venerdì 21 dicembre 2018

AUGURI DI BUON NATALE E DI UN NUOVO ANNO DI PACE!

Se vogliamo ritrovare il senso del Natale...

<<Bisogna spogliarsi di ogni senso di grandezza, affinché possiamo incontrare
la grandezza e l’umiltà di Dio
nella persona di suo figlio.
Dobbiamo essere pronti
all’imprevedibilità della rivelazione.>>
(Matta el Meskin)


... perché ...

<<Ogni Natale è un Natale nuovo,
è una nuova offerta
di amicizia e di condivisione
che Dio fa a ciascuno di noi.
Da parte nostra, allora,
ogni atto di accoglienza
e poi ogni atto di giustizia, di perdono,
di comprensione e di solidarietà
è il coronamento naturale
della celebrazione del Natale.>>

 (Carlo Maria Martini)


venerdì 14 dicembre 2018

NON E' MAI TROPPO TARDI...

Il 28 novembre il parlamento italiano ha approvato il cosiddetto decreto Salvini, che prevede la cancellazione della protezione umanitaria per chi non ha diritto all’asilo ma non può tornare nel suo paese. Subito dopo diversi comuni hanno applicato la norma, spingendo centinaia di persone in un limbo. La chiesa cattolica ha espresso la sua profonda disapprovazione. “Da parte nostra il discorso è molto chiaro. Prima di tutto deve prevalere un senso profondo di solidarietà. Non si possono mettere le persone in queste situazioni. Al centro dev’esserci sempre la persona umana e la sua dignità”, ha dichiarato Pietro Parolin, segretario di stato vaticano.
Il vescovo di Caltagirone, Calogero Peri, ha offerto quaranta letti in una struttura di proprietà della chiesa per accogliere chi rischia di essere espulso. “E se non dovessero bastare i posti letto? Ho già parlato con gli altri vescovi: apriremo le porte delle chiese, di ogni singola parrocchia nel nostro territorio”, dice Peri: “Qui non si tratta di politica. Qui si tratta di stare dalla parte degli esseri umani. Pensate che in Italia, in questo momento, è reato abbandonare i cani per strada, mentre non lo è abbandonare le persone. Anzi, abbandonare uomini, donne e bambini è richiesto da una legge”.
E non è finita qui!
Mons. Giancarlo Maria Bregantini (arcivescovo di Campobasso-Boiano, ex vescovo di Locri) in un articolo pubblicato sul settimanale 'Famigli Cristiana' ha le idee chiare: «Non si può invitare a fare il presepe e non accogliere negli Sprar una coppia vera di giovani sposi che hanno avuto un bimbo qualche mese fa e che ora sono per strada. Non si può venerare il crocifisso senza aver solidarietà con i crocifissi della storia».
«Sono molto belle le nostre tradizioni religiose popolari», continua mons. Bregantini sempre a proposito del presepe, «ma guai se ci accontentiamo solo di questa bellezza. Anzi, quello che viviamo in queste dimensioni religiose diventa ipocrisia se non c'è raccordo con quello che si vive nella realtà quotidiana. Si rischia di andare contro il mistero stesso che celebriamo».
Quello dell'arcivescovo di Campobasso è un invito alla coerenza: «Che facciano il presepe, ma non contro qualcuno. Che mettano il crocifisso, ma sapendo che questo non basta. Chi prepara il presepe e appende il crocifisso sappia che mette il cuore dentro una linea di solidarietà».
Parole che arrivano in ritardo? Forse. Ma sicuramente utili alla Chiesa stessa che riemerge con la profondità del messaggio umanamente cristiano, contro le falsità di chi si nasconde dietro un nazionalismo che rifiuta e divide.

martedì 11 dicembre 2018

SETTANT'ANNI...MA NON LI DIMOSTRA!

Settant’anni ma è come se fosse stata scritta ieri. Ieri perché molti degli articoli della «Dichiarazione universale dei diritti umani» sono ancora lettera e non «spirito», carta e non «carne», vita e storia delle persone. I diritti sono un cammino e una responsabilità. Qualcosa che nasce da un’aspirazione alla libertà e alla dignità, da un desiderio di pace e di giustizia. Dal sogno di una società dove chiunque, a prescindere da condizione, sesso, appartenenza etnica e culturale, riferimenti politici e religiosi, possa esprimere la sua personalità e mettere a disposizione le sue qualità e il suo talento. I diritti sono l’anello di congiunzione tra il bene del singolo e quello della comunità, nell’inesauribile tessitura che li lega e, vicendevolmente, li nutre. Ma per arrivare a questo non basta la politica – che pure ha come prioritario compito il tradurre quell’aspirazione in realtà. Occorre il contributo di tutti, e oggi come non mai dobbiamo avere il coraggio di riconoscere che se i diritti sono così fragili è anche perché non li abbiamo difesi con adeguata forza e continuità, svolgendo sino in fondo il nostro ruolo di cittadini. Giusto allora denunciare lo scandaloso abisso tra il contenuto di quegli articoli e il mondo come si presenta oggi ai nostri occhi: povertà, disoccupazione, guerre, disastri ambientali, migrazioni o, per meglio dire, deportazioni indotte. Un mondo dove il sogno di una società inclusiva, democratica, è stato abbandonato in nome di una logica economica selettiva, «algoritmi» del profitto non di rado coincidenti con dinamiche mafiose e criminali. Giusto denunciarlo così come denunciare una politica in gran parte impotente, inadeguata o spregiudicata fino al cinismo – vedi i negoziati con dittature e Paesi in mano a bande criminali per arrestare i flussi migratori, vedi la propaganda del sovranismo, dove l’odio e l’oblio – odio dello straniero, oblio della propria storia – diventano leve di consenso e di potere. Giusto e necessario. Ma ancora più importante è impegnarsi perché l’anniversario di ieri diventi un nuovo inizio, una storia dei diritti tradotti davvero in linguaggio universale, in grammatica dei rapporti non solo fra Paesi e popoli, ma fra persone e ambiente, perché è tempo ormai – come ci ricorda la «Laudato sì» di Papa Francesco – di riconoscere alla Terra la sua inviolabile dignità e di elevarla a soggetto giuridico, soggetto di diritti. Solo così i diritti umani possono riacquistare l’universalità che li definisce come tali e diventare nel concreto bene comune, base di una società dove ogni persona sia riconosciuta nel suo essere sempre fine e mai mezzo, artefice della propria e della altrui liberazione.
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di Luigi Ciotti in “il manifesto” del 11 dicembre 2018,*Gruppo Abele Libera

"SE NON RITORNERETE COME BAMBINI..."

Il 68% dei bambini e adolescenti di oltre 20 Paesi europei si sentono accoglienti e curiosi nei confronti di persone di diverse nazionalità che vivono nei loro paesi, secondo i risultati di un sondaggio online "Europe Kids Want" ("L'Europa che i bambini vogliono"), pubblicati oggi dall'Unicef e da Eurochild, realizzato su un campione composto da: bambini di 9 o meno anni (3,2%), 10-14 anni (35,2%), 15-17 anni (39,2%), 18-30 anni (22,4%). La tolleranza e la parità di trattamento dei migranti, indipendentemente dalla religione, dalla cultura o dalla lingua, sono gli aspetti più rilevanti dei risultati del sondaggio d'opinione.

L'indagine mostra inoltre che il 53% dei bambini e dei giovani dai 10 anni in su sono preoccupati di non trovare un lavoro nel futuro, soprattutto in Italia, Serbia, Spagna, Irlanda e Bulgaria. Il 74% di quelli che hanno risposto hanno detto che la scuola non li sta preparando abbastanza bene per le prossime fasi della loro vite.

Il sondaggio online 'Europe Kids Want' è stato sviluppato da esperti di diritti dell'infanzia e testato con i bambini prima di essere lanciato nel giugno di quest'anno. In totale, quasi 14.000 bambini e giovani di 23 paesi hanno partecipato all'indagine nel corso di quattro mesi, fornendo oltre 38.000 risposte a temi quali la sicurezza scolastica, il cambiamento climatico, l'ambiente familiare e il comportamento online.

"La partecipazione dei bambini al processo decisionale pubblico non è una cosa che è 'bello avere', ma un contributo necessario per ottenere decisioni migliori e una democrazia maggiormente partecipativa. Abbiamo anche bisogno di un'azione di governo a livello locale, nazionale e comunitario per coinvolgere i bambini. Non dobbiamo pensare ai bambini come 'al futuro', ma piuttosto come 'artefici del cambiamento oggi'", ha aggiunto Hanna Heinonen, Presidente ad interim di Eurochild.

venerdì 16 novembre 2018

CI STIAMO DIMENTICANDO DI NOI?


di Ascanio Celestini in “il manifesto” del 14 novembre 2018
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Quanto stiamo diventando cattivi? Come quelli che prendevano il caffè alla stazione quando partivano i treni pieni di ebrei e zingari? Come quelli che erano contenti dell’impero? ...

Più ci penso e più credo che non serve molto parlare di immigrati, di stranieri. Dobbiamo parlare di noi. Dell’umanità che ci stiamo perdendo per strada.

Con lo sgombero dei poveri cristi del Baobab – una ferita per la città perché era una risorsa vera per i disperati di Roma – s’è toccato un fondo che non era facile toccare. Solo con questi personaggi disumani potevamo toccarlo.

Con questi che si circondano di mostri per essere sempre più mostruosi. Quanti like mi mettono se porto un mazzo di fiori per una sedicenne stuprata? E se ce ne aveva tredici?

Viviamo in una città nella quale bisognerebbe riparare le strade piene di buche, dare un alloggio a chi non lo ha, migliorare il trasposto pubblico e le scuole, la sanità, eccetera. Ma si
prendono voti con questi argomenti? No, cari elettori.

Allora arrivano i blindati «l’avevamo promesso, lo stiamo facendo. E non è finita qui. Dalle parole ai fatti» dice il mostro di Riace, quello che ha trattato come un malfattore il sindaco Mimmo Lucano che ha dato una casa ai migranti e un paese ai suoi paesani.

Il ministro che sta facendo a pezzi le nostre barricate di civiltà.

E noi?

venerdì 9 novembre 2018

QUAL E' IL DIRITTO E QUAL E' IL ROVESCIO?

L'anno scorso un papà single di Napoli aveva avuto in affido una bimba Down, abbandonata in ospedale dalla madre subito dopo il parto e rifiutata da ben sette famiglie in attesa di adozione. All'epoca era una neonata di pochi giorni, oggi ha 18 mesi e Luca Trapanese l'ha adottata al compimento del primo anno. Il tribunale aveva scelto proprio lui, che già da tempo aveva inoltrato la richiesta proprio per accudire un bimbo disabile "senza porre alcuna condizione", creando un caso di risonanza nazionale.
Trapanese ha fondato a Napoli l'associazione "A ruota libera", che si occupa dei ragazzi Down, e "La casa di Matteo", per bambini gravemente malati, e si occupa anche di altre attività per l'inserimento dei disabili nella vita lavorativa in piena autonomia.
Intorno ad Alba non c'è solo Luca, anche se è con lui che dimostra l'attaccamento maggiore:  c'è una famiglia fatta di amici, parenti, cugini, zii e ben due nonne. "Qualche tempo fa sono stato legalmente adottato da una signora che ha un figlio disabile, che ora è mio fratello. Lei ci teneva che me ne occupassi io quando sarà solo e quindi ho due mamme".
Come sarà la vita di Alba? «Spero bellissima. Potrebbe lavorare come me nel sociale, ma, chissà, fare mille altre cose. Già da ora le piace cantare e ballare. Andrà a scuola, avrà amici e io la sosterrò». E un nuovo partner per il papà? Non sarà più difficile trovarlo con una figlia disabile a carico? «Se lo troverò sarà quello giusto, perché prenderà tutto il pacchetto». E il pacchetto è senz’altro di grande valore.
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«Da bambino, da sempre, i vecchi mi fanno schifo. E tutti i ragazzi down mi danno fastidio». E' giallo su un vecchio video che ha come protagonista Rocco Casalino, pubblicato su Youtube da ArcadeTv7, in cui l'ex gieffino oggi portavoce del Premier pronuncia frasi davvero pesanti contro anziani e persone affette da sindrome di down.
Nel filmato che risale al periodo di Casalino post Grande Fratello, Rocco è seduto su una cattedra e parla ad alcuni ragazzi: «I vecchi, i ragazzi down, non ho nessuna voglia di relazionarmi a loro, non ho nessuna voglia di aiutarli, poveretti che gli è capitata `sta cosa». E a chi gli contesta la parola «schifo» spiega: «È come a te fa schifo il ragno, a me è così. Mi danno proprio fastidio. Mi dà imbarazzo. Non mi va di stare dietro ai vecchietti, ai bambini, ai down».
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lunedì 5 novembre 2018

COMMEMORARE LA FINE DELLA PRIMA GUERRA MONDIALE:SI PASSI DALL'IDEA DI VITTORIA A QUELLA DI PACE

L’invito del vescovo Ivo Muser a rinominare una delle più controverse piazze di Bolzano sostituendo la parola “vittoria” con la parola “pace”, arriva quanto mai opportuno.
La sua lettera pastorale ci riporta ai primi di novembre del 1918 quando calava il sipario sulla tragedia cui Papa Benedetto XV diede il titolo di “Inutile strage”. Qualcuno applaudì, molti stettero in silenzio. Per milioni fu il silenzio della morte. Se a cent’anni di distanza volessimo ancora parlare di “vittoria” vorrebbe dire che il “secolo breve” (con le sue lunghe appendici) sarebbe trascorso invano.
Il novembre 1918 segnò la fine di un’epoca? Piuttosto ne rappresenta il compimento. Si pensi alla lunga stagione dei nazionalismi, cominciata nell’Ottocento e ahimè – lo constatiamo ogni giorno in Europa e non solo – non ancora conclusa.
La proposta del pastore di Bolzano-Bressanone – chiamiamola “piazza della Pace” - non vuole solo chiudere definitivamente un capitolo storico, ma soprattutto per dare un messaggio chiaro al presente e per offrire una prospettiva futura.
Innanzitutto il cambio di nome dice l’importanza delle parole. Il nostro linguaggio – oggi più che mai – rivela la sostanza e la ricchezza (o la miseria) del nostro pensiero. “Vittoria” o “pace” diventano delle scelte. Come muro o ponte, accoglienza o chiusura, violenza o dialogo, vita o morte.
Il cambio di nome dice la necessità di avere una prospettiva storica. Di non essere appiattiti sul presente e di non incatenare il presente a un passato che non tornerà. Il “pensiero breve”, padre di ogni slogan, si nutre dell’ignoranza, a volte una “ignoranza colta” (come quella di cui la retorica della vittoria, della patria, della nazione, del sangue è espressione). Ignora soprattutto la complessità.
E' straordinario che possano risuonare parole come “beati i costruttori di pace”. Rappresentano un pensiero esigente che mette insieme realtà complesse come la felicità, la azioni costruttive, le relazioni positive tra le persone. Sono parole antiche e sempreverdi, adatte a chi non si vuole arrendere e sa guardare lontano.
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Estratto da www.vitatrentina.it, n°43

sabato 3 novembre 2018

DOSSIER IMMIGRAZIONE 2018

Sono stati presentati i dati relativi al Dossier Immigrazione 2018 realizzato dal Centro studi e ricerche IDOS, in partenariato con il Centro studi Confronti e la collaborazione dell’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali (UNAR), cofinanziato dal fondo 8 per mille dell’Unione delle chiese metodiste e valdesi.
 “L’Italia non è né il paese con il numero più alto di immigrati né quello che ospita più rifugiati e richiedenti asilo. Con circa 5 milioni di residenti stranieri (5.144.000 a fine 2017, secondo l’Istat), viene dopo la Germania, che ne conta 9,2 milioni, e il Regno Unito, con 6,1 milioni, mentre supera di poco la Francia (4,6 milioni) e la Spagna (4,4). Anche l’incidenza sulla popolazione complessiva, pari all’8,5% (dato Istat), risulta più bassa di quella di Germania (11,2%), Regno Unito (9,2%) e diversi altri paesi più piccoli dell’Unione, dove i valori superano anche in maniera consistente il 10% (Cipro 16,4%, Austria 15,2%, Belgio 11,9% e Irlanda 11,8%). L’incidenza più alta si registra nel Lussemburgo, dove gli stranieri sono quasi la metà di tutti i residenti (47,6%)”.

Un’invasione dunque, sovente evocata, che in realtà non esiste: il numero degli stranieri residenti in Italia, infatti, è pressoché stabile dal 2013 e si attesta intorno ai 5 milioni. La loro incidenza sul totale della cittadinanza, nell’ordine dell’8% dal 2013, aumenta di pochissimi decimali l’anno, e le cause di questo quasi impercettibile aumento si devono a una popolazione italiana sempre “più anziana (gli ultra65enni sono 1 ogni 4, mentre tra gli stranieri 1 ogni 25), meno feconda (1,27 figli per donna fertile, contro 1,97 tra le straniere) e tornata a emigrare verso l’estero, quasi 115.000 espatriati ufficiali nel corso del 2017: un dato sottodimensionato se si considera che molti, nel trasferirsi all’estero, trascurano di effettuare la cancellazione anagrafica, non essendo obbligatoria”.
Il Dossier non si limita a riportare dati generali ma scatta anche una fotografia degli stranieri residenti sul nostro territorio: “Circa due su tre (2.390.000) hanno un permesso di soggiorno di durata illimitata, che attesta un grado di radicamento e stabilità ormai consolidato. I restanti 1.325.000 (35% del totale) hanno un permesso a termine, in maggioranza per famiglia (35,7% del totale) o per lavoro (35,2%). Meno di 1 su 5 (239.000) è titolare di un permesso inerente alla richiesta di asilo o alla protezione internazionale o umanitaria”.

