martedì 17 marzo 2020

Il decalogo delle piccole cose ai tempi del Coronavirus

1. Mettere ogni giorno da parte qualche bacio. Arriverà il momento.
2. Camminare nelle città di mattina presto. Nei paesi spopolati a tutte le ore.
3. Parlare ai bambini, ognuno di noi deve dire qualcosa ai bambini.
4. Accorgersi un poco di più degli alberi, è il momento di salutarli, di ringraziarli, fra poco arriveranno le foglie a renderci meno soli.
5. L’amore e la morte sono le uniche cose che ci riguardano veramente.
6. Considerare che molte delle cose che facevamo non erano necessarie.
7. Guardare il cielo. In questi giorni è più pulito.
8. Guardare gli spazi, ora si può capire meglio lo spazio della nostra città o del nostro paese. Che fortuna abbiamo ad avere dei luoghi che sono nostri, che nessuno ce li può togliere.
9. Credere che non ci ammaleremo grazie alla nostra prudenza e alla voglia di non turbare i nostri affetti e di non peggiorare la situazione sanitaria della nazione.
10. Avere pazienza, considerare che l’impazienza è un male capitale. Se questa storia finisce tra due mesi va bene, ma se finisce più tardi va bene lo stesso. Ci aspettano giorni bellissimi. Torneranno i miracoli.
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Scritto da Franco Arminio, poeta, documentarista e scrittore campano, salito alla ribalta per i suoi scritti sulla “paesologia”, un modo nuovo di guardare alle zone disabitate o ai piccoli paesi che lentamente e inesorabilmente si stanno spopolando a favore di agglomerati urbani più grandi e con maggiori opportunità di vita e di lavoro.

domenica 15 marzo 2020

DISTANTI PER SENTIRCI VICINI

Ci sono momenti in cui dare voce alla nostra angoscia diventa difficile. Non sappiamo che parole scegliere, né quale delle tante voci che ci abitano assecondare. Angoscia, solitudine, preoccupazione, ma anche voglia di uscire dalle nostre abitazioni e vivere, come se nulla fosse. Il poeta Franco Arminio, ci propone 10 esercizi di salute morale per affrontare l’emergenza da coronavirus: può essere un aiuto!
1.“Restare in casa, ognuno di noi porta dentro una casa che in questi giorni possiamo provare a sistemare, capire chi amiamo e chi non amiamo, sentire bisbigli di noi stessi che nel frastuono quotidiano non si riesce ad ascoltare".
2.“Se ti curi l’ipertensione ti fai un favore. Se non prendi il coronavirus fai un favore a te e agli altri. Oggi ammalarsi fa inciampare l’intera nazione. In un certo senso è un lusso che non possiamo permetterci. Oggi più che mai tutti i dolori degli altri sono anche nostri”.
3. “Lavati le mani, ma mentre te le lavi pensa a qualcosa di bello, non pensare che sei in pericolo più che in passato. Il virus è così piccolo che passa dai pori della porcellana. Noi non possiamo cancellare i nostri pori, non servono i cancelli al respiro, ma una prudenza gioiosa e millimetrica. Essere distanti non come punizione, ma come occasione per sentirci vicini più intensamente perché condividiamo lo stesso pericolo. Il filosofo ci insegna che quando il pericolo è più grande arriva ciò che salva”.
4.  “Invece di vedere una persona gli puoi scrivere una lettera, gli puoi telefonare. Non è il tempo dell’impazienza, l’impazienza in certi casi è letale. Non dobbiamo avere fretta di tornare alla vita normale, dobbiamo sentire passione per la vita che ci capita di fare adesso, sentire che c’è una bellezza dolente anche in queste giornate di grande sconforto e disagio collettivo”.
5. “È il tempo del rigore più che del divertimento. Il bene in certi casi è ingenuo, non conosce il male, non lo avvista. Il piacere in questi giorni è essere un diligente cittadino, il piacere è proteggere gli anziani e i malati”.
6. “Ricordati che ci sono grandi libri che non hai mai letto. Ora è il momento giusto”.
7. “Consolati col fatto che siccome non è consigliabile andare in ospedale il corpo ti aiuta e ti dispensa dai malanni più diffusi prima dell’arrivo del virus. È il momento di liberare in noi stessi la sensazione di essere fragili ma fortissimi. Si tratta di una forza provvisoria, un giorno finirà, ma adesso dobbiamo dare spazio alle grande forza che è in noi”.
8. “Anche nella peggiore delle ipotesi non sarà una catastrofe. E comunque impara a essere attento alle malattie delle altre creature viventi. Dovendo scegliere chi salvare tra noi e il mondo, oggi è il momento di scegliere il mondo. E solo questa scelta può salvare anche noi stessi”.
9. “Guarda la televisione non più di un’ora al giorno. In un mondo votato all'intrattenimento è difficile avere notizie giuste dal tragico: la tv rischia sempre, anche non volendo, di dirci troppo o troppo poco. In questi casi la principale fonte di informazione deve essere il nostro corpo, il nostro arrivare a sentire la connessione con il tutto”.
10. “Ciascuno di noi deve giustificare la propria salute, dobbiamo proprio sentire il dovere di stare bene, di mettere da parte il nostro sabotatore interno che ci spinge a comportamenti irresponsabili. Forse è il caso di parlare meno e chiedere anche agli altri di parlare di meno. Non è che abbiamo tanto da dirci e non si spiega il fatto che parliamo tanto. Aprire la bocca apre la strada al virus. Il silenzio è importante come il lavarsi le mani, ma non ce lo ha consigliato nessuno”.

sabato 14 marzo 2020

LA PAROLA

Alla fine è arrivata anche nel nostro dizionario quotidiano : "pandemia". L’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) ha dichiarato il Coronavirus pandemia. Una parola da non usare con leggerezza o disattenzione. Alla luce dell’aumento del numero di casi di COVID-19 al di fuori della Cina e alla diffusione rapida su scala mondiale, ogni Paese è tenuto a rispondere mettendo in atto dei piani pandemici per gestire ospedali e terapie. Ma cos’è una pandemia? In cosa si differenzia rispetto alla parola epidemia?
La parola “pandemia” deriva dal greco pan-demos, che significa “tutta la popolazione”. Demos significa la popolazione, pan significa tutti. “Pandemos” è quindi un concetto secondo cui un’infezione si espande rapidamente diffondendosi in più aree geografiche del mondo, coinvolgendo numerose persone. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, le condizioni affinché si possa verificare una vera e propria pandemia sono tre: la comparsa di un nuovo agente patogeno; la capacità di tale agente di colpire gli umani; la capacità di tale agente di diffondersi rapidamente per contagio. Dall’11 marzo 2020, il Coronavirus è diventato la prima epidemia ad essere dichiarata pandemia dall’OMS.
Pandemia non va confusa con epidemia. Derivato dal greco ἐπί + δήμος (lett.: sopra il popolo, sopra le persone) la parola epidemia indica il diffondersi di una malattia, in genere una malattia infettiva, che colpisce quasi simultaneamente una collettività di individui, ovvero una data popolazione umana, con una ben delimitata diffusione nello spazio e nel tempo, avente la stessa origine. Quando l’epidemia si diffonde ad altri paesi o continenti e colpisce un numero considerevole di persone, viene più correttamente definita con il termine di pandemia.

venerdì 13 marzo 2020

TEMPO DI RIFLESSIONE

A qualche cosa dovrà pur servire questa pausa epidemica, se non vorremo pensare, a posteriori, che per un certo periodo di tempo la nostra vita si sia fermata per far spazio al nulla.
Chiusi in casa, si riflette se si sia sufficienti a sé stessi, se con sé stessi si riesca a convivere soddisfatti, guardandosi dentro senza sentire il vuoto e il silenzio. È una bella occasione, questa, se ci si vuole almeno consolare dell’obbligata sospensione, per fare con se stessi un bilancio e interrogarsi sulla necessità del nostro quotidiano, sulla futilità delle nostre abituali preoccupazioni, quando tutto, in un istante imprevisto, sembra andare in frantumi irrecuperabili. Fortuna, prestigio, relazioni, tutto passa all’improvviso in secondo piano. Ogni pressante impegno si ridimensiona in una prospettiva che mai ci saremmo aspettati di dover concepire. E ti scopri ad ascoltare voci che non ti sei mai attardato ad ascoltare, a vedere cose cui mai hai prestato la giusta attenzione, e ad ammirare cieli di cui mai ti eri accorto prima. Ti accorgi che, per quanta vita tu abbia vissuto, non è finito il tempo delle scoperte. E, nello sconcerto del terragno mistero che circonda l’imminente futuro, ci si sorprende rapiti a guardare indietro, concentrati sul percorso fatto fin qui. Magari anche per ripensare alla ‘road not taken’, la strada che a suo tempo si è scelto di non prendere, per il bene o per il male.
E stupisce vedere chi denuncia lo scandalo di teatri e musei chiusi, delle borse a picco, del commercio in crisi, dei limiti imposti alla libera circolazione, quando la catastrofe sta minacciando l’esistenza dell’umanità. Come se anche di fronte al disastro prevalesse la cecità egoista dell’interesse privato.
Attoniti di fronte alle reazioni inattese, ansiosi di rivedere gli amici la cui compagnia mai prima avevi sentito così essenziale, cerchi conforto e sapore in qualche libro trascurato, e nelle musiche che fanno da colonna sonora alla tua vita, per accorgerti che la sesta di Bruckner (magari con Wand sul podio) non è musica da ascoltare in sottofondo. L’inestimabile qualità dell’attimo, ‘l’ineluttabile modalità dell’udibile’.
Mentre la borsa crolla, si investe tempo in riflessioni e bilanci. In attesa di riprendere il percorso d’un tratto interrotto come se nulla fosse mai accaduto. Senza rimpianti né pentimenti. Concentrati sul fulgido e prestigioso futuro che ci aspetta. Smemorati, come per diritto acquisito.
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Dario Calimani, Università di Venezia. da www.moked.it

giovedì 12 marzo 2020

ASCOLTO

Quando parliamo del virus non stiamo parlando del virus, che è appena un pallino infinitesimo e
fragile, molto più mortale di noi, e destinato allo sterminio grazie al vaccino. Quando parliamo del
virus stiamo parlando di noi.
Nostri sono gli errori di sottovalutazione (i miei per primi, dieci giorni fa ho scritto cose che oggi
non riscriverei), nostra l’angoscia, nostro l’orgoglio della scienza, nostra la speranza. Prima tra tutte
la speranza, in questi giorni bene avvertibile nelle conversazioni e negli sguardi, che la mazzata ci
renda un poco più umili. Che equivale a dire un poco più intelligenti ( intus legere: leggere dentro).
Quello che sto cercando di dirvi lo dice benissimo, molto meglio di come avrei mai saputo fare,
Mariangela Gualtieri, che è una poetessa, quasi mia coetanea. L’Amaca di oggi è la sua poesia,
"Nove marzo duemilaventi", che potete leggere con un clic sulla rivista on line Doppiozero. Vorrei
rubargliela ed è quello che sto facendo, la pubblicherei per intero se lo spazio mi bastasse.
A cosa serve la poesia, in un momento nel quale tutti cerchiamo salvezza nella scienza? Serve a
portare alla luce quello che non riusciamo a vedere – solamente a intuire – dentro di noi. Il poeta
usa la parola come il virologo il microscopio, mette a fuoco l’invisibile. In questi giorni parliamo
molto, nelle case, al telefono. Ne abbiamo il tempo e perfino la voglia. Parliamo con la voce bassa
di chi ha perduto qualche certezza e guadagnato, per adesso, solo qualche incertezza. È la voce
bassa di chi si sta finalmente mettendo in ascolto.
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Michele Serra

mercoledì 11 marzo 2020

DIFFICOLTA' E OPPORTUNITA'

Il filosofo Giambattista Vico diceva in uno dei suoi scritti: " Paiono traversie ma sono opportunità".
A noi oggi tutto sembra difficile, impossibile e drammatico. 
E se ci mettessimo un pizzico di ottimismo? 
Parafrasiamo il Vico e diciamo : " Paiono traversie, ma noi sapremo trasformarle in opportunità!" 

NOVE MARZO DUEMILAVENTI

Questo ti voglio dire
ci dovevamo fermare.
Lo sapevamo. Lo sentivamo tutti
ch’era troppo furioso
il nostro fare. Stare dentro le cose.
Tutti fuori di noi.
Agitare ogni ora – farla fruttare.

Ci dovevamo fermare
e non ci riuscivamo.
Andava fatto insieme.
Rallentare la corsa.
Ma non ci riuscivamo.
Non c’era sforzo umano
che ci potesse bloccare.

E poiché questo
era desiderio tacito comune
come un inconscio volere -
forse la specie nostra ha ubbidito
slacciato le catene che tengono blindato
il nostro seme. Aperto
le fessure più segrete
e fatto entrare.
Forse per questo dopo c’è stato un salto
di specie – dal pipistrello a noi.
Qualcosa in noi ha voluto spalancare.
Forse, non so.

Adesso siamo a casa.

È portentoso quello che succede.
E c’è dell’oro, credo, in questo tempo strano.
Forse ci sono doni.
Pepite d’oro per noi. Se ci aiutiamo.
C’è un molto forte richiamo
della specie ora e come specie adesso
deve pensarsi ognuno. Un comune destino
ci tiene qui. Lo sapevamo. Ma non troppo bene.
O tutti quanti o nessuno.

È potente la terra. Viva per davvero.
Io la sento pensante d’un pensiero
che noi non conosciamo.
E quello che succede? Consideriamo
se non sia lei che muove.
Se la legge che tiene ben guidato
l’universo intero, se quanto accade mi chiedo
non sia piena espressione di quella legge
che governa anche noi – proprio come
ogni stella – ogni particella di cosmo.

Se la materia oscura fosse questo
tenersi insieme di tutto in un ardore
di vita, con la spazzina morte che viene
a equilibrare ogni specie.
Tenerla dentro la misura sua, al posto suo,
guidata. Non siamo noi
che abbiamo fatto il cielo.

Una voce imponente, senza parola
ci dice ora di stare a casa, come bambini
che l’hanno fatta grossa, senza sapere cosa,
e non avranno baci, non saranno abbracciati.
Ognuno dentro una frenata
che ci riporta indietro, forse nelle lentezze
delle antiche antenate, delle madri.

Guardare di più il cielo,
tingere d’ocra un morto. Fare per la prima volta
il pane. Guardare bene una faccia. Cantare
piano piano perché un bambino dorma. Per la prima volta
stringere con la mano un’altra mano
sentire forte l’intesa. Che siamo insieme.
Un organismo solo. Tutta la specie
la portiamo in noi. Dentro noi la salviamo.

A quella stretta
di un palmo col palmo di qualcuno
a quel semplice atto che ci è interdetto ora -
noi torneremo con una comprensione dilatata.
Saremo qui, più attenti credo. Più delicata
la nostra mano starà dentro il fare della vita.
Adesso lo sappiamo quanto è triste
stare lontani un metro.
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di Mariangela Gualtieri
in “Doppiozero” del 9 marzo 2020

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