venerdì 29 gennaio 2016

Famiglia non significa sacramento
 A me sembra stupefacente il clamoroso contrasto cui assistiamo in questi giorni attorno al problema della famiglia. Finalmente anche in Italia, come è già avvenuto in altri stati, si tenta di introdurre una normativa che regoli le cosiddette unioni civili. Ma il proposito è ostacolato dalla pretesa di tenerle ben distinte dalla “famiglia fondata sul matrimonio”. Perdura la concezione mitica della famiglia che non può essere inquinata da fenomeni degeneri. Atteggiamento questo totalmente ingiustificato dalla realtà. Vero è che secondo la tradizione cattolica il matrimonio è addirittura un sacramento e che persino nella nostra Costituzione è sancito che la famiglia è una società naturale basata sul matrimonio. Però ormai da tempo nè il matrimonio civile nè quello religioso sono indissolubili. Addirittura quello religioso poteva essere annullato anche prima del divorzio in base al privilegio Paolino previsto dal codice canonico se uno dei coniugi impediva all’altro di eseguire le sue pratiche religiose. Ma anche a prescindere da ciò la famiglia come tale ha avuto una evoluzione storica molto profonda. Al tempo dell’antica Roma la famiglia era la “gens” della quale erano membri anche gli schiavi. Pensiamo poi alla famiglia poligamica, ancora oggi presente in alcune realtà. Maometto, il profeta dell’Islam, aveva nove mogli e questa era la sua famiglia. Per venire a tempi più recenti troviamo pure una evoluzione enorme nella realtà della famiglia. Fino ai primi anni Settanta del secolo scorso era scritto nel Codice civile che «il marito è il capo della famiglia». Ciò prefigurava un modello di famiglia patriarcale, dove il marito - padre, e spesso il nonno, era il padre - padrone, al quale tutti gli altri erano subordinati. Le donne erano segregate nei lavori domestici, i figli e i nipoti trattati con severità piuttosto che con affetto. Oggi questa famiglia patriarcale non c’è più. Abbiamo ancora purtroppo numerosi casi di violenze e maltrattamenti, il femminicidio è nato e prospera nelle famiglie. La famiglia è un’istituzione più criminogena della mafia, se confrontiamo il numero dei delitti che si consumano nei due settori. Ed allora come è possibile riconoscere al matrimonio, sacramento o cerimonia civile, quella efficacia salvifica che si pretende di attribuirgli? La verità è che, come ormai è dimostrato dall’esperienza, la cellula - famiglia è sana e resistente, è feconda di figli e per i figli solo se è formata da persone di buona qualità. Dunque è la qualità delle persone che la compongono che fa della famiglia una cellula preziosa della società, e non è il sacramento o il formale matrimonio. È necessario volersi bene, capirsi, perdonarsi le reciproche debolezze, aiutarsi a superare le proprie insufficienze, anche fare l’amore e generare figli che devono crescere in un ambiente sereno e caldo d’affetto. Questo è ciò che rende armonioso ed anche felice l’incontro fra due persone che progettano di vivere insieme. Cosa cambia se sono due lui o due lei? Viene meno la capacità di generare prole. Ma anche a ciò vi è rimedio, inventato da molto tempo: l’adozione! Il figlio adottivo è sempre generato da un utero estraneo alla coppia. Davvero la radice genetica è più importante della cultura? Davvero è essenziale che il figlio sappia chi sono i suoi genitori naturali? Io credo che ciò che conta sia soprattutto, come ho detto, la qualità delle persone. L’esperienza ce lo insegna. Le famiglie originate dai matrimoni non sono garantite dal sacramento o dalla cerimonia civile. Le unioni civili possono essere altrettanto ed anche più solide e armoniose. E ciò che conta è la qualità delle persone che le compongono, non il loro sesso. La diversità sessuale era comprensibile nelle comunità primitive, lo è assai meno nel mondo più civile e maturo. Ritenere il contrario è pura arretratezza. Come lo fu la contrarietà al divorzio e all’aborto, clamorosamente smentita dai referendum popolari che ne seguirono. Che ci sia ancora bisogno di un referendum popolare?
di Renato Ballardini in “Trentino” del 28 gennaio 2016

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