domenica 28 ottobre 2018

La cacciata del clericalismo salverà la Chiesa

Le comunità cristiane vivono attualmente un grande disagio. La domanda più importante che si pone alla Chiesa non è chi sta dietro gli scandali, ma che cosa questi scandali – in particolare gli abusi su minori – rivelano del suo modo di essere. Di fatto, la Chiesa è costretta non solo a cercare un rimedio ai comportamenti inappropriati dei suoi preti, ma anche ad interrogarsi sulle ragioni profonde che li hanno resi possibili. La “tolleranza zero” non basta se non è suffragata dalla volontà radicale di rivedere i nostri modi di funzionamento interni alla Chiesa, in particolare per quanto riguarda l'esercizio dei ministeri ordinati. La Chiesa è incorsa nel rischio di funzionare più come un'istituzione religiosa che come una comunità di fede. La cosa veramente ambigua è che essa fa rientrare dalla finestra ciò che il Vangelo aveva fatto uscire dalla porta: il carattere sacro. Tutto ciò che viviamo oggi mette in luce le conseguenze amare di una sacralizzazione di certe funzioni ecclesiali che, in realtà, sono e restano servizi. L'identificazione tra il ministero a servizio della vita di una comunità e l'identità personale del ministro ordinato ha creato tutta una serie di abusi che, prima ancora di essere dei reati, sono in realtà un modo di porsi che è in contrasto con il vangelo, benché profondamente “religioso”. Così la Chiesa si ritrova a pagare oggi le conseguenze amare di un ripristino del funzionamento religioso e sacro. Questo funzionamento ha creato una casta – la casta clericale – che non riguarda solo i chierici, ma anche i laici clericali. Come i farisei e i sadducei del tempo di Gesù, questa casta, invece di servire il Vangelo, è tentata di servirsene. In fondo, se ci riflettiamo, il Vangelo, con le sue esigenze di libertà, di uguaglianza e di fraternità universali, è la rovina della Chiesa. Se non ci fosse il Vangelo, tutto potrebbe continuare a funzionare come sempre. Ma il Vangelo impone una conversione che passa dalla ricezione delle critiche che vengono dall'esterno. Esse devono essere a fondamento di un riposizionamento serio e generoso delle comunità cristiane. Rimettere il Vangelo al centro della vita della Chiesa significa riconoscere un errore fondamentale: quello di aver smorzato l'appello provocante ad essere una comunità di fratelli a servizio dell'umanità, e non una “religio” come le altre. Ciò che fa la differenza, non è il bagaglio dogmatico o rituale; è l'atteggiamento che consiste nel rinunciare ad ogni privilegio derivante dalla rivendicazione di una investitura venuta dall'alto, per privilegiare al contrario la relazione con l'altro, che arriva al punto di mettersi ai suoi piedi per servirlo. Che cosa facciamo realmente per rinunciare ad ogni forma di clericalismo e, anche, di maschilismo? Finché non rinunceremo all'abuso di esclusivismo e di esclusione, sarà molto difficile guarire dalla malattia che genera abusi sessuali, di potere e di coscienza. Una Chiesa che riparte con il Vangelo è una Chiesa che si è spogliata di se stessa, che rinuncia a creare delle caste esclusive arrogandosi il diritto di escludere gli altri in nome di una vocazione e di una investitura venuta dall'alto. Quest'ultima, in realtà, può venire solo dal basso. Gli avvenimenti e, soprattutto, la comprensione maggiore che abbiamo del Vangelo, esigono che non si cada nella logica del “rattoppo” (Marco 2,21), ma che al contrario ci si lanci gioiosamente verso l'orizzonte della rifondazione. Tutto questo può avvenire solo se accettiamo innanzitutto di relativizzare tutta una serie di istituzioni e di funzionamenti che, se sono stati utili – almeno in parte – fino ad oggi, non sono probabilmente più adatti. Due elementi sono non solo urgenti, ma anche rivelatori di un reale desiderio di passare dalla nostalgia di noi stessi alla nostalgia del Regno di Dio che viene a destabilizzarci: il ruolo della donna nella vita della Chiesa e il passaggio da una teologia della mortificazione ad una teologia del piacere. In entrambi i casi, il modo di concepire la sessualità, come segno del nostro modo di sentirci umani e di entrare in relazione, è la chiave di volta di una volontà – o meno – di assumere i cambiamenti antropologici attuali non come una minaccia, ma come un'opportunità. Non si tratta di relativizzare in maniera ideologica il celibato dei preti o la castità dei consacrati, ma di ricollocarli nella bontà radicale e totale della nostra umanità. Senza un'esaltazione inutile – e talvolta dannosa – della rinuncia che questo celibato presuppone, come fonte di eccellenza. Ciò ci permetterà di vivere allo stesso modo di prima – il celibato nello specifico – ma con una libertà e una responsabilità che, almeno in parte, devono ancora essere costruite, per essere non solo vivibili dall'interno, ma anche leggibili dall'esterno.
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di Michael Davide Semeraro in “La Croix” del 25 ottobre 2018 

sabato 27 ottobre 2018

METTERSI DALLA PARTE DEGLI ALTRI...ANCHE E SOPRATTUTTO SE MIGRANTI!

Ci sono frangenti della storia in cui il silenzio e l’inerzia diventano complici del male. Questo è uno di quelli. Le conseguenze della crisi economica si stanno manifestando come crisi di civiltà. Sulla paura e il disorientamento della gente soffia il vento della propaganda. Demagoghi scaltri e senza scrupoli si ergono a paladini del «popolo» e della «nazione» e acquistano di giorno in giorno consenso, additando nemici di comodo: erano le democrazie e gli ebrei al tempo del fascismo, oggi sono l’Europa e i migranti. Il sistema economico dominante – quello che Papa Francesco definisce senza mezzi termini «ingiusto alla radice», responsabile di una «economia di rapina» – ha certo enormi colpe, a cominciare da un’immigrazione forzata, di fatto una deportazione indotta dalle disuguaglianze. Ma la denuncia dei suoi mali e l’impegno per eliminarli non giustifica il ritorno a società chiuse, guardinghe, attraversate dal rancore e dalla paura, avvinghiate a un’idea equivoca di sovranità, perché in un mondo interconnesso non si tratta di isolarsi – posto che sia possibile – ma di imparare a convivere e a condividere con maggiore giustizia, realizzando i principi della Costituzione, della Dichiarazione universale dei diritti umani, della Convenzione di Ginevra e di tutti i documenti scritti per archiviare una stagione di violenza e di barbarie. Ecco allora l’importanza di uscire e di muoversi, di denunciare la perdita di umanità ma anche di capacità e onestà politica, perché un fenomeno come l’immigrazione non si può reprimere o respingere con i muri e le espulsioni, si deve governare con lungimiranza, pragmatismo e, certo, umanità. Senza smettere di chiederci come vorremmo essere trattati se al posto dei migranti ci fossimo noi. Mettersi nei panni degli altri è la chiave dell’etica evangelica, ma lo è anche di una società consapevole che la vita non ha confini, così come non hanno confini i bisogni, le speranze, i diritti delle persone. Facciamo sentire la voce di un’Italia che per quei diritti non smette di lottare.
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di Luigi Ciotti in “il manifesto” del 27 ottobre 2018

martedì 23 ottobre 2018

TORNA IL PROBLEMA ...

Nella rubrica di www.corriere.it , lo dico al Corriere, con risposta di Aldo Cazzullo
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Caro Aldo
papa Francesco è un rivoluzionario. Ma non ha fatto tre riforme sempre più necessarie: 1) il matrimonio dei preti (per combattere la pedofilia del clero), peraltro permesso nei primi 1.000 anni della storia della Chiesa; 2) il sacerdozio delle donne, per bilanciare la crisi delle vocazioni maschili; 3) l’uso degli anticoncezionali per evitare che un’Africa sovrappopolata invada l’Europa. Temo che le riforme non saranno realizzate in una Chiesa che diventerà sempre più irrilevante. O vedremo papa Francesco II fare ciò che non è consentito fare a Francesco I? 
Gianfranco Cavi
Caro Gianfranco
Non credo che papa Francesco sia un rivoluzionario. Di sicuro è un Papa «politico» e «sociale» più che dottrinario e teologico. Ha spostato l’asse del pontificato dalla morale all’economia, ha messo al centro del suo discorso i rapporti di forza che governano il mondo rispetto al relativismo etico e ai «valori non negoziabili», espressione che ha apertamente disconosciuto. Insomma, al di là della retorica sulla continuità, è andato molto oltre il mandato che il Conclave gli aveva implicitamente affidato, o meglio delle aspettative coltivate da molti tra coloro che l’hanno eletto. Del resto lo stesso Bergoglio ha molto rinnovato il collegio cardinalizio. 
Ma non credo che dopo di lui verrà un Francesco II. Il tempo delle riforme è questo. Se vuole la mia previsione, non credo che la Chiesa consentirà ai preti di sposarsi. Piuttosto consentirà agli sposati di farsi preti. Magari a cominciare dal Sinodo che sarà dedicato tra l’altro alla questione dell’Amazzonia, un territorio immenso in cui i sacerdoti mancano, e potrebbero essere in parte sostituiti dai «viri probati», uomini di provata virtù cui saranno affidati compiti oggi riservati al clero. Un esperimento destinato forse a estendersi al mondo intero.

domenica 30 settembre 2018

UN LIBRO INTERESSANTE PER ASSAPORARE IL VALORE FONDAMENTALE DELLA LEGALITÀ

Dalla Campania alle Scampia d'Italia", il libro scritto da me e da don Aniello Manganiello, già parroco di Scampia e figura di spicco della più autentica e concreta anticamorra. Libro che, dopo 7 anni, rivedrà la luce agli inizi di settembre prossimo, e sarà distribuito in tutta Italia dalle Messaggerie italiane. Il libro, che racconta l'esperienza di un prete sul fronte dell'anti-Stato (1994-2010), quando uscì, fu per mesi al vertice delle classifiche di vendita in Italia. Questa edizione è aggiornata al 2018 e integra così il racconto con la nascita e l'opera di "Ultimi", l'associazione antimafia fondata da don Manganiello e presieduta da me, che conta già 19 presidi in Italia. Confidiamo che il libro possa riscuotere lo stesso successo della I edizione. Il ricavato delle vendite finanzierà le opere sportive per i giovani emarginati di Scampia.
(Andrea Manzi)

mercoledì 26 settembre 2018

SICUREZZA ONLINE

HO RICEVUTO DA UN'AMICA E CONDIVIDO CON MOLTO PIACERE.
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Ciao  ,
Ho visto che hai menzionato direcontrolaviolenza.it su  percontinuareilviaggio.blogspot.com/2016/, volevo ringraziarti per il lavoro che stai svolgendo nel promuovere le donne.
Vorrei suggerirti di condividere questa guida appena uscita che  parla della sicurezza online per le donne. E' stata scritta da donne per le donne e permette alle donne di proteggersi on-line.
Mi è piaciuto il modo in cui hanno dato alcuni suggerimenti  e soluzioni su cosa fare in ogni situazione.

