mercoledì 20 dicembre 2023

Preghiera per un Natale di pace e nonviolenza

Il testo che segue è stato scritto da un gruppo di evangelici (battisti, Esercito della Salvezza, luterani, metodisti e valdesi) e di cattolici per la pace, e al momento è stato firmato da 58 persone e sottoscritto dal Concistoro della chiesa valdese di Torre Pellice, dalla Rete delle donne luterane, dalla Federazione Donne evangeliche in Italia e dalla Chiesa luterana in Italia.

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Care pastore e pastori delle chiese battiste, metodiste e valdesi,

Care sorelle e fratelli, amiche e amici,

Spaventati ed addolorati per le terribili conseguenze del conflitto mediorientale, alcuni di noi evangelici e cattolici per la pace, nell’avvicinarsi del Natale abbiamo ritenuto importante proporre alle nostre comunità di fede una iniziativa comune che sia segno di vicinanza a quanti stanno soffrendo e di speranza per la costruzione di una pace possibile.

Invitiamo quindi tutti coloro che lo vorranno a unire le loro voci in una preghiera comune da pronunciare durante le celebrazioni del prossimo Natale.
A questo scopo alleghiamo la preghiera che vi proponiamo, confidando che questo piccolo gesto comunitario possa essere un segno della nostra comune fiducia in un futuro pacificato.

Auguriamo a tutte e tutti buon Natale.

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Preghiera per un Natale di pace e nonviolenza

In questo giorno di Natale, Ti preghiamo perché in Medio Oriente sia raggiunta una convivenza possibile che veda israeliani e palestinesi vivere insieme, nella giustizia e nel rispetto dei reciproci diritti.

Ti preghiamo in particolare, o Signore, per le nostre sorelle e i nostri fratelli ebrei, per quelli che vivono in Israele, e per quanti vivono in Italia e nella diaspora. Nel momento in cui sono chiamati a decidere del loro futuro, Ti chiediamo di liberare i loro cuori dalla paura e dalla disperazione.

Ti preghiamo e affidiamo alla tua misericordia le nostre sorelle, i fratelli, le bambine e i bambini palestinesi e Ti chiediamo di guidare e sostenere tutti coloro che hanno il potere di decidere, affinché fermino morti e distruzioni.

Dai a tutti e a tutte la fiducia necessaria a percorrere la via del dialogo, della riconciliazione, della non violenza.

A tutti dona la pace. AMEN

martedì 19 dicembre 2023

“L’albero di Natale” di Nazim Hikmet: la poesia di buone feste dedicata a chi soffre la mancanza

Il Natale, prima o poi, ha la forma delle nostre mancanze. Lo dice bene Nazim Hikmet in questa poesia malinconica, “L'albero di Natale”, ispirata dalla visione di un abete adornato a festa nella piazza di Tallin, in Estonia, nel Natale del 1961.

A sud del golfo di Finlandia la notte

vicino al mare brumoso

l’albero di Natale scintilla
tra oscure torri gotiche
corazze di cavalieri teutoni
e ciminiere di fabbriche
l’albero di Natale
l’albero di Natale canta
sulla piazza bianca di neve
canzoni dell’Estonia
lunghissimo scintillante
pagliuzzato d’oro
l’albero di Natale
tu sei nella palla di vetro rosso
i tuoi capelli son paglia gialla le ciglia azzurre
sono io che l’ho appesa
mettendotici dentro
il tuo collo bianco è lungo e rotondo
ti ho messa nella palla di vetro rosso
con i miei dubbi
con le mie ansietà con le mie parole
le mie speranze le mie carezze
a tutti gli alberi di Natale a tutti gli alberi
a tutti i balconi le finestre i chiodi le nostalgie
ho appeso la palla di vetro rosso
mettendotici dentro
perdonami,
moriro lì.

L’Estonia è lo stato socialista più piccolo
il paese dove si leggono più poesie a testa
dove si beve più vodka
il più pieno di automobili e motociclette
celebre per le sue pellicce e i suoi mobili
per il suo coro di trentamila persone

non posso guardare negli occhi chi giace
sul suo letto di morte
mi sembra una vergogna vivere
con uno che agonizza
al mio fianco
Lucia sta morendo in un ospedale di Mosca
Viale degli Entusiasti
non so più che numero
il suo viso somiglia a un vecchio cucchiaio di legno
il buio della sera si mescola
alla neve che fonde
i camion passano uno dietro l’altro
scuotendo l’asfalto
è la tristezza che emana Lucia
che mi fa corrugare la fronte
oppure è l’avvicinarsi
della mia propria morte non so

l’albero di Natale canta
su una piazza bianca di neve
canzoni dell’Estonia
lunghissimo scintillante
pagliuzzato d’oro
perdonami
morirò lasciandoti nella palla di vetro rosso
in questo mondo vive una cosa unica
che non ha pari
me ne accorgo io soltanto
forse una pianta una bestia una parola un metallo
un raggio una gioia forse
forse caduta da una stella
in questo mondo vive una cosa vive per te
ma tu non te ne accorgi
morirò perdonami morirò
e tu uscirai spezzandola
dalla palla di vetro rosso
scenderai su una piazza
bianca di neve
sarà forse a Mosca o a Tallin
o a Leningrado
che da un albero di Natale
scenderai su una piazza
bianca di neve
ma io
avrò portato via con me
ciò che vive per te in questo mondo

Lucia muore
il viso come un vecchio cucchiaio di legno
è assurdo quelli che dovrebbero
morire dopo di me
muoiono prima di me
dopo le grandi guerre la morte ha perso la testa
completamente
i camion passano scuotendo l’asfalto
del Viale degli Entusiasti
sui manifesti le cifre dell’anno ’65
carbone tante tonnellate
petrolio tanto
tessuti tanti chilometri
su una piazza bianca di neve
l’albero di Natale canta
canzoni dell’Estonia
tra oscure torri gotiche
e ciminiere di fabbriche.

(Traduzione di Joyce Lussu)

domenica 26 novembre 2023

DUE LETTURE PER LA "GIORNATA CONTRO LA VIOLENZA SULLE DONNE"

Due letture che ci dimostrano perché ogni giorno dovrebbe essere la "giornatacontrolaviolenzasulledonne". Oggi e sempre. 

📕“Prigioniere” 

      di Amina Sboui









📕“La strada di casa” 

       di Sejal Badani




mercoledì 22 novembre 2023

NON TROVO MOLTE PAROLE ...

Ti proteggerò dalle paure delle ipocondrie

Dai turbamenti che da oggi incontrerai per la tua via

Dalle ingiustizie e dagli inganni del tuo tempo

Dai fallimenti che per tua natura normalmente attirerai

Ti solleverò dai dolori e dai tuoi sbalzi d'umore

Dalle ossessioni delle tue manie

Supererò le correnti gravitazionali

Lo spazio e la luce per non farti invecchiare

E guarirai da tutte le malattie

Perché sei un essere speciale

Ed io, avrò cura di te

Vagavo per i campi del Tennessee

Come vi ero arrivato, chissà

Non hai fiori bianchi per me?

Più veloci di aquile i miei sogni

Attraversano il mare

Ti porterò soprattutto il silenzio e la pazienza

Percorreremo assieme le vie che portano all'essenza

I profumi d'amore inebrieranno i nostri corpi

La bonaccia d'agosto non calmerà i nostri sensi

Tesserò i tuoi capelli come trame di un canto

Conosco le leggi del mondo, e te ne farò dono

Supererò le correnti gravitazionali

Lo spazio e la luce per non farti invecchiare

Ti salverò da ogni malinconia

Perché sei un essere speciale

Ed io avrò cura di te

Io sì, che avrò cura di te

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Francesco Battiato - LA CURA

lunedì 6 novembre 2023

TROVEREMO UNA SOLUZIONE?

<<Faremo del nostro meglio. Tu sarai la nomade, io sarò il sedentario. Tu mi porterai frutti magici da terre lontane, io coltiverò arance per te nel giardino dietro casa. Troveremo un equilibrio.>>

Elif Shafak


sabato 28 ottobre 2023

RIFLESSIONI DI PACE

Ecco una proposta suggerita da Savino Pezzotta (ad un Convegno che ricordava don Milani): “Invece di chiederci – di fronte ai drammi della guerra in Ucraina e Palestina/Israele –con chi stiamo ci si dovrebbe mobilitare tutti per la Pace e  essere contro ogni forza fisica, morale e psicologica che cerca  di limitare la nostra libertà e mettere paletti di contenimento alla finta e ipocrita  razionalità che giustifica, perché alla guerra e alla violenza non ci sono ragioni che tengono”. Mobilitarsi per la pace, senza dimenticare aggressori e violenti e senza lasciare che gli inermi vengano massacrati, cominciare a ribaltare i ragionamenti e ripartire da parole di disarmo e di pace. Lo so, in mezzo a decapitati a ostaggi innocenti a civili uccisi a freddo, a ospedali distrutti, sembra pura utopia, inutile utopia. Ma dovremo pur iniziare!

Dovremo anche meditare sulle considerazioni di Giuseppe Davicino su Rinascita Popolare: “Anche se viviamo in una società dove alla fine sulle cose che contano per i cittadini e per gli Stati, prevale sempre un unico punto di vista, che in ultima analisi pare riconducibile agli interessi di una cerchia di oligarchi occidentali, dovremo in futuro abituarci ad ascoltare opinioni e narrazioni che differiscono dalle nostre, [..] Se non si riconosce il nuovo assetto multipolare globale, a Israele, come anche a tutto il resto dell’Occidente, non rimane che la via dell’arroccamento, dello scontro, della guerra a oltranza su fronti che si moltiplicano. Non possiamo rassegnarci al fatto che il passaggio dall’ordine mondiale sorto in seguito alla Seconda guerra mondiale al nuovo ordine multipolare avvenga attraverso la guerra, anche se la tentazione serpeggia negli ambienti che vedono nella guerra l’ultima possibilità per fermare il declino del vecchio ordine. Se in questi tempi nuovi c’è una missione, [..]  anche per il nostro Paese e per l’Europa, essa sembra consistere primariamente proprio nel riuscire a imprimere un carattere di moderazione e di dialogo nelle relazioni internazionali, volto a chiudere i troppi fronti di guerra in corso (prima che ne veniamo travolti) e a rilanciare su nuove basi le relazioni con l’Est, con i popoli dell’Asia e quelli dell’Africa”. Sono un invito a cambiare profondamente, anche nell’opinione pubblica oltre che nei decisori a livello di Governi e di agenzie internazionali, mentalità e prospettive. La democrazia non la si può esportare né con le armi né con i ricatti o sfruttamenti economici.

sabato 21 ottobre 2023

Preghiera sulla pace di Madre Teresa di Calcutta

O Signore,

c’è una guerra

e io non possiedo parole.

Tutto quello che posso fare

è usare le parole

di Francesco d’Assisi.

E mentre prego

questa antica preghiera

io so che, ancora una volta,

tu trasformerai la guerra in pace

e l’odio in amore.

Dacci la pace,

o Signore,

e fa’ che le armi siano inutili

in questo mondo meraviglioso.

Amen.

lunedì 9 ottobre 2023

“Davvero ancora verranno giorni” di Lea Goldberg

 Quando la violenza imperversa, l'odio prendo d'assalto l'animo umano e la guerra spezza l'umano di questa nostra terra, è difficile trovare parole adatte alla situazione ed alle persone. Mi è ormai impossibile capire chi è nel giusto e chi nel torto. Ogni guerra si è rivelata l'incarnazione e l'espressione più elevata del male. In questi momenti la parola che può salvare l'umano - pace - viene cancellata, ma qualcuno l'ha soltanto accantonata e riposta nel profondo del suo cuore perché risorga appena possibile.

