza sulla terra e chiede a Gesù,che ha molto viaggiato,quale siano i posti più belli da visitare:"Figlio,com'è l'Africa?».
«Un continente meraviglioso.»
«Che ne dici dei Caraibi?»
«Somigliano al Paradiso.»
«E il Vaticano?»
«Non lo so,non ci sono mai stato.»

A.B.







giovedì 16 ottobre 2014

Un pensiero

Prima di tutto vennero a prendere gli zingari
e fui contento,perché rubacchiavano.
Poi vennero a prendere gli ebrei
e stetti zitto,perché mi stavano antipatici.
Poi vennero a prendere gli omosessuali,
e fui sollevato,perché mi erano fastidiosi.
Poi vennero a prendere i comunisti,
e io non dissi niente,perché non ero comunista.
Un giorno vennero a prendere me,
e non c'era rimasto nessuno a protestare.
                                                           Bertolt Brecht-Berlino,1932

sabato 4 ottobre 2014

Famiglia in crisi:la Chiesa rilancia
A chi interessa il Sinodo e l’argomento in discussione? Tutto fa pensare che questa volta se ne parlerà di più, nella Chiesa, certamente, ma anche fuori. Il tema del matrimonio e la possibilità che la Chiesa possa «aprire» sulle coppie dei divorziati e risposati suscita interesse, anche nell’opinione pubblica. Ma, a ben pensarci, si tratta di una situazione paradossale. L’argomento interessa molto, ma è il matrimonio a interessare poco. Ci si sposa sempre di meno, infatti, e, soprattutto ci si sposa sempre di meno in chiesa.
Tutti i dati, con qualche leggera variazione, confermano una profonda disaffezione al matrimonio sia civile che religioso, con un aumento vertiginoso delle convivenze. Lo dicono i dati Istat per l’Italia nel suo insieme. Ma basta chiedere al parroco di un qualsiasi paese della nostra diocesi. Il fenomeno non conosce eccezioni. Il paradosso del Sinodo che si apre in questi giorni in Vaticano è dunque presto detto: si parla del matrimonio, proprio mentre ci si sposa di meno. Paradosso, certamente, ma fino a un certo punto. Di un certo tema si parla proprio quando le certezze traballano. Almeno nella Chiesa è già successo, e spesso. Nella Chiesa si è parlato di sessualità, di politica, di economia… soprattutto quando la sessualità, la politica, l’economia sono andate in crisi.

Dunque si parla del matrimonio proprio perché c’è la crisi e se ne parla proprio per dare una qualche risposta alla crisi. In effetti, facciamo un istante mente locale sul problema. Una parrocchia, una qualsiasi, vent’anni fa, celebrava, poniamo, trenta matrimoni all’anno. Quella stessa parrocchia adesso, con una popolazione notevolmente aumentata, ne celebra due, tre all’anno. Ma quella parrocchia non ha visto diminuire soltanto i funerali. Meno gente va a Messa, meno gente fa battezzare i propri bambini, meno gente si confessa. In altre parole la Chiesa tutta ha perso di peso, si è assottigliata. Dunque i pochi matrimoni sono in sintonia con la «poca» Chiesa.

Questo spiega qualcosa del dibattito in corso. E spiega qualcosa degli atteggiamenti più generali della Chiesa. Fino a non molto tempo fa, fino a Papa Wojtyla compreso, con il cardinal Ruini a capo della Cei, si parlava di «valori non negoziabili». In altre parole su alcuni temi caldi la Chiesa rifiutava di venire a patti. Ovvio che la Chiesa poteva rifiutare di venire a patti se sapeva di essere sufficientemente forte, tanto da imporre il suo punto di vista o da far rumore anche quando non riusciva ad imporlo. Ora è venuto meno proprio il sentimento di quella forza, anche perché, semplicemente, è diminuita la forza. L’unica forza di cui la Chiesa di Papa Francesco parla è quella del Vangelo, che porta i cristiani a servire gli uomini, soprattutto quelli delle «periferie» e non a trattare da posizioni di forza con la società e i governi. E di valori non negoziabili non si parla più.

Questa situazione generale la si ritrova anche nella crisi del matrimonio. Detto in termini un po’ rozzi, si deve constatare che il matrimonio in chiesa lo celebra ormai soltanto chi ne è convinto. Come per la Chiesa non c’è più la forza dei molti, ma la forza dei pochi che ci credono. I pochi matrimoni religiosi ricordano che l’ideale matrimoniale del Vangelo è alto, impegnativo, oltre che bellissimo. Ma non tutti possono capirlo e soprattutto pochi possono tentare di viverlo.

Sicché anche la grande discussione del Sinodo diventa interessante. Almeno per una semplice ragione: l’ideale cristiano del matrimonio è alto, ma, proprio per questo, è soggetto a insuccesso. Se la Chiesa cambierà verso chi ha divorziato e si è risposato lo farà perché sa di che cosa è annunciatrice. Sarà una Chiesa misericordiosa, tanto più misericordiosa, quanto più conosce l’altezza vertiginosa dell’ideale.

Ma nello stesso tempo la Chiesa continuerà, ostinatamente, ad annunciare la bellezza di un amore umano che diventa niente meno che immagine dell’amore di Dio. L’importante, a quel punto, non è che tutti arrivino lì, ma ci arrivino alcuni, quelli che ci credono, appunto, disposti a vivere l’incredibile avventura.