Grazie per il tuo lavoro nell'aiutare le donne a proteggersi online, 
Adela

lunedì 24 settembre 2018

GUERRA E PACE !

Un anno fa, papa Francesco pronunciò il suo no alla guerra giusta, rompendo con un concetto dalla
lunga e gloriosa carriera nella cristianità. Difficile misurare l’impatto di quel passo a un anno di
distanza, mentre aumenta il rumore di fondo di un mondo in armi. È nuova e grave la sfida per i
cristiani di oggi, contemporanei dello stato di conflitto generalizzato, della mobilitazione
permanente, del dispiegamento diffuso di forze. I seguaci di Cristo sono alle prese con due esigenze
in conflitto tra loro. Da un lato i cristiani vogliono la pace: si attendono ogni parola e ogni iniziativa
in tal senso dai loro leader religiosi e politici, dai teologi, dai pastori. Dall’altro lato, i cristiani
devono combattere: per le loro nazioni e comunità, per la loro fede e cultura. La formula di
Bergoglio sembrò offrire una risposta solo alla prima domanda: «Non mi piace l’espressione guerra
giusta. Si dice: “Io faccio la guerra perché non ho altra possibilità per difendermi”. Ma nessuna
guerra è giusta. L’unica cosa giusta è la pace». Alla seconda domanda, al persistente bisogno di
legittimazione della guerra, rispondono i fatti: l’obiezione di coscienza alla guerra preme meno ai
vescovi di quella ad aborto e nozze gay, i cappellani militari sono vivi e vegeti, prosperano i
crocifissi sovranisti e nazionalisti.
_______________________________________________________________________________ Marco Ventura in “la Lettura” del 23 settembre 2018

martedì 11 settembre 2018

QUANDO UNA LEGGE PUO' DIVENTARE DISCRIMINANTE

<<Sono passati ottanta anni dalla firma apposta dal re Vittorio Emanuele III nella residenza estiva di San Rossore a Pisa e dal successivo annuncio di Mussolini in Piazza Unità d’Italia a Trieste davanti a una folla entusiasta e plaudente a favore delle "Leggi antiebraiche" o meglio delle "Leggi razziste". La ferita è ancora aperta e le terribili testimonianze di chi in quei giorni fu cacciato da scuole e università, di chi perse il lavoro, di chi perse la piena cittadinanza, i diritti fondamentali, ce lo ricordano ogni giorno. Una infamia sancita nell’indifferenza generale. È questo quello che più urta di questo abominio giuridico, che fu premessa e anticamera alla Shoah. Una lezione che siamo chiamati a far nostra e a proiettare, di fronte a nuove ingiustizie che si compiono, nella lotta sempre aperta a ogni forma di odio e discriminazione, pur in contesti e situazioni molto differenti rispetto ad allora, nel nostro turbolento presente e nel futuro che vogliamo lasciare in dote alle nuove generazioni.
Tutto ciò potrebbe riaccadere oggi? Quali furono i segni premonitori che non si seppero cogliere allora? Quali i segnali o le rassicurazioni da considerare oggi?
Quella che viviamo è un’epoca complessa, sempre più caratterizzata dalla diffusione di fake news, da odio gratuito che inquina spazio pubblico e social network, dal riaffiorare di complottismi e pregiudizi mai del tutto sconfitti. Una minaccia che riguarda non solo i soggetti e le comunità colpite ma che deve vederci sempre più uniti – istituzioni democratiche, società civile, le diverse minoranze – nella consapevolezza della criticità del momento che stiamo attraversando. Davanti a noi un bivio storico, dalle conseguenze potenzialmente devastanti. Oggi più che mai appare urgente la riaffermazione dei valori dell’educazione, della cultura, dell’incontro, della condivisione. Non sarà facile, il compito è evidentemente in salita, ma questo è un orizzonte imprescindibile per tutti coloro che hanno a cuore le conquiste democratiche e i principi sanciti nella Costituzione repubblicana.>>
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Noemi Di Segni, presidente Unione delle comunità ebraiche italiane

mercoledì 5 settembre 2018

BASTERÀ IL SILENZIO DI PAPA FRANCESCO?

La Chiesa è preda di una congiura, in cui l'abisso della vergogna pare senza fondo?
Papa Francesco  si rivolge al “popolo di Dio” e in riferimento al Vangelo che parla del tentativo degli abitanti di Nazareth di eliminare il problema e di soffocare la verità,che è Cristo, dice che «La verità è silenziosa, non è rumorosa», e quindi c’è un’unica scelta da fare «con le persone che cercano soltanto lo scandalo, la divisione, la distruzione: silenzio»: ma Lui deve uscire dal silenzio! Anzitutto per ricordare con forza e ad alta voce a tutti i cristiani più che mai esterrefatti che uno solo è sacerdote, “grande sacerdote”, dice la Lettera agli Ebrei, ricordata in Lumen gentium. E che quel sacerdote lì non può mancare alla Chiesa, al di là di tutte le vicissitudini del tempo. Rileggiamo tutti il Vangelo di Giovanni sul “buon pastore”, sola “porta delle pecore”. L'istituzione – in questo caso il sacerdozio ministeriale – non è la corona sacra della Chiesa. È invece, se ben compresa, e con i suoi limiti, umile servizio per il tempo presente, per la presenza sacramentale di Cristo per il popolo dei battezzati. Che è tutt'altra cosa rispetto a ciò che lascia immaginare il mondo dei “principi della Chiesa”. Ed è questo che ci porta al nocciolo del problema: l'imperiosa necessità che si impone oggi di rivedere radicalmente la nostra ecclesiologia. Perché è una maniera deficiente, squilibrata e presuntuosa di intendere e di vivere il potere presbiterale ad essere, in gran parte, a monte dei crimini di pedofilia e degli scandali di autorità. Una teologia piramidale della Chiesa ha sempre supportato l'identità di prete come cristiano d'élite, al di sopra degli altri battezzati, che ha giurisdizione sulla vita degli altri. L'onnipotenza che ne deriva autorizza necessariamente gli eccessi, in particolare nel togliere gli ostacoli all'esercizio di fantasie di alcuni. Questa realtà deve essere oggi interrogata con coraggio.
Non possiamo più attenerci ad una ecclesiologia elaborata ed attuata esclusivamente dal clero.
Bisogna che la Chiesa sia pensata a più voci.
In ogni caso, nell'istituzione, tutti, chi più chi meno, sono necessariamente coinvolti nel dramma del
momento, dato che esso è in rapporto con un ordine ecclesiale problematico, che favorisce in particolare una colpevole legge del silenzio. Stando così le cose, e di fronte a tutte queste pericolose manovre che contribuiscono a peggiorare la crisi, è importante che si affermi con forza che c'è un bisogno imperioso del ministero di papa Francesco. Lui resta, in questo mondo incerto e minaccioso, la massima autorità morale capace di opporsi a funeste ideologie nazionaliste, a politiche di chiusura e di esclusione, che fomentano gli odi e rabbuiano il futuro della comunità umana. Papa Francesco resta anche, per la Chiesa, il pastore essenziale che, con una fermezza eccezionale, dà consistenza al sacerdozio dei battezzati, ancora recentemente con Gaudete ed exsultate, mostrando che la santità è vocazione di tutti, indissociabile dal battesimo. È anche colui che ricorda, con un vigore che fa superare al suo discorso i confini della Chiesa, che la misericordia  è tutto il messaggio evangelico, e quindi anche ciò che deve essere messo in atto nel nostro rapporto col mondo, al di là delle ristrette visioni moralizzatrici che sfigurano il discorso cattolico. Non si tratta di entrare in una logica di rapporti di forza, molto praticata sia all'esterno come all'interno della Chiesa. Ma di far sapere, come cristiani, ciò di cui abbiamo bisogno da parte dell'istituzione per attenerci fedelmente alla missione affidataci da Cristo.
Certo, l'ostinazione di papa Francesco, fin dalla sua elezione, ad invocare e a comunicare “la gioia del Vangelo” può sembrare oggi totalmente irreale. A meno di immergersi profondamente nel Vangelo, per far fronte alla situazione.
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Estratto di Anne-Marie Pelletier
in “www.la-croix.fr” del 28 agosto 2018

mercoledì 29 agosto 2018

LETTERA DI DON GINO RIGOLDI AL DIRETTORE DEL CORRIERE DELL SERA

Caro Direttore, leggo su un giornale milanese che l’85% dei cattolici sarebbe d’accordo con Matteo
Salvini e con i suoi interventi per evitare l’approdo in Italia dei migranti. Certi dati non sono da
prendere come Vangelo, ma, se fossero veri anche in maniera approssimativa, il Vangelo c’entrerebbe eccome.
Mi preme affermare che non si devono mai identificare e giudicare le persone per le loro opinioni.
Certe paure, alcune esperienze brutte possono orientare giudizi e atteggiamenti poco giustificati. Un
potente e, secondo me, disonesto promotore di rifiuti e di odio sono stati alcuni programmi televisivi che sottolineavano, con testimonianze in qualche modo interessate, i privilegi, le ingiustizie, le spese a favore degli immigrati a fronte di grandi povertà degli italiani. Queste pessime trasmissioni sono venute ben prima di Salvini, ma hanno preparato, in un pubblico poco informato, un clima di rifiuto qualche volta anche violento. Il messaggio (ai cristiani) è stato: «Non sono tuoi fratelli o sorelle, sono i tuoi nemici». Esattamente il contrario del Vangelo. Una ricerca realizzata da Ipsos nel marzo di quest’anno, riguardante mille cittadini milanesi ultra-diciottenni, ha evidenziato che l’85% degli intervistati concordava con l’affermazione: «Non si è mai troppo prudenti nel trattare con la gente».
Oggetto del dubbio e della paura sono adesso tutti i «fuori dalla mia piccola cerchia familiare e amicale», stranieri ma anche italiani, vicini di casa e arrivati col barcone, musulmani e cristiani.
Sotto il profilo sociale, relativamente alla unità e coerenza di concetti come città e nazione, questo è un disastro, se poi si considera la coerenza con il Vangelo e si ricorda il Grande Comandamento che ordina, comanda di amare il prossimo e di amare anche i nemici, siamo molto lontani e, direi, contro la fede.
Per i cristiani la parola di Gesù viene molto prima delle esternazioni di un ministro o della politica di un governo. Sotto il profilo evangelico il «prima i nostri e poi gli altri» è la tomba della generosità e della solidarietà e perciò della fede, che è sempre scelta concreta. Giusto, anche evangelicamente, fare i conti con le nostre possibilità, con la richiesta di corresponsabilità dell’Europa. Sempre un grave peccato la mancanza di rispetto per la dignità delle persone, più che mai se sono poveri e fuggitivi.

