domenica 17 febbraio 2013

IL NUOVO PAPA NON SARA' MIGLIORE!!

«I Cardinali creati da Wojtyla e Ratzinger sono tutti conservatori, chiusi nella tradizione identitaria e impauriti dal nuovo. Ci penseranno gli eventi del mondo a cambiare la Chiesa». Parla il Moderatore dei valdesi Eugenio Bernardini
( “Espresso” del 12 febbraio 2013)
Eugenio Bernardini Una Chiesa Cattolica «più trasparente e democratica», capace di meglio interpretare le esigenze di rinnovamento in campo etico e nei costumi sessuali dei fedeli. Un Papa più abile nel governo della Curia e che al contempo «costruisca ponti, invece di erigere muri». E’ di questo che avrebbe bisogno il Vaticano nel dopo-Ratzinger, dice a ‘l’Espresso’ il pastore Eugenio Bernardini, dall’agosto 2012 Moderatore della Tavola valdese (l’organo esecutivo dell’Unione delle chiese metodiste e valdesi). Sposato, tre figli, il papa valdese – massima autorità esecutiva ma non spirituale, riservata al Sinodo – è tuttavia scettico sulle reali possibilità di cambiamento alla guida dell’universo cattolico. A partire dal prossimo Pontefice. Che, afferma, rientrerà nel solco della difesa dell’identità e tradizione tracciato da Benedetto XVI.

Pastore Bernardini, come giudica il papato di Ratzinger?

«E’ sempre stato più uomo di studio che di governo, e quindi il suo ruolo come Pontefice ha sicuramente avuto questa caratteristica: molto insegnamento, anche da quella posizione, molti interventi sul piano del dialogo con la cultura moderna, con le altre religioni, l’Islam in particolare. Sempre con posizioni piuttosto ruvide, franche, aperte. Perché ha sempre dichiarato quello che pensava, che riteneva giusto. Ha continuato cioè a svolgere, anche come Papa, il suo servizio più efficace: quello che ha svolto come Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede per tanto tempo prima di diventare Papa».

E sul piano del governo della Chiesa?
«E’ evidente che ha avuto molte amarezze, difficoltà. Non è riuscito neppure a iniziare quello che aveva in programma di fare. Tutto quello che ora si può pensare è che, a parte i problemi di salute molto comprensibili, nella sua scelta ci possa anche essere stato l’elemento dell’amarezza per questa difficoltà di governo. Mi sembra un’ipotesi più che comprensibile e attendibile».

E’ mancata a riforma della Curia?
«Non è riuscito nemmeno a iniziarla. Nel suo periodo non c’è stata più trasparenza, sono aumentati gli scontri. E’ stata una difficoltà di governo vera e propria. Sicuramente i problemi derivanti sia dalla crisi dello Ior, le polemiche sulla pedofilia in tutto il mondo hanno inciso. Però credo che proprio sul piano del governo della Chiesa, specifico del servizio del Pontefice, ci siano stati i problemi più grossi per lui.

Da questo punto di vista come si può rileggere la scelta di Ratzinger, in un momento storico come quello che stava attraversando la Chiesa al momento della sua elezione? Si sapeva che tipo di personalità avesse.
«Chi conosce veramente quello che accade negli equilibri interni del Conclave, l’alta dirigenza Cattolica, sa che in realtà queste nomine sono sempre frutto di mediazione. In fondo le sorprese le abbiamo avute noi e penso le abbiano avute anche le gerarchie cattoliche nella nomina degli ultimi papi. Ci si aspettava alcune cose, ne sono venute fuori altre. Il lungo papato di Wojtyla, Giovanni Paolo II, sicuramente ha sorpreso moltissimi, anche quelli che lo avevano eletto. E credo ugualmente sia successo con Benedetto XVI. Le attese forse erano altre, i risultati sono stati un po’ sorprendenti, nel bene e nel male.

Pensa che questo Papa abbia saputo interpretare le esigenze di cambiamento nella morale e nei costumi sessuali provenienti anche dai fedeli?
«Penso proprio di no. Ha rappresentato la tradