sabato 30 dicembre 2017

E LA RIVOLUZIONE DI PAPA FRANCESCO?

Quasi alla fine del quinto anno di pontificato (13 marzo 2018), la “rivoluzione” di Francesco
continua a dividere mondo cattolico, osservatori laici e stampa.
Gli ultrà del papa argentino la evocano ogni giorno, anche in questo 2017 appena concluso,
trasformando ogni gesto di Francesco, compreso il più innocuo, in rivoluzionario. Gli oppositori,
specularmente, gridano alla rivoluzione, ma con timore e terrore, denunciando ogni atto come
eversivo del bimillenario ordine costituito, capace di far naufragare la barca di Pietro nel mare
tempestoso del relativismo, del terzomondismo, addirittura del comunismo. Poi c’è la narrazione
della rivoluzione mancata – particolarmente di successo in un anno in cui i numeri 3 e 4 della
gerarchia della Santa sede (il card. Müller, fino a luglio custode dell’ortodossia come prefetto della
Congregazione per la dottrina della fede, e il card. Pell, superministro dell’economia di Oltretevere,
da giugno in Australia a difendersi dalle accuse di pedofilia), insieme al revisore generale dei conti
del Vaticano (Libero Milone, a giugno) e al vicedirettore dello Ior (Giulio Mattietti, a novembre)
sono stati allontanati dai Sacri palazzi – perché ostacolata dalla Curia cattiva, rafforzata dalle parole
di papa Francesco ai cardinali per gli auguri di Natale: «Fare le riforme a Roma è come pulire la
Sfinge d’Egitto con uno spazzolino da denti».
Ma quale rivoluzione? In realtà non è mai stata all’ordine del giorno, se alla parola assegniamo
l’autentico significato di mutamento radicale delle strutture. Le riforme sì. Più decise quelle
finanziarie (ma in ordine a trasparenza e legalità, non alla povertà), più modeste quelle curiali
(accorpamento di dicasteri) e liturgiche (autonomia alle Conferenze episcopali nazionali per la
traduzione dei testi), senza intaccare la dottrina.
Tuttavia sono cambiate la percezione e la prassi, con il lento spostamento dal primato della Verità (i
“principi non negoziabili”, non archiviati ma collocati in seconda linea) alla centralità delle
questioni sociali (migranti, ambiente, disarmo). Per la Chiesa cattolica non è poco.
Il 2018 sarà l’anno della rivoluzione? Probabilmente no. I nodi da affrontare, scogliere e tagliare ci
sarebbero, ma resteranno lì, temperati dalla pastorale di misericordia. Gli scontri, mediatici e non,
continueranno. E la barca di Pietro proseguirà la propria navigazione.
di Luca Kocci, in “il manifesto” del 29 dicembre 2017

venerdì 29 dicembre 2017

STUPORE DAVANTI AL TUO MISTERO

Liberaci,Signore,
da ogni arida pretesa
della mente e del cuore:
donaci lo stupore dinanzi al tuo mistero,
la fedeltà dell'inconoscenza.
Conduci la nostra intelligenza,
vivificata dal tuo Spirito,
sui sentieri dove tu tu riveli
nella tenebra luminosa
del silenzio.
Da' a noi occhi limpidi
per contemplarti,
e un umile cuore
per lasciarci contemplare da te.
Dio della storia,
che hai parlato le parole eterne
adattandole alle orecchie dell'uomo,
che non hai esitato
a entrare tu stesso nel tempo
per farti incontrare,
conoscere e amare da noi,
donaci di non cercarti lontano,
ma di riconoscerti
dovunque la tua Parola
proclama la certezza della tua presenza,
velata oggi certamente e sofferta,
libera un giorno e splendente,
al tramonto del tempo
quando sorgerà l'alba
del tuo ritorno glorioso.
Vieni, Spirito Santo,
vieni in noi,
inquieti per la febbre
che tu stesso ci hai contagiato:
vieni a ripresentare in noi e per noi
il mistero del Crocifisso Risorto,
vieni così a riempire la nostra vita,
perché la bocca parli finalmente
per la sovrabbondanza del cuore.
Amen.Alleluia!
Bruno Forte,Un tempo per stupirsi.

domenica 24 dicembre 2017

AUGURI PER UNA NUOVA NATIVITA' CON GESU'!

Signore Gesù,
amico e fratello,
accompagna i giorni dell'uomo
perché ogni epoca del mondo,
ogni stagione della vita
intraveda qualche segno del tuo regno
che invochiamo in umile preghiera,
e giustizia e pace s'abbraccino
a consolare coloro
che sospirano il tuo giorno. 

Signore Gesù,
giudice ultimo del cielo e della terra, vieni!
La nostra vita sia come una casa
preparata per l'ospite atteso,
le nostre opere
siano come i doni da condividere
perché la festa sia lieta,
le nostre lacrime siano come l'invito a fare presto.
Noi esultiamo nel giorno della tua nascita,
noi sospiriamo il tuo ritorno:
vieni, Signore Gesù!


 Carlo Maria Martini

martedì 19 dicembre 2017

GIOVANI E RELIGIONE

L'associazione francese per il dialogo interreligioso “Coexister” pubblica un'indagine sulle parole-chiave che 2000 studenti di scuola media inferiore e superiore associano alle differenti religioni.
A che cosa pensano i giovani se si dice loro “ebraismo”, “cristianesimo”, “islam” o “ateismo”?
Non c'è un criterio scientifico e di rappresentatività, ma le convinzioni religiose di questi giovani sono abbastanza vicine a quelle dell'insieme della popolazione: lo 0,76% si sente più “vicino” all'ebraismo, il 49,2% al cristianesimo, il 6,53% all'islam e il 42,61% all'ateismo.
Che cosa mostrano allora queste risposte?
In primo luogo i giovani hanno pochi pregiudizi: “Kippà” e “sinagoga” vengono al primo posto per l'ebraismo, “Chiesa” e “Gesù Cristo” per il cristianesimo, “moschea”,“velo” e “Corano” per l'islam. “Questo mostra che c'è una trasmissione minima delle conoscenze del fatto religioso”, ritiene Charles Mercier, professore di storia contemporanea all'università di Bordeaux.
Inoltre, le risposte maggiormente date sono sempre rispettose.  “Tra le prime dieci, non c'è nessuna
parola violenta, aggressiva o razzista”, si rallegra Samuel Grzybowski. La presenza importante di
“genocidio” e “Hitler” tra le parole associate all'ebraismo è senza dubbio da collegare allo studio della Shoah a scuola. L'unica cosa negativa, per Samuel Grzybowski: “I non-musulami scrivono
sistematicamente Mahomet invece di Mohammad, mentre questa appellazione è considerata
peggiorativa da molti musulmani”.
Dalle risposte, traspaiono comunque anche cliché e visioni negative, ma più marginalmente. “Tirchi” o “Rabbi Jacob” o “banchieri” tornano anche se non spesso tra le parole associate all'ebraismo. Lo stesso succede per l'islam, a cui i giovani associano regolarmente “cuscus”,“terroristi”, o “arabi”.
Più marginalmente, il cristianesimo per alcuni è sinonimo di “chiuso”, “vecchio” o anche
“crociate”. Ma neanche l'ateismo è risparmiato: “ignoranza”, “incomprensibile” o “indeciso”
figurano tra le parole che gli sono talvolta associate.
“Le tre parole che i giovani associano alla loro religione riguardano più spesso l'interiorità, mentre quelle che associano alle altre religioni riguardano più facilmente segni esteriori”. Ad esempio, “Gesù Cristo” è la prima parola associata al cristianesimo dai giovani cristiani, mentre “Chiesa” è quella preferita dai non-cristiani.
Ma l'esempio che colpisce di più è senza dubbio quello del velo islamico: è la seconda parola
associata all'islam dai non-musulmani, mentre è solo alla nona posizione per gli studenti musulmani. “Si vede qui che questo segno esteriore, su cui si accentrano i dibattiti è considerato caratteristico dell'islam più dai non-musulmani che dai musulmani”.

giovedì 14 dicembre 2017

INCLUSIONE

<<Dipendiamo gli uni dagli altri in così tanti modi che non possiamo vivere più a lungo in comunità isolate e ignorare ciò che accade fuori da queste comunità.>>

 (Tenzin Gyatso)

PREGHIERA NELL'ATTESA DEL NATALE

Vieni sempre Signore

 Vieni di notte, ma nel nostro cuore è sempre notte:

e dunque vieni sempre, Signore.

Vieni in silenzio, noi non sappiamo più cosa dirci:

e dunque vieni sempre, Signore.

Vieni in solitudine, ma ognuno di noi è sempre più solo:

e dunque vieni sempre, Signore.

Vieni figlio della pace, noi ignoriamo cosa sia la pace:

e dunque vieni sempre, Signore.

Vieni a liberarci, noi siamo sempre più schiavi:

e dunque vieni sempre Signore.

Vieni a consolarci, noi siamo sempre più tristi:

e dunque vieni sempre Signore.

Vieni a cercarci, noi siamo sempre più perduti:

e dunque vieni sempre Signore.

Vieni, tu che ci ami, nessuno è in comunione col fratello

se prima non è con te, o Signore.

Noi siamo tutti lontani, smarriti,

né sappiamo chi siamo, cosa vogliamo:

vieni, Signore.

Vieni sempre, Signore.
(Padre Davide Turoldo)

sabato 9 dicembre 2017

Non è ancora giunta l'ora del biotestamento?

Vi ricordate della povera Luana Englaro? Sono passati 8 anni. Un caso ormai archiviato. Un dramma che ha arroventato la scena politica italiana, spaccando l'Italia in due: da una parte chi sosteneva che si trattasse dell'assassinio di una giovane donna in grado, per alcuni, addirittura di partorire, e dall'altra coloro che invocavano la libera scelta della morte dolce o dell'eutanasia.
Ci fu anche qualcuno che, inascoltato e dotato di buon senso, sosteneva che per non scivolare né
nell'eutanasia né nell'accanimento terapeutico non si dovesse stabilire una regola generale e astratta buona per ogni situazione ma che per affrontare quella zona grigia che attende tutti alla fine della vita bisognasse valutare caso per caso: bisognava cioè pensare non una legge rigida e prescrittiva ma un'indicazione del paziente, e del suo fiduciario che il medico avrebbe verificato naturalmente alla luce della sua relazione con il paziente.
Da ieri ad oggi i casi di "accompagnamento alla morte" si sono ripetuti e hanno continuamente solleticato e pressato la politica e la riflessione etico-morale degli italiani.
Ora sembra che finalmente stia per essere approvata una legge, equilibrata e saggia, che fa fronte alla crescente invasività delle tecniche che aumentano il rischio di accanimento e, insieme, tutela il medico che dovrà scegliere in scienza e sapienza.
È tempo ora, finalmente, di stabilire diritti e confini sul fine vita. Bisogna legiferare, evitando quella
contrapposizione ideologica, quel bipolarismo etico del passato, così paralizzante.
Dobbiamo valorizzare gli elementi buoni del dibattito che nel corso di così tanti anni si si è svolto.
Chiara è la difficoltà a legiferare su una materia nella quale il malato può cambiare idea, fino all'ultimo momento. Ma è per questo motivo che occorre valorizzare il triangolo medico-paziente-famiglia ricreando una fiducia che spesso è venuta meno, o una sorta di Commissione nei casi estremi, e poi la mediazione del tutore, della famiglia.
Sull'altro versante bisognerà perfezionare le tecniche per togliere il dolore, che vanno estese e rese più fruibili. Così come il ricorso alla sedazione profonda. Ma la base di tutto resta la relazione medico-paziente che va umanizzata, non burocratizzata o resa diffidente da paure legali.
Detto questo, la legge non risolve tutto. Questo però non deve diventare un alibi per non legiferare, ma serve la consapevolezza che farlo in modo astratto non sempre aiuta. L'esperienza di altri Paesi ci dice che occorre ascoltare la specificità dei singoli casi, là dove l'universalità della condizione umana del morire, diventa irriducibile peculiarità di ogni persona, e dei suoi affetti.

LA GIORNATA DEI GIUSTI

Un piccolo grande segnale quello di riconoscere e istituire la giornata dei giusti: il 6 marzo. Da ieri, con la legge approvata in via definitiva al Senato, anche il nostro Paese fa la sua parte. Ma chi sono i giusti? Qual è l’origine delle ricerche sulle “ biografie giuste” e quale significato si lega a una parola così impegnativa?
La genesi del riconoscimento porta al lavoro del memoriale di Yad Vashem a Gerusalemme: un segno perenne per ricordare i non ebrei che durante la Shoah hanno aiutato chi era in pericolo. Il giusto tra le nazioni non è un eroe né un combattente della Resistenza, spesso è qualcuno che si muove secondo principi semplici e istintivi nella quotidianità riservata: dare soccorso, prestare assistenza, nascondere chi è in difficoltà, offrire un tetto o una minestra a chi è in fuga
Un gesto di responsabilità individuale, un’assunzione di consapevolezza che rischia di essere dimenticata, o relegata alla memoria individuale dei protagonisti. Una scelta che può essere pagata a caro prezzo, non c’è spazio per il libero arbitrio quando la macchina dello sterminio si mette in moto: chi non piega la testa può pagare il prezzo più alto come ammonimento o esempio per gli altri. Il riconoscimento dell’onorificenza è il culmine del lavoro di storici e ricercatori che verificano testimonianze e documenti fino a pronunciarsi nel merito di vicende lontane. Il principio è quello di un passo della Bibbia — « Chi salva una vita, salva il mondo intero » — e non è poco di questi tempi quando altre vite vengono spezzate in tanti angoli del pianeta.
La banalità del bene diventa un valore riconosciuto e riconoscibile, un segno positivo che attraversa e condiziona individui e collettività.  Un lievito prezioso che a partire dalla giornata dei giusti ha affermato principi ben più impegnativi: quello della responsabilità individuale, della centralità della vita umana, della possibilità di fare qualcosa contro l’odio e l’intolleranza, contro le tante forme di discriminazione e violenza che attraversano il presente.

giovedì 7 dicembre 2017

Papa Francesco ci invita a pregare così...

Páter hemōn. Simone Weil lo recitava ogni mattina nell’originale greco, «questa preghiera contiene tutte le domande possibili, non se ne può concepire una sola che non via sia racchiusa». Eppure, spiega Francesco, «ci vuole coraggio per pregare il Padre nostro». In un mondo «malato di orfanezza», le parole trasmesse da Gesù ai discepoli («Signore, insegnaci a pregare») mostrano un Dio che si fa dare del tu, e chiamare «papà». Il pontefice ne parla con don Marco Pozza, teologo e cappellano del carcere di Padova, un dialogo versetto per versetto che TV2000 ha cominciato a trasmettere ogni settimana ed ora esce per intero nel libro Quando pregate dite Padre nostro, con le riflessioni inedite di Francesco alternate a quelle di Angelus e udienze. Ci vuole coraggio, ripete il Papa. «Dico: mettetevi a dire “papà” e a credere veramente che Dio è il Padre che mi accompagna, mi perdona, mi dà il pane, è attento a tutto ciò che chiedo, mi veste ancora meglio dei fiori di campo. Credere è anche un grande rischio: e se non fosse vero?»

Il Padre nostro dice l’essenziale, al piccolo Bergoglio lo insegnò la nonna. «A me dà sicurezza», racconta. «Ho un papà davanti al quale mi sento sempre un bambino. Un padre che ti accompagna, ti aspetta». Che stia «nei cieli» indica l’onnipotenza, non la distanza. Santificare il suo nome significa essere coerenti e il nome è misericordia. Un’anziana che si voleva confessare, ricorda il Papa, gli disse: «Se Dio non perdonasse tutto, il mondo non esisterebbe». Così «protagonista della storia è il mendicante», materiale e spirituale, «dire “venga il tuo regno” è mendicare». La sua volontà è che «nulla vada perduto». Il pane quotidiano, la remissione dei debiti. La durezza dei Dottori della legge sta nel sentirsi giusti, «potrai perdonare se hai avuto la grazia di sentirti perdonato». Di qui le riflessioni vertiginose sulla sorte di Giuda e il male. Non è mai Dio a tentarci, quell’«indurci» è «una traduzione non buona», dice Francesco, nell’ultima versione Cei si legge «non abbandonarci». Il senso è: «Quando Satana ci induce in tentazione, tu, per favore, dammi la mano, dammi la tua mano».
Da "www.corriere.it"

mercoledì 6 dicembre 2017

Padre nostro:nuova versione della preghiera

“Non indurci in tentazione, ma liberaci dal male”. Recitano così le ultime parole del Padre nostro, la preghiera più celebre del mondo cristiano, secondo il testo introdotto 50 anni fa dal Concilio Vaticano II. Questa frase, tuttavia, è contestata da molti. I teologi, poi, ne hanno discusso per anni.
Una nuova traduzione integrale in francese della Bibbia — pubblicata nel 2013 e riconosciuta dal Vaticano — ha corretto lo scritto modificando il verbo da “non indurci in tentazione” a “non farci cadere in tentazione”. Dio, così, da “tentatore” diventa “protettore”. La versione “corretta” della preghiera è (e sarà) recitata in tutte le chiese francesi in occasione della prima domenica dell’Avvento e cancella l’idea di Dio che spinge i fedeli verso il peccato per vedere se riescono ad evitarlo.
“La diocesi di Lugano, ovviamente, deve adeguarsi a quanto avviene in Italia”, ha detto il vescovo Valerio Lazzeri ai microfoni della RSI. “La tempistica dell’introduzione di questa nuova formula dipende dalla volontà di promuovere una nuova edizione del missale da parte della Conferenza episcopale italiana. Il cambiamento è minimo e questa rinnovata frase, che ha sempre provocato discussioni, non credo che creerà troppi problemi”, ha aggiunto.
I vescovi francesi avrebbero dovuto aspettare la pubblicazione dei nuovi messaggi previsti nel 2019 — che porteranno anche altri cambiamenti —, ma la Conferenza episcopale ha deciso di accelerare i tempi, almeno per il Padre nostro. I cattolici del Belgio e del Benin hanno adottato la nuova versione già dalla Pentecoste, in giugno, come molte parrocchie francesi.

martedì 5 dicembre 2017

Premio Nobel per la pace 2017

AFP ha riferito che gli ambasciatori degli Stati dotati di armi nucleari, ad eccezione di Russia e Israele, boicotteranno la cerimonia del Premio Nobel per la pace che si terrà a Oslo, in Norvegia, il 10 dicembre. Durante questa cerimonia l’ICAN (Campagna Internazionale per l’Abolizione delle armi Nucleari) riceverà formalmente il premio dall’Istituto Nobel.

Beatrice Fihn, in qualità di direttore esecutivo di ICAN, e Setsuko Thurlow, superstite della bomba di Hiroshima, riceveranno insieme il premio per gli sforzi profusi, che risalgono in realtà fin dagli inizi dell’esistenza delle armi nucleari, al fine di bandire la bomba.

L’impulso per l’assegnazione del premio di quest’anno è stato il Trattato, recentemente firmato, sul divieto delle armi nucleari, che l’ICAN ha fatto tanto per ottenere e che gli Stati dotati di armi nucleari hanno fatto tanto per cercare di evitare. Il loro fallimento ora si è trasformato come nella storia della volpe e dell’uva, dato che i loro ambasciatori devono stare lontani dalla cerimonia che normalmente riunisce a Oslo i diplomatici di alto livello.

Secondo il pezzo di AFP “hanno chiaramente ricevuto l’istruzione di esprimere le loro riserve nei confronti di ICAN e del trattato globale, finalizzato al divieto delle armi di distruzione di massa, ha detto il capo dell’ Istituto Nobel, Olav Njolstad”.

Questa non è una sorpresa, se si considera che Stati Uniti, Regno Unito e Francia, al momento dell’approvazione del testo del trattato, hanno rilasciato una dichiarazione che inizia così: “Francia, Regno Unito e Stati Uniti non hanno partecipato ai negoziati sul trattato di divieto delle armi nucleari. Non abbiamo intenzione di firmare, ratificare o prendervi parte. Pertanto, non vi sarà alcuna modifica degli obblighi giuridici dei nostri paesi in materia di armi nucleari”.

Secondo l’Istituto Nobel, gli ambasciatori di India e Pakistan saranno in viaggio nel momento della cerimonia, mentre la Cina non partecipa alla premiazione dal 2010, anno in cui un dissidente cinese è stato insignito del premio. La Corea del Nord non ha un’ambasciata a Oslo.

La cerimonia di premiazione giunge in un altro momento di forte tensione nucleare, con la Corea del Nord che sperimenta diversi componenti di una bomba nucleare e sembra sempre più fiduciosa di poter colpire qualsiasi bersaglio negli Stati Uniti.

Vito Mancuso

<<La forza profetica di Francesco è così evidente che anche il mondo laico lo ascolta e lo considera un punto di riferimento. Nella Chiesa, però, una parte lo segue, un'altra lo avversa. Le tensioni sono diventate fortissime. C'è il rischio che il treno della Chiesa si spezzi.>>

sabato 2 dicembre 2017

La nuova figura di prete: il pendolare-condiviso!

Professor Franco Garelli, dove scompare la figura tradizionale del parroco guida unica della chiesa locale, quali cambiamenti avvengono? 
«Passare da un unico responsabile, un unico pastore, figura di riferimento anche dal punto di vista sociale, a una gestione collegiale di più preti occupati in più parrocchie, oppure a un unico parroco condiviso con altre parrocchie, può portare disorientamento nei fedeli, soprattutto i più anziani. Di sicuro è una novità che interpella la fede, perché la rende meno comoda. Ma il laicato è chiamato ad abituarsi e anche a valorizzare queste dinamiche nuove».
E il parroco? Quanto gli si complica la vita? 
«I parroci di più comunità spesso non hanno il coraggio di chiedere di costituire un’unica realtà parrocchiale, con una chiesa “centrale” e le altre “satelliti”. Allora fanno “salti mortali” per celebrare messa in tutto il territorio: questo crea problemi grossi. Diventano preti pendolari, rischiando di disperdersi, di vivere a spicchi». 
Stiamo assistendo a un declino della Chiesa in Italia?
«No. Queste situazioni possono anche essere un arricchimento, già solo per il fatto che non ci si abitua troppo al parroco. Ci si può confrontare con le sensibilità diverse dei vari sacerdoti che ruotano. C’è sicuramente chi fa fatica ad abbandonare il vecchio modello, ma la possibilità del confronto tra realtà diverse vicine territorialmente, spesso della stessa città ma fino a poco tempo prima separate da steccati campanilistici, può essere stimolante per tutti. Si può sperimentare la bellezza di avere progetti comuni». 
Quindi nessun dramma?
«Chi vuole la messa sotto casa vive con inquietudine le unità o le comunità pastorali tra più parrocchie. Ma la religiosità è anche vita comunitaria aperta, e se c’è dinamismo tra realtà diverse tutto può diventare più incoraggiante. Se si riesce a creare aggregazione tra le parrocchie della zona si evita di rendere viziata l’aria della propria comunità a causa della chiusura, e vivere così momenti – spirituali e di festa – nuovi e piacevoli». 
La gestione delle parrocchie affidata ai laici è una via percorribile?
«Sì. Bisogna dare loro più spazio soprattutto per i ruoli organizzativi, amministrativi ed educativi. Il parroco deve imparare a delegare, mantenendo funzioni più di coordinamento e di garante, focalizzandosi sull’aspetto spirituale; dovrebbe essere attorniato da laici responsabili nei vari campi. Senza dimenticare l’associazionismo ecclesiale, un bacino da cui si può sempre attingere. Ovviamente c’è il pericolo di una mancanza di sintonia tra laici e parroco, o quello delle fazioni tra laici, ma sono rischi da correre».
La Chiesa dovrebbe prendere altre iniziative?
«L’invecchiamento del clero italiano dovrebbe portare a ristrutturazioni a livello delle diocesi. Per esempio trasferimenti: c’è molto più clero al Sud che al Nord. Oppure andrebbe sfoltito l’elevato numero di preti impegnati in apparati amministrativi delle diocesi: accorpandole si eviterebbe la moltiplicazione degli uffici e così si libererebbero risorse sacerdotali».
Intervista a Franco Garelli, di Domenico Agasso jr., in “La Stampa” del 25 novembre 2017

venerdì 1 dicembre 2017

Mancano i preti e ci si accorge che esistono i laici!

«I conti sono presto fatti: abbiamo una media di tre ordinazioni e una decina di decessi l’anno. Nei
miei sette anni a Torino i preti sono passati da 550 a meno di 480». L’arcivescovo, monsignor Cesare Nosiglia, puntualizza i numeri del suo clero come premessa per un altro numero. Capace, questo, di riassumere come stia cambiando la Chiesa, la sua organizzazione. Come la crisi delle vocazioni non possa più essere ignorata dai fedeli. «In Diocesi - prosegue l’arcivescovo - cento parrocchie non hanno più il parroco residente. Il parroco vicino ha accettato di assumere l’incarico anche per la comunità rimasta scoperta. Io dico che è come un padre con due figli. Ne aveva uno, poi ne è nato un altro».
«Per il sacerdote - riflette Nosiglia - significa senza dubbio moltiplicare le responsabilità. Ma il lavoro che tutti stanno facendo, gradualmente, con molta pazienza e coinvolgimento della gente, è
finalizzato a una collaborazione con i laici sempre più intensa in tutti gli ambiti pastorali. Per favorire una pastorale giovanile comune, molto importante perché i giovani si muovono nel quartiere e possono fare molto per amalgamare». Un altro ambito è la carità. «Se le Caritas e le San Vincenzo lavorano insieme vedono meglio le povertà del territorio, possono usare al meglio le risorse», dice l’arcivescovo. «Tutto questo - prosegue - bisogna farlo anche come Unità Pastorali, che in città comprendono le 3-4 parrocchie di un quartiere: per dare risposte omogenee. Sempre con il forte apporto dei laici, che ci sono: diaconi, ministri dell’eucaristia, educatori. I laici devono rendersi conto di essere indispensabili. E che tutto si fa in vista della missionarietà della Chiesa. La singola parrocchia non è in grado di andare verso i lontani, le periferie esistenziali. Insieme si può essere invece evangelizzatori efficaci».
«È più facile avere una comunità di ventimila persone piuttosto che due da diecimila con tutto il peso di doppie questioni amministrative. I preti sono oberati, le questioni pratiche portano via tempo. Noi abbiamo attivato un gruppo di esperti: commercialisti, architetti, che possano supportarli in diversi ambiti. È un discorso che abbiamo fatto anche a livello di Cei. Sappiamo che i sacerdoti vanno aiutati e speriamo di arrivarci. Intanto ogni giorno ringrazio i parroci e tanti altri che lavorano con grande generosità nelle loro parrocchie amando profondamente i loro fedeli e sostenendo il carico di impegni sempre più ampio e pressante. Io stesso imparo da loro ad affrontare serenamente le difficoltà che a volte debbo incontrare nel mio ministero»
Intervista a Cesare Nosiglia, a cura di Maria Teresa Martinengo in “La Stampa” del 25 novembre 2017

giovedì 30 novembre 2017

Il vuoto che allarma la Chiesa: mancano ottomila parroci

Ci dovremo abituare alla scomparsa della tradizionale figura del parroco, guida unica della chiesa
che sorge vicino a casa nostra, factotum per i sacramenti, il culto, l’oratorio e le attività sociali. Lo
dicono i numeri (forniti dalla Conferenza episcopale italiana e dall’Istituto centrale per il
Sostentamento del Clero): nelle 224 diocesi italiane le parrocchie sono 25.610, mentre i parroci
16.905. Il bilancio è un meno 8.705, che significa: molti sacerdoti devono guidare due o tre
parrocchie, quando va bene. Quando va male, anche 15, anche 19, come don Maurizio Toldo nella
diocesi di Trento. In loro aiuto ci sono 6.922 viceparroci, ma la coperta resta corta. E senza
prospettive di inversione di rotta: il calo di vocazioni – circa il 12% nell’ultimo decennio - interessa
anche il nostro Paese.
Dunque non è pensabile mantenere in vita come un tempo tutta la rete capillare di parrocchie e chiese che intessono le strutture delle città e dei paesi, tantomeno garantire le messe in orari comodi per tutti. Ma se il modello don Camillo, immortalato nei romanzi di Giovannino Guareschi e citato anche da Papa Francesco al recente convegno della Chiesa italiana di Firenze, appare in declino, questo non significa che le parrocchie rimarranno senza un prete. Paragonare solo il numero delle parrocchie con quello dei parroci può servire a prendere coscienza del problema, ma rischia di essere fuorviante. Infatti ci sono altre cifre di cui tenere conto: i sacerdoti – secolari, ossia diocesani, e religiosi appartenenti a famiglie religiose – sono infatti quasi 35mila, di cui, nel 2016, 31.728 attivi, mentre 3.082 sono non operativi per motivi di età o di salute (senza dimenticare i 399 impegnati nelle missioni del Terzo Mondo).
Poi, già da diversi anni le diocesi si sono attrezzate per sopperire alla mancanza di clero: c’è chi ha
favorito l’arrivo di seminaristi da altre nazioni, in particolare dall’Africa, l’America latina e l’Asia.
Più di mille, si legge in un dossier della rivista Popoli e Missione delle Pontificie Opere missionarie.
E c’è chi ha sperimentato le unità pastorali, come volle fare vent’anni fa il cardinale Carlo Maria Martini a Milano, unendo alcune parrocchie a due a due, e ponendole sotto la responsabilità di un
unico parroco. Le unità pastorali sono state poi trasformate in comunità pastorali: la parrocchia resta, con un prete che vi risiede, ma è inserita in una comunità più grande, che raduna diverse parrocchie sotto un unico responsabile che rimane in carica per 9 anni e un direttivo che vede presenti gli altri preti, ma anche laici. 
«In certi casi – spiegano dalla diocesi di Milano – c’è un’unica comunità pastorale che raggruppa tutte le parrocchie del paese: come nel caso di Cernusco sul Naviglio, tre parrocchie unite, o Brugherio, quattro parrocchie unite. Ogni parrocchia continua ad avere un prete che vi risiede, ma non è più il parroco». Nella diocesi ambrosiana le parrocchie sono 1107, i parroci poco meno di 800, i preti – compresi i religiosi e quelli ritirati – sono circa 3.000.
La necessità di coordinare meglio le forze esistenti è ben visibile anche nei centri storici: a Chioggia, in provincia di Venezia, città lagunare con moltissime chiese, c’è un responsabile unico per quattro parrocchie, ma in ognuna viene celebrata la messa grazie anche all’aiuto dei sacerdoti anziani.
Nei paesi di provincia i campanilismi – anche parrocchiali - sono più difficili da superare, ma ci si dovrà fare una ragione, perché la tendenza generale è quella per esempio di Carmagnola, nel
Torinese, circa 30mila abitanti: fino a pochi anni fa c’erano 7 parroci per 7 parrocchie, ora i parroci
sono 3, aiutati da un viceparroco e 7 preti tra cui quattro in pensione. Meno battuta è un’altra via,
quella del coinvolgimento dei laici, che costituendo comunità di famiglie possano vivere nella
parrocchia facendosene carico per tutto ciò che non richiede la presenza del prete.
di Domenico Agasso e Andrea Tornielli in “La Stampa” del 25 novembre 2017

lunedì 27 novembre 2017

Dai loro frutti li riconoscerete (Mt 7,16)

I soldi, il potere ed il suo abuso, sono gli elementi che distruggono il messaggio evangelico.Non c’è confessione religiosa cristiana che possa scagliare pietre addosso ad altre confessioni cristiane o a qualsivoglia altra religione. Tutte le confessioni cristiane sono intrise di potere, di soldi, di lussuria, di omicidi, di razzismi e oppressione. Siamo uniti nel male, siamo “ecumenici” nelle cose negative che hanno qualificato il cristianesimo come la religione che ha sostenuto lo schiavismo, il colonialismo, la strage dei nativi del nord e del sud America, che ha benedetto ogni tipo di guerra giungendo ad inventare anche il concetto della “guerra giusta” o addirittura “santa”. Non c’è ignominia che non sia stata giustificata dalle varie confessioni cristiane e ha ragione Enzo Bianchi quando dice:«Quando leggo che noi cristiani siamo due miliardi anziché gioire sono sconvolto: con tanti cristiani il mondo non dovrebbe essere migliore?».

Beati gli opertori di pace perchè saranno chiamati figli di Dio.(Mt 5,9)

LA PACE TRA I POPOLI E' INNANZITUTTO PACE FRA LE RELIGIONI

«Non c’è pace tra le nazioni senza pace tra le religioni. Non c’è pace tra le religioni senza dialogo tra le religioni. Non c’è dialogo tra le religioni senza la conoscenza dei fondamenti delle religioni».(Hans Küng)
Uno dei presupposti per un dialogo concreto è una conoscenza reciproca, obiettiva per quanto possibile, ma anche aperta a cogliere i lati positivi di ogni parte. Non sfuggire dai lati negativi, ma piuttosto lavorare sui temi che ci possano unire. Questo il nostro impegno su cui invitiamo tutti a confrontarsi.

Beati gli opertori di pace perchè saranno chiamati figli di Dio.(Mt 5,9)

sabato 25 novembre 2017

Lettera aperta agli uomini sul “donnicidio”

In occasione della Giornata contro la violenza sulle Donne, ecco l’appello, riassunto in una lettera aperta agli uomini, di Lidia Menapace, politica e saggista italiana, pubblicata su Patria Indipendente.
Cari compagni, cari amici iscritti alla nostra Associazione, spero di non irritarvi troppo trattando in forma di lettera aperta (dunque una scrittura domestica non accademica, non dalla cattedra) il tormentoso argomento del femminicidio. Cioè dell’uccisione di una donna in quanto donna.
Ma allora perché non donnicidio? Vado a controllare sui dizionari e scopro che donna significa “femmina dell’uomo”, cerco uomo e non trovo “maschio della donna”, bensì “essere dotato di ragione, che dà il nome a tutte le cose, a quelle che sono in quanto sono, a quelle che non sono in quanto non sono”.
Mi trovo tra stupefatta e impaurita: se lui incomincia a pensare che io sono tra le cose che non sono, mi elimina di botto. Vuol dire che alla base dell’uccisione di una donna in quanto donna c’è il fatto che essa sia considerata una cosa, non una persona. E una cosa può essere buttata sfatta distrutta da chi ne è possessore o proprietario. Ciò avviene da alcuni millenni nella nostra grande civiltà occidentale (ma non va poi meglio sotto altri punti cardinali): basta fare un rapido ripasso delle relazioni tra donne e uomini. Nello Stato avviene tardi addirittura l’idea che la donna possa avere diritti pari a quelli degli uomini. Per esempio il diritto alla inviolabilità del corpo: lo stupro era un reato contro la morale, non contro la persona, come ci accorgemmo nel fare una legge contro la violenza sessuale: un’impresa difficilissima, tanto che ci mettemmo due intere legislature per avere una buona legge, migliore di quella di quasi tutti gli altri Stati europei.
Si tratta di materia importante che si riferisce a ciò che accomuna tutti e tutte gli e le appartenenti alla specie umana e ci distingue dagli altri animali, cioè l’uso della parola come veicolo delle relazioni tra uomini e donne. Per questo le relazioni tra i generi della specie umana sono la misura del livello di civiltà: sempre per la straordinaria importanza delle relazioni tra gli e le umane, il livello di civiltà si può misurare o almeno intuire dal grado di civiltà delle relazioni tra i generi: si possono dunque misurare spostamenti indietro e in avanti, verso l’alto o il basso. Insomma ci si rende conto che donne vengono uccise – una ogni paio di giorni – nel nostro civilissimo Paese per l’unica colpa di non volere più, interrompere, rifiutare, respingere, una relazione che durava anche da tempo? e non è questo un segno della crisi generale che sta nel nostro tempo? e che non riguarda solo la finanziarizzazione dell’economia? Credo proprio di sì, e pur non essendo molto appassionata di pene né di delitti, non posso trattenermi dal chiedere che i maschi che si ritengono civili analizzino le loro reazioni al racconto dei numerosi femminicidi, e se si ritrovano indifferenti o addirittura hanno qualche mozione di simpatia/complicità con gli assassini, si esaminino attentamente, vadano da una brava psicologa, facciano con noi qualcosa per respingere questa vergogna. Ad esempio evitino di ridere al racconto di violenze, mostrino schifo ribrezzo disprezzo verso chi le compie.
Credo si debba chiedere il ripristino dell’educazione civica e sessuale, in modo che non si impiantino proprio nelle scuole degli anni più teneri della vita dei tremendi pregiudizi verso il genere femminile.
Viene talvolta rimproverata l’abitudine a vestire in modo molto sommario. Sarà il caso di ricordare che i grandi sarti sono spesso uomini e si chiede loro che non sfoghino le loro repressioni in una finta libertà di mostrare il corpo, che è di per sé un capolavoro, che si deve imparare a rispettare nudo o vestito anche quando l’età o la malattia non lo fanno più “bello”.
E infine, basta con le polemiche che colpevolizzano le madri che vestono le bambine in modo “seduttivo”. In realtà è il mercato che impone gli stili della moda e i modelli di comportamento, usurpando una funzione della società. Ma il mercato è cieco, letteralmente: non vede gli effetti dei codici che prescrive alla società. E’ alla società, alle persone, che va restituito il potere di dettare le norme dell’agire, di distinguere quelle che comportano offesa o cancellazione o calpestamento dei diritti altrui, di manifestare, in ultima analisi, l’autonomia del costume.
Qui c’è un invalicabile stop e chi non lo vede è a rischio di disumanizzarsi, insomma è la barbarie.
Lidia Menapace, partigiana, componente del Comitato Nazionale ANPI

martedì 21 novembre 2017

"Così lasciai detto di staccarmi la spina"

Padre Alberto Maggi, sacerdote e teologo, fine biblista, frate dell'Ordine dei Servi di Maria, ha raccolto in un libro - "Chi non muore si rivede. Il mio viaggio di fede e allegria tra il dolore e la vita" - la sua esperienza a "un passo dalla morte".
 
Non aveva paura di farla finita?
"Assolutamente no. Dissi ai medici. Non preoccupatevi. Se muoio durante l'operazione è solo la mia parte biologica a deperire. La mia anima, invece, continuerà a vivere per sempre. Diedi disposizione anche per il funerale: dopo la Messa in convento nessuno avrebbe dovuto seguire la salma al cimitero. Il mio corpo piuttosto doveva essere consegnato alle pompe funebri mentre tutti i presenti sarebbero dovuti restare in convento a festeggiare non il povero Alberto, ma il "beato" Alberto. Ricordavo a tutti l'Apocalisse, il testo di Giovanni per il quale la morte è una beatitudine".
 
La vita non è sacra?
"Questo è il punto: è sacra la vita o l'uomo? Se è sacra la vita si deve difendere a oltranza anche quando diviene accanimento; se, invece, è sacro l'uomo gli si deve riconoscere la sua dignità e in alcuni casi lo si può anche aiutare ad andarsene serenamente".
 
Eppure, a volte, anche chi firma per farla finita, o dichiara pubblicamente le sue intenzioni in questo senso, poi si pente.
"È vero. Infatti il paziente va sempre ascoltato perché non tutti quando si trovano a un passo dalla morte sono pronti ad andarsene. Non vedono la morte come un nuovo inizio, ma come una fine e hanno paura, vogliono restare. E anche questo loro sentire va rispettato. Ho in mente casi diversi. Ricordo in particolare un amico medico che ha avuto la Sla. Si trovava in coma. Sembrava non avesse possibilità di svegliarsi. O lo si lasciava morire sotto sedazione o gli si applicava una tracheostomia per permettergli di respirare. I familiari mi chiesero un parere. Dissi loro che senz'altro non avrebbe voluto la tracheostomia. Invece, incredibilmente, si svegliò e fu lui a chiederla ai medici. Andò avanti tra atroci sofferenze, una gamba amputata, una sacca per l'alimentazione. Lì capii che nulla è scontato su questo terreno e che il paziente va sempre ascoltato".
 
Ricorda altri casi?
"Un caso diverso fu quello di Max Fanelli, anch'egli colpito da Sla. Andai a trovarlo. Gli funzionava solamente un occhio col quale usava una macchinario per comunicare. L'occhio era appena incorso in un'infiammazione: "Tra poco non potrò più comunicare. Il mio corpo diverrà un sarcofago", mi disse. Una cosa da impazzire. Si batté fino alla fine per una legge che non continuasse, per chi si trova in condizioni estreme, cure inutili".
 
Le parole di Francesco di oggi cosa dicono?
"Dicono della sua passione per l'umanità. Il Papa alla dottrina preferisce l'uomo. Non vuole portare gli uomini verso Dio, sennò ci sarebbe bisogno di leggi, di norme, quanto portare Dio verso gli uomini. E vuole farlo, appunto, non con una dottrina ma con una carezza, un linguaggio insomma che tutti possono capire. Una carezza la comprendono tutti, anche i cosiddetti lontani. Gesù è stato la tenerezza di Dio per i bastonati dell'umanità. Sapeva bene che anche coloro che erano abbandonati andavano accarezzati e in questo modo dava loro la possibilità di rinascere".

lunedì 20 novembre 2017

"Trovati i resti cremati di Buddha"

QUEI resti umani cremati rinvenuti in un cassone di ceramica nella contea di Jingchuan, in Cina, sembrano essere appartenuti a Buddha. Almeno così si legge nell'iscrizione trovata accanto: "I monaci Yunjiang e Zhiming della scuola Lotus, che appartenevano al tempio Mañjusri del monastero di Longxing nella prefettura di Jingzhou, hanno raccolto più di 2.000 pezzi di sharira, così come denti e ossa del Buddha, e li hanno seppelliti nella sala Mañjusri  di questo tempio ".
Il termine sharira ha un’accezione ampia e indica qualsiasi tipo di reliquia legata all''Illuminato', originario del Nepal. E' quanto risulta dalle relazioni degli archeologi, tradotte in inglese nella rivista Chinese Cultural Relics. Gli scavi nella zona erano iniziati cinque anni fa per riparare le strade del villaggio di Gongchi. Poi, la scoperta di un tesoro: non solo quella che sembra la tomba del famoso asceta, ma anche 260 statue buddiste a corredo.
Secondo la tradizione, Gautama Siddharta morì a Kusinagara, in India nel 486 a.C. e il suo corpo, avvolto in centinaia di pezze di cotone, venne cremato nel corso di una cerimonia imponente. La disputa per impossessarsi dei resti portò alla loro suddivisione tra i maggiori contendenti e alla relativa dispersione dell’immenso patrimonio della sharira.
Circa 1000 anni fa, Yunjiang e Zhiming avrebbero trascorso vent'anni della loro vita a rimettere insieme i resti di Buddha, seppellendo, infine, il loro tesoro il 22 giugno del 1013. Adesso, la loro sacra collezione è stata riportata alla luce.
Gli archeologi non danno certezze: non c’è modo di sapere se effettivamente questi resti appartengano al fondatore di una delle religioni più antiche del mondo. Rimarrà un mistero. Ma la scoperta ha comunque un grande valore storico perché fornisce un approfondimento inedito sulla cultura che ha plasmato e segnato il buddismo. Le statue, alte circa 2 metri - rinvenute nei pressi del cassone ma forse sepolte in tempi differenti - raffiguranti il Buddha, devoti illuminati, dei o semplici oggetti legati alla spiritualità buddista, erano parte di un complesso luogo di culto.
Questo è solo l’ennesimo capitolo delle vicende legate alle ceneri dell’Illuminato. Tra le precedenti scoperte archeologiche in Cina, quella di un osso del cranio, apparentemente al Buddha, trovato all'interno di uno scrigno d'oro a Nanjing.
Da "Repubblica.it"

venerdì 17 novembre 2017

Utilità di un anniversario...nonostante i 500 anni di differenze!

Il 31 ottobre 1517 Martin Lutero rese pubbliche le 95 tesi contro l’abuso dell’indulgenza. La famosa affissione delle tesi alla porta della chiesa del castello di Wittenberg è considerata l’inizio della Riforma. Quest’atto diede l’avvio a un movimento su scala globale, che ha esercitato in maniera durevole la sua influenza non solo in Germania, ma anche in Europa e in America, lasciando tracce un po’ in ogni parte del mondo. La Riforma ha così impresso il suo carattere sulla Chiesa e sulla teologia, ma anche su musica, arte, economia, società, lingua e diritto. Non c’è ambito che non sia rimasto al di fuori della sua sfera d’influenza. 
Il 31 ottobre 2017 abbiamo commemorato il 500° anniversario dell’affissione delle tesi.
Non è difficile trovare disorientamento, se non addirittura forti perplessità, di fronte a questo anniversario che mai aveva sollecitato così tante attenzioni: l'inizio, cinquecento anni fa, di un movimento di Riforma che ha mutato il volto della società. 
Un anniversario che non ha mai certo voluto puntare all'esaltazione di un uomo così complesso com'è stato Martin Lutero (tanto meno a processi di beatificazione, come inteso da qualcuno), né a risolvere in modo semplicistico argomenti che rimangono (e rimarranno) differenti. Questa data, però, ha sollecitato interrogativi e dibattiti che inevitabilmente non hanno mai smesso di coinvolgere tutti i cristiani, quale sia la loro appartenenza.
E soprattutto è emersa con forza la necessità di comprendere il senso del termine Riforma, non sbrigativamente come la protesta ideata da Lutero, ma come un processo dinamico, uno strumento evangelico, che da sempre ha accompagnato e sollecitato la Chiesa.
Ancor oggi la parola Riforma ci aiuta a vivere un’esperienza di continua conversione, in una provocazione costante per abitare al meglio la Scrittura nelle pagine della storia. Riforma è questione di stile, rivolto a tutti i cristiani, chiamati a vivere la sequela di Gesù sulla strada delle Beatitudini. Riforma incarna poi anche due ulteriori parole preziose: fedeltà (come rimanere sempre più fedeli alla Scrittura e alle Fonti) e responsabilità (come aderire sempre meglio al Messaggio e all'impegno cristiano nella società).
Se questo rinnovato incontro ci permette di ritrovarci sotto il manto di Dio, in una fraternità gratuita donataci dallo stesso Gesù Cristo, in una comunione diversificata com'è quella dello Spirito santo; se questo anniversario ci offre l’opportunità di ascoltarci e di conoscerci veramente, superando linguaggi che in passato ci hanno impedito di comprenderci; se quest’occasione ci chiede di vivere sempre meno indifferenti, e di superare la confusione imparando a porre una «gerarchia nelle verità della dottrina» (Unitatis redintegratio 11), tutto ciò non è forse una benedizione?
Camminare su questa strada non è facile per nessuno; ma riconoscere l’unicità della fede e le sue differenze storiche non smettendo mai di interrogarsi sulla nostra relazione con Dio e con gli altri, potrebbe finalmente trasformare l’ecumenismo, come valorizzazione delle diversità cristiane, da imprevisto a regola, da eccezione a consuetudine, da problema a prassi, considerandolo semplicemente uno stile, lo stile dei cristiani.

giovedì 16 novembre 2017

Una scelta libera in una Chiesa libera

«Una sessuofobia plurisecolare rischia di fare, alla Chiesa e al mondo, molto più male che bene, proprio in quanto “fobia repressiva”, al posto di una eventuale capacità naturale individuata e compresa con un discernimento profondo e prolungato nel tempo di “sublimazione” della propria forza e del proprio istinto sessuale, prendendo in prestito dalla psicologia junghiana e dalle filosofie orientali un concetto ancora oggi troppo poco ricercato, studiato e compreso da parte delle chiese cristiane. Si può certamente senza ombra di dubbio vivere una vita giusta ed essere santi davanti a Dio. E davanti agli uomini, sia come sacerdoti sposati che come monaci rinuncianti. Con entrambe le categorie nel mondo, non del mondo, e per il mondo!

Sogno davvero questo “riconoscimento reciproco” tra mondo e spirito, tra terra e cielo, tra Chiesa e Stato, tra poteri religiosi e poteri temporali. Abbiamo tutti bisogno di aprirci al cosmo e alle sue forze benefiche, di non vivere come dei reclusi, o degli ostinati solitari incapaci di interesse e di amore per la vita e/o per gli altri, ma di imparare a stare invece sempre di più in mezzo alla vita e in mezzo agli altri. “Mai senza l’altro”, e’ il titolo di un celebre saggio del gesuita Michel de Certau. Ma per potere realizzare la visione di questa comunione fraterna con il prossimo, e per poter essere persone forti e felici a tutti i livelli, non sono sufficienti improvvise riforme missionarie. Non basta uscire allo sbaraglio, e neppure degenerare nel triste luogo comune dell’armiamoci e partite…!  Bisogna, piuttosto, che la visione aristotelica dell’uomo come “animale sociale” converga e si fonda con i valori rivelati dello Spirito di Dio, che mette al centro di tutto il CUORE e insegna a prendere atto degli onnipresenti, infiniti, ed illusori “dualismi naturali” e a renderci sempre più immuni da essi e dalle loro influenze oscillatorie, e a superarli.

Rimanendo sempre “nel mondo, ma non secondo l’opinione del mondo”.»

di Michele Steinfl, studioso di Teologia

in http://www.paeseitaliapress.it/

martedì 14 novembre 2017

Forse serve davvero una legge sul fine vita...

Non c’è dubbio che la denuncia e la petizione pubblica di Gesualdi comporti l’andare ben oltre il problema politico e sociale e metta la coscienza del credente (e di chi non lo è) di fronte al problema dell’uso della propria libertà riguardo al fine-vita.
Già il card. Martini aveva fatto cenno alla problematica del fine-vita e lui stesso ad un certo punto della sua malattia ha detto no all'accanimento terapeutico, spiegando che non è una forma di eutanasia e precisando che non ci sono regole generali per stabilire se l’intervento medico sia appropriato, richiamando l’importanza di non trascurare la volontà della persona malata. Egli infatti disse: “La crescente capacità  terapeutica della medicina consente di protrarre la vita pure in condizioni impensabili. Senz'altro il progresso medico è  ormai positivo. Ma nello stesso tempo le nuove tecnologie che permettono interventi sempre più efficaci sul corpo  umano richiedono un supplemento di saggezza per non promulgare i trattamenti quando ormai non giovano più alla persona”.
Ma, oltre a questo, è importante anche l’impegno di alleviare la sofferenza del malato, che è un impegno di misericordia e di rispetto alla vita, perché la vita è qualcosa di sacro, di stupefacente: basta riflettere sul lungo viaggio di ogni forma di vita nel corso dei secoli per considerarla sacra, in particolare la vita umana dal momento del concepimento fino alla fine.
Il valore della vita, inoltre, si esprime secondo diverse forme, tutte importanti, avvalorate nel corso della storia dai vari pensieri filosofici, che noi chiamiamo  vita biologica, vita animale, vita psichica, vita logica, vita spirituale. Nel nostro linguaggio abituale noi ricorriamo genericamente alla parola “vita”, ma il termine racchiude in sé questi vari aspetti.
Il rispetto per la vita, quindi, deve essere esteso a tutte queste diverse forme in modo tale che siano tra loro in armonia. Purtroppo ci sono situazioni, esperienze e comportamenti che ledono a questa armonia, che creano lacerazioni e conflittualità. La malattia, come la SLA, crea una disarmonia tra la vita biologica, la vita psichica e la vita spirituale. Le malattie croniche e inguaribili producono un conflitto irreversibile tra le diverse forme vitali: quando si espande questa disarmonia come si deve intendere il rispetto alla vita?
Probabilmente è fondamentale in queste circostanze il rispetto della coscienza e della libertà della persona ammalata.
E’ vero che possiamo trovarci di fronte a chi, nella piena consapevolezza della sua coscienza, accetti di rispettare la vita biologica, anche se minacciata da percorsi inguaribili, a scapito della vita psichica e spirituale: sono coloro che, nel nome della propria fede o di altre convinzioni, ritengono un valore accettare la sofferenza come segno di partecipazione responsabile al dolore diffuso nel mondo. Chi si dispone a vivere la malattia irreversibile in questo modo, merita tutto il nostro rispetto e il riconoscimento della sua forza e del suo coraggio.
Ma meritano altrettanto rispetto tutti coloro che non riescono o non vogliono che la vita biologica prevalga sulle altre forme di vita, non accettando la disarmonia provocata dalla malattia irreversibile.
Si deve prendere atto che ciò che è un valore per una persona, non è detto che lo sia per un’altra; ciò che può essere edificazione per uno, per un altro che la pensa diversamente si può tramutare in tortura. Una diversa concezione della vita può produrre una diversa etica e da essa si possono raggiungere valutazioni differenti nei confronti di situazioni concrete.
In questi casi che cosa significa rispettare la sacralità della vita? E’ più sacra la vita biologica o la vita spirituale che salvaguarda la coscienza e la  libertà della persona?
Rispettare la vita di una persona significa rispetto per la sua coscienza e la sua libertà e ciò avviene se il malato può disporre dell’autodeterminazione. Da qui nasce l’esigenza che il sentimento di rispetto si concretizzi dal punto di vista politico istituzionale in una adeguata legislazione riguardante la libera autodeterminazione che consenta a ciascuno di decidere della propria  morte. Il diritto alla vita è indiscutibile, ma non può essere imposto come un dovere: nessuna persona deve essere costretta a vivere subendo una continua tortura, come la Gastrotomia Endoscopica Percutanea (PEG) o con la tracheotomia quando ci sono difficoltà respiratorie.
E in questo senso si vorrebbe augurare a Michele Gesualdi la opportunità di vedere un parlamento che si rimbocca le maniche e fa la sua doverosa parte (ma ne dubito) per consentire ai malati come lui, di trovare uno sbocco dignitoso per uscire dalla sofferenza e dalla tortura.
Dal blog "Appunti Alessandrini".

lunedì 13 novembre 2017

Nonostante tutto...il cinema è un'arte!

<<Film come sogni, film come musica. Nessun'arte passa la nostra coscienza come il cinema, che va diretto alle nostre sensazioni, fino nel profondo, nelle stanze scure della nostra anima.>>
Ingmar Bergman

domenica 12 novembre 2017

DOV'È FINITA LA LEGGE SUL TESTAMENTO BIOLOGICO?

Un appello accorato, che arriva direttamente dal cuore della terra di don Milani. E' tutto scritto nella lettera che Michele Gesualdi, malato da 3 anni di Sla, ex allievo di don Milani nella scuola di Barbiana, ha scritto ai presidenti di Camera e Senato per accelerare l'approvazione della legge sul “fine vita”.
La missiva è stata letta a Radio Radicale dove era presente in studio la figlia di Gesualdi, Sandra. Michele oggi non si muove più, è prigioniero del suo stesso corpo "come fosse immerso in una colata di cemento". Ma il cervello, per contrappasso, rimane lucidissimo, insieme alle sue finestrelle, gli occhi, che rimangono l'unico modo per comunicare.   
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Mi chiamo Michele Gesualdi, qualcuno di voi probabilmente ha sentito parlare di me perché sono stato presidente della provincia di Firenze per due legislature e allo scadere dei mandati sono stato sostituito da Matteo Renzi. Oggi vi scrivo per implorarvi di accelerare l’approvazione della legge sul testamento biologico, con la dichiarazione anticipata di volontà del malato, perché da tre anni sono stato colpito dalla malattia degenerativa Sla e alcuni sintomi mi dicono che il passaggio al mondo sconosciuto non potrebbe essere lontano.
I medici mi hanno informato che in caso di grave crisi respiratoria può essere temporaneamente superata con tracheotomia come in caso di ulteriore difficoltà a deglutire si può ricorrere alla Peg.(Gastrotomia endoscopica percutanea) La Sla è una malattia spaventosa, al momento irreversibile e incurabile. Avanza, togliendoti giorno dopo giorno un pezzo di te stesso: i movimenti dei muscoli della lingua e della gola, che tolgono completamente la parola e la deglutizione, i muscoli per l’articolazione delle gambe e delle braccia, quelli per il movimento della testa, e respiratori e tutti gli altri.
Alla fine rimane un scheletro rigido come se fosse stato immerso in una colata di cemento. Solo il cervello si conserva lucidissimo insieme alle le sue finestrelle cioè gli occhi, che possono comunicare luce ed ombre, sofferenza, rammarico per gli errori fatti nella vita, gioia e riconoscenza per l’affetto e la cura di chi ti circonda. Se accettassi i due interventi invasivi mi ritroverei uno scheletro di gesso con due tubi, uno infilato in gola con attaccato un compressore d’aria per muovere i polmoni e uno nello stomaco attraverso il quale iniettare pappine alimentare.
Per quanto mi riguarda in modo molto lucido ho deciso di rifiutare, ogni inutile intervento invasivo ed ho scritto la mia decisione chiedendo a mia moglie di mostrarla ai medici affinché rispettino la mia volontà. Quando mia moglie e i miei figli mi hanno visto ridotto ad uno scheletro dovuto alla difficoltà di deglutire, mi hanno implorato di accettare almeno l’intervento allo stomaco per essere alimentato artificialmente perché sarebbe stato un dono anche un solo giorno in più che restavo con loro.
Questo mi ha messo in crisi e ho ceduto anche per sdebitarmi un po’ nei loro confronti. A cosa fatta, confermo tutti i motivi dei miei rifiuti, che consistono nel fatto che non sono interventi curativi, ma solo finalizzati a ritardare di qualche giorno o qualche settimana l’irreparabile, che per il malato, significa solo allungare la sofferenza in modo penoso e senza speranza Per i malati di Sla la morte è certa, e può essere atroce se giunge per soffocamento. C’è chi sostiene che rifiutare interventi invasivi sia una offesa a Dio che ci ha donato la vita.
La vita è sicuramente il più prezioso dono che Dio ci ha fatto e deve essere sempre ben vissuta e mai sprecata. Però accettare il martirio del corpo della persona malata, quando non c’è nessuna speranza né di guarigione né di miglioramento, può essere percepita come una sfida a Dio. Lui ti chiama con segnali chiarissimi e rispondiamo sfidandolo, come se si fosse più bravi di lui, martoriando il corpo della creatura che sta chiamando, pur sapendo che è un martirio senza sbocchi.
Personalmente vivo questi interventi come se fosse una inutile tortura del condannato a morte prima dell’esecuzione. Come tutti i malati terminali negli ultimi 100 metri del loro cammino, pregano molto il loro Dio, e talvolta sembra che il silenzio diventi voce e ti dica : “Hai ragione tu, le offese a me sono altre, tra queste le guerre e le ingiustizie sociali perpetuate a danno della umanità. Chi mi vuole bene può combatterle con concrete scelte politiche, sociali, sindacali, scolastiche e di solidarietà ”.
Di fronte a queste parole rimane una grande serenità che ti toglie la voglia di piangere e urlare. Ti resta solo l’angoscia per le persone che ami e che ti amano. Quando mia moglie ha saputo che in caso di crisi respiratoria durante la notte non ha altra scelta che chiamare il 118 e che il medico di bordo o quelli del pronto soccorso, possono rifiutarsi di rispettare la volontà del malato e procedere ad interventi invasivi, si è disperata e mi ha detto: “Se ti viene di notte una crisi forte non posso chiuderti in camera e assistere disperata in silenzio a vederti morire. Sarebbe per me un triplice dramma: Tremendamente sola di fronte alla tragedia, non poter corrispondere a un tuo desiderio, anche se sofferta da me e dai figli e l’immenso dolore di perderti”.
Per l’insieme di questi motivi sono a pregarvi di calarvi in simili drammi e contribuire ad alleviarli con l’accelerazione della legge sul testamento biologico. Non si tratta di favorire la eutanasia , ma solo di lasciare libero, l’interessato, lucido cosciente e consapevole, di essere giunto alla tappa finale, di scegliere di non essere inutilmente torturato e di levare dall’angoscia i suoi familiari, che non desiderano sia tradita la volontà del loro caro. La rapida approvazione delle legge sarebbe un atto di rispetto e di civiltà che non impone ma aiuta e non lascia sole tante persone e le loro famiglie.

sabato 11 novembre 2017

Una “lettera aperta” a papa Francesco

In questi giorni sta raccogliendo firme in tutto il mondo una lettera aperta a papa Francesco (partita dalla Repubblica Ceca, dall’Austria, dalla Germania, dalla Società europea per la ricerca teologica) che dice così:
“Caro e stimatissimo papa Francesco, le tue iniziative pastorali e la loro fondazione teologica sono oggi sottoposte a un veemente attacco da parte di un gruppo nella Chiesa. Con questa lettera aperta noi ti vogliamo esprimere la nostra gratitudine per la tua coraggiosa e teologicamente ineccepibile leadership pontificale. In poco tempo tu sei riuscito a rinnovare la cultura pastorale della Chiesa cattolica romana in fedeltà alle sue origini in Gesù. La gente ferita, la natura ferita vanno dritte al tuo cuore, Tu vedi la Chiesa come un ospedale da campo sul ciglio della vita. Al centro della tua preoccupazione c’è ogni singola persona amata da Dio. Nell’incontro con gli altri la compassione e non una angustiante interpretazione legalistica della legge deve avere l’ultima parola. Dio e la sua misericordia caratterizzano l’impostazione pastorale che tu vorresti per la Chiesa. Il tuo sogno è di una Chiesa madre e pastora. Noi condividiamo il tuo sogno. Ti preghiamo di non allontanarti dal cammino che hai intrapreso e ti assicuriamo il nostro pieno sostegno e la nostra costante preghiera”. Tutti possono firmare questa lettera, andando sul sito http://www.pro-pope-francis.com/

LA PROFEZIA DI FRANCESCO

<<...Le relazioni internazionali non possono essere dominate dalla forza militare, dalle intimidazioni reciproche, dall’ostentazione degli arsenali bellici. Le armi di distruzione di massa, in particolare quelle atomiche, altro non generano che un ingannevole senso di sicurezza e non possono costituire la base della pacifica convivenza fra i membri della famiglia umana, che deve invece ispirarsi ad un’etica di solidarietà. Insostituibile da questo punto di vista è la testimonianza degli Hibakusha, cioè le persone colpite dalle esplosioni di Hiroshima e Nagasaki, come pure quella delle altre vittime degli esperimenti delle armi nucleari: che la loro voce profetica sia un monito soprattutto per le nuove generazioni!...
...Occorre dunque innanzitutto rigettare la cultura dello scarto e avere cura delle persone e dei popoli che soffrono le più dolorose disuguaglianze, attraverso un’opera che sappia privilegiare con pazienza i processi solidali rispetto all’egoismo degli interessi contingenti. Si tratta al tempo stesso di integrare la dimensione individuale e quella sociale mediante il dispiegamento del principio di sussidiarietà, favorendo l’apporto di tutti come singoli e come gruppi. Bisogna infine promuovere l’umano nella sua unità inscindibile di anima e corpo, di contemplazione e di azione...>>
Dal discorso di Papa Francesco ai partecipanti al convegno "PROSPETTIVE PER UN MONDO LIBERO DALLE ARMI NUCLEARI E PER UN DISARMO INTEGRALE"

giovedì 9 novembre 2017

Lezione di ... tennis


<<L'autentico eroismo è sicuramente sobrio, privo di drammi. Non è il bisogno di superare gli altri a qualunque costo, ma il bisogno di servire gli altri a qualunque costo.>>

Arthur Ashe    

mercoledì 1 novembre 2017

Simone Weil

<<Oggi non è sufficiente essere santo: è necessaria la santità che il momento presente esige, una santità nuova, anch'essa senza precedenti.>>

lunedì 30 ottobre 2017

BRUTTE NOTIZIE DALLA MIA PROVINCIA

Il 2016 è stato un anno “nero” sulle strade del Lodigiano. Le vittime di incidenti stradali (17) sono infatti quasi raddoppiate rispetto all’anno precedente (erano 9). Basti pensare che negli anni 2015 e 2014 furono rispettivamente 4 e 3. Diminuiscono invece sia il numero degli incidenti (500, meno 11,5 per cento) e dei feriti (763, meno 12,4 per cento).
Sono i dati diffusi ieri dall’Istat, nel “Focus” sugli incidenti stradali avvenuti in Lombardia nel 2016. E proprio quello Lodigiano è il dato peggiore dell’intera regione, almeno per quanto riguarda le vittime: quel più 88,9 per cento, da 9 a 17, pesa infatti come un macigno.
«Non ci sono cause particolari per questo aumento delle vittime della strada - cerca di analizzare la situazione la comandante della polizia stradale di Lodi Patrizia Villano -. In generale però emerge che la distrazione alla guida, per l’uso per esempio di smartphone e tablet, è un elemento che causa sempre più incidenti».
Tornando ai dati Istat, la provincia di Lodi è “maglia nera” in Lombardia. Solo altre tre province infatti hanno il segno più sul numero di vittime della strada, ovvero Bergamo (da 49 a 60, +22,5 per cento), Mantova (+5,9) e Lecco (+30,8). Il dato regionale invece è di un calo complessivo del 9,2 per cento, mentre feriti e incidenti sono rimasti pressoché invariati.

domenica 22 ottobre 2017

LA PEGGIOR GUERRA CHE ABBIA COLPITO L'UMANITA' E CHE NESSUNO VUOLE FERMARE:L'INQUINAMENTO!

L'inquinamento ha ucciso nove milioni di persone nel 2015, o per meglio dire, 9 milioni di morti sono collegate direttamente all'inquinamento. Ma come è possibile? La risposta arriva da uno studio pubblicato su The Lancet.
Inquinamento atmosferico. L'inquinamento atmosferico, che include smog, particolato nell'aria e combustibili fossili, è da considerarsi responsabile della morte di 6,5 milioni di persone ogni anno: la cause dei decessi variano per lo più da malattie cardiovascolari a malattie respiratorie.
Inquinamento idrico. Grave è anche la situazione legata all'inquinamento idrico per a causa di infezioni gastrointestinali, parassiti, diarrea uccide 1,8 milioni di persone.
Inquinamento sul lavoro. Dati allarmanti arrivano anche in relazione all'inquinamento legato all'ambiente di lavoro, tossine e sostanze chimich, in questo caso parliamo di 0,8 milinoi di morti soprattutto per tumori.
Killer silenzioso. L'inquinamento è da considerarsi un killer silenzios poiché fa parte delle nostre vite e ci uccide senza neanche darci la possibilità di accorgercene. Una persona su sei ogni anno nel mondo muore proprio per cause legate all'inquinamento: malattie cardivascolare e respiratore, infezioni e tumori.
Morti al Sud. Le vittime si concentrano soprattutto nel Sud del mondo: in India i morti all'anno sono 2,5 milioni di morti mentre in Cina sono 1,8 milioni. Come è possibile? La causa secondo gli esperti è la recente e rapide industrializzazione. Le forme di inquinamento legate proprio allo sviluppo industriale, quindi parliamo di inquinamento atmosferico ambientale (ozono), inquinamento chimico e del suono ad oggi oggi più vittime rispetto al passato: si è passati da 4,3 milioni di decessi nel 1990 a 5,5 milioni nel 2015.
Minaccia per l'umanità. “L'inquinamento è molto di più che un problema ambientale, è una minaccia profonda e pervasiva che affligge molti aspetti della salute umana e del benessere. Merita attenzione da parte dei leader di tutto il mondo, della società civile, dei professionisti della salute, delle persone” spiegano gli esperti.

venerdì 20 ottobre 2017

16 OTTOBRE 1943...NON CANCELLIAMO GLI INSEGNAMENTI DELLA NOSTRA STORIA!

E’ stata inaugurata, in occasione delle celebrazioni del 16 ottobre 1943, data del rastrellamento degli ebrei romani, la mostra alla Fondazione Museo della Shoah di Roma “1938 – La storia” dedicata alle leggi razziali, promulgate il 17 novembre del 1938.
Si affronta uno dei periodi più bui della storia italiana, in cui sono stati violentemente calpestati i diritti di una parte dei cittadini.
C'è il filmato in versione integrale del discorso razzista di Mussolini, che fece nel settembre del ’38 a Trieste e che fu l’anticamera delle leggi razziali. Il video consiste in 34 minuti di odio antisemita: un filmato rimasto nascosto troppo tempo dove Mussolini dice che gli ebrei rappresentano “un nemico irriconciliabile con il fascismo” e rivendica il fatto che si tratti di una decisione autonoma, che non dipende dall’alleanza con la Germania. Ma con le leggi razziali gli ebrei furono definitivamente esclusi dalla vita pubblica. Qualcuno ha affermato che fu una campagna all’acqua di rose : i documenti esposti dimostrano quanto la normazione delle oltre 90 disposizioni antiebraiche fu capillare. Questo temporale tragico si abbatté soprattutto sul sistema scolastico: gli ebrei furono espulsi da ogni ambito, radiati completamente dal mondo accademico. Il mondo fu diviso in due: da una parte gli “ariani” dall’altra gli ebrei. E i decreti antiebraici toccarono tutti gli aspetti della vita sociale, anche lo sport.
La risposta della maggior parte degli italiani alle leggi razziali fu l’indifferenza. In generale non ci fu né empatia né solidarietà verso il vicino di casa: approvarono, si adeguarono all’antisemitismo. L’epilogo fu la deportazione nei campi di sterminio da cui solo poche persone si salvarono.
Questo è il significato storico di questa mostra: dobbiamo concentrarci su come evitare il ritorno di esperienze analoghe a 80 anni dalle leggi razziali, cercando di comprendere con quanta facilità e superficialità si arrivò alla più grande tragedia italiana.

mercoledì 18 ottobre 2017

BERGOGLIO:UN PAPA "VERDE" PER SALVAGUADARE L'UOMO

Di fronte alla superficialità con cui spesso vengono affrontati i nodi cruciali del nostro tempo, il Papa ha ristabilito la realtà di cause ed effetti, ha invitato a non nascondersi di fronte alle radici dei problemi, come il cambiamento climatico e le guerre, ma ad affrontarli con decisione. Il Papa ha, inoltre, sottolineato il legame inscindibile tra problemi ambientali, problemi sociali e problemi economici: un legame che spesso viene ignorato dalla politica e nascosto all’opinione pubblica.

In un mondo che altera e distrugge gli ecosistemi che sostengono la vita, mentre occorre cambiare decisamente strada e coniugare la prosperità con il rispetto della natura e dell’ambiente, il nodo della distribuzione equa delle risorse naturali è condizione indispensabile. In questo quadro occorre, da subito, ridurre drasticamente le emissioni climalteranti e applicare l’Accordo di Parigi per rimanere entro 1.5°C di riscaldamento globale e scongiurare impatti catastrofici. Nel contempo, occorre uno sforzo straordinario per affrontare gli impatti dell’aumento delle temperature già in atto, incluse le migrazioni interne e tra gli Stati: negarli o ignorarli porterebbe solo ad aggravarli.

venerdì 13 ottobre 2017

LA BUONA NOVELLA CORRE SUI SOCIAL!

Papa Francesco si conferma tra le personalità più popolari sui social. Il suo account Twitter in 9 lingue @Pontifex ha superato i 40 milioni di follower: un risultato – ricorda la Segreteria vaticana per la Comunicazione – raggiunto a poche settimane dal quinto anniversario dell’apertura dell’account papale, avvenuta il 12 dicembre del 2012 per volontà di Benedetto XVI : visibilità, populismo o nuova via per il messaggio evangelico?

mercoledì 11 ottobre 2017

JONATHAN SAFRAN FOER

<<Questo è amore, pensava lei, sì o no? Quando noti l'assenza di qualcuno più di ogni altra cosa. Ancor più di quanto ami la tua presenza.>>

lunedì 9 ottobre 2017

IUS SOLI:PIU' SI LITIGA E PIU' CRESCE LA PAURA DELL'IMMIGRATO

E' proprio vero:quando le situazioni si complicano o si allungano o si posizionano nel limbo delle decisioni mai prese, o si deve ripartire daccapo o ci si deve completamente dimenticare, perché ciò che prima sembrava già fatto, oggi, a distanza di troppo tempo, è diventato inutile o gli oppositori hanno sopravvanzato i favorevoli. "Non fare domani ciò che puoi fare oggi", recitavano i nostri nonni:saggezza popolare sempre attuale! E così sta accadendo per l'approvazione dello 'Ius Soli'.
Ecco cosa ha rilevato il sondaggista Renato Mannheimer intervistato a proposito di questa situazione.

Mannheimer, nonostante Gentiloni avesse dichiarata chiusa la discussione sullo ius soli, molti parlamentari non demordono. E' un tentativo di metterlo in difficoltà?
Si direbbe di sì, anche perché una legge sullo ius soli se votata oggi non avrebbe grandi possibilità di passare. Dunque quanto sta accadendo, anche lo sciopero della fame di Delrio e altri, potrebbe essere visto come uno scontro interno politico più che un sincero interesse per l'approvazione di questa legge.
E i cittadini che dicono invece?
L'opinione pubblica è nettamente divisa. Fino a qualche tempo fa era favorevole allo ius soli, adesso secondo le ultime stime siamo al 50 e 50 tra favorevoli e contrari, quando solo un anno fa i favorevoli erano il 70 per cento. E la discesa non si è fermata, i contrari continuano ad aumentare.
Perché secondo lei? Quali le cause principali di questo cambiamento di opinione?
L'atteggiamento maggioritario degli italiani per tutto quello che riguarda l'immigrazione è quello del rifiuto. I motivi sono diversi, ad esempio il lavoro, e la paura, visto quanto la crisi ha colpito duramente il paese, di vederselo portare via. Il motivo principale è però la sicurezza: la maggior parte dei cittadini, che sia un motivo giustificato o meno, hanno paura degli immigrati.

mercoledì 4 ottobre 2017

FESTA DI SAN FRANCESCO D'ASSISI

Oggi, in queste settimane, tra violenti contrasti politici, pericoli di guerra in Estremo Oriente, che senso ha il messaggio mite di Francesco?
Il messaggio di Francesco d’Assisi, in efetti, è un concentrato di mitezza evangelica: agli occhi del mondo esso può apparire debole e stolto. In realtà si rivela forte, sapiente e straordinariamente vitale, capace di rinnovare il cuore di ogni uomo. La sua testimonianza trova il suo fondamento nel Vangelo accolto e vissuto nella sua interezza e nella sua semplicità, senza doppiezze, e nel portare ogni giorno la croce del Signore Gesù, “stoltezza e debolezza” per il mondo. 
La complessa situazione politica e sociale nella quale siamo inseriti mette in discussione i nostri ideali evangelici, convincendoci che, forse, non vale la pena viverli. L’inganno nel quale rischiamo tutti di cadere è, allora, reale e pericoloso: esso ci toglie la lucidità e la consapevolezza che vivere il Vangelo è camminare sulla strada della pace e della comunione.
L’esempio di Francesco sfida i secoli e la storia! Dopo 800 anni continua ad illuminare le coscienze, invitando tutti gli uomini a partire da sé stessi e dalle proprie scelte quotidiane, nell’arduo compito di migliorare il mondo. Egli ci esorta a non pretendere che siano i grandi della terra, i politici, gli amministratori, i governanti, il datore di lavoro… a iniziare questo percorso di autenticità. Ci chiama, invece, a seconda delle nostre possibilità, del nostro stato di vita, dei nostri doni di grazia e di natura, a rimboccarci le maniche per cercare di dare, all’ambiente in cui viviamo, un volto più umano e insieme “divino”.
“Se molta gente di poco conto, in molti luoghi di poco conto,facesse cose di poco conto, la faccia della terra potrebbe cambiare”, diceva Folleraul.
La mitezza di Francesco, tuttavia, non è pura filantropia, ma frutto buono di una relazione con il Signore Gesù amato e desiderato sopra ogni cosa, quale sommo bene, tutto il bene, ogni bene:
<<Nessun frate faccia del male o dica del male a un altro anzi per carità di spirito volentieri si servano e si obbediscano vicendevolmente. O frati tutti, riflettiamo attentamente che il Signore dice: “Amate i vostri nemici e fate del bene a quelli che vi odiano”, poiché il Signore nostro Gesù Cristo, di cui dobbiamo seguire le orme, chiamò amico il suo traditore e si offrì spontaneamente ai suoi crocifissori. Sono, dunque, nostri amici tutti coloro che ingiustamente ci infliggono tribolazioni e angustie, ignominie e ingiurie, dolori e sofferenze, martirio e morte, e li dobbiamo amare molto poiché, a motivo di ciò che essi ci infliggono, abbiamo la vita eterna>>.
Nel suo Testamento, il santo invita i suoi frati ad andare per il mondo augurando a tutti la pace, bene messianico per eccellenza. Il saluto: “Il Signore ti dia la pace!”, che egli rivolge a quanti incontra, risuona anche oggi, ovunque, nei villaggi, come nelle città, sulle piazze e nelle campagne, sulla bocca dei suoi figli. Con queste parole egli auspica per ogni fratello ed ogni sorella, un’apertura del cuore sempre maggiore al dono della pace che discende dall’alto e che nemmeno le contrarietà della vita possono rubare.
Questo è il messaggio sempre attuale di Francesco che nemmeno la polvere della storia può confondere o cancellare. Non ci resta che tentare di sperimentarlo, per verificarne la verità e l’attualità. Buon cammino.
Chiara - Monaca Clarissa

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