A lenire questa drammatica escalation di violenza e di terrore ho trovato le parole di una poetessa, Lea Goldberg, scritta nel 1943, mentre in Europa imperversava la Seconda guerra mondiale e si inaspriva la folle persecuzione contro gli ebrei. Davvero verranno giorni ci assicura la poetessa, immaginando una rinascita dopo la catastrofe.  Poiché l’umanità è dove c’è amore. Ed è questo il miracolo della vita che in queste parole la poetessa israeliana ci fa sentire palpitante e vitale, più forte delle bombe e della morte, la vita è là dove “è permesso, permesso amare”.

Davvero verranno ancora giorni di perdono e di grazia
e camminerai nel campo come l’ingenuo viandante

La pianta dei tuoi piedi nudi accarezzerà i fili d’erba,
e le sommità delle spighe ti pungeranno, e la loro puntura sarà dolce,
oppure la pioggia ti sorprenderà, con la massa battente delle sue gocce
sulle spalle, sul petto, sul collo e ti rinfrescherà il capo.

Davvero camminerai ancora nei campi e la quiete si diffonderà in te,
respirerai il profumo del solco trovando pace a ogni respiro
vedrai il sole nello specchio della pozza dorata
le cose e la vita saranno semplici e sarà permesso toccarle
e sarà permesso, permesso, permesso amare

Camminerai nei campi da sola,
non ti brucerai nella vampa degli incendi,
in strade indurite dal terrore e dal sangue.
E con cuore sincero sarai di nuovo umile e docile
come un filo d’erba, come un essere umano,
cui è permesso, permesso amare.

lunedì 2 ottobre 2023

CANCELLIAMO DAL VOCABOLARIO LA PAROLA "RAZZA"

Non so se anche a voi sia capitato di ascoltare frasi o discorsi dove il tema principale è cosa fare di tutti questi immigrati che invadono la nostra terra, a rischio e pericolo che si possa smarrire la nostra identità di popolo italiano: ”imbastardiscono la nostra razza!”. No, non è una frase volgare e non rivela alcuna parolaccia, ma “razza” è peggio di una parolaccia, è un errata interpretazione dell’umanità che ha prevalso per più di un secolo portando infinite ingiustizie, sopraffazioni, morti, fino all’idea di razza ariana fatta propria dai nazisti e allo sterminio nei campi della ‘razza’ ebraica. ‘Razza’ non è una parolaccia, ma è un termine che dovrebbe essere cancellato dal nostro dizionario. E se provassimo a togliere questo termine dal nostro dizionario?
Se bastasse cancellare una parola, per cancellare il reale!
Di razza non si dovrebbe più parlare, perché facendolo, si argomenta, si ammette che esistano le razze, e quindi si alimenta la possibilità di distinguere fra razza e razza, e di decretare la superiorità di una razza sull’altra.
Dunque, se cancellando la parola ‘razza’ mi illudo di por fine al razzismo, allora cancellando la parola ‘morte’ cancello la morte, e cancellando la parola ‘odio’ impedisco alla gente di odiare, e cancellando la parola ‘genere’ impedisco a chiunque di fare distinzioni e discriminazioni fra i generi. Purtroppo, e non occorre essere esperti o professori del linguaggio per saperlo, non è il linguaggio che crea la realtà (a parte nella fantascienza), ma è l’inverso: è la realtà che, alla ricerca di definizione, produce il linguaggio. Esistono le parole perché esistono i concetti che si vogliono esprimere, ed esistono i concetti perché esiste l’oggetto, il referente reale o pensato.
Quindi, il fatto che esista un significante (razza) che esprime un significato (il concetto che esistano razze diverse) non determina affatto l’esistenza in sé delle razze (vera o falsa che sia). La parola è solo una conseguenza del reale, non ne è la causa. Il linguaggio è sempre innocente. I colpevoli siamo noi che lo usiamo e lo manipoliamo e lo strumentalizziamo. 
Il problema non è nel termine ma dunque nell'idea che l'uomo ha costruito, maturato e quindi sedimentato nella sua mente. È la mente umana che avrebbe bisogno di una ripulita, non la costituzione italiana o il vocabolario della lingua italiana. Se anche si abolisse l’uso della parola ‘razza’, ci sarebbe sempre un modo di sostituirla con un altro termine affine, visto che rimarrebbero le differenze fra il bianco e il nero, il giallo e il mulatto, lo zingaro e l’ebreo, il cristiano e il musulmano, l’eterosessuale e l’omosessuale. È al pregiudizio sulle diversità che si dovrebbe porre fine, se volessimo ritenerci degni dell’umanità cui apparteniamo.
Prima di cambiare il linguaggio, dunque, dobbiamo preoccuparci di come va cambiata la realtà, magari con l’educazione al rispetto dell’altro, con la lotta convinta alle bugie dei social che deformano l’immagine del prossimo per diffamarlo, con la censura e la condanna di quei personaggi che sulle differenze e sull’odio costruiscono la propria fortuna.

