domenica 30 settembre 2012

Vangelo: Mc 9,38-43.45.47-48

In quel tempo, Giovanni rispose a Gesù dicendo: «Maestro, abbiamo visto uno che scacciava i demòni nel tuo nome e glielo abbiamo vietato, perché non era dei nostri».
Ma Gesù disse: «Non glielo proibite, perché non c'è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito dopo possa parlare male di me. Chi non è contro di noi è per noi.
Chiunque vi darà da bere un bicchiere d'acqua nel mio nome perché siete di Cristo, vi dico in verità che non perderà la sua ricompensa.
Chi scandalizza uno di questi piccoli che credono, è meglio per lui che gli si metta una macina da asino al collo e venga gettato nel mare.
Se la tua mano ti scandalizza, tagliala: è meglio per te entrare nella vita monco, che con due mani andare nella Geenna, nel fuoco inestinguibile. Se il tuo piede ti scandalizza, taglialo: è meglio per te entrare nella vita zoppo, che esser gettato con due piedi nella Geenna. Se il tuo occhio ti scandalizza, ca valo: è meglio per te entrare nel regno di Dio con un occhio solo, che essere gettato con due occhi nella Geenna, dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue» .

Vorrei condividere con voi la riflessione dell’esegeta francese Jean Debruynne: “Immediatamente, il gruppo degli Apostoli, per bocca di Giovanni, reclama la superiorità esclusiva di Gesù. Vogliono l’esclusività dei diritti d’autore sui fatti e sui gesti di Gesù. Pretendono di essere i soli a poter dare il passaporto, la carta d’identità cristiana. Gesù, al contrario, annuncia loro il superamento del possesso. Voler pretendere di rinchiudere il Vangelo, significa voler impedirgli di essere vangelo. Lo Spirito di Dio è libero. Nessuno potrà obbligarlo a seguire la via gerarchica. La preoccupazione degli Apostoli è di escludere. Quella di Gesù è di chiamare e di aprire”.

domenica 23 settembre 2012

UNA CHIESA IN CAMMINO

Spesso parliamo del popolo di Dio ma fatichiamo a vederlo concretamente. Dove sta? Com'è composto? Che cosa spera? Che cosa teme? Altrettanto spesso all'immagine di popolo di Dio si sovrappone l'immagine della Chiesa istituzionale e gerarchica, che nasconde i volti delle persone con i volti del potere e i tratti dell'organizzazione burocratica. Sabato 15 ottobre a Roma, all'auditorium dei gesuiti dell'Istituto Massimo, il popolo di Dio si è invece visto in tutta la sua consistenza. All'incontro Chiesa di tutti, Chiesa di poveri (dove erano attese circa quattrocento persone e ne sono arrivate il doppio, da ogni angolo d'Italia) non è avvenuto nulla di eccezionale: non ci sono state manifestazioni eclatanti, non sono risuonate parole d'ordine e nessun personaggio si è impadronito della platea. C'è stato, semplicemente, un confronto fraterno tra persone unite da una fede e da una passione. La fede nel Cristo dei poveri e degli oppressi, la passione per la giustizia e per la Chiesa del Concilio Vaticano II. Dalle dieci del mattino alle sei di sera il confronto è andato avanti sereno, serrato, sincero. E alla fine il popolo di Dio è tornato alle proprie case rinfrancato, non esaltato, non sovreccitato, ma semplicemente consolato da tanta partecipazione e da tanta condivisione. E ancor più determinato a proseguire nel cammino.
Sul palco non c'erano monsignori di curia, vescovi o cardinali. Non ce n'erano neppure nella prima fila dell'affollatissima platea, come di solito succede nei convegni organizzati dalle strutture ecclesiali. Né c'erano politici o altre autorità. Non si sono viste auto blu né tonache nere filettate di rosso. Qualcuno ha lamentato la mancanza di telecamere, ma in fondo è stato meglio così, perché il clima di familiarità ne ha guadagnato. Promosso da decine e decine di realtà cristiane che si spendono quotidianamente nel mondo, in mille forme diverse, nello spirito della Gaudium et spes, condividendo sogni e paure, speranze e angosce degli uomini e delle donne del nostro tempo, l'incontro ha preso ispirazione dal cinquantesimo anniversario dell'inizio del Concilio, ma soprattutto è stato esso stesso un momento conciliare.
Le parole con le quali Giovanni XXIII aprì il Concilio, Gaudet Mater Ecclesia, sono risuonate più volte, specie nella relazione introduttiva della teologa Rosanna Virgili, e hanno fatto da sfondo all'intera giornata: anche nel momento della critica e della contestazione, l'orizzonte è rimasto quello della fiducia e della gioia. Nessuno ha parlato "contro". Ogni parola è stata spesa "per". Per una Chiesa veramente dei poveri e con i poveri. Per una Chiesa del Vangelo. Per una Chiesa "sciolta", come amava dire il cardinale Martini. Per una comunità di fedeli adulti, obbedienti stando in piedi, come diceva Scoppola.
Grazie all'inquadramento storico di Giovanni Turbanti e all'analisi di Carlo Molari sulle diverse interpretazioni del Concilio, è stato possibile impostare il confronto su basi solide. La riflessione di Molari sull'idea di tradizione, in particolare, è stata efficace e piena di spunti bisognosi di ulteriori approfondimenti. L'idea di tradizione uscita dal Concilio, come realtà vivente e come processo (si veda la Dei Verbum, 8) merita di essere meditata nel momento in cui dentro la Chiesa cattolica si assiste all'offensiva, non soltanto da parte dei cosiddetti tradizionalisti, di chi vede nella tradizione l'immobilità e l'immutabilità (Semper idem era il motto del cardinale Ottaviani, grande oppositore dello spirito conciliare). Ma l'incontro, soprattutto, ha evitato di cadere nella disquisizione accademica circa le diverse ermeneutiche (continuità o rottura?), preferendo dare come asserito che nel Concilio ci fu sia la continuità sia la rottura, sia la riaffermazione delle verità fondanti sia la necessità di proporle meglio, più genuinamente e più efficacemente, in relazione ai nuovi tempi. Nello studiare un Concilio che Giovanni XXIII volle pastorale e non dogmatico sarebbe veramente un controsenso alquanto bizzarro, mezzo secolo dopo, arenarsi attorno a una questione che rischia di cadere nel formalismo.
Il Concilio lo si capisce e lo si interpreta a partire dai mondi vitali, non dalle formule, e sono stati proprio i mondi vitali a fare irruzione nel convegno con tutta la loro carica di verità, spesso sofferta. Come quando è intervenuto il padre Felice Scalia, apprezzato da tutti per la sua sincerità nel delineare il dramma attraversato dalla Compagnia di Gesù, visto che per alcuni dei suoi membri la fedeltà al Concilio e lo schierarsi con i poveri ha voluto dire da un lato andare letteralmente incontro al martirio e dall'altro affrontare la spaccatura con la gerarchia. E ugualmente appassionato è stato l'intervento del rappresentante di un gruppo che riunisce omosessuali cristiani.
Se dom Giovanni Franzoni è salito sul palco per ricordare il tempo in cui Paolo VI, spogliandosi del triregno, non fece soltanto un gesto all'insegna della povertà e dell'aiuto verso le Chiese più bisognose, ma volle dichiarare anche visivamente la rinuncia a ogni forma di potere temporale e di seduzione di quel tipo di potere sulla Chiesa, altri testimoni del Concilio, come Luigi Bettazzi e Arturo Paoli, hanno mandato messaggi.
Il nome del cardinale Martini è risuonato spesso, fin dai saluti introduttivi di Rosa Siciliano, direttrice di Mosaico di pace. E in generale la definizione di "piccolo gregge", tanto cara a Martini, può essere utilizzata per esprimere lo spirito dell'assemblea, animata dalla volontà non di contarsi per contare, ma di spendersi nel mondo, ovunque ci sia da chinarsi su una ferita e su un'ingiustizia.
Nella sua semplicità, lo spirito del Concilio è stato rievocato con grande efficacia da Paolo Ricca, che ha ricordato tutto lo stupore e la meraviglia dei protestanti quando si resero conto di essere passati dallo status di eretici a quello di "fratelli separati", nella cui esperienza di fede i cattolici possono ritrovare elementi di verità utili per la salvezza. E piena di suggestioni per il futuro è stata la relazione di Cettina Militello sulle prospettive di un vero aggiornamento.
L'intervento finale di Raniero La Valle, giocata sulla necessità di uscire dalla contrapposizione tra le varie ermeneutiche del Concilio per fare piuttosto del Concilio l'ermeneutica alla luce della quale interpretare la stessa storia della Chiesa, è suonato non tanto come chiusura ma come premessa di altre tappe.
Il titolo dell'incontro è stato preso dal radiomessaggio di Giovanni XXIII dell'11 settembre 1962: "In faccia ai paesi sottosviluppati la Chiesa si presenta qual è, e vuol essere, come la Chiesa di tutti, e particolarmente la Chiesa dei poveri".
Ha scritto Bettazzi nel suo messaggio: "La sollecitazione per la piena attuazione del Concilio è affidata al popolo di Dio, del quale la gerarchia è al servizio. Che la vostra premura di popolo di Dio possa influire sul sinodo episcopale dell'ottobre e su tutto l'anno della fede".
Recitando la preghiera composta da Marco Campedelli della Comunità San Nicolò di Verona, il popolo di Dio si è espresso così: "Continua a soffiare, vento dello Spirito, nuova Pentecoste sul mondo, continua a inventare lingue nuove, alfabeti inediti, capaci di tradurre le sorprese di Dio. Non è la Chiesa che vogliamo celebrare, ma lo Spirito di Dio che soffia in mezzo al mondo. Chiesa di tutti, Chiesa di poveri".
Il popolo di Dio si è riunito. In libertà, senza ipocrisie. Si è confrontato con fiducia, senza calcoli dettati dall'opportunismo, senza prudenze innescate dalla paura, senza equilibrismi dovuti ai giochi di potere. Lo Spirito ha soffiato.
ALDO MARIA VALLI su "Vino Nuovo".

TU SEI DENTRO O SEI FUORI ?

O dentro o fuori. Mi stupisce come sempre più, nella prassi della Chiesa cattolica, prevalga la logica tipica della setta: o stai con noi, oppure vattene. Per dir la verità, questa è stata una tentazione cui il cristianesimo (come del resto parecchie tradizioni religiose) si è raramente sottratto, dal tempo delle eresie e degli anatemi a oggi. Tuttavia con le puntualizzazioni del Concilio - e quelle della sociologia, che ha distinto sacro da religioso - si pensava che il clima fosse diventato diverso. E più evangelico.
Invece, fateci caso: da una parte si assiste all'esaltazione più acritica e «miracolistica» di qualunque conversione al cattolicesimo, soprattutto se di vip e/o personaggio noto (calciatore o giornalista, pornostar e nobildonna); dall'altra - compreso Vino Nuovo, vedi certi commenti sulla questione Martini - si verifica il fenomeno opposto, ovvero la pubblica «cacciata» di quanti per qualche motivo «non ci stanno»: e che contestino il dogma della resurrezione o invece l'opportunità di votare Berlusconi in fondo fa poca differenza. Così si registra un duplice e contrario movimento, centripeto e centrifugo, intorno al messaggio che più di tanti altri nella storia volle rivolgersi all'intimità e alla libertà delle coscienze; senza confini di sorta.
Forse però non è un caso che lo stesso Nuovo Testamento cada in contraddizione su se stesso, accogliendo in materia due citazioni opposte: «Chi non è con me, è contro di me» (Lc 11, 23 e Mt 12, 30), ma anche «Chi non è contro di noi, è per noi» (Mc 9,40). Abbiamo infatti un connaturato bisogno di «appartenere». Di più: di sapere con certezza che apparteniamo. Ancora meglio: di sapere con chi esattamente apparteniamo. Abbiamo necessità di sapere di quale gruppo (lobby, casta) siamo, chi sta con noi e magari anche quanti sono; per lo stesso motivo preferiamo espellere chi non ci rassicura, chi ha dubbi, chi dissente: se non ci stai, vattene. Altro che dialogo e missione: chi sgarra, è fuori. Così noi saremo più tranquilli.
Piccinerie che contrastano con l'idea stessa di «cattolicità». Non che non sia importante l'appartenenza alla Chiesa; ma chi e che cosa la stabiliscono davvero? Quando si ha il diritto ­- per esempio ­- di dire «sei fuori» a un battezzato, anche qualora esponesse idee eterodosse sul fine vita o sul matrimonio dei gay? Ed è più «dentro» l'ateo devoto o il credente critico, il dissenziente o l'indifferente, il tradizionalista o il prete pedofilo? Ancora: l'«extra ecclesia nulla salus» come va interpretato, giuridicamente o estensivamente?
Chi è «dentro» e chi è «fuori»: sciogliere il dilemma è una tentazione sempre presente nelle religioni, ma è anche un gioco che un cristiano non può risolvere davvero; «Lasciate che il grano e la zizzania crescano insieme...». E forse non è neppure importante. Mi sembra che una volta qualcuno abbia detto più o meno (chi trova la citazione esatta mi aiuti) che «non bisognerebbe dire "sono cristiano", bensì "mi sforzo di essere cristiano"». Era il cardinale Martini, ancora lui.
ROBERTO BERETTA su "VINO NUOVO".

COMUNIONE AI DIVORZIATI SPOSATI !!

I preti tedeschi si ribellano al Vaticano. Duecento preti e diaconi della diocesi di Friburgo hanno firmato un appello su Internet, sostenendo la legittimità della comunione ai divorziati risposati. Il luogo è simbolico. La diocesi di Friburgo è retta dall’arcivescovo Robert Zollitsch, presidente della Conferenza episcopale tedesca. È come se aGenova, sede del cardinale Bagnasco presidente della Cei, duecento sacerdoti comunicassero ufficialmente di dare regolarmente l’ostia ai fedeli in secondo matrimonio. A Friburgo i duecento contestatori dichiarano che verso i divorziati risposati bisogna usare “misericordia” e non nascondono la loro scelta: “Nelle nostre comunità i divorziati risposati prendono parte alla comunione con il nostro consenso. Sono presenti nel consiglio parrocchiale e partecipano ad altri servizi pastorali”. È una contestazione frontale delle istruzioni vaticane, ma soprattutto una rivolta contro l’inazione del pontefice che da anni – già da prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede – si occupava della questione e non ha mai preso una decisione per superare un divieto, che colpisce dolorosamente proprio i fedeli più assidui.
A Friburgo il vicario generale della diocesi ha tentato di persuadere il clero a non firmare o a ritirare il consenso. Soltanto due dei firmatari lo hanno ascoltato. In realtà dietro l’appello c’è una galassia di preti in tutta la Germania, ma anche in tante parti del mondo. Italia compresa, dove molti parroci non infieriscono contro i divorziati risposati negando loro l’eucaristia. Stephan Wahl, uno dei preti più noti in Germania per avere predicato il vangelo alla televisione per dodici anni nella popolare trasmissione “La parola della domenica” (Wort am Sonntag), ha commentato in maniera pregnante: “Come cattolico e come sacerdote mi è insopportabile che, secondo l’attuale normativa (ecclesiastica), è più facile che un sacerdote colpevole di abusi possa distribuire il sacramento (dell’eucaristia) piuttosto che un divorziato riceverlo”. I preti contestatori tedeschi rimarcano di essere ben consapevoli di “agire contro le norme canoniche attualmente in vigore nella Chiesa cattolica romana”, ma sostengono che in base all’attuale Codice di diritto canonico il principio supremo, a cui orientarsi, è la “salvezza delle anime”. Perciò ribadiscono: “Consideriamo urgentemente necessaria una nuova normativa canonica per i divorziati risposati”.
Lo stesso Ratzinger, da teologo, era del parere che di fronte ad un primo matrimonio “spezzatosi da lungo tempo e in maniera irreparabile”, e alla luce di una seconda unione rivelatasi negli anni un’autentica “realtà etica”, fosse giusto – su testimonianza del parroco e della comunità – “concedere la comunione a coloro che vivono un simile secondo matrimonio”. Correva l’anno 1972, quando Ratzinger difendeva tesi del genere. Da allora il pontificato di Giovanni Paolo II e quello diBenedetto XVI hanno battuto ossessivamente sul tasto dell’indissolubilità del matrimonio, rifiutando qualsiasi soluzione. Benché – come ha fatto notare lo scrittore cattolico Messori durante le giornate della famiglia a Milano, benedette dal Papa – il cattolicesimo sia l’unica tra le confessioni cristiane e le religioni mondiali a negare la possibilità del divorzio. Di una presunta “legge naturale”, in proposito, è inutile parlare. Il presidente dell’episcopato tedesco Zollitsch, sebbene attaccato a sua volta dai preti tradizionalisti riuniti nella “Rete dei sacerdoti cattolici”, ha deciso dopo qualche esitazione di ricevere una delegazione dei contestatori. Dovrebbe accadere oggi. Un atteggiamento molto diverso da quello del cardinale Scola, il quale – come riferito dall’agenzia Adista – ha impedito nel gennaio scorso al consiglio presbiterale milanese di mettere all’ordine del giorno anche la mera analisi e discussione del tema “divorziati risposati e accesso ai sacramenti”. Dopo un netto intervento contrario del cardinale la proposta avanzata dai sacerdoti Aristide Fumagalli eGiovanni Giavini ha ottenuto 7 sì, 13 no e 27 astensioni (segno evidente di come tanti preti attendano un cenno dall’alto per parlare finalmente liberamente). Il caso di Friburgo è solo la punta dell’iceberg dell’insoddisfazione per lo stallo totale di ogni riforma. Si sono già mobilitati i preti austriaci con l’“Iniziativa dei parroci”. Chiedono la riforma della Chiesa, la fine del cumulo di parrocchie affidate a un solo parroco, l’accesso al sacerdozio di sposati e donne.

domenica 9 settembre 2012

PRIMAVERA NELLA CHIESA

Una folla enorme (più di 40.000??) ha reso l’ultimo saluto ad un grande e saggio uomo della Chiesa Cattolica.
E non vi è dubbio che  la figura del Cardinale Martini,oltre ad essere stata una presenza risuonante del Vangelo per l’uomo contemporaneo,rimarrà una via maestra anche per i cristiani cattolici del futuro.
Da quando arrivò in mezzo a noi,o meglio da quando ci accorgemmo del suo essere,del suo sostare in mezzo a noi in quel di Milano,ci siamo buttati nell’acquisto ,nella lettura, nella meditazione e nella preghiera dei suoi innumerevoli opuscoli pastorali,nei suoi libri,nelle sue lettere apostoliche:per ciascuno di noi c’era un ricordo,un consiglio,un’indicazione.
Eravamo quasi arrivati al punto di desiderare che il suo insegnamento e la sua persona potessero avere una valenza universale ( un sogno papale?? ).
Quanta ricchezza è stata infusa nei nostri cuori grazie all’amicizia stretta con questo “cristiano”.
Però un pizzico di egoismo e di rabbia a volte ha attraversato il nostro rapporto,per cui ci siamo sentiti orfani e quasi abbandonati quando la sua età biologica lo obbligò a scelte diverse : perché non eravamo stati capaci di approfittare nello spingere l’acceleratore e costruire una nuova Chiesa?
In varie occasioni ci aveva raccontato di quei due discepoli sulla via di Emmaus,ma noi ci siamo solo fatti entusiasmare e dopo lo spezzare del pane,non abbiamo invaso il mondo con la gioia del Risorto!
Qualche amico in questi giorni mi ha ricordato che , molto probabilmente , abbiamo perso una grande occasione di rinnovamento, di rivoluzione spirituale,umana e sociale.
Io penso però che è proprio dalla presenza di quella folla variopinta, spesso contraddittoria e manifestante carismi diversi,che ha presenziato al saluto al Cardinale Martini che ci viene da dire :<<Non ardeva forse il nostro cuore quando egli,lungo la via,ci parlava e ci spiegava le Scritture?>>(Lc  24,32).
E a chi per secoli ha affermato che è Dio che fa crescere il seme della fede,non dimentichi che l’uomo da sempre èn il terreno,è il veicolo dove l’umanità incontra il suo Dio,e per essere il Dio dell’uomo,Dio stesso ha dovuto farsi uomo.
Qualora questo rapporto dovesse guastarsi o interrompersi,non scordiamo che come insegnavano gli antichi,”verba volant,scripta manent”.
In fondo Dio non ha pronunciato che una sola Parola: GESU’ CRISTO!!!!
AGOSTINO.

domenica 2 settembre 2012

L'ULTIMA "PAROLA" DEL CARDINALE MARTINI

in “Corriere della Sera” del 1 settembre 2012
 
Padre Georg Sporschill, il confratello gesuita che lo intervistò in Conversazioni notturne a Gerusalemme, e Federica Radice hanno incontrato Martini l'8 agosto: «Una sorta di testamento spirituale. Il cardinale Martini ha letto e approvato il testo».
 
Come vede lei la situazione della Chiesa?
 
«La Chiesa è stanca, nell'Europa del benessere e in America. La nostra cultura è invecchiata, le nostre Chiese sono grandi, le nostre case religiose sono vuote e l'apparato burocratico della Chiesa lievita, i nostri riti e i nostri abiti sono pomposi. Queste cose però esprimono quello che noi siamo oggi? (...) Il benessere pesa. Noi ci troviamo lì come il giovane ricco che triste se ne andò via quando Gesù lo chiamò per farlo diventare suo discepolo. Lo so che non possiamo lasciare tutto con facilità. Quanto meno però potremmo cercare uomini che siano liberi e più vicini al prossimo. Come lo sono stati il vescovo Romero e i martiri gesuiti di El Salvador. Dove sono da noi gli eroi a cui ispirarci? Per nessuna ragione dobbiamo limitarli con i vincoli dell'istituzione».
 
Chi può aiutare la Chiesa oggi?
 
«Padre Karl Rahner usava volentieri l'immagine della brace che si nasconde sotto la cenere. Io vedo nella Chiesa di oggi così tanta cenere sopra la brace che spesso mi assale un senso di impotenza. Come si può liberare la brace dalla cenere in modo da far rinvigorire la fiamma dell'amore? Per prima cosa dobbiamo ricercare questa brace. Dove sono le singole persone piene di generosità come il buon samaritano? Che hanno fede come il centurione romano? Che sono entusiaste come Giovanni Battista? Che osano il nuovo come Paolo? Che sono fedeli come Maria di Magdala? Io consiglio al Papa e ai vescovi di cercare dodici persone fuori dalle righe per i posti direzionali. Uomini che siano vicini ai più poveri e che siano circondati da giovani e che sperimentino cose nuove. Abbiamo bisogno del confronto con uomini che ardono in modo che lo spirito possa diffondersi ovunque».
 
Che strumenti consiglia contro la stanchezza della Chiesa?
 
«Ne consiglio tre molto forti. Il primo è la conversione: la Chiesa deve riconoscere i propri errori e deve percorrere un cammino radicale di cambiamento, cominciando dal Papa e dai vescovi. Gli scandali della pedofilia ci spingono a intraprendere un cammino di conversione. Le domande sulla sessualità e su tutti i temi che coinvolgono il corpo ne sono un esempio. Questi sono importanti per ognuno e a volte forse sono anche troppo importanti. Dobbiamo chiederci se la gente ascolta ancora i consigli della Chiesa in materia sessuale. La Chiesa è ancora in questo campo un'autorità di riferimento o solo una caricatura nei media?
 
Il secondo la Parola di Dio. Il Concilio Vaticano II ha restituito la Bibbia ai cattolici. (...) Solo chi percepisce nel suo cuore questa Parola può far parte di coloro che aiuteranno il rinnovamento della Chiesa e sapranno rispondere alle domande personali con una giusta scelta. La Parola di Dio è semplice e cerca come compagno un cuore che ascolti (...). Né il clero né il Diritto ecclesiale possono sostituirsi all'interiorità dell'uomo. Tutte le regole esterne, le leggi, i dogmi ci sono dati per chiarire la voce interna e per il discernimento degli spiriti.
Per chi sono i sacramenti?
Questi sono il terzo strumento di guarigione. I sacramenti non sono uno strumento per la disciplina, ma un aiuto per gli uomini nei momenti del cammino e nelle debolezze della vita. Portiamo i sacramenti agli uomini che necessitano una nuova forza? Io penso a tutti i divorziati e alle coppie risposate, alle famiglie allargate. Questi hanno bisogno di una protezione speciale. La Chiesa sostiene l'indissolubilità del matrimonio. È una grazia quando un matrimonio e una famiglia riescono (...).
 
L'atteggiamento che teniamo verso le famiglie allargate determinerà l'avvicinamento alla Chiesa della generazione dei figli. Una donna è stata abbandonata dal marito e trova un nuovo compagno che si occupa di lei e dei suoi tre figli. Il secondo amore riesce. Se questa famiglia viene discriminata, viene tagliata fuori non solo la madre ma anche i suoi figli. Se i genitori si sentono esterni alla Chiesa o non ne sentono il sostegno, la Chiesa perderà la generazione futura. Prima della Comunione noi preghiamo: "Signore non sono degno..." Noi sappiamo di non essere degni (...). L'amore è grazia. L'amore è un dono. La domanda se i divorziati possano fare la Comunione dovrebbe essere capovolta. Come può la Chiesa arrivare in aiuto con la forza dei sacramenti a chi ha situazioni familiari complesse?»
 
Lei cosa fa personalmente?
 
«La Chiesa è rimasta indietro di 200 anni. Come mai non si scuote? Abbiamo paura? Paura invece di coraggio? Comunque la fede è il fondamento della Chiesa. La fede, la fiducia, il coraggio. Io sono vecchio e malato e dipendo dall'aiuto degli altri. Le persone buone intorno a me mi fanno sentire l'amore. Questo amore è più forte del sentimento di sfiducia che ogni tanto percepisco nei confronti della Chiesa in Europa. Solo l'amore vince la stanchezza. Dio è Amore. Io ho ancora una domanda per te: che cosa puoi fare tu per la Chiesa?».

A LEZIONE DAL CARDINAL MARTINI...NELLA LINGUA DI TUTTI!

Dopo una lunga vita spesa a farsi eco della Parola di Dio, era rimasto quasi senza parole. Quando gli ultimi suoni che dovevano esserci consegnati – puri respiri, quasi – sono stati consegnati, il cardinale Martini ha consegnato anche lo spirito. L’ha consegnato a Dio, certamente. Ma tutte le sue parole, fino all’ultimo respiro, le ha prima consegnate a noi. Che cosa ci dicevano queste parole? E chi le eredita? E come deve fiorire il seme, ora che ha assolto il suo compito fino a nascondersi nella terra e morire?

Le sue parole dicevano, alla fine, una cosa sola: che c’è una sola Parola veramente degna di ascolto. Non era ancora stata così semplice e così possente, nei tempi della nostra giovinezza, questa primavera della Parola di Dio. Negli anni del nostro indecifrabile scontento, del nostro conflitto civile, delle nostre nevrosi ecclesiogene, questo primato dell’ascolto della Parola sull’eccitazione dei nostri progetti rivoluzionari, ci arrivò – in un primo momento – come una pietra lunare. E poi, poco a poco, si fece domestica. Incominciò a insegnarci la differenza fra la paura e la fede. Fra il giudizio degli uomini e il giudizio di Dio. Fra la stizza per il nostro sentirci abbandonati ai giochi delle potenze mondane, e la conquista di una indomabile determinazione a custodire la fede che vince il mondo. Amandolo, persino. Di fronte alla persuasiva suggestione di questa fiducia incrollabile nella Parola di Dio, alcune coscienze stravolte dalla convinzione di dover consegnare all’odio e alla violenza la regìa di una storia diversa, consegnarono – letteralmente – le armi. E molti, che avevano archiviato lo smarrimento di Dio, imparando a convivere con il vuoto, si persuasero di poterne parlare di nuovo.

Il primo erede delle parole di Carlo Maria Martini è, di diritto, la Chiesa. Nessuno, meglio della Chiesa, sa che cosa fare di questa eredità, e con questa eredità. La Chiesa, custode della Parola di Dio, discerne la sua tradizione. E sa che c’è un solo Maestro. Anche questo rispetto e questa obbedienza ecclesiale ereditiamo da Martini. La parola “discernimento” è diventata famosa proprio come una cifra caratteristica del suo insegnamento. Essa rimanda, per definizione, alla necessità di non farci presuntuose controfigure dell’autorevolezza della Parola di Dio, fronteggiando la Chiesa. Noi siamo parte, affettuosa e solidale, del discernimento della Chiesa. Non lo rendiamo più difficile, lo agevoliamo con le mille risorse dell’intelligenza di agape (1Cor 13, 4–13).

Ma l’eredità che la Chiesa riceve dai suoi servitori fedeli non è un geloso possesso, un orgoglioso sequestro. Molti uomini e donne proprio questo impararono dallo stile evangelico e umano di Martini. Furono colpiti con loro sorpresa dall’immagine di una Chiesa che non è avara dei suoi beni, a cominciare proprio dalla Parola di Dio. Impararono – e noi fummo costretti a ricordare – che la Chiesa non ha bisogno, né intenzione, di proteggere la Parola di Dio affogandola nel gergo di un linguaggio esoterico. Scoprirono che, dalla Pentecoste sino ad ora, l’autentica predicazione cristiana si fa intendere nella lingua di ciascuno. E dunque tutti possono rendersi conto che c’è, per ciascun essere umano, una Parola buona di Dio.

Questo ci basti, per dire una buona parola – una benedizione – su questo vescovo della Chiesa, e fratello nostro, che ha faticato al “remo della parola” di Dio (Lc 1, 2), fino a quando non ebbe finite le parole per insegnarcele. Le nostre parole, passano e muoiono, come devono. La Parola di Dio, però, se ne riscalda e vive. (Caro Cardinale Martini, tu sai che io sono stato il tuo teologo arruffaparole, al confronto con te, impareggiabile narratore della Parola. Eppure, non mi hai mai tolto la parola. Dio sa se non è un buon esempio di agape, questo. Dio ti benedica, indimenticabile fratello vescovo).
Pierangelo Sequeri

IL CARDINALE CARLO MARIA MARTINI:UN RICORDO.

È stato un riferimento per molti, anche nella Chiesa il cardinale Carlo Maria Martini. Soprattutto per il suo coraggio e per la sua libertà, alimentata dalla forza del Vangelo, di parlare all’uomo contemporaneo. Da qui anche la sua fedeltà al Concilio Vaticano II e la sua capacità di guardare con fiducia al futuro. È il biblista che si fa pastore e profeta. Così lo ricorda monsignor Luigi Bettazzi, vescovo emerito di Ivrea e uomo del Concilio.

Monsignor Bettazzi, come risponderebbe a una delle ultime domande poste dal cardinale Martini: perché la Chiesa ha paura di avere coraggio?

«Perché cercando di incarnare il Vangelo nelle situazioni storiche che è un suo dovere troppo spesso si è rimasti fermi al passato. Quando il Papa era anche re, si dava un’impronta alla Chiesa adatta a quei tempi, ma non certo all’oggi. La Chiesa invecchia quando perde il rapporto con la storia che muta. Per questo Giovanni XXIII ha voluto un Concilio Vaticano II pastorale e non dogmatico. Che aiuti la Chiesa a camminare con la gente. Forse abbiamo avuto paura che ciò portasse ad eccessivi rinnovamenti e tutti assieme gerarchia e popolo di Dio abbiamo avuto paura ad andare avanti. Questo avrebbe richiesto una purificazione dei nostri modi di pensare e di agire che forse richiedevano troppo sacrificio. A questa purificazione e al superamento di certi modi del passato ci ha chiamato il cardinale Martini, lui così radicato nella Parola di Dio, da sentire quanto forte fosse il richiamo a viverla nel nostro tempo».