venerdì 10 agosto 2018

MANIFESTO PER L'ACCOGLIENZA

Questa è una chiesa che accoglie
 «In quanto lo avete fatto a uno di questi miei minimi fratelli, l'avete fatto a me» (Matteo 25,40)
Dio si avvicina a noi come straniero: respingendo chi chiede il nostro aiuto chiudiamo la porta a Gesù che ci cerca e tende la sua mano.
 «Fui straniero e mi accoglieste» (Matteo 25,35)
Annunciamo che la fede in Cristo ci impegna all’accoglienza nei confronti del prossimo che bussa alla nostra porta in cerca di aiuto, protezione e cure.
 «Nel giorno che Dio creò l'uomo, lo fece a somiglianza di Dio» (Genesi 5,1)
Affermiamo che ogni uomo, ogni donna, ogni bambino e ogni bambina sono creature di Dio, a sua
immagine e somiglianza, e che pertanto non si possa discriminare nessuno a causa della sua pelle, della sua religione, della sua identità di genere. Ogni forma di razzismo è per noi un’eresia teologica.
 «Maledetto chi calpesta il diritto dello straniero» (Deuteronomio 27,19)
Siamo chiamati a difendere la vita, la dignità e i diritti di migranti, richiedenti asilo, rom, minoranze
etniche e religiose e di quanti sono perseguitati ed emarginati.
 «Non c'è qui né Giudeo né Greco… perché voi tutti siete uno in Cristo Gesù» (Galati 3,28)
L’Evangelo di Cristo abbatte le differenze etniche e ci chiama a essere una Chiesa aperta all’incontro e allo scambio, in cui italiani e immigrati vivono insieme la fede cristiana.
 «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico, e s'imbatté nei briganti che lo spogliarono, lo ferirono e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto… un Samaritano… vedendolo, ne ebbe pietà; avvicinatosi, fasciò le sue piaghe versandovi sopra olio e vino, poi lo mise sulla propria cavalcatura, lo condusse a una locanda e si prese cura di lui» (Luca 10,30.33-34)
Apprezziamo e sosteniamo chi salva le vite dei migranti vittime dei traffici illegali e garantisce il
soccorso umanitario nel Mediterraneo come sui passi alpini.
e per questo:
 Respingiamo la falsa contrapposizione tra accoglienza degli immigrati e bisogni degli italiani, perché un paese tra i più ricchi al mondo ha le risorse per garantire l’una e gli altri e perché sappiamo che, col tempo, anche i nuovi immigrati costituiscono una risorsa per un paese come l’Italia ad alto declino demografico.
 Siamo impegnati a garantire corridoi umanitari a favore dei richiedenti asilo in modo che possano
arrivare in Europa in sicurezza e legalmente. Lo facciamo ecumenicamente e nel rispetto delle
normative europee.
 Crediamo nella necessità dell’integrazione degli immigrati in una società accogliente, capace di
promuovere l’incontro e lo scambio interculturale nel quadro dei principi della Costituzione.
 Ci opponiamo alle politiche italiane ed europee di chiusura delle frontiere, di respingimento e di
riduzione delle garanzie di protezione internazionale dei richiedenti asilo, tanto più quando fonti
istituzionali delle Nazioni Unite attestano sistematiche violazioni dei diritti umani nei paesi di partenza e di transito.
 A tutti - ma ancor di più a chi ha responsabilità istituzionali - chiediamo di adottare un linguaggio
rispettoso della dignità dei migranti e di contrastare con gesti e azioni concrete atteggiamenti xenofobi e razzisti.
 Denunciamo e critichiamo la campagna politica contro gli immigrati e i richiedenti asilo che, a fronte di arrivi in diminuzione e perfettamente sostenibili in un quadro di solidarietà europea, esaspera e drammatizza il dibattito pubblico.
 Ci appelliamo alle chiese sorelle dell’Europa perché accolgano quote di richiedenti asilo e spingano i loro governi a promuovere politiche di condivisione dei flussi migratori in un quadro di solidarietà e responsabilità condivise.
 Ricordando la Parola dell’apostolo «Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi amore, sarei un rame risonante o uno squillante cembalo» (I Corinzi 13,1), affermiamo che l’amore di Dio per l’umanità è più forte dei nostri egoismi di individui e di nazioni e che noi siamo chiamati a testimoniarlo ogni giorno con gioia, speranza e fiducia.
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Questo «Manifesto per l’accoglienza» è stato approvato l’8 agosto 2018 dal Consiglio della Federazione delle Chiese
Evangeliche in Italia (FCEI) 

sabato 4 agosto 2018

SE IL SINGOLARE SOFFOCA IL PLURALE

Non molto tempo fa mi trovavo in un negozio per fare degli acquisti. Al momento del pagamento, al
titolare che, tra l’altro, era anche un mio amico, dico: «Senti, tieniti basso con il prezzo perché non
pago con i soldi miei ma con quelli della parrocchia!». Vicino a me c’era una signora, anch’essa una
mia conoscente, che mi guarda stupita e mi dice: «Don Aldo! Che fai? Ragioni al contrario? È
quando i soldi sono tuoi che devi fare più attenzione!».
Ed io, di rimando: «No, signora cara! Io, con i soldi altrui sono più esigente che con i miei! E
ritengo le cose della Comunità più importanti di quelle mie personali! E ritengo la strada più
rispettabile del cortile di casa mia!».
Lascio il negozio tra il sorriso intrigante dell’amico negoziante e lo stupore stralunato della signora
interdetta.
Lascio il negozio ma non la riflessione, che per strada mi continua ad investire con domande
impertinenti, ma anche con incontri imprevisti e sorprendenti.
Incontro, camminando, don Milani che mi dice: «Certe cose, caro Aldo, non sono spontanee, ma si
imparano assumendo delle responsabilità. I miei ragazzi di Barbiana, per esempio, imparavano
insegnando. Se vai a leggere la loro Lettera ad una Professoressa, sin dall’inizio vi troverai scritto
che ‘il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne tutti insieme è la politica. Sortirne da soli è
l’avarizia’».
In effetti il grande male delle società moderne, massificate e parcellizzate, è che l’individuo non si
percepisce più come appartenente ad un gruppo. Il virus individualista ha derubato la coscienza
moderna di una certezza elementare, e cioè che si sta tutti sulla stessa barca...
Il soggetto, ridotto a individuo, non si percepisce più come «nodo di relazioni», così come lo intendeva Raimon Panikkar, ma vive la sua individualità come fosse una monade apolide e considera la relazione interumana del tutto estranea all’identità soggettiva. Un processo di sradicamento e delocalizzazione delle persone che vivono le particolarità di un luogo senza sentirsene parte...
Sempre cammin facendo incontro un altro grande sacerdote, don Tonino Bello, che con il suo magro e solare sorriso mi dice: «Altro che ‘relazioni’. L’acidità ci inquina. Stiamo diventando corazze. Più che luoghi d’incontro, siamo spesso piccoli centri di scomunica reciproca. Tendiamo a chiuderci. La trincea ci affascina più del crocicchio. L’isola sperduta, più dell’arcipelago. Il ripiegamento nel guscio, più della esposizione al sole della comunione e al vento della solidarietà. Sperimentiamo la persona più come solitario auto-possesso, che come momento di apertura al prossimo. E l’altro, lo vediamo più come limite del nostro essere, che come soglia dove cominciamo a esistere veramente». (Uno per uno fa sempre uno. Verso la Pasqua, casa della Trinità).
Questa la tragedia dentro la quale oggi ci tocca vivere.
Rientro in casa come se entrassi nel mondo: i libri, i giornali e le riviste che invadono il mio studio formano un coro che si unisce alla voce della mia coscienza e che anche in questa denuncia mi dice che non sono solo.
Vedo il volto austero e cupo del filosofo Friedrich Wilhelm Nietzsche, che nel 1887, un anno prima di scendere nel buio della sua follia, annunciava profeticamente l’«avvento dell’Individuo sovrano», uguale soltanto a se stesso, riscattato dall’eticità dei costumi, miope divoratore di diritti propri senza coscienza di doveri.
Ascolto il giornalista Ezio Mauro che scrive ad alta voce: «Quando il cittadino si rinchiude nell’esercizio privato dei suoi diritti e li coniuga soltanto al singolare, non mette nulla in movimento, e diventa per questo irrilevante, numero ma non soggetto» (La Repubblica del 22 Febbraio 2018).
Leggo il teologo Vito Mancuso che scrive: «L’incipit giovanneo ‘in principio erat verbum’  potremmo tradurlo anche: ‘in principio la relazione’. Perché linguaggio di Dio è la relazione che crea armonia, non il dictatus che crea sottomissione!».
È una sinfonia che il chiasso sguaiato delle solitudini in conflitto non ascolta.
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di Aldo Antonelli in “Rocca” n. 15/16 del 15 agosto 2018