martedì 26 settembre 2023

IL KINTSUKUROI

Non sempre la nostra vita ha un percorso lineare e sereno. Spesso la via è lastricata di difficoltà, di impedimenti, di improvvise deviazioni, di assurde situazioni, di complicate rotture. E poi che succede? Si raccolgono i cocci, li si rimette insieme e … si riparte. E se le ferite sono troppe e non si rimarginano? Se non riusciamo a ricucire, a curare, a … riparare?
Esiste un'antica arte giapponese del riparare le ceramiche frantumate chiamata il kintsukuroi. Quando un vaso va in mille pezzi, i maestri artigiani del kintsukuroi ne raccolgono i frammenti e li saldano, riempiendo le crepe sottili con pasta d'oro o d'argento. Non nascondono le fratture, ma le esaltano, poiché considerano che un vaso riparato mostri tanto la fragilità quanto la forza di resistere. In questo sta la vera bellezza. Insomma è l'arte del “ ricomporre ciò che è rotto”.
Ma quando qualcosa si rompe, si spezza e va in frantumi, è più utile riparare o ricomporre? E a volte succede pure che i pezzi da ricomporre non sono neppure pochi.
E poi non è un'azione semplicissima, perché occorre mettere in campo tutta la nostra capacità, fatta di praticità, di esperienza e di coraggio. Già, perché ricomporre comporta il rischio che tutto possa rompersi di nuovo.
Ma poi è quasi più facile buttare tutto nel cestino. Questa nostra società dell'usa e getta ci ha insegnato che è più facile e meno costoso eliminare ciò che è rotto e non serve più, per poi acquistare qualcosa di nuovo, sicuramente più produttivo, più tecnologico e con un design moderno e al passo con i tempi.
Non sono però solo gli oggetti, gli ornamenti, le strutture, gli strumenti che possono rompersi. Ci sono anche le fratture dentro di noi. Chi e con che cosa guariranno o potranno essere riparate le nostre ferite emozionali? E' possibile applicare l'arte del kintsukuroi al nostro cuore, alla nostra interiorità spezzata o frantumata? Con che cosa riempirò quegli spazi vuoti?
Forse basterebbe cercare su internet l'indirizzo di qualche professionista. Io, molto semplicemente ho raccolto queste possibili 15 azioni :
1. Non fuggire dalle avversità
2. Non isolarsi 
3. Non rassegnarsi all'impotenza 
4. L'avversità presuppone un cambiamento 
5. Pensare di avere di fronte una sfida 
6. Concentrare l'attenzione sul lungo periodo 
7. Indirizzare l'energia sul breve periodo 
8. Cambiare ciò che si può, accettare il resto 
9. Analizzare il dialogo interiore 
10. Trasmettere serenità a chi ci sta attorno
11. Prendere personalmente le varie decisioni, cioè agire in prima persona
12. Coltivare l'ottimismo e la resilienza
13. Considerare l'avversità come un'opportunità per cambiare la propria vita 
14. Trovare una valvola di sfogo per le numerose nostre emozioni 
15. Non correre rischi inutili, ma valutare con attenzione le decisioni da prendere 
… e buona ripartenza!

mercoledì 20 settembre 2023

LA LEZIONE DI LAMPEDUSA

Nei giorni scorsi gli abitanti di Lampedusa hanno dato al mondo una lezione di solidarietà e di accoglienza aprendo le loro porte, dando da mangiare e ospitando nelle loro case gli immigrati che continuano a sbarcare sulla loro isola. Non hanno perso tempo con discorsi politici o di profonda riflessione, ma si sono chiesti subito : “ Di cosa hanno bisogno queste persone? “ e così mentre in Europa si rafforzavano le misure contro questa “nuova invasione”, a Lampedusa  e in molti altri angoli d'Italia “si aggiungeva un posto a tavola”. 
A pensarci bene tutti noi siamo immigrati. Già perché nessuno di noi era in questo mondo ma il giorno della nostra nascita siamo subito stati accolti senza troppi ma o perché, anzi nonostante fossimo bisognosi di tutto, tutta la famiglia era lì ad attenderci, a mostrarci che c'era un posto per noi e che già eravamo uno di loro! 
Allora entriamo nella consapevolezza che ciascuno di noi è lui stesso un ospite dell'umanità. In fondo i Lampedusani, che da sempre meritano il Nobel per la Pace o come i famosi striscioni “Santi Subito!”, hanno, come dice Enzo Bianchi su La Repubblica del 18/9/2023, risposto alla vocazione profonda dell'uomo: la mia umanità si completa e si realizza quando accolgo l'umanità dell'altro. E poco importa se appartiene a un’altra etnia, a un’altra fede, a un’altra cultura: è un essere umano, e questo deve bastare affinché noi lo accogliamo. 
«Contenere il fenomeno delle migrazioni con un’operazione militare è come pensare di fermare un uragano con le mani» racconta Juan Matìas Gil, capomissione Sar di Medici senza frontiere, lui che ha alle spalle decine di interventi in mare, con migliaia di vite messe in salvo. «Queste misure sono uno slogan» ripete più volte Gil. Perché? Perché l’approccio militare alle migrazioni può servire per tenere alto il consenso dei governi, ma è semplicemente la ripetizione di cose già fallite in passato. Si trascurano le cause dei flussi migratori e si pensa che con interventi a valle, che si sono peraltro già dimostrati inefficaci, si possano risolvere i problemi. Invece, occorre capire che i profughi in partenza dal nord Africa sono disposti a tutto, non hanno nulla da perdere.  
Non siamo di fronte all'invasione di potenziali nemici, ma alla necessità di comprendere il valore dell'ospitalità come grado di civiltà della nostra nazione, perché la loro presenza  allarga i nostri orizzonti e dilata il nostro cuore fino ad abbracciare gli estremi confini del mondo.
Nei prossimi giorni in occasione della commemorazione del decennale del naufragio del 3 ottobre, si inaugura a Milano, presso il Memoriale della Shoah, una mostra, «La memoria degli oggetti. Lampedusa, 3 ottobre 2013. Dieci anni dopo», in cui vengono esposti gli oggetti rinvenuti sui corpi dei naufraghi. Una bussola, una macchinina rossa, una boccetta di profumo, uno specchietto, un telefono cellulare. La forza di quegli oggetti è che ci costringono a riconoscere che la nostra vita è piena delle stesse cose... Dare dignità a quegli oggetti significa fare un passo verso la costruzione di una memoria condivisa, una memoria comune, quella degli esseri umani. 

domenica 17 settembre 2023

AMARE O ESSERE AMATI ?

" Forse non siamo capaci di amare proprio perché desideriamo essere amati, vale a dire vogliamo qualcosa (l'amore) dall'altro, invece di avvicinarci a lui senza pretese e volere solo la sua semplice presenza. "


-- Milan Kundera

giovedì 14 settembre 2023

CANI E GATTI RUBANO IL POSTO ALLE CULLE ?

Da un po' di tempo Papa Francesco ha continuato, a più riprese, a sottolineare il “dovere” di ogni coppia formata da uomo e donna e unita nel Sacramento del Matrimonio di mettere al mondo dei figli: avere dei figli è, per il Papa, la più piena espressione della vita di una persona. Secondo il Pontefice, sono sempre di più le coppie che scelgono di non avere figli o che si limitano ad avere un figlio solo: questa sarebbe una negazione di maternità e di paternità e, di conseguenza, una privazione del nostro essere umani.
Francesco si è rivolto anche alle tante coppie che non hanno figli perché non riescono ad averne: a loro ha rivolto un invito ad avere il coraggio dell’accoglienza e ad adottare bambini che hanno bisogno di una famiglia, di una casa, di un po’ di amore; alle istituzioni, invece, ha lanciato un appello affinché l’iter per le adozioni diventi sempre più facile e veloce.
Ma il discorso del Papa non si è limitato all’importanza di mettere al mondo dei figli in questa società sempre più “orfana” e “governata dall’egoismo”: Francesco ha infatti puntato il dito contro chi ha in casa cani, gatti o altri animali domestici e, stando al suo pensiero, li preferirebbe ai figli – scegliendo magari di non avere figli (o di averne uno solo) e destinando amore ed attenzioni a cani e gatti.
In questi caldi giorni d'estate la RAI ha continuato a mandare lo spot che chi abbandona una animale compie un reato. Il Papa non sarà stato aggiornato su questo aspetto della Legge Italiana! E poi credo che sia completamente sbagliato contrapporre figli e animali, perché è vero che cani e gatti non sono come i figli, ma sono al pari destinatari di molto amore, anche se di tipo diverso. Questa è una colpa? Amare gli animali? Non esclude certo l’amore per i bambini!
Ci sono molte ragioni che spingono una coppia che si ama a scegliere di non avere figli e certamente la compagnia di un animale domestico non rientra fra queste: oltre a motivi fisiologici e all’impossibilità fisica di generare un figlio, anche l’incertezza economica per il futuro, la mancanza o la precarietà di lavoro, la disparità di diritti fra mamme e papà, la paura di vivere in un mondo sempre più inquinato e in balia della crisi climatica, l’imperversare di malattie (non da ultimo, il Coronavirus) possono guidare verso la scelta del figlio unico o del non avere figli.
Viviamo in tempi difficili, più difficili di quelli in cui hanno vissuto i nostri nonni e i nostri genitori, e la scelta di non diventare genitori non solo non è da condannare, ma è da rispettare con il silenzio e senza giudizio.
Se il creato è il dono di Dio all'uomo … tutto ciò che vi è in esso merita rispetto e amore!

mercoledì 13 settembre 2023

La lettera virale di un veterinario a Papa Francesco

Ha fatto scalpore il comportamento di Papa Francesco, che un po' di tempo fa  ha redarguito una fedele che aveva chiesto al Pontefice di benedire quello che per lei era un figlio: il suo cane. Una richiesta semplice, accompagnata da una risposta negativa e da una critica sul considerare piuttosto i bambini che muoiono di fame nel mondo. Sorridendo, il Papa ha raccontato l’episodio nella terza edizione degli Stati Generali della Natalità ricevendo l’approvazione del pubblico a suon di applausi. Quella sua “sgridata” per aver fatto riferimento a un cane come “il mio bambino” e le sue affermazioni hanno amareggiato nel profondo chi gli animali li ama e li accoglie in famiglia, senza dover creare gerarchie. Un medico veterinario ha deciso di esporsi e ha scritto una lettera indirizzata al Santo Padre : è subito divenuta virale.