Alberto Carrara

IL VESCOVO BODE:PIU' APERTI SUL TEMA DELLA SESSUALITA'

intervista a Franz-Josef Bode, a cura di Katholische Nachrichten Agentur

Il vescovo di Osnabrück Franz-Josef Bode chiede che la Chiesa in temi come famiglia e sessualità tenga conto della coscienza personale dei fedeli e sottolinei maggiormente le grandi convergenze.
A pochi giorni dall'inizio del Sinodo sulla famiglia in Vaticano, il vescovo Franz-Josef Bode 
sollecita la Chiesa cattolica a maggiore apertura in temi come famiglia e sessualità. Anche molti 
cattolici impegnati non si interessano più della dottrina della Chiesa sulla sessualità, ha dichiarato Bode mercoledì in un'intervista a KNA. E neppure vogliono una Chiesa che punti il dito contro le 
persone. “Dobbiamo essere più cauti e tener maggiormente conto dell'autonomia della coscienza personale”.
Bode, che è anche presidente della Commissione pastorale della Conferenza episcopale tedesca, si è inoltre mostrato convinto che ci sia una grande convergenza tra il forte desiderio d'amore, di affidabilità e fedeltà che c'è nelle persone, e i valori sostenuti dalla Chiesa. 
“In questo modo possiamo impegnarci positivamente e incoraggiare le persone a osare l'avventura del matrimonio e della famiglia”.
La Chiesa deve però tener conto del fatto che le situazioni di vita delle persone sono fortemente 
cambiate. “Se non osiamo fare alcun passo in questo ambito e abbiamo sempre solo paura che si rompano gli argini, rischiamo di irrigidirci”. 
A suo avviso sarebbe un segnale importante per molti “se sentissero che la Chiesa si muove, che i vescovi colgono questi cambiamenti nella loro complessità, che non li demonizzano subito, che invece ne discutono seriamente”.
In riferimento all'atteggiamento da tenere con i divorziati risposati, il vescovo trova molto positivo 
il fatto che papa Francesco voglia un vero dibattito nel sinodo. È chiaro che in discussione non vi è l'indissolubilità del matrimonio. Ma d'altro canto la Chiesa deve porsi la domanda se debba sempre “considerare una seconda relazione come un adulterio che continua nel tempo, per la qual cosa non ci si possa più accostare alla comunione. O invece ciò che di nuovo è nato in un secondo matrimonio civile non può forse rinviare, in un modo diverso, non sacramentale, all'amore e alla magnanimità di Dio?” Su questa base si pone la domanda di come la Chiesa si debba porre di fronte ai fallimenti di determinati progetti di vita: “La comunione è solo un premio per chi è già “perfetto” o non invece anche un rimedio per coloro che hanno bisogno di aiuto?”

venerdì 3 ottobre 2014

Iniziativa per l’uguaglianza tra uomo e donna nella
Chiesa cattolica

Il 28 di settembre 2014, una data da ricordare: I cattolici di Basilea-Città e di Basilea-
Campagna hanno votato in un voto popolare sull’ „iniziativa per l’uguaglianza tra uomo e
donna nella Chiesa cattolica“ e l’hanno accettata con il 81.8 % (Basilea-Città) e 87.4 %
(Basilea-Campagna) dei voti espressi. Questa iniziativa propone l’abolizione dell’ obbligo di celibato per i presbiteri e l’accesso ai ministeri sacerdotali per le donne.
Nelle due costituzioni ecclesiastiche di diritto pubblico dei due cantoni sarà adesso inserito:
“Le Chiese cantonali sottopongono alle autorità della Chiesa la richiesta che
l’accesso al sacerdozio diventi possibile indipendentemente dello stato civile e del sesso.”
Nella maggioranza dei cantoni in Svizzera le persone cattoliche appartengono
contemporaneamente a due sistemi giuridici:
sia al diritto cattolico mondiale, contenuto del Codex Iuris Canonici (diritto canonico) sia a
un diritto pubblico della costituzione ecclesiastica cantonale. Il nuovo paragrafo sarà inserito in questo diritto pubblico.
Sebbene il nuovo paragrafo non abbia un effetto diretto sul diritto canonico, il suo
inserimento costituisce un segno forte da parte del popolo della Chiesa nei confronti delle
autorità ecclesiastiche, soprattutto nei confronti dei vescovi.
A livello mondiale tanti gruppi, ecclesiali o professionali, con simili richieste hanno
indirizzato innumerevoli petizioni, risoluzioni e memoranda ai responsabili della Chiesa.
Questo voto ci si aggiunge, ed è una nuova forma di manifestare questo
desiderio, questa esigenza come appello urgente.

Questa petizione è fondata su due motivi:

1) L’uguaglianza tra uomo e donna nella nostra Chiesa è una questione di giustizia. Il suo
argomento teologico principale si trova sulla prima pagina della Bibbia, quando Dio crea
l’uomo e la donna a sua immagine, creò loro maschio e femmina (Gen. 1, 26-28). La
Commissione biblica pontificia stessa ha costatato già nel 1976 che non c’è nessuna
ragione biblica contro l’ordinazione delle donne. E perciò, è eminentemente importante
che la responsabilità del futuro della nostra Chiesa sia nelle mani sia delle donne che
degli uomini.

2) Nella Chiesa cattolica l’obbligo di celibato per i presbiteri è una prescrizione
disciplinare, non è un dogma e potrebbe essere abolito facilmente.

Con questa votazione, una richiesta formale del popolo della Chiesa sarà iscritta in una
costituzione: è una prima mondiale. Speriamo che capiranno questo segno gli organi
decisionali esclusivamente maschili della nostra Chiesa.

I Comitati della iniziativa dei cantoni Basilea-Città e Basilea-Campagna

www.kirchliche-gleichstellung.ch
Contatto: jjeker@bluewin.ch (Josef Jeker)

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