giovedì 12 luglio 2018

FEDE E FILOSOFIA AL TELEFONO...BERGOGLIO E VATTIMO

«Io semplicemente sostengo che l’attuale pontefice sia una delle rare figure nel mondo, anzi forse l’unica, in grado di capeggiare una trasformazione radicale dell’attuale quadro sociale ed economico. Se noi seguiamo con attenzione la predicazione di papa Bergoglio capiamo facilmente che sta lavorando certo non per una rivoluzione, perché un Papa non fa una rivoluzione, ma per realizzare un grande cambiamento. E dal mio punto di vista un’operazione del genere, nel mondo attuale, non può certo avviarla un uomo politico ma solo una personalità religiosamente ispirata, che abbia una motivazione legata alla fede. Ed è la ragione per cui io parlo di papa Francesco. Io non mi aspetto certo che Bergoglio si metta a fare il capo comunista di un movimento, sarebbe assurdo. Papa Francesco è ovviamente legato all’ortodossia della fede , naturalmente io lo so».

mercoledì 11 luglio 2018

IL CONSIGLIO DI BAUMAN:"LA SOLIDARIETÀ E' L'UNICA VIA CONTRO LE SOFFERENZE ALTRUI"

<<Telegiornali, quotidiani, discorsi politici, tweet — avvezzi a offrire temi e sbocchi alle ansie e alle
paure pubbliche — non parlano d’altro oggi che della «crisi migratoria» che travolgerebbe
l’Europa, preannunciando il collasso e la fine dello stile di vita che conosciamo, conduciamo e
amiamo... Bambini che annegano, la fretta di erigere muri, il filo spinato, i campi di accoglienza gremiti, i governi che fanno a gara per aggiungere al danno dell’esilio, della salvezza rocambolesca, di un viaggio  e periglioso la beffa di trattare i migranti come patate bollenti: questi abomini morali ormai non sono più una novità, e tanto meno «fanno notizia». Purtroppo il destino dei traumi è di convertirsi nella tediosa routine della normalità, e il destino del panico morale è di consumarsi e sparire dagli occhi e dalle coscienze avvolte nel velo dell’oblio... 
Le migrazioni di massa non sono certo un fenomeno nuovo: hanno accompagnato tutta l’era moderna fin dai suoi albori (pur cambiando spesso direzione, e in qualche caso persino invertendola). In realtà, la produzione di persone «in esubero» (localmente «inutili» — ovvero numericamente in eccesso e inoccupabili — a causa del progresso economico, oppure localmente inaccettabili — ovvero rifiutate — a causa di disordini, conflitti e scontri dovuti alle trasformazioni sociali/politiche e alle lotte di potere che ne derivano) è parte integrante del nostro «stile di vita moderno»...
La sola via d’uscita dai disagi di oggi e dalle disgrazie di domani passa per il rifiuto delle insidiose tentazioni di separazione; anziché voltarsi dall’altra parte davanti alla realtà delle sfide di oggi — che si condensano nel concetto «un solo pianeta, una sola umanità» —, anziché lavarsi le mani e alzare barriere contro le irritanti differenze e dissomiglianze e le estraniazioni autoimposte, dobbiamo andare in cerca di occasioni di incontro ravvicinato e di contatto sempre più approfondito, sperando di arrivare in tal modo a una fusione di orizzonti anziché a una loro fissione indotta e artefatta ma sempre più esasperata.
Sì, sono pienamente consapevole che questa non è una ricetta per vivere una vita senza nubi e senza problemi, né per sbrigare facilmente il compito cui oggi dobbiamo dedicarci. Al contrario, annuncia tempi terribilmente lunghi, irrequieti e laceranti. Difficilmente potrà alleviare da subito le nostre ansie: all’inizio, potrebbe persino scatenare ulteriori paure, aggravare ancor più le attuali diffidenze e animosità. Ma credo che un’alternativa più sbrigativa, più comoda e meno rischiosa non esista.
L’umanità è in crisi: e da questa crisi non c’è altra via d’uscita che la solidarietà tra gli uomini.>>

lunedì 9 luglio 2018

QUANTO E' PESANTE LA STRUTTURA MINISTERIALE DELLA CHIESA!

Leggendo vari articoli, ho trovato molte volte un’equazione di questo tipo per “risolvere”, a livello concettuale, il problema delle vocazioni nella Chiesa: non ci sono più vocazioni al ministero ordinato, perché è in atto una grande crisi di fede nelle giovani generazioni. Non ci sono più giovani in grado di scegliere la strada della vita ministeriale, perché molte volte questi stessi giovani sono attratti da altre vie e strade che non poche volte distolgono il loro cuore e la loro mente dal desiderio di donare tutta la loro esistenza alla cura e all’edificazione della Chiesa.
Questa equazione – crisi di fede = crisi delle vocazioni –, se la confronto con la mia piccola esperienza – sia di condivisione franca con alcuni amici presbiteri sia nel mio lavoro quotidiano di educatore – vedo che è una soluzione “semplice” di un problema che, a mio modo di vedere, è da decenni che la Chiesa cattolica non ha il coraggio di affrontare e di prendere in mano sul serio.
Da un lato, certamente, sussiste il “problema” legato alla scelta (obbligo!) della vita celibataria che, sebbene la Chiesa cattolica non lo ritenga un “dogma” nel senso pieno del termine, nella prassi viene vissuto e imposto in forma dogmatistica (o senti dentro di te che Dio ti chiama ad essere celibe, e ne accetti le conseguenze, oppure io – Chiesa cattolica – non posso ordinarti!). Dall’altro lato, sussiste un ulteriore problema che intendiamo esprimere in questo modo: il ministero ordinato, volenti o nolenti, diventa e deve essere – per il soggetto che chiede l’ordinazione ministeriale – il tutto della sua vita. Tutta l’esistenza del ministro ordinato, in effetti, si gioca e deve tutta giocarsi in una vita pastorale che diventa ed è il “tutto”, lo “spazio” esistenziale in cui l’uomo-presbitero vive e deve giocarsi.
Ci sarebbe molto da riflettere – a mio modesto avviso – sul grande tema dell’obbedienza sia essa promessa al vescovo diocesano sia ai superiori di una congregazione religiosa.
Questa struttura ministeriale, ancora così fortemente intrisa di spirito monarchico e di tridentinismo, in cui io ministro ordinato sono chiamato costantemente a “farmi andar bene” ciò che altri hanno scelto per me, oppure a “dovermi accontentare” di un’esistenza che dev’essere tutta spesa in strutture ormai caduche o fortemente in crisi (basta pensare ad alcuni aspetti della pastorale parrocchiale…), non chiede forse il coraggio di aprire altre strade o altre vie per l’umanizzazione della vita del prete?
Perché la Chiesa cattolica non ha il coraggio di affrontare con coraggio, verità e lealtà questi nodi problematici?
Perché non ci si rende conto che ciò che allontana i giovani dal ministero ordinato non è la loro poca fede in Gesù Cristo, bensì la pesantezza che emana la struttura ministeriale della Chiesa?
Non c’è forse qualche differenza tra lo spirito evangelico (l’Evangelo di Gesù Cristo) e le strutture che dovrebbero essere al suo servizio?
La Chiesa non dovrebbe ascoltare maggiormente quei giovani presbiteri che, dopo qualche passaggio doloroso e di crisi, hanno scelto di abbandonare la via del ministero ordinato?
Non possiamo accontentarci, e credo proprio in nome dell’Evangelo di Cristo, di criticare semplicemente questi figli di Dio e della Chiesa bollandoli come degli infedeli o dei traditori, ma ne dobbiamo ascoltare le storie e la vita perché da essi la Chiesa potrebbe ancora e nuovamente trovare quelle “critiche” e quelle “criticità” che potrebbero spingerla al suo rinnovamento!
Credo che il peso della storia gloriosa di una Chiesa militante e forte si faccia ancora sentire sulle spalle della gerarchia. Il fascino di un certo potere e delle “sicurezze” che “vengono dai primi posti nei banchetti” potrebbero ancora affascinare (e, forse, affascinano davvero) alcuni a cercare nella “via della vocazione ministeriale” la strada per emergere dal nascondimento o dall’inferiorità.
Il Vangelo, però, mi sembra chieda altro… e che inviti costantemente a spogliarsi per servire, ad umanizzarsi per umanizzare, a sporcarsi nella strada per pulire e risollevare. Il ministero ordinato, così come oggi la Chiesa cattolica continua ad offrirlo ai giovani e agli uomini del nostro tempo è davvero una via umanizzante?
Perché non pensare ad un ministero ordinato più quotidiano, più incarnato nella vita ordinaria… fatta di lavoro per la sussistenza, per il bene altrui e per la vita pastorale? La forma di mantenimento economico attuale dei preti non è, in realtà, una forma di privilegio sociale? “Tanto, che lavori o meno…, lo stipendio mensile lo ricevo comunque!”. Non è così, però, nella vita ordinaria e quotidiana del popolo…
La domanda è volutamente provocatoria e, benché io sia conscio di non possedere la chiave di volta o risolutrice del problema, vorrei aprire una via per la discussione e la riflessione…
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Un giovane teologo in www.settimananews.it

venerdì 6 luglio 2018

PERCHÉ VIVIAMO?...RISPONDE UN GENIO!