Mi presento, ho 62 anni, sono un Veterinario ed ho 2 figli di cui uno autistico, sono padre e proprietario di animali, genitore coscienzioso ed a contatto quotidianamente col mondo dell’animalismo e col mondo della disabilità, padre e veterinario contemporaneamente. 
Una frase che i miei clienti mi ripetono costantemente è “chi non ha mai avuto un cane/gatto non riesce minimamente ad immaginare il mondo di amore che queste creature sanno donare.
Ecco, lei non ha mai avuto un cane o un gatto, lo si capisce dal modo in cui sottovaluta la questione, non è colpa sua, me ne rendo conto, se avesse provato quel tipo di affetto che il suo predecessore conosceva bene (Papa Ratzinger amava la compagnia dei gatti) non avrebbe detto cose tanto superficiali e fuorvianti.
La cosa grave che, mi permetta, non le fa onore è il creare la contrapposizione “chi ama gli animali non ama i bambini”, è un concetto errato e divisivo, chi ama la vita riconosce il dolore, negli occhi di un bambino o di un animale, amare vuol dire immedesimarsi, capire, ascoltare, quella dell’amore è una ginnastica quotidiana e non è mai divisiva, l’amore per la vita, sotto qualsiasi forma, arricchisce e non impoverisce.
Ma davvero lei crede che quello di Francesco di Assisi, il santo povero, l’uomo che camminava a piedi scalzi e coperto di umili panni, fosse tempo perso?, che non avrebbe dovuto parlare agli uccellini, scrivere il cantico delle creature, ammansire il lupo di Gubbio?
Ma lo sa che il santo d’Assisi diceva: “Se avete uomini che escluderanno una qualsiasi delle creature di Dio dal rifugio della compassione e della pietà, avrete uomini che trattano nello stesso modo i simili”. Ma ha mai visto la benedizione degli animali che si tiene in molte chiese il 17 gennaio nella tradizionale festa di S. Antonio Abate? E’ un tripudio di gioia, vecchietti e bambini ognuno col proprio animaletto domestico, tutti uniti dalla fede e dalla speranza, io stesso ci andai portando Tommasino un gatto reso diversamente abile dall’aggressione di un branco di cani nella speranza di un miracolo.
Ma davvero lei crede che la fame nel mondo sia dovuta allo spreco di risorse per acquistare le crocchette? E no, qui divento cattivo io!, ma non è che forse dovrebbe preoccuparsi della ristrutturazioni degli immobili da 700 mq del cardinale Bertone finanziate coi soldi delle elemosine?, non dovrebbe preoccuparsi degli spot a pioggia per l’8 per mille? (nel 2004 sono costati 4.650.000,00 euro, non oso pensare adesso) per accaparrarsi la gestione di fondi che normalmente andrebbero comunque alla beneficenza ma che passando per voi vengono ridotti da spese folli?
Ma lo sa quanti bambini avreste saziato coi 4 milioni dati a Mediaset e Rai?
Gesù diceva “quando fai l’elemosina, non suonare la tromba davanti a te, come fanno gli ipòcriti nelle sinagoghe e nelle strade, per essere lodati dalla gente. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Invece, mentre tu fai l’elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra, perché la tua elemosina resti nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà” e allora tutti questi spot autocelebrativi per l’8 per mille? Il vangelo lo citate solo quando vi conviene?
Per giudicare bisogna conoscere la gente, non il lusso. Lei non ha la minima idea di quante vite hanno salvato gli animali, di quanto un gatto possa curare la depressione di un anziana vedova e col nido svuotato, di quanto un cane possa essere di aiuto all’autostima di un ragazzo disabile, di quanto un cucciolo possa aiutare un bambino abbandonato dal padre fuggito con un’altra donna, di quanto un cagnolino possa attenuare il dolore di una coppia di anziani che hanno perso il loro unico figlio, tutte storie di vita che non potrebbero sfociare nell’adozione di un bambino, tutte storie di vita che lei dal suo trono dorato non vede.
Le persone, caro Papa, non fanno più figli perché non se lo possono permettere, perché in Italia un fitto costa quanto uno stipendio e quindi si deve lavorare fulltime in due, perché a Milano un asilo nido costa più dello stipendio di un call center, perché ti offrono solo lavoro precario ed orari impossibili… con quale presupposto una persona coscienziosa e non ricca può fare un figlio?
Vuole più accudimento per i bambini? Faccia la guerra al precariato, al lavoro nero, allo sfruttamento e si troverà circondato da persone felici di fare figli ma, la prego, la smetta di far guerra agli animali, sono creature di Dio, sono un dono per l’anima, sono una palestra per imparare la tolleranza, il rispetto, sono una manna dal cielo nell’universo di solitudine ed alienazione che sempre di più attanagliano le nostre metropoli. L’amore, quello vero, non divide ma aggrega, in ogni cuore ogni sentimento crea lo spazio per uno nuovo. L’amore per la vita, qualunque vita, è un valore totalizzante e mai riduttivo.
Amare insegna ad amare. La donna che lei ha pubblicamente scacciato e deriso è una credente ed ha 50 anni, non è propriamente l’età per fare o adottare figli, certamente avrà sbagliato dicendo “mi benedice mio figlio?” ma lei che ha benedetto finanche una lussuosa Lamborghini bianca forse avrebbe potuto perdonarla, in ogni caso quel cagnolino sarà importante per quella donna e lei era venuta fiduciosa ad incontrarla.
Una occasione persa”

Dottor Vincenzo Minuto, Medico Veterinario.



martedì 12 settembre 2023

Il primo giorno di scuola

 Suona la campanella;

scopa, scopa la bidella;

viene il bidello ad aprire il portone;

viene il maestro dalla stazione;

viene la mamma, o scolaretto,

a tirarti giù dal letto…


Viene il sole nella stanza:

su, è finita la vacanza.

Metti la penna nell’astuccio,

l’assorbente nel quadernuccio,

fa la punta alla matita

e corri a scrivere la tua vita.


Scrivi bene, senza fretta

ogni giorno una paginetta.

Scrivi parole diritte e chiare:

Amore, lottare, lavorare.

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di GIANNI RODARI

domenica 3 settembre 2023

ACCETTARE LA VITA

Talvolta ciò che sembra una resa non è affatto una resa. È ciò che avviene nei nostri cuori. Vedere chiaramente com'è la vita ed accettarla, essendole sincero, qualunque sia il dolore, perché il dolore che si prova mentendole è di gran lunga più grande.


-- Nicholas Evans

martedì 29 agosto 2023

SONO LE PICCOLE COSE CHE FANNO LA DIFFERENZA

Un'amica ha trovato questo testo di un autore sconosciuto. Le è piaciuto molto e me lo ha inviato. Mi ha fatto molto riflettere.

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Ad un uomo fu chiesto di dipingere una barca.

L'uomo prese vernice e pennelli e cominciò a dipingere la barca di un rosso brillante come da richiesta del proprietario.

Mentre dipingeva si accorse di un piccolo buco nello scafo e lo riparò in silenzio.

Quando ebbe finito di dipingere la barca ricevette il suo compenso e se ne andò, ma l'indomani il proprietario si presentò a casa sua con un assegno di gran lunga superiore a ciò che era stato pattuito per la pittura.

Con sorpresa il pittore disse: "mi hai già pagato per dipingere la barca, signore".

- "Ah, ma questo non è per la pittura, ma per aver riparato il buco nello scafo" rispose il proprietario.

- "Ah, ma è stato un servizio così piccolo che non vale la pena pagare una cifra così alta" continuò il pittore.

- Mio caro amico, disse il proprietario, lascia che ti racconti cos'è successo.

- Quando la barca si è asciugata i miei figli hanno preso la barca e sono andati a pesca.

Non sapevano che c'era un buco e io non ero in casa in quel momento. Ero disperato quando mi sono accorto che avevano preso la barca che sarebbe potuta affondare per il buco nello scafo.

- Immagina il mio sollievo e la mia gioia quando li ho visti tornare dalla pesca.

Poi esaminando la barca ho scoperto che avevi riparato il buco, salvando con la tua piccola buona azione la vita dei miei figli.

Quindi non importa chi, quando, come, dove, continua ad aiutare, a sostenere, ad asciugare le lacrime, ad ascoltare attentamente e a riparare tutte le perdite che trovi. Non sai mai quando qualcuno ha bisogno di noi, e quando Dio ci riserva delle piacevoli sorprese per essere stati importanti per qualcuno. Lungo il percorso della vita potresti aver riparato senza accorgertene numerosi "buchi nelle barche" per diverse persone, senza renderti conto di quante vite hai salvato.

Fai la differenza, sii il meglio di te



lunedì 28 agosto 2023

60 ANNI DOPO ... UN SOGNO ... MAI FINITO

 "I have a dream"

Sono felice di unirmi a voi in questa che passerà alla storia come la più grande dimostrazione per la libertà nella storia del nostro paese. Cento anni fa un grande americano, alla cui ombra ci leviamo oggi, firmò il Proclama sull'Emancipazione. Questo fondamentale decreto venne come un grande faro di speranza per milioni di schiavi negri che erano stati bruciati sul fuoco dell'avida ingiustizia. Venne come un'alba radiosa a porre termine alla lunga notte della cattività. 

Ma cento anni dopo, il negro ancora non è libero; cento anni dopo, la vita del negro è ancora purtroppo paralizzata dai ceppi della segregazione e dalle catene della discriminazione; cento anni dopo, il negro ancora vive su un'isola di povertà solitaria in un vasto oceano di prosperità materiale; cento anni dopo; il negro langue ancora ai margini della società americana e si trova esiliato nella sua stessa terra. 

Per questo siamo venuti qui, oggi, per rappresentare la nostra condizione vergognosa. In un certo senso siamo venuti alla capitale del paese per incassare un assegno. Quando gli architetti della repubblica scrissero le sublimi parole della Costituzione e la Dichiarazione d'Indipendenza, firmarono un "pagherò" del quale ogni americano sarebbe diventato erede. Questo "pagherò" permetteva che tutti gli uomini, si, i negri tanto quanto i bianchi, avrebbero goduto dei principi inalienabili della vita, della libertà e del perseguimento della felicità. 

E' ovvio, oggi, che l'America è venuta meno a questo "pagherò" per ciò che riguarda i suoi cittadini di colore. Invece di onorare questo suo sacro obbligo, l'America ha consegnato ai negri un assegno fasullo; un assegno che si trova compilato con la frase: "fondi insufficienti". Noi ci rifiutiamo di credere che i fondi siano insufficienti nei grandi caveau delle opportunità offerte da questo paese. E quindi siamo venuti per incassare questo assegno, un assegno che ci darà, a presentazione, le ricchezze della libertà e della garanzia di giustizia. 

Siamo anche venuti in questo santuario per ricordare all'America l'urgenza appassionata dell'adesso. Questo non è il momento in cui ci si possa permettere che le cose si raffreddino o che si trangugi il tranquillante del gradualismo. Questo è il momento di realizzare le promesse della democrazia; questo è il momento di levarsi dall'oscura e desolata valle della segregazione al sentiero radioso della giustizia.; questo è il momento di elevare la nostra nazione dalle sabbie mobili dell'ingiustizia razziale alla solida roccia della fratellanza; questo è il tempo di rendere vera la giustizia per tutti i figli di Dio. Sarebbe la fine per questa nazione se non valutasse appieno l'urgenza del momento. Questa estate soffocante della legittima impazienza dei negri non finirà fino a quando non sarà stato raggiunto un tonificante autunno di libertà ed uguaglianza. 

Il 1963 non è una fine, ma un inizio. E coloro che sperano che i negri abbiano bisogno di sfogare un poco le loro tensioni e poi se ne staranno appagati, avranno un rude risveglio, se il paese riprenderà a funzionare come se niente fosse successo. 

Non ci sarà in America né riposo né tranquillità fino a quando ai negri non saranno concessi i loro diritti di cittadini. I turbini della rivolta continueranno a scuotere le fondamenta della nostra nazione fino a quando non sarà sorto il giorno luminoso della giustizia. 

Ma c'è qualcosa che debbo dire alla mia gente che si trova qui sulla tiepida soglia che conduce al palazzo della giustizia. In questo nostro procedere verso la giusta meta non dobbiamo macchiarci di azioni ingiuste. 

Cerchiamo di non soddisfare la nostra sete di libertà bevendo alla coppa dell'odio e del risentimento. Dovremo per sempre condurre la nostra lotta al piano alto della dignità e della disciplina. Non dovremo permettere che la nostra protesta creativa degeneri in violenza fisica. Dovremo continuamente elevarci alle maestose vette di chi risponde alla forza fisica con la forza dell'anima. 