Cosa è stato per lei?

«Un punto di riferimento. Non ho avuto molte occasioni di contatti personali con lui. Era un uomo di grande levatura, sia per la sua profonda conoscenza delle scritture, che per la sua preparazione. Sapeva illuminare le situazioni. Ho avuto modo di frequentarlo negli ultimi tempi a Gallarate, quando gli abbiamo presentato un progetto di rilancio del Concilio. Abbiamo trovato una certa consonanza, una simpatia. Durante uno di questi incontri mi ha chiesto di presiedere l’eucarestia familiare. Lo ricordo con molta commozione e gratitudine».

Cosa è stato per la Chiesa in Italia?

«Lo ripeto. Un punto di riferimento. L’insieme della Chiesa ufficiale gli riconosceva la sua grande personalità. Ma restava molto legata all’idea della tradizione come continuità da conservare. In latino tradere vuole dire trasmettere, quindi saper rinnovare i principi forti secondo le situazioni di un mondo che si sviluppa. Come dicevano gli antichi: nelle cose necessarie bisogna essere uniti, in quelle opinabili liberi, purché in tutte ci sia la carità. Era questo lo stile di Martini: da una parte l’attenzione alla Bibbia e dall’altra il dialogo con “la cattedra per i non credenti”. Il rinnovamento che cercava di vivere nella sua diocesi a Milano, non poteva non diventare motivo di attenzione per il resto della Chiesa. Il dialogo con i non credenti, ad esempio, che allora creò scalpore, alla fine è stato riproposto da papa Benedetto XVI all’incontro di preghiera per la pace tra le religioni tenutosi ad Assisi lo scorso anno. Ha voluto che ci fosse anche un non credente».

Ma intervenendo nel 2005 alla riunione dei cardinali che precedette l’elezione del successore di Giovanni Paolo II ha posto con chiarezza l’esigenza di un rinnovamento nella Chiesa...

«Non da candidato al pontificato. D’altra parte era già malato. Pare che abbia invitato tutti i porporati a votare per Ratzinger, chiedendo però al futuro Benedetto XVI di impegnarsi per il Concilio, per la collegialità e per l’ecumenismo. Sono i punti che il nuovo Papa affronterà nel suo primo discorso dopo l’elezione al Conclave. Quando due anni fa Martini si è recato in udienza dal Papa, non avrebbe parlato della successione alla diocesi di Milano, ma posto l’esigenza di un rilancio del Concilio a 50 anni dalla sua apertura».

Ha avuto ascolto...

«Non poteva non averlo. Poneva le sue idee con moderazione. Ed anche chi divergeva da lui, non poteva non guardare alla sue idee. Non poteva ignorare che nascevano da un uomo profondamente radicato nella parola di Dio. Una parola che, ci ha aiutato a capire, non è un deposito delle verità di fede, ma l’invenzione di Dio per metterci a tu per tu il popolo antico e quello nuovo composta da ciascunodinoi-conLui. E se sei“atupertu con Dio” hai la forza anche per sacrificare modi di valutare le cose che in passato potevano essere utili alla Chiesa, ma che oggi non lo sono più. È così che può parlare al cuore del tempo e quindi anche ai giovani, con le loro sensibilità e mentalità diverse dalla nostra. Lo chiede il Concilio che con il documento sulla Chiesa pone con nettezza la centralità del popolo di Dio nella Chiesa. Il laicato, prima di di dover obbedire alla gerarchia, deve vedere questa mettersi al suo servizio».

Sono stati punti fermi per Martini...


«...Che non chiese mai la convocazione di un Concilio Vaticano III. Sapeva bene che vi era il rischio che si mettessero in discussione punti importanti del Vaticano II. Quello che ha chiesto è che su alcuni punti particolari, come la sessualità, la bioetica, la pastorale dei divorziati e sui punti oggi caldi per la Chiesa tutti i vescovi del mondo venissero a Roma per decidere con l’autorevolezza del Concilio e con il Papa. Sarebbe il modo di vivere la collegialità superando i limiti dei Sinodi».

Saranno accolte queste richieste poste da un profeta che ha avuto la libertà di guardare oltre?

«Me lo auguro. A volte i profeti da morti hanno più influenza che da vivi. Direbbe Martini: è il principio evangelico, quello del frutto di frumento che in terra se vive resta solo,se muore dà molto frutto>>.

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