Nel 1951 una giovane donna, Marion Block Anderson, all’epoca matricola all’Oberlin College, scrisse una breve lettera ad Albert Einstein per chiedergli: «Perché viviamo?»
In seguito la donna raccontò a suo figlio Dave le ragioni che la spinsero a inviare la lettera:Passavamo da una guerra all’altra, prima ci fu la prima guerra mondiale, poi la seconda e non riuscivo a vedere a cosa servisse tutto questo. Così gli scrissi una lettera e gli dissi: «A che serve vivere con quello che stiamo passando qui, da una guerra all’altra?»Non deve sorprendere che il famoso scienziato abbia risposto a una giovane matricola perché in realtà aveva l’abitudine di rispondere a molte delle lettere che riceveva dai suoi giovani ammiratori.
Gentile Miss Bloch,
la domanda “Perché?” nella sfera umana è facile da rispondere: per creare soddisfazione per noi stessi e per gli altri. Nella sfera extra-umana, la domanda non ha senso. Anche credere in Dio non è una via d’uscita perché in questo caso ci si potrebbe chiedere “Perché Dio?”
Sinceramente suo,
Albert Einstein

martedì 3 luglio 2018

Appello di padre Alex Zanotelli* ai giornalisti italiani

«Rompiamo il silenzio sull’Africa. Non vi chiedo atti eroici, ma solo di tentare di far passare ogni giorno qualche notizia per aiutare il popolo italiano a capire i drammi che tanti popoli africani stanno vivendo Scusatemi se mi rivolgo a voi in questa torrida estate, ma è la crescente sofferenza dei più poveri ed emarginati che mi spinge a farlo. Per questo, come missionario e giornalista, uso la penna per far sentire il loro grido, un grido che trova sempre meno spazio nei mass-media italiani, come in quelli di tutto il modo del resto. Trovo infatti la maggior parte dei nostri media, sia cartacei che televisivi, così provinciali, così superficiali, così ben integrati nel mercato globale. So che i mass-media , purtroppo, sono nelle mani dei potenti gruppi economico-finanziari, per cui ognuno di voi ha ben poche possibilità di scrivere quello che veramente sta accadendo in Africa. Mi appello a voi giornalisti/e perché abbiate il coraggio di rompere l’omertà del silenzio mediatico che grava soprattutto sull’Africa. È inaccettabile per me il silenzio sulla drammatica situazione nel Sud Sudan (il più giovane stato dell’Africa) ingarbugliato in una paurosa guerra civile che ha già causato almeno trecentomila morti e milioni di persone in fuga. È inaccettabile il silenzio sul Sudan, retto da un regime dittatoriale in guerra contro il popolo sui monti del Kordofan, i Nuba, il popolo martire dell’Africa e contro le etnie del Darfur. È inaccettabile il silenzio sulla Somalia in guerra civile da oltre trent’anni con milioni di rifugiati interni ed esterni. È inaccettabile il silenzio sull’Eritrea, retta da uno dei regimi più oppressivi al mondo, con centinaia di migliaia di giovani in fuga verso l’Europa. È inaccettabile il silenzio sul Centrafrica che continua ad essere dilaniato da una guerra civile che non sembra finire mai. È inaccettabile il silenzio sulla grave situazione della zona saheliana dal Ciad al Mali dove i potenti gruppi jihadisti potrebbero costituirsi in un nuovo Califfato dell’Africa nera. È inaccettabile il silenzio sulla situazione caotica in Libia dov’è in atto uno scontro di tutti contro tutti, causato da quella nostra maledetta guerra contro Gheddafi. È inaccettabile il silenzio su quanto avviene nel cuore dell’Africa , soprattutto in Congo, da dove arrivano i nostri minerali più preziosi. È inaccettabile il silenzio su trenta milioni di persone a rischio fame in Etiopia, Somalia , Sud Sudan, nord del Kenya e attorno al Lago Ciad, la peggior crisi alimentare degli ultimi 50 anni secondo l’ONU. È inaccettabile il silenzio sui cambiamenti climatici in Africa che rischia a fine secolo di avere tre quarti del suo territorio non abitabile. È inaccettabile il silenzio sulla vendita italiana di armi pesanti e leggere a questi paesi che non fanno che incrementare guerre sempre più feroci da cui sono costretti a fuggire milioni di profughi. (Lo scorso anno l’Italia ha esportato armi per un valore di 14 miliardi di euro!). Non conoscendo tutto questo è chiaro che il popolo italiano non può capire perché così tanta gente stia fuggendo dalle loro terre rischiando la propria vita per arrivare da noi. Questo crea la paranoia dell’“invasione”, furbescamente alimentata anche da partiti xenofobi. Questo forza i governi europei a tentare di bloccare i migranti provenienti dal continente nero con l’Africa Compact , contratti fatti con i governi africani per bloccare i migranti. Ma i disperati della storia nessuno li fermerà. Questa non è una questione emergenziale, ma strutturale al sistema economico-finanziario. L’ONU si aspetta già entro il 2050 circa cinquanta milioni di profughi climatici solo dall’Africa. Ed ora i nostri politici gridano: «Aiutiamoli a casa loro», dopo che per secoli li abbiamo saccheggiati e continuiamo a farlo con una politica economica che va a beneficio delle nostre banche e delle nostre imprese, dall’ENI a Finmeccanica. E così ci troviamo con un Mare Nostrum che è diventato Cimiterium Nostrum dove sono naufragati decine di migliaia di profughi e con loro sta naufragando anche l’Europa come patria dei diritti. Davanti a tutto questo non possiamo rimane in silenzio. (I nostri nipoti non diranno forse quello che noi oggi diciamo dei nazisti?). Per questo vi prego di rompere questo silenzio-stampa sull’Africa, forzando i vostri media a parlarne. Per realizzare questo, non sarebbe possibile una lettera firmata da migliaia di voi da inviare alla Commissione di Sorveglianza della RAI e alla grandi testate nazionali? E se fosse proprio la Federazione Nazionale Stampa Italiana (FNSI) a fare questo gesto? Non potrebbe essere questo un’Africa Compact giornalistico, molto più utile al Continente che non i vari Trattati firmati dai governi per bloccare i migranti? Non possiamo rimanere in silenzio davanti a un’altra Shoah che si sta svolgendo sotto i nostri occhi. Diamoci tutti/e da fare perché si rompa questo maledetto silenzio sull’Africa.
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venerdì 29 giugno 2018

FEDE, LEGGE E PAROLA DI DIO

Il Concilio Vaticano I nella Costituzione dogmatica Dei Filius (anno 1870), cap. III, definì che “si devono credere con fede divina e cattolica tutte quelle cose che sono contenute nella parola di Dio, scritta o trasmessa per tradizione (in verbo Dei scripto vel tradito continentur) e che vengono proposte dalla Chiesa [...] come divinamente ispirate e pertanto da credersi” (Denzinger – Hünermann, n. 3011). 
Ciò significa che ogni affermazione (o ogni pratica) che non rientri nel contenuto di quest’affermazione dogmatica può essere modificata dall’autorità suprema della Chiesa. Certo, bisogna stare attenti e non dare loro un valore assoluto ed intoccabile, poichè - per fare un esempio - per secoli si è pensato che era verità di fede che il sole girasse intorno alla terra, fino al punto di condannare Galileo quando affermò il contrario. 
Un problema importante che oggi ha la Chiesa con riferimento alle “verità di fede”, sta nel fatto che possano esserci - ed a volte capita che ci sono - fatti “storici” o “sociologici” ai quali si dà un “valore dogmatico”. Proprio questo succede quando ci chiediamo se le donne o le persone sposate potranno essere preti. Per quanto riguarda le donne, nell’Antichità non avevano gli stessi diritti degli uomini. Per questo non potevano essere testimoni ufficiali di nulla. Né prendere decisioni su altri, né su loro stesse. È logico che in tali condizioni non potevano rivestire incarichi di responsabilità in istituzioni pubbliche. Oggi la situazione sociale e giuridica della donna è completamente diversa. Ed in ogni caso quello che non si può fare è trasformare in rivelazione divina quello che non è altro che una situazione sociale già superata. La Chiesa non avrà credibilità finché continuerà a conservare la disuguaglianza della donna in dignità e diritti rispetto all’uomo. 
Per quanto riguarda le persone sposate, il Vangelo non impone nessun obbligo rispetto al celibato. D’altra parte, l’apostolo Paolo dice che è un diritto degli apostoli vivere e viaggiare con una donna cristiana, come facevano Pietro ed i parenti del Signore (1 Cor 9,5). La continenza dei preti iniziò ad imporsi agli inizi del secolo IV nel concilio di Elvira (Granada). E la legge del celibato si impose progressivamente nel Medioevo. Fu stabilita come legge a partire dal II Concilio lateranense (nel 1138). La legge del celibato non ha fondamento biblico. E si basa principalmente sulle idee e sul puritanismo che provenivano dallo stoicismo dei greci del sec. V a. C.. Come giustifica la Chiesa la volontà di non cambiare questa legge, quando ogni giorno ci sono sempre meno preti e quindi molte parrocchie e comunità che non possono avere la loro vita cristiana organizzata e gestita come la stessa Chiesa impone obbligatoriamente? È urgente che la Chiesa studi questa questione a fondo e senza paura. Per cercare la soluzione alla quale i fedeli cristiani hanno diritto. Se non si farà in questo modo, sarà inevitabile verificare un fatto che esiste già: laici che dovranno celebrare l’Eucaristía senza prete. In questa delicata questione è di somma importanza tenere presente che la dottrina della Sessione VII del Concilio di Trento sui sacramenti non contiene definizioni dogmatiche. Grazie agli Atti del Concilio si sa che i vescovi ed i teologi che presero le decisioni sui sacramenti, non arrivarono a mettersi d’accordo su un punto fondamentale: se condannavano come “eresie” o respingevano come “errori” le dottrine e le pratiche che avevano respinto in questa Sessione VII (Denz.-Hün., 1600- 1630). Di conseguenza, la Chiesa può e deve sentirsi libera nel prendere, in tema di sacramenti e di liturgia, le decisioni che la stessa Chiesa consideri in questo momento come più urgenti e necessarie per il maggior bene spirituale e cristiano dei fedeli. 
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 José María Castillo in “ www.periodistadigital.com” del 27 giugno 2018

mercoledì 27 giugno 2018

PREGHIERA

Signore nostro Dio,
dacci di guardare al mondo in
cui ci hai messi con gratitudine,
come allo spazio che ci hai dato
perché ne gioissimo insieme a
tutti gli umani. Dacci di guardare
al mondo in cui ci hai messi
con responsabilità, e non come
padroni che non conoscono
limiti. Dacci di guardare agli
altri umani come esseri solidali
accomunati a noi dai nostri errori
e dalla tua promessa di vita.
Amen.
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Da "Riforma.it"

lunedì 25 giugno 2018

Incontro di Pax Christi ad Alessano

“E’ durante il tempo dell’alluvione che bisogna mettere in salvo la semente”. Sollecitati da queste parole che abbiamo evocato attorno alla tomba di don Tonino Bello, profeta di pace e di accoglienza dei nostri giorni, anche noi sentiamo di non poter tacere di fronte ad affermazioni e scelte che minano le fondamenta della dignità umana e della convivenza civile. Insieme ad altre voci che in queste ore si sono levate vogliamo anche noi esprimere la nostra indignazione perché in pochi giorni alcuni Ministri di questo governo hanno provocato un’alluvione di paure, risentimenti, odii e violenze che rischia di travolgere le coscienze di tutti noi: la contrapposizione tra poveri italiani e stranieri, come falsa soluzione di fronte al fenomeno della povertà; la chiusura dei porti come scelta ipocrita di fronte al dramma di tante persone; il linguaggio violento e mistificatorio (è finita la pacchia…) che alimenta un clima di crescente intolleranza e suscita comportamenti violenti, xenofobi, razzisti e omofobi. il censimento dei rom, pratica incostituzionale che evoca tragicamente le leggi razziali di 80 anni fa; la richiesta alla Nato per una alleanza difensiva nel Mediterraneo; la vergognosa riduzione ad un problema meramente familiare dell’omicidio di Giulio Regeni, per privilegiare le convenienze economiche nei rapporti con l’Egitto; la falsa illusione che la sicurezza personale sia legata sempre più al possesso ed all’uso senza regole delle armi; la solidarietà considerata un crimine, piuttosto che un valore da promuovere. Ci auguriamo che si alzino molte altre voci indignate in ambito ecclesiale, nella società civile e nel mondo politico. Noi non ci stiamo. Di fronte a questa ‘alluvione’ ribadiamo e ci impegniamo a custodire e promuovere la buona semente della dignità di ogni essere umano, della tutela dei diritti umani per tutti, secondo lo spirito della Costituzione; della costruzione della pace e della nonviolenza. Continueremo ad impegnarci in prima persona a fianco degli ultimi, dei migranti e rifugiati, che per noi sono “uomini e donne in cerca di pace.” Quotidianamente nei nostri territori e in rete con altri intensificheremo il nostro impegno per ‘disarmare’ la follia della guerra, che si annida anche nei ragionamenti, nel linguaggio e nelle relazioni personali. Lo ribadiamo oggi e continueremo a farlo. 
Alessano, 20 giugno 2018

domenica 24 giugno 2018

LA SCUOLA DELLE BEATITUDINI

<<Non è beato chi è religioso, ma chi è povero e mite, chi non è cinico, chi si adopera per la pace, chi ricerca giustizia. Nessun riferimento a una specifica appartenenza ideologica o religiosa. Una parola che non è confinata nei muri delle sagrestie, nei santuari separati dalla vita di tutti i giorni. E per tutti: uomini e donne. Anche in questo nostro tempo così poco incline a puntare in alto.
I forti vengono derisi, i prepotenti abbassati, i santi restituiti all'ordinario della vita. Dio si prende cura di una comunità più vasta di quella rinchiusa nelle nostre chiese: una comunità che abbraccia ogni creatura e mette al centro i poveri e gli afflitti. Ma la povertà, l'inedia e l'afflizione non sono virtù, vie privilegiate per entrare più facilmente in paradiso. Gesù non ama la povertà, non ci chiama a ricercarla come via ascetica per accedere al divino. Ci invita invece a farci carico dei poveri, a prenderci cura dei più deboli per arrivare insieme alla felicità. Poiché non si può essere felici da soli, ma solo insieme! L'autore evidenzia felicemente come le beatitudini siano parola plurale, rivolta non al singolo, a un «tu», ma a un «voi». E questo, quando amiamo, lo intuiamo facilmente. Ci interessa davvero una salvezza che ci separi da coloro che amiamo, dai nostri familiari e dai nostri amici? Possiamo essere felici da soli, senza l'uomo o la donna che amiamo? Senza i nostri figli, i nostri cari? La felicità è collettiva, come del resto la salvezza annunciata dalle Scritture. Di questa parola sapienziale abbiamo particolarmente bisogno, oggi, in un momento storico in cui l'esperimento-vita rischia di essere rattrappito entro i limiti del pensiero strumentale, preoccupato di risolvere in fretta i problemi, di far funzionare la vita, senza più nutrire il sogno di una felicità che non si possa comprare.
Le beatitudini hanno la forza di far sorgere il sospetto che la vita umana possa essere differente da come ci viene mostrata. Che l'umanità possa puntare più in alto. Che la fede possa essere un cantiere di felicità. Avviciniamoci di nuovo al monte da cui Gesù di Nazareth ha osato cantare quel ritornello che abbiamo dimenticato. Riascoltiamo quelle parole di sapienza, lasciandoci guidare dalla mano sicura e sferzante dell'autore. Troveremo acqua viva per i nostri deserti; fuoco di passione.>>
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Estratto dalla prefazione di Lidia Maggi a “Il coraggio di essere felici” di Battista Borsato, EDB 2018

sabato 23 giugno 2018

LA LETTERA AL FIGLIO SULL'AMORE

Se c'è un argomento di cui non ci stancheremo mai di parlarne è proprio l'amore. Non sempre però tutto funziona così. Anzi è proprio dell'amore che ci sentiamo incapaci ad esprimerne il valore, perché non riusciamo ad esprimere ciò che avviene dentro di noi. Davvero bella è questa lettera del Premio Nobel per la Letteratura John Steinbeck che nel 1958 risponde al figlio maggiore Thomas  che gli aveva confessato di essersi innamorato perdutamente di una ragazza, Susan, e chiede consiglio al padre. La lettera trasuda tutta la gioia e l’affetto del padre per il figlio adolescente alle prese per la prima volta con il sentimento amoroso.
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Caro Thom,
Abbiamo ricevuto la tua lettera stamattina. Ti risponderò dal mio punto di vista e di certo Elaine lo farà dal suo.
Prima di tutto se sei innamorato è una cosa buona, la cosa migliore che possa accadere a chiunque. Non lasciare che nessuno la sminuisca o la renda meno importante.
Seconda cosa, ci sono molti tipi di amore. Uno è egoista, meschino, avaro; usa l’amore per accrescere la propria importanza. Questo è un tipo di amore brutto e paralizzante. L’altro è un’effusione di tutto il bene che c’è dentro di te – della gentilezza e considerazione e rispetto – non solo il rispetto sociale dell’educazione ma il rispetto più ampio che è il riconoscimento di un’altra persona come unica e preziosa. Il primo tipo può renderti malato e debole ma il secondo può rilasciare in te forza, coraggio e bontà, persino una saggezza che non sapevi di avere.
Dici che non è un amore da ragazzini. Se lo senti in maniera così profonda – ovviamente non è un amore da ragazzini.
Ma non penso che tu stessi chiedendo a me quello che senti, lo sai meglio di chiunque altro. Quello che volevi era che io ti aiutassi a capire cosa fare – ed è quello che posso dirti.
Gioisci per quest’unica cosa e sii molto lieto e grato per questo.
L’oggetto d’amore è il migliore e il più bello. Cerca di esserne all’altezza.
Se ami qualcuno – non c’è niente di male nel dirlo – solo tu devi ricordare che alcuni sono molto timidi e a volte parlando devi tenere in considerazione questa timidezza.
Le ragazze hanno un modo tutto loro di sapere o percepire quello che senti, ma di solito gli piace anche sentirlo.
Talvolta accade che quello che senti non è ricambiato per una ragione o l’altra, ma questo non rende il tuo sentimento meno prezioso e buono.
Infine, conosco il tuo sentimento perché lo provo anch’io e sono lieto di provarlo.
Saremo felici di incontrare Susan. Sarà la benvenuta. Ma Elaine organizzerà tutto perché questo è il suo territorio e lei ne sarà molto lieta. Anche lei conosce l’amore e forse può aiutarti più di quanto possa fare io.
E non preoccuparti di perderlo. Se è giusto, accadrà. La cosa più importante è di non avere fretta. Le cose buone non scappano via.
Con amore,
Pa.
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