Questa meravigliosa nuova militanza che ha interessato la comunità negra non dovrà condurci a una mancanza di fiducia in tutta la comunità bianca, perché molti dei nostri fratelli bianchi, come prova la loro presenza qui oggi, sono giunti a capire che il loro destino è legato col nostro destino, e sono giunti a capire che la loro libertà è inestricabilmente legata alla nostra libertà. Questa offesa che ci accomuna, e che si è fatta tempesta per le mura fortificate dell'ingiustizia, dovrà essere combattuta da un esercito di due razze. Non possiamo camminare da soli. 

E mentre avanziamo, dovremo impegnarci a marciare per sempre in avanti. Non possiamo tornare indietro. Ci sono quelli che chiedono a coloro che chiedono i diritti civili: "Quando vi riterrete soddisfatti?" Non saremo mai soddisfatti finché il negro sarà vittima degli indicibili orrori a cui viene sottoposto dalla polizia. 

Non potremo mai essere soddisfatti finché i nostri corpi, stanchi per la fatica del viaggio, non potranno trovare alloggio nei motel sulle strade e negli alberghi delle città. Non potremo essere soddisfatti finché gli spostamenti sociali davvero permessi ai negri saranno da un ghetto piccolo a un ghetto più grande. 

Non potremo mai essere soddisfatti finché i nostri figli saranno privati della loro dignità da cartelli che dicono:"Riservato ai bianchi". Non potremo mai essere soddisfatti finché i negri del Mississippi non potranno votare e i negri di New York crederanno di non avere nulla per cui votare. No, non siamo ancora soddisfatti, e non lo saremo finché la giustizia non scorrerà come l'acqua e il diritto come un fiume possente. 

Non ha dimenticato che alcuni di voi sono giunti qui dopo enormi prove e tribolazioni. Alcuni di voi sono venuti appena usciti dalle anguste celle di un carcere. Alcuni di voi sono venuti da zone in cui la domanda di libertà ci ha lasciato percossi dalle tempeste della persecuzione e intontiti dalle raffiche della brutalità della polizia. Siete voi i veterani della sofferenza creativa. Continuate ad operare con la certezza che la sofferenza immeritata è redentrice. 

Ritornate nel Mississippi; ritornate in Alabama; ritornate nel South Carolina; ritornate in Georgia; ritornate in Louisiana; ritornate ai vostri quartieri e ai ghetti delle città del Nord, sapendo che in qualche modo questa situazione può cambiare, e cambierà. Non lasciamoci sprofondare nella valle della disperazione. 

E perciò, amici miei, vi dico che, anche se dovrete affrontare le asperità di oggi e di domani, io ho sempre davanti a me un sogno. E' un sogno profondamente radicato nel sogno americano, che un giorno questa nazione si leverà in piedi e vivrà fino in fondo il senso delle sue convinzioni: noi riteniamo ovvia questa verità, che tutti gli uomini sono creati uguali. 

Io ho davanti a me un sogno, che un giorno sulle rosse colline della Georgia i figli di coloro che un tempo furono schiavi e i figli di coloro che un tempo possedettero schiavi, sapranno sedere insieme al tavolo della fratellanza. 

Io ho davanti a me un sogno, che un giorno perfino lo stato del Mississippi, uno stato colmo dell'arroganza dell'ingiustizia, colmo dell'arroganza dell'oppressione, si trasformerà in un'oasi di libertà e giustizia. 

Io ho davanti a me un sogno, che i miei quattro figli piccoli vivranno un giorno in una nazione nella quale non saranno giudicati per il colore della loro pelle, ma per le qualità del loro carattere. Ho davanti a me un sogno, oggi!. 

Io ho davanti a me un sogno, che un giorno ogni valle sarà esaltata, ogni collina e ogni montagna saranno umiliate, i luoghi scabri saranno fatti piani e i luoghi tortuosi raddrizzati e la gloria del Signore si mostrerà e tutti gli essere viventi, insieme, la vedranno. E' questa la nostra speranza. Questa è la fede con la quale io mi avvio verso il Sud. 

Con questa fede saremo in grado di strappare alla montagna della disperazione una pietra di speranza. Con questa fede saremo in grado di trasformare le stridenti discordie della nostra nazione in una bellissima sinfonia di fratellanza. 

Con questa fede saremo in grado di lavorare insieme, di pregare insieme, di lottare insieme, di andare insieme in carcere, di difendere insieme la libertà, sapendo che un giorno saremo liberi. Quello sarà il giorno in cui tutti i figli di Dio sapranno cantare con significati nuovi: paese mio, di te, dolce terra di libertà, di te io canto; terra dove morirono i miei padri, terra orgoglio del pellegrino, da ogni pendice di montagna risuoni la libertà; e se l'America vuole essere una grande nazione possa questo accadere. 

Risuoni quindi la libertà dalle poderose montagne dello stato di New York. 

Risuoni la libertà negli alti Allegheny della Pennsylvania. 

Risuoni la libertà dalle Montagne Rocciose del Colorado, imbiancate di neve. 

Risuoni la libertà dai dolci pendii della California. 

Ma non soltanto. 

Risuoni la libertà dalla Stone Mountain della Georgia. 

Risuoni la libertà dalla Lookout Mountain del Tennessee. 

Risuoni la libertà da ogni monte e monticello del Mississippi. Da ogni pendice risuoni la libertà.

E quando lasciamo risuonare la libertà, quando le permettiamo di risuonare da ogni villaggio e da ogni borgo, da ogni stato e da ogni città, acceleriamo anche quel giorno in cui tutti i figli di Dio, neri e bianchi, ebrei e gentili, cattolici e protestanti, sapranno unire le mani e cantare con le parole del vecchio spiritual: "Liberi finalmente, liberi finalmente; grazie Dio Onnipotente, siamo liberi finalmente" 

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Discorso tenuto da Martin Luther King Jr. il 28 agosto 1963 davanti al Lincoln Memorial di Washington alla fine di una manifestazione per i diritti civili nota come la marcia su Washington per il lavoro e la libertà durante la presidenza Kennedy


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