martedì 30 agosto 2016


OPINIONI

Scrive Magdi Cristiano Allam in un suo post su Facebook: “Con quale coraggio il governo allestisce le tendopoli per accogliere cittadini italiani che hanno subito un terremoto le cui conseguenze sono paragonabili a quelle di una guerra vera, quando ospitiamo in comodi alberghi a tre stelle e residence oltre 100 mila clandestini che al 95 per cento sono dei parassiti che ci prendono in giro raccontandoci di essere in fuga da fantomatiche guerre?”
Magdi Allam è giornalista, conferenziere, opinionista pubblico.
Le sue parole producono pensiero e lo diffondono.
Presi a sé stanti, sugli argomenti di Allam se ne potrebbe discutere all'infinito, ma è corretto e onesto mettere in relazione le tendopoli dei terremotati con l’accoglienza agli immigrati e con la loro identificazione come rifugiati politici o terroristi? Questa mescolanza di problemi diversi non è una semplificazione pericolosa che rischia di apparire demagogica?
Ci si chiede allora quale sia il ruolo dell’opinionista, oltre che quello di esprimere la sua personale opinione. Ci si chiede se la personalità pubblica non debba sentire anche la responsabilità delle idee che diffonde, dei collegamenti logici che mette in atto. Ci si chiede se collegare i terremotati ai costi degli immigrati (piuttosto che agli sprechi dei parlamentari, alle tangenti mafiose, agli stipendi e ai bonus dei dirigenti delle aziende statali, alle pensioni dei magistrati) non sia un modo di produrre confusione nelle menti semplici e di diffondere sospetto e pregiudizio; odio, alla fine.
È questo il ruolo dell’opinionista?

Dario Calimani, su "Moked.it"

IPPOLITO NIEVO

<<L'amore è un'erba spontanea, non una pianta da giardino.>>

mercoledì 24 agosto 2016

PREGHIERA E SOLIDARIETA'


O Dio creatore,
noi crediamo che tu sei nostro Padre
e che ci vuoi bene
anche se la terra trema
e le nostre case sono state sconvolte 
dall'angoscia,
non lasciarci soli nel momento della sventura.
Apri il cuore di tutti gli uomini di buona volontà
alla generosità e all'aiuto.
Dona a coloro che ne necessitano
la forza e il coraggio
necessari per la ricostruzione
e l'amore per non abbandonare
chi è rimasto senza nessuno.
Così, liberati dal pericolo
e iniziata una vita nuova,
continueremo a vivere nel tuo amore
e canteremo la tua lode.
Amen.
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Per sostenere le popolazioni, la Protezione civile ha attivato un numero sia per sms sia per le telefonate (45500). Sul sito della Croce Rossa, www.cri.it nella sezione dedicata, in home page, sono invece presenti le modalità di donazione. E' possibile donare attraverso l'IBAN: IT40F0623003204000030631681 utilizzando la causale "Terremoto Centro Italia". La CRI, ha inoltre, ha attivato il numero telefonico 06 5510 dedicato al servizio donazioni e l'indirizzo email aiuti@cri.it.

lunedì 22 agosto 2016

GIOVANNI GOVONI

"Forse la felicità non va cercata, ma custodita in ciò che abbiamo già."


domenica 21 agosto 2016

Si apre il sinodo delle Chiese metodiste e valdesi.

Attesi numerosi ospiti che come ogni anno giungeranno da diversi continenti. Per la CEI saranno presenti mons. Ambrogio Spreafico, presidente della Commissione episcopale per l’ecumenismo e il dialogo, e don Cristiano Bettega, direttore dell'Ufficio nazionale ecumenismo e Dialogo Interreligioso (UNEDI). Il sinodo sarà senz’altro un’occasione per fare il punto sul dialogo con la chiesa cattolica, considerato anche che lo scorso 5 marzo per la prima volta nella storia una delegazione ufficiale delle chiese metodiste e valdesi è stata invitata dal papa in Vaticano. “Siamo consapevoli che le diverse visioni teologiche tra protestanti e cattolici non si risolveranno in tempi brevi – ha dichiarato il moderatore della Tavola valdese Eugenio Bernardini – ma viviamo un tempo in cui, anche per i processi profondi di secolarizzazione e multiculturalismo, è più forte e urgente la nostra responsabilità di presentare la fede e l’impegno evangelico in modo rinnovato”.

Tra i temi di discussione dei membri del sinodo, “laici” e pastori, figurano le migrazioni e l’accoglienza, la diaconia e l'otto per mille, il Cinquecentenario della Riforma protestante, l’ecumenismo. Particolare attenzione sarà dedicata al progetto-pilota dei “corridoi umanitari” promossi dalla Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI), dalla Tavola valdese e dalla Comunità di Sant’Egidio, che hanno portato in Italia, attraverso un regolare volo di linea da Beirut, quasi 300 profughi in larga parte siriani. La “serata pubblica del lunedì” avrà per titolo “Corridoi di speranza” e sarà incentrata proprio su questa “buona pratica”, che i promotori vorrebbero veder replicata anche in altri paesi dell’area Schengen. Nel corso della serata interverranno il moderatore Eugenio Bernardini; Paolo Naso, coordinatore del progetto FCEI “Mediterranean Hope”; Daniela Pompei della Comunità di Sant’Egidio; il giornalista Gad Lerner e il deputato PD Luigi Lacquaniti, membro della chiesa valdese.
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CHE COS'E' IL SINODO VALDESE?
Il Sinodo è l'assemblea generale che esprime l'unità di tutte le chiese. Nello svolgimento delle sue attività agisce nell'obbedienza alla Parola di Dio, come assemblea di credenti che ricerca la guida dello Spirito Santo. Esso è la massima autorità umana della Chiesa in materia dottrinaria, legislativa, giurisdizionale e di governo. (DV, art. 27).
Esso è costituito dai deputati delle chiese locali, da un numero di pastori equivalente e dai responsabili di particolari settori di attività. Ai membri con voce deliberativa si aggiunge un numero variabile di membri con voce consultiva.
Si apre con un culto durante il quale i futuri ministri, al termine dei loro studi e dopo un esame pubblico, si impegnano a servire nella Chiesa e vengono consacrati con l'imposizione delle mani.
Di competenza del Sinodo sono di conseguenza i rapporti con lo Stato, con gli organismi ecumenici, le norme che regolano il culto (le liturgie in vigore), la nomina dei professori di teologia e in particolare l'esame dell'operato degli organi amministrativi. 
Con la nomina di queste commissioni si concludono i lavori sinodali.

LETTERA D'AMORE

Sultana mia,
come si dissolvono le nubi al vento,così si sono dissolti i miei giorni a Gerusalemme.
Permettimi di scriverti un'ultima lettera prima della mia partenza e di accomiatarmi con parole che sgorgano dal cuore, ammutolito d'amore e sgretolato dal dolore, come se esse provenissero dalla tomba. Tra poco lascerò questo luogo dove gli abitanti, gli edifici e le vie mi sono familiari e dove ho trovato i palpiti dell'amore, per recarmi altrove, in un luogo sconosciuto al quale non penso che riuscirò a fare l'abitudine. Eccome potrei se lascio qui il mio cuore?
Ieri ho trascorso la giornata accomiatandomi da persone di cui non dimenticherò mai la gentilezza e le buone virtù. Pensavo che questa volta non mi sarebbero pesati i saluti, giacché da quando è nata in me l'idea del viaggio ho cercato di abituarmi all'idea della partenza. Ma ora è giunto il momento, provo amarezza e un grande dolore. E anche se ritenevo di poter sopportare il distacco da amici e parenti, come potrò separarmi da te, Sultana! 
Ti ricorderò, Sultana, ogni volta che il sole sorgerà o tramonterà, quando uscirò o tornerò, mi alzerò e mi coricherò, arriverò e partirò; ti ricorderò mentre mi recherò al lavoro, quando sarò calmo e senza pensieri e quando sarò stanco e senza forze.
Separarmi da Te è separarmi dall'amicizia, dalla purezza, dalla luce, dalla gioia; è incontrare la solitudine e il dolore. Quando Adamo lasciò il Giardino dell'Eden, la sua pena non fu più grande della mia.
Tu sei il mio Giardino dell'Eden, la mia felicità, il mio piacere, la gioia della mia anima, la mia vita. E come si sente chi abbandona la propria vita? 
Ricordami, o Sultana, quando entrerai in Chiesa e pregherai, o quando aprirai il Tuo Vangelo e lo leggerai; ricordami quando insegnerai ai tuoi studenti, o uscirai con loro all'aperto, e ti recherai a quella roccia amata. Ricordami quando andrai a casa. Ti affaccerai alla finestra di fronte alla mia e dirai :<<Ciao, Khalil>>. Ah, cosa non direi per poterti vedere, per scorgere la tua figura.
E all'arrivo della primavera, delle brezze lievi e dei bei fiori, se una folata di vento ti dovesse colpire, sappi che quello è il mio saluto a te; e se vedrai un bel fiore, sarò io a sorriderti; e se sentirai il cinguettio degli uccelli, sarò io a intonare un canto nel pensare a te; e se guarderai il cielo e le stelle brilleranno, osserva il loro splendore: saranno i miei occhi a guardarti; e se la luna si affaccerà da oltre i monti lanciando raggi d'argento, alza lo sguardo: forse i miei occhi che la fissano incontreranno i tuoi...
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Estratto dalla traduzione ebraica di "Signori,sono fatto così!",il diario di Khalil Sakakini (Famoso pedagogo palestinese a cui è dedicato un centro culturale a Ramallah per la promozione delle arti e della cultura in Palestina

sabato 20 agosto 2016

Speriamo arrivi presto il giorno…

«Sarà un grande giorno
quello in cui la Scuola
prenderà dallo Stato
tutti i soldi di cui ha bisogno.
E l’esercito e l’aviazione
dovranno organizzare
una vendita di torte
per comprare bombardieri e armi».


Dalla rivista “Tempi di fraternità

venerdì 19 agosto 2016

«Quando smetterò di fare la guerra, spero di diventare un bambino».


QUANDO LO SPORT EDUCA ALLA PACE


La settimana scorsa un campeggio estivo per ragazzi israeliani si è concluso con un torneo in stile coppa del mondo: cento ragazzini di 12 e 13 anni d’età sono stati suddivisi in sei squadre, ciascuna intitolata a un paese della coppa del mondo. La cosa interessante è che il torneo si è tenuto nella città arabo-israeliana di Baqa al-Gharbiyye e che, dei cento ragazzi partecipanti, cinquanta erano ebrei abitanti a Pardes Hanna-Karkur, Zichron Ya’akov e Binyamina, mentre gli altri cinquanta erano arabi israeliani abitanti a Iqsal, Barta’a e nella stessa Baqa al-Gharbiyye.

Il campeggio estivo, chiamato “Calcio per la pace”, ha visto i ragazzini vivere, mangiare, dormire e giocare insieme per quattro giorni: un’esperienza che ha offerto loro l’occasione di abbattere le barriere psicologiche che spesso dividono le comunità araba ed ebraica della società israeliana, e di sbarazzarsi degli stereotipi negativi tramite interazioni sociali positive.

Alla cerimonia per la consegna delle medaglie hanno preso parte più di 150 genitori, fra i quali i sindaci di Baqa al-Gharbiyye e di Pardes Hanna-Karkur i cui figli avevano partecipato all’iniziativa. Ma la vittoria più bella, dice Mahameed, è stata sentire per caso uno scambio di battute tra due ragazzini, che dicevano: “Abbiamo vissuto insieme per quattro giorni e ci siamo trovati bene. Se possiamo farlo noi, perché non possono farlo i nostri genitori?”.

UNHCR – Agenzia ONU per i Rifugiati


Oggi 19 agosto celebriamo il World Humanitarian Day, la Giornata mondiale degli operatori umanitari, ovvero coloro che ogni giorno lavorano per aiutare gli altri con grande passione e professionalità rischiando, a volte, la propria stessa vita. 

E allora questo è il giorno giusto per farti conoscere i nostri operatori. 
Te li presentiamo con questo video. 

La loro passione, il loro coraggio, la loro voglia di fare la differenza per milioni di persone costrette a fuggire, li spinge ad affrontare ogni giorno nuove sfide. 

La loro forza insieme al tuo sostegno ai rifugiati, alla tua scelta di essere al nostro fianco, contribuiscono a rendere il mondo in cui viviamo un posto migliore.

Intervista a Aharon Appelfeld

<<Ho visto il male in tutte le sue forme. Il male è un’ombra scura, se ne sta sempre acquattato ma in tempi di rabbia e odio tende a gonfiarsi e a penetrare nelle nostre esistenze. Come possiamo fronteggiarlo? Tutto quel che possiamo fare è combatterlo, coltivare la speranza e accrescere la nostra luce...
Basta pensare all'Olocausto, alla guerra, il mondo è pieno di demoni. Spiegare le cose è una modalità molto debole. Non si dovrebbe spiegare se stessi, bisognerebbe mostrare. Se lei parla del male, lo mostri! Lo mostri, non lo spieghi!...
Le istituzioni religiose possono essere oscure e staccate dalla realtà, mentre la religiosità è intimamente connessa agli individui...
La religiosità è qualcosa che ciascuno di noi ha dentro di sé. Riveste un ruolo nell'individuo, consentendogli di connettersi con coloro che ama. Permette di elevarsi. L’uso che le grandi chiese di ogni fede fanno della religione è il vero pericolo. Esse dimenticano il vero scopo della religione, che  è quello di elevare le persone...
La religiosità come la letteratura non può risolvere i grandi problemi ma almeno possono renderci consapevoli dei danni che arrecano. Ci mette in contatto con il bene, con ciò che è delicato, come ogni arte. Quando ci sediamo ad ascoltare Bach in qualche modo cambiamo, diventiamo persone differenti. La domanda è: che cosa possiamo fare? Come possiamo andare avanti? Dovremmo rinunciare? La risposta si trova nella comunità, che è responsabile per se stessa, per i suoi vecchi e per i suoi figli...>>
(Aharon Appelfeld vive in Israele dalla fine degli anni Quaranta, ma sottolinea sempre le sue origini
rumene. La sua famiglia, da sempre messa all’indice perché di origine ebraiche, viveva in una
regione, la Bucovina, fino a quando fu deportata nei lager nazisti, dove quasi tutti i componenti
furono assassinati. Lui, invece, è riuscito a evadere da un campo di sterminio. Per molto tempo ha
vissuto come fuggiasco nei boschi, fino al momento in cui si è unito all’Armata Rossa. Con quella
divisa ha combattuto i nazisti, ma poi a guerra finita ha deciso di andare in Palestina, ancora sotto
protettorato britannico. Lì, in un kibbutz, ha studiato e cominciato a scrivere in ebraico, una lingua
che ha subito amato al punto da diventare uno dei più importanti scrittori di lingua ebraica.
Nei suoi romanzi  i temi della Shoah e del «male radicale» tornano spesso, seppur filtrati dal pensiero di Martin Buber e Gershom Scholem, intellettuali che Appelfeld considera veri e propri maestri. Recentemente lo scrittore ha ricevuto in Italia il premio Hemingway.)


SATIRA


martedì 16 agosto 2016

E ADESSO CHE IL GESTO C'E' STATO ?

Dopo che tanti musulmani - imam e gente comune, compagni di convegni o figure semi-sconosciute, sufi o esponenti di realtà vicine ai Fratelli musulmani - hanno accolto l'invito e sono entrati nella Chiese cattoliche per esprimere la loro vicinanza ai cristiani dopo l'uccisione barbara di padre Jacques Hamel, adesso che succede?
La giornata dice che incontrarsi è possibile; certo, sarebbe stupido pensare che basti una domenica a Messa insieme per fermare la scia di sangue.

Eppure quel gesto indica lo stesso due direzioni ben precise: primo, la lotta al fanatismo jihadista non è "una questione che devono risolvere loro". Dipende anche da noi. Venendo a Messa hanno accettato di mettersi nei nostri panni. Noi siamo disposti a fare lo stesso? Siamo disposti ad avere a cuore sinceramente il futuro dell'islam oltre che il nostro? O facciamo reciprocamente questo sforzo - facendoci carico sul serio gli uni degli altri - o a vincere sarà comunque chi ci vuole divisi, riducendo il mondo in un "noi" e un "loro".

Secondo: chi ha sgozzato padre Jacques ha adottato la macabra liturgia di morte dei jihadisti, dove la brutalità dell'uccidere è riportata al sangue che macchia le proprie mani. Ma di fronte a tanta violenza anche noi dobbiamo scegliere il corpo a corpo. Non c'è più posto per una pace evanescente; anche la riconciliazione oggi deve passare attraverso la carne. Non bastano il cuore e la testa, ci vogliono anche le mani. Ieri si sono incontrate nello scambio del segno di pace. Ma le nostre mani sono chiamate a fare molto di più: ora devono afferrarsi in maniera salda per continuare a camminare nella stessa direzione, devono sporcarsi per costruire insieme risposte concrete a tante forme di ingiustizia, devono anche gettarsi in avanti per ammonire chi semina odio e proteggere chi è più debole.

Nel tempo della guerra anche l'impegno per la pace si fa più esigente. Non basta più una bella immagine; ora serve la lotta, giorno per giorno.
di Giorgio Bernardelli | in www.vinonuovo.it
Assassinio sull’altare
di Jacques Gaillot, Vescovo di Partenia
Il dramma si svolge in Francia. In una chiesa tranquilla dove un prete anziano celebra la messa con alcuni fedeli.
E bruscamente i simboli sono frantumati: la chiesa che è un luogo sacro di preghiera diviene un luogo dove si uccide. Il prete che officia all’altare, rivestito del suo camice, è sgozzato all’arma bianca.
La Chiesa cattolica è colpita al cuore. Non si è più in Irak o in Siria, ma in un paese normando. Siamo avvisati.
Questo prete di 84 anni ha servito fino alla fine come un servo fedele. Non gli hanno tolto la vita perché già da tempo l’aveva donata. Ha versato il suo sangue perchè gli uomini non versino più il sangue dei loro fratelli.
Questo buon pastore che amava le persone ha dato la sua vita per colui che l’ha sgozzato e per noi tutti, perché restiamo fratelli, gli uni vicini agli altri.
La sua morte è seme di vita. È fonte di speranza e di solidarietà.
Possiamo superare le nostre paure, abbattere i muri dell’odio, andare verso l’incontro con gli altri.
Si tratta più che mai di costruire un mondo, nel quale ognuno esiste per l’altro.
Il futuro è aperto.
Jacques Gaillot
Vescovo di Partenia

lunedì 15 agosto 2016

BUONE VACANZE A TUTTI!


Grazia Deledda

“Possibile che non si possa vivere senza far male agli innocenti?”

“Tutti siamo impastati di bene e di male, ma questo ultimo bisogna vincerlo.”

E' QUESTIONE DI CIVILTA'

Aleppo è ridotta a un cumulo di macerie, senza cibo, senza acqua, sotto i bombardamenti senza sosta di due contrapposti assedi. Aleppo, come scrive Andrea Riccardi, è la Sarajevo del XXI secolo e chi di noi ricorda l’assedio terribile di Sarajevo ne riconosce le tracce nella tragedia di Aleppo. Città multiculturale, di secolare convivenza di culture e di religioni, ora distrutta. Come Sarajevo. E’ forse troppo tardi per salvare Aleppo, tra macerie, morti sotto i bombardamenti e ora anche attacchi chimici. Ma bisogna continuare a chiedere corridoi umanitari, tregue, a chiedere che Aleppo, la città proclamata nel 1986 dall’Unesco patrimonio dell’umanità, sia proclamata città aperta. Altrimenti, sarà il simbolo più tragico della nostra crisi inarrestabile, la crisi della nostra civiltà tutta.
Anna Foa, storica su "Moked.it"

Beppe Severgnini : uno strano ferragosto ma pieno di vita!

È uno strano Ferragosto di ansia e di sole, di festa e di dubbio... 
Non c’è contraddizione e non è rassegnazione. È una reazione: sana...
L’Italia che oggi festeggia Ferragosto non è superficiale. Ha deciso, invece, che queste ricorrenze sono la punteggiatura della nostra vita comune, senza la quale ogni discorso diventa impossibile...
Non si tratta di imbrogliare la morte; vuol dire, invece, imporle di stare al suo posto. Lo sappiamo: l’obiettivo dei nostri nemici è diffondere il panico. Lasciarci spaventare significa concedergli una prima vittoria. Non deve accadere, non sta accadendo. La società aperta s’informa, ma non si lascia spaventare: è più bella, più forte, sempre nuova. La normalità — anche una spiaggia piena, anche una gita in montagna, anche un concerto in città — è la nostra arma più potente.
La sconfitta dell’Isis non avviene solo a Sirte. La sconfitta dei nuovi barbari avviene ogni volta che uno di noi esce di casa, sale in automobile e fa quello che ha sempre fatto.

WILLIAM SHAKESPEARE

<<Come e dimmi, perché, sei entrato qui dentro?
Sulle ali leggere dell'Amore ho scavalcato questi muri. L'Amore non teme ostacoli di pietra. Amore quando a una cosa tende, è ardimentoso e pronto.>>

domenica 14 agosto 2016

"VERGOGNA" OLIMPICA !

Il judoka egiziano ha disonorato solo se stesso quando alla fine dello scontro non ha stretto la mano all'atleta israeliano che lo ha battuto


LA "TEOLOGIA NEGATIVA" DI DON GIOVANNI GIORGIS

«Dio non è mai da discutere, ma sono sempre da discutere le immagini che l’uomo si fa di Dio...
Mi sento estremamente libero e non legato per nulla a vecchi schemi. Li ho superati tutti da tempo. Ho dato addio a tutte le religioni, filosofie e ideologie… che hanno inventato un Dio che non può essere vero, hanno inventato il peccato, hanno inventato le mediazioni senza le quali non potresti accedere a Dio, anche se sei suo figlio, hanno inventato la distinzione tra sacro e profano facendo credere che per essere di Dio non puoi più essere di te stesso e degli altri. Un dio del genere morirà del tutto perché non è mai esistito e non può esistere, se non soprattutto nella mente di chi, in suo nome, vuole dominare sugli altri. Questo Dio per noi è quello dell’Antico Testamento, totalmente ricostruito nella chiesa, ignorando la novità di Gesù che ha portato «vino nuovo in otri nuovi». La religione è tutto quello che possiamo fare noi per Dio. Ma Gesù ci ha detto che Dio non vuole nulla dall’uomo se non che si accorga del suo amore. A Natale e a Pasqua, Dio è a servizio dell’umanità perché l’uomo invece di considerare peccato il desiderio di essere simile a lui possa sentire ciò come l’anelito più importante del cuore umano. La santità non si realizza più con la sacralità ma con la comunione, l’incontro con gli altri. È questione di fede, non di religione!...
Molti rifiutano Dio, perché non possono credere nel dio che viene loro presentato da tanti cosiddetti credenti. Un dio castigamatti, un dio tappabuchi, un dio vendicatore, un dio razzista, un dio amante dei privilegi, un dio raggiungibile solo con il culto, un dio monopolio degli uni e degli altri, un dio al quale si fa dire solo ciò che conviene, chi lo può ancora accettare? Siamo sinceri: molti sono atei solo perché non possono credere in un dio assurdo».

MICHAEL PHELPS

<<Ognuno di noi affronta momenti difficili nella vita, ma poi tutto dipende da quello che hai nel cuore.>>

giovedì 11 agosto 2016

Il seme che muore vivrà (Gv 12,24) 
di Enrico Peyretti
del 10 agosto 2016

L'immaginazione è madre dell'intelligenza. 
Il nullancora è padre della creazione. 
L'insoddisfazione è madre della soddisfazione. 
La fame è madre della crescita e della salute. 
L'infelicità è madre della felicità.
Il non sapere è padre del sapere. 
Eccetera.
Il seme che muore vivrà.

Padre Laurent Stalla-Bourdillon, rettore della Basilica Sainte-Clotilde di Parigi

<<I giornali hanno ripreso e commentato le affermazioni di papa Francesco di ritorno dalla GMG di Cracovia, il 31 luglio 2016: «A me non piace parlare di violenza islamica, perché tutti i giorni
quando sfoglio i giornali vedo violenze, anche qui in Italia. (…) Se parlassi di violenza islamica
dovrei parlare anche di violenza cattolica. Gli islamici non sono tutti violenti. I cattolici non sono tutti violenti. (… ) Credo che non sia giusto identificare l’islam con la violenza. Non è giusto e non è vero». Nessuno conosce esattamente il suo grado di competenza in islamologia, forse avrà deluso coloro che immaginavano che Francesco sarebbe stato il giustiziere dell'islam, delle sue usanze, della sua dottrina... Francesco non cede al relativismo, la sua osservazione riguarda semplicemente un'altra realtà.
Secondo il papa, se vogliamo intendere correttamente le sue affermazioni, non sarebbe giusto identificare una religione – qualsiasi religione – con la violenza. Francesco si pone all'opposto di ciò che sentiamo dire molto spesso: «le religioni sono intrinsecamente fonte di violenza».
Naturalmente alcune dottrine religiose possono essere lesive della dignità umana, ma non sono probabilmente da mettere de facto sullo stesso piano. Ma per Francesco, è essenziale comprendere che la violenza è innanzitutto qualcosa di relativo all'uomo, prima di qualsiasi adesione ad una dottrina religiosa...
“Meno religione” non significa meno violenza. E neppure “più religione”. Il problema è un altro: la
violenza è nell'esercizio costante della nostra libertà falsamente convinta di aver raggiunto la verità.
Non avremo nulla da temere dall'effervescenza del sentimento religioso, se sapremo al contempo lavorare insieme e con la ragione alla ricerca della verità. Avremo tutto da temere se all'ignoranza religiosa già diffusa si aggiungesse la rinuncia allo sforzo della ragione.
Sarebbe fondamentale oggi che la nostra società studiasse i meccanismi del credere, costitutivi dell'umano. Piuttosto che battersi per sapere quale dei “libri” sia superiore agli altri, senza più riflettere... Sarebbe inoltre pertinente riflettere sulle attitudini del cuore e dell'intelligenza comuni a tutti, nel discernere la verità e i suoi modi di espressione nella storia.
Questo lavoro è urgente, perché vitale. È il lavoro della ragione, da attuare a partire dalla scuola, fino al Parlamento. Nell'erranza di credenze prive della ragione, l'uomo muore. Allo stesso modo, soffoca sotto il peso di una ragione rinchiusa in se stessa. La ragione salva la fede precisando i criteri di una fiducia che umanizza, e la fede irradia sulla ragione umana la luce dell'umiltà necessaria per aprirsi, scoprire e unirsi alla Ragione divina.>>

lunedì 8 agosto 2016

A 71 anni dai bombardamenti nucleari su Hiroshima e Nagasaki, l’appello del Consiglio delle chiese ecumeniche a perseguire il disarmo nucleare

Il 6 e il 9 agosto di 71 anni fa le città giapponesi di Hiroshima e Nagasaki furono distrutte dalle bombe atomiche mietendo più di 225.000 vittime.

Riferendosi all’anniversario, Peter Prove, direttore della Commissione delle chiese per i problemi internazionali (Ccia) del Consiglio ecumenico delle chiese (Cec), ha commentato: «Pregando per la pace, rivolgiamo il nostro pensiero questa settimana all’annientamento delle due città giapponesi avvenuto 71 anni fa. I bombardamenti atomici di Hiroshima e Nagasaki hanno infranto le leggi di Dio e dell’umanità ad un livello senza precedenti. Ne derivò un’era di paura globale e sospetto che continua ancora oggi».

Nel 1996 la Corte internazionale di giustizia ha stabilito che tutti gli Stati hanno l’obbligo di perseguire e realizzare il disarmo nucleare. Le armi nucleari minacciano la totalità della vita sul pianeta – ha detto la Corte – e danneggiano gravemente gli interessi delle generazioni future.

L’anno scorso il Cec ha inviato una delegazione presso le due città per onorare le vittime dei bombardamenti, per pregare per la pace, e per sollecitare le nazioni a perseguire il disarmo nucleare.

«Ora una solida maggioranza di paesi in uno speciale Gruppo di lavoro delle Nazioni Unite sta prendendo in considerazione la negoziazione della messa a bando delle armi nucleari. Noi ringraziamo le chiese membro che stanno sostenendo tale linea di azione, i partner della società civile e i governi favorevoli», ha continuato Prove. «Quello che è successo in Giappone 71 anni fa, non deve accadere mai più. I nove stati che possiedono le armi nucleari devono adempiere i loro obblighi ed eliminare i loro arsenali nucleari: è quanto chiedono le sofferenze inflitte su Hiroshima e Nagasaki».
da "Riforma.it"

don Primo Mazzolari

<<Ci siamo accorti che non basta essere custodi della pace e neanche uomini di pace nel nostro intimo, se lasciamo che altri ne siano i soli testimoni. Come cristiani dobbiamo essere in prima linea nello sforzo comune verso la pace. Davanti per vocazione non per paura. Quando fa buio la lampada non la si mette sotto la tavola.
Opponendo guerra a guerra, violenza a violenza non si fa' che moltiplicare le rovine. Invece di uno saremo in due a buttar giù, non importa se per ragioni o con animi opposti. Perché non ammazzo chi non è d'accordo con me, non vuol dire che io sia d'accordo con lui. Non l'ammazzo perché sono certo che la mia verità ha tanta verità da superare l'errore dell'altro. La verità non ha bisogno della mia violenza per vincere. Il cristiano è contro ogni male, non fino alla morte del malvagio, ma fino alla propria morte, dato che non c'è amore più grande che quello di mettere la propria vita a servizio del bene del fratello perduto. Vince chi si lascia uccidere, non chi uccide. La storia della nostra redenzione si apre con la strage degli Innocenti e si chiude con il Calvario.
Un cristiano deve fare la pace anche quando venissero meno le ragioni della pace. Al pari della fede, della speranza e della carità, la pace è vera beatitudine, quando non c'è tornaconto o interesse o convenienza, vale a dire quando incomincia a sembrare follia davanti al buon senso della gente ragionevole.
Tutti si battono e si sputano addosso e aizzano gli uomini, i tuoi figli, gli uni contro gli altri. Tutti si armano pieni di superbia. Tutti fanno come se la pace e la guerra fossero in loro potere.>>
Da "Tu non uccidere".

Renato Sacco (coordinatore nazionale di Pax Christi)

<<Non c’è pace senza disarmo. Non c’è disarmo se non tacciono i cannoni, se non si smontano, oltre alle ram­pe missilistiche, anche gli spiriti. La pace non si regge sull’equilibrio degli armamenti, ma solo sulla vicende­vole fiducia, sul disarmo dei cuori >>
(cfr. Giovanni XXIII, Pacem in Terris,n.113).
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Alqosh, nel nord dell’Iraq. Due anni fa, nella notte tra il 6 e il 7 agosto, il ‘grande esodo’: circa 100.000 persone, la maggior parte cristiani e yazidi, in fuga nel cuore della notte per salvarsi dalla furia dell’Isis che stava arrivando, scappati in pigiama, in ciabatte o a piedi nudi. Una fuga di diverse ore con un caldo pesante. Racconti di persone che avevano in casa malati, anziani, invalidi. Storie atroci di bambine e donne fatte prigioniere e messe in gruppi diversi per poi essere vendute al mercato. E tanta morte, nel corpo e nello spirito. Il tutto – se penso a quella mattina del 7 agosto 2014 - abbastanza nell’indifferenza dei mass media... Era l’inizio di una nuova tragedia per centinaia di migliaia di profughi. Con negli occhi e nel cuore il dolore per le tante violenze e uccisioni che avevano visto. E diceva il profeta Naum: “Guai alla città sanguinaria,piena di menzogne,colma di rapine,che non cessa di depredare!… feriti in quantità,cumuli di morti, cadaveri senza fine,
s’inciampa nei cadaveri.«Ti getterò addosso immondizie,ti svergognerò, ti esporrò al ludibrio.Allora
chiunque ti vedrà, fuggirà da tee dirà: “Nìnive è distrutta! Chi la compiangerà?Dove cercherò chi la
consoli?”».
Sembra descrivere la realtà di oggi: di Mosul (l’antica Ninive), dell’Iraq, ma anche di Aleppo, della
Siria e di tanti altri luoghi di dolore e morte, dalla Palestina al Sud Sudan, all’ Afghanistan, …
Per non dire poi che il 6 agosto è anche l’anniversario di Hiroshima.
Quando capiremo davvero la follia della guerra? Quando smetteremo (Italia in prima fila) di vendere armi a mezzo mondo, compresi quegli Stati che, si sa, sono i principali sostenitori dell’Isis: Arabia Saudita e Qatar. Quando? Ce lo chiedono in tanti che vivono in quella terra: chiudete i rubinetti delle armi!
Oggi il pensiero va alle tante famiglie di Mosul, Alqosh, Karamles, Batnaia, Kirkuk…ai tanti amici Iracheni e Siriani: dal Patriarca di Baghdad Sako, al Vescovo di Aleppo Audo, da p. Paolo Dall’Oglio a p. Ziad e p. Mourad SJ di Aleppo.
Ma, a quanto pare, c’è chi pensa che una nuova guerra in Libia sia una buona soluzione..
Ha ragione papa Francesco: “Mentre il popolo soffre, incredibili quantità di denaro vengono spese
per fornire le armi ai combattenti. E alcuni dei paesi fornitori di queste armi, sono anche fra quelli
che parlano di pace. Come si può credere a chi con la mano destra ti accarezza e con la sinistra ti
colpisce?” (5 luglio 2016).


sabato 6 agosto 2016

Preti sposati in “communitates probatae”? La proposta di un teologo.

Da decenni si discute della possibilità di ordinare i “viri probati” per rispondere alle esigenze delle comunità prive di un prete. Un teologo latinoamericamo ribalta la questione.

In territori come l’Amazzonia e il Chiapas, nei quali le comunità cristiane sono visitate dai sacerdoti solo alcune volte all’anno, si dovrebbero  “ordinare alcuni dei leader laici che guidano le comunità: è la decisione più giusta, perché l’obiettivo è dotare una precisa comunità di un presbitero proprio, a partire da ciò che già esiste in quella comunità. Garantendo il rapporto ministro-comunità. Non è un estraneo che viene da fuori, ma dall’interno. Non c’è bisogno di inserirlo, ‘inculturarlo’, poiché fa già parte della comunità e della sua storia, ha il suo viso, il suo modo di essere”. Lo sostiene monsignor Antonio José de Almeida, professore presso la Pontificia Università Cattolica del Paranà. Dottore in Teologia presso la Pontificia Università Gregoriana di Roma, monsignor José si occupa del tema dei ministeri nella Chiesa a servizio della vita e della missione delle comunità, e conosce da vicino molte esperienze di ministeri non ordinati in America Latina. E precisa che non solo parla di “viri probati” – uomini sposati che potranno essere ordinati al sacerdozio – ma anche di “communitates probatae ” dove l’accento è posto sulla comunità. “Sarebbe tragico – spiega – se la Chiesa ordinasse ‘viri probati’ senza un forte senso di comunità”.

“Monsignor Almeida – sottolinea il blog Terre d’America – propone nomi diversi per questi due tipi di ordinazioni: sacerdoti e ministri ordinati locali. I sacerdoti continuerebbero a essere celibi e verrebbero mandati nelle parrocchie della diocesi, mentre i ministri ordinati locali servirebbero solamente la comunità in cui vivono e potrebbero essere inseriti nella vita familiare e professionale. Qualora non avessero un lavoro, o se lo avessero perso, i ministri ordinati locali potrebbero essere aiutati e sostenuti dalla comunità nello stesso modo con cui già si sostengono alcuni sacerdoti. “Entrambi sono presbiteri dello stesso sacramento dell’ordine; entrambi annunciano il Vangelo in nome della Chiesa; entrambi amministrano i sacramenti; entrambi guidano la comunità con e sotto il Vescovo; entrambi sono ordinati per tutta la vita”, chiarisce  la proposta. Ma mentre “i sacerdoti servono una vasta area e vivono in una circoscrizione pastorale più ampia”, i “ministri ordinati locali” vivono all’interno della loro comunità.

Così, i ministri ordinati locali sarebbero scelti direttamente dalla loro comunità e non sarebbe solo uno, ma un piccolo gruppo di due o tre. Inoltre, il servizio per la comunità sarebbe part-time. “Il modello non è la grande parrocchia, territoriale, anonima, totalmente centralizzata nel parroco, dove tutto dipende da lui”. Essi dovranno rispettare i seguenti criteri: essere uomini di comprovata fede e virtu’, competenti e rispettati all’interno di una particolare comunità.
Da www.farodiroma.it

venerdì 5 agosto 2016

Uomini che odiano le donne. 
E che, sempre più spesso, diventano assassini. È successo già 76 volte nel corso del 2016. Un vero e proprio bollettino di guerra che ha insanguinato l’ultimo decennio: 1.740 femminicidi secondo l’Eures. Una macabra contabilità della morte inferta, in molti casi, da un familiare o da un uomo con cui la vittima ha avuto una relazione. Come tragico atto conclusivo di un’inarrestabile escalation di violenza. Spinta fino alle più estreme conseguenze.
I dati dell’Istat, aggiornati a giugno 2015, parlano chiaro: 6 milioni 788 mila, ossia il 31,5% delle donne tra i 16 e i 70 anni (quasi una su tre), hanno subito nel corso della propria vita una violenza fisica (il 20,2%) o sessuale (il 21%). Nel 5,4% dei casi veri e propri stupri (652 mila donne) o tentati stupri (746 mila), il 62,7% dei quali commesso da un partner attuale o precedente. Ma non è tutto. Il 10,6% delle donne ha subìto violenze sessuali prima dei 16 anni. Mentre aumentano, in modo preoccupante, i bambini costretti loro malgrado ad assistere ad episodi di violenza sulla propria madre (dal 60,3% del 2006 al 65,2% del 2014). Sono loro le «vittime secondarie» dei femminicidi, scatenati nel 40,9% dei casi da un movente passionale: negli ultimi 15 anni, stando ai dati Eures, sono 1.628 i figli rimasti orfani spesso per mano dei loro stessi padri.
Significativi a questo proposito gli interventi dei due presidenti delle Camere.
«Le leggi ci sono e i centri antiviolenza devono tornare ad avere al più presto i finanziamenti necessari - scrive Laura Boldrini -. Ma intanto, mentre la strage prosegue, è importante rilanciare l’appello alle donne, perché denuncino senza esitazioni, senza una malriposta pietà, i loro compagni o ex compagni violenti: cambiarli è impossibile, bisogna fermarli per tempo».
E Piero Grasso su Facebook. «Da uomo fatico a spiegarmi cosa possa spingere ad usare una tale brutalità, a covare così tanto odio nascondendosi dietro presunti sentimenti quali l’amore o la disperazione. Niente di tutto questo: spero che non usino più, raccontando queste storie,
termini ambigui e giustificatori come raptus, gelosia, disagio, rifiuto. Sono solo squallidi criminali e schifosi assassini. C’è un grande lavoro da fare per sradicare i resti di una cultura maschilista e possessiva che ancora permea la nostra società. Stare insieme è una sfida quotidiana. Uomini e
donne non si appartengono, si scelgono ogni giorno. Liberamente».

IL LIBRAIO

Chi accumula libri accumula desideri; e chi ha molti desideri è molto giovane, anche a ottant’anni. (Ugo Ojetti)

UNA PUNTA DI AMAREZZA

La partecipazione per solidarietà di musulmani alla messa di domenica scorsa è un piccolo segno di speranza in questa estate terribile (a questo punto possiamo solo augurarci che la ricorderemo così, perché vorrà dire che le prossime non saranno peggiori); ma all’apprezzamento si accompagna anche una punta di amarezza, se pensiamo che un gesto analogo di solidarietà non è stato compiuto per gli ebrei (per lo meno, non in queste dimensioni). Certo, l’idea di ebrei e musulmani che si scambiano visite durante le preghiere determinerebbe infiniti problemi di sicurezza e proporla oggi in grandi numeri sarebbe poco realistico. Eppure sarebbe logico supporre che i musulmani si troverebbero più a loro agio in una sinagoga priva di immagini e con preghiere in una lingua che non dovrebbe suonare del tutto incomprensibile a chi conosce l’arabo. Per lo meno, questa è la sensazione che ho provato io nell’unica occasione che ho avuto di assistere a una preghiera del venerdì presso una moschea: parole non del tutto estranee in un luogo non del tutto estraneo. Sottolineo questo perché vorrei che l’amarezza potesse trasformarsi in una speranza per qualcosa che non è stato ma un giorno potrebbe essere. E se fosse potrebbe avere conseguenze davvero straordinarie.
È comunque triste che nessuno fuori dal mondo ebraico sembri averci pensato; come se fino a una settimana fa nessun luogo di culto in Europa fosse mai stato colpito e come se nessuno in Europa fosse mai stato ucciso per la propria religione. Come se tutte le violenze contro gli ebrei fossero solo l’appendice, capitata casualmente sul suolo europeo, di un conflitto mediorientale. Come se una sinagoga, una scuola ebraica, un supermercato kasher non fossero altro che ambasciate israeliane sotto mentite spoglie. In effetti ho l’impressione che dopo l’antisemitismo razzista degli ultimi due secoli (per non parlare del conflitto arabo-israeliano) si faccia un po’ troppa fatica a capire che gli ebrei sono colpiti (non solo, certo, ma anche) a causa della loro religione.
Anna Segre su "www.moked.it

martedì 2 agosto 2016

A PADRE JACQUES HAMEL

Vecchio fratello Jacques, immagino la pace di quel momento: il mattino di un giorno d'estate, la chiesa luminosa, alcune presenze familiari e silenziose, i riti così spesso visitati. Quel mattino, festa di Anna e Gioacchino! Hai appena detto, ancora una volta: “ecco il mio corpo, ecco il mio sangue!”. Hai fondato questo momento di pace sul sacrificio di Cristo, sulla tragedia della Croce, l'uccisione rituale da cui sorge la Pace. Due giorni prima, nel giorno di san Giacomo, avevi sentito la domanda: “Jacques, sei pronto a bere il calice che io sto per bere?” Improvvisamente, il sangue scorre sull'altare. È il tuo sangue? È il sangue di Cristo? Hai gridato? Hai pregato? Il tuo sangue si univa a quello di tanti innocenti uccisi. Il sangue di Abele ucciso da suo fratello. Il sangue che gridava al cielo, il sangue che grida vendetta, il sangue che eccita gli squali, il sangue che bagna i campi..., no, era il sangue uscito dal cuore strabordante d'amore del Crocifisso. Il giovanissimo fratello che ti taglia la gola, quella mattina è venuto, senza saperlo, ad offrire il sacrificio della messa di cui tu, con Gesù, sei il sacerdote e la vittima. La messa è finita, andate! Il silenzio è ripiombato sulla piccola chiesa. Che cosa dici tu, giovane assassino, anche tu entrato nella pace di Dio? Quel gesto ti ha svuotato di tutto l'odio che faceva esplodere il tuo cuore. Hai incrociato la sguardo di Jacques nel momento supremo? Il tuo sangue si è mescolato al sangue di Cristo. Vi sento, ora, tu e Jacques, ripetere, ad una voce, le parole di Gesù: non c'è amore più grande di chi dà la vita...
di Jacques Noyer, vescovo emerito di Amiens 
in “www.baptises.fr” del 1° agosto 2016 (traduzione: www.finesettimana.org) 

Proseguire sulla via del dialogo

di Comitato Promotore nazionale della Giornata ecumenica del dialogo cristiano-islamico

Comunicato stampa
Dal male, come può capitare, è nato il bene. La barbara uccisione di padre Jacques Hamel in una chiesetta della Normandia ha prodotto  un incontro tra fedeli cristiani e musulmani a livelli mai prima realizzati. Cristiani si sono recati nelle moschee francesi, musulmani sono andati nelle chiese cattoliche durante i rispettivi momenti di preghiera, il venerdì e la domenica. È successo anche in Italia. Un fatto mai accaduto prima come risposta a chi, con l'uccisione di padre Jacques, amico fraterno dei musulmani francesi, voleva portare acqua alla teoria della “guerra di religione” che sarebbe dietro la “terza guerra mondiale a pezzi” in corso dal 2001.
Gli autori del gesto criminale non potevano immaginare che, immediatamente, papa Francesco avrebbe smentito questa dottrina, affermando che la guerra non si sta combattendo per la religione ma è piuttosto una «guerra di interessi, per i soldi, per le risorse naturali, per il dominio dei popoli», concludendo poi che «tutte le religioni vogliono la pace». Dopo qualche giorno il presidente della Repubblica italiana Sergio Mattarella ha ripetuto le stesse parole di Papa Francesco.
Si tratta di una svolta senza precedenti. Ora, occorre continuare a rimanere uniti, respingere la strumentalizzazione delle religioni a fini bellici, e promuovere il più possibile iniziative comuni, per dare corpo a quanto accaduto venerdì 29 e domenica 31 luglio 2016.
Ciò che è successo in questi giorni costituisce un punto di non ritorno e rappresenta una solida base da cui ripartire. Dobbiamo proseguire negli incontri fra cristiani e musulmani e con tutte le religioni. La via della pace e del dialogo è tracciata. Percorriamola, con pazienza, ascoltandoci e aiutandoci reciprocamente.
L'odio che coloro che sostengono la teoria della “guerra di religione” hanno diffuso in Italia e in Europa contro i musulmani, non si cancellerà in poche settimane. Ma questo non deve impedirci di proseguire sulla via del dialogo, anzi deve moltiplicare i nostri sforzi. Nessuno deve convertire gli altri. Nessuno deve aver paura dell'incontro con gli altri. Tutti dobbiamo imparare a riconoscerci come esseri umani, fratelli e sorelle nell'umanità.
Come Comitato Promotore nazionale della Giornata ecumenica del dialogo cristiano-islamico, che da quindici anni lavora sul tema del dialogo e contro la “guerra di religione”, siamo impegnati a trovare le forme e i canali di dialogo giusti per evitare incomprensioni ed improvvisazioni che non aiutano a proseguire nelle relazioni cordiali tra cristiani e musulmani che noi stiamo costruendo da 15 anni a questa parte. Ci auguriamo che nelle prossime settimane si moltiplichino le iniziative anche in vista della quindicesima edizione della giornata, che si terrà in molte città italiane il prossimo 27 ottobre 2016, su “Misericordia, diritti: presupposti per un dialogo costruttivo”.
Con un fraterno saluto di pace, shalom, salaam

LE OSSERVAZIONI DI DON LILLO

Il 5-6 di Novembre 2016, il MOVIMENTO VOCATIO, che raccoglie le famiglie dei presbiteri cattolici che hanno lasciato il ministero per contrarre matrimonio, ha organizzato un convegno nella diocesi di Ascoli Piceno che – nella persona del suo Vescovo - si è resa disponibile ad ospitare tale incontro. Fra le varie voci interessate ho ascoltato con piacere quella di don Lillo. Di seguito trovate la sua riflessione e il mio ringraziamento,già riportate sul sito www.ildialogo.org.
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GRAZIE X LA SUA SINCERITA'
Mi ha veramente aperto il cuore leggere le parole di don Lillo Scaglia. Pensavo che una Chiesa così misericordiosa e dialogante non esistesse più. Io sono uno di quegli ex sacerdoti che in seguito ha esperimentato il divorzio perché l'altra diceva di amarmi ma non in quella mia parte eternamente sacerdotale. Forse ho sbagliato, forse non ero preparato o forse non esisteva alcuna altra possibilità. Purtroppo le cronache continuano a riaffermare il mio pensiero: in questa Chiesa non c'è e non si vuole trovare un posto per il sacerdote sposato. E' un vero peccato perché ha in sé una miniera di possibilità, di spiritualità, di amore e di carità. Non mi rimane che pregare e continuare a vivere in pienezza sacerdotale la mia attuale, intensa, formidabile e invidiabile vita d'amore con chi mi è accanto.
Grazie don Lillo e un abbraccio potentissimo,
AGOSTINO BONASSI.

UN SOGNO....

Ieri mattina sono andata alla messa di Santa Maria in Trastevere, a Roma. C’erano tre imam che hanno detto parole senza equivoci contro il terrorismo, e nell’omelia non è stato ricordato solo padre Jacques ma è stato letto un brano di uno dei monaci trappisti assassinati in Algeria nel 1996, Christian de Chergé. Quindicimila musulmani sono andati ieri nelle chiese italiane a partecipare alla messa, per abbattere gli odi e lottare contro il terrorismo. L’iniziativa, partita dalla Francia, ha attecchito anche in Italia e, lo leggo in quello che scriveva ieri su Moked David Bidussa, darà forse vita ad una ricorrenza annuale in memoria di padre Jacques con i luoghi di culto di tutte le religioni aperti ai fedeli delle altre religioni. È vero, sarà solo una formalità se non diventerà un’occasione di conoscenza, ma se invece lo diventerà sarà un grande passo in avanti che dobbiamo a quel vecchio prete assassinato mentre celebrava la messa. E allora ve lo dico il mio sogno. Di vedere chiese moschee e sinagoghe aperte a tutti, frequentate da tutti, credenti e non credenti. E le religioni, tutte, aprirsi all’amore e al rispetto, alla conoscenza dell’altro. E chi crede in Dio, e chi non vi crede, in qualsiasi modo vi creda, farne un gradino verso un mondo senza sangue e senza fanatismi. E sognarlo adesso, nel momento in cui il terrorismo compie i suoi misfatti più atroci, può forse aiutarci, tutti, a combattere il male. Questo pensavo ieri a Santa Maria in Trastevere, io ebrea, pensando a quel prete che non si era inginocchiato davanti ai suoi assassini.
Anna Foa, storica

GRAZIE!

Qualcuno l'ha definito il primo miracolo del martire padre Hamel.
Sicuramente fino ad oggi non si era assistito a nessun incontro ecumenico o interreligioso come si voglia chiamare dove il primo e unico messaggio non fosse quello universale : << uno solo è il Dio che cerca di relazionarsi all'uomo anche se molte e diversificate sono le risposte degli uomini.>>
Grazie fratelli cristiani e mussulmani, che il vostro gesto si allarghi a macchia d'olio a tutti gli uomini di buona volontà dove il senso religioso parla di pace, di amore e di comunione.
A.B.

lunedì 1 agosto 2016

Hans Urs Von Balthasar

<<Chi non vuole ascoltare prima Dio, non ha nulla da dire al mondo.>>

<<La fede vede solo ciò che è. Mentre lei [la speranza] vede ciò che sarà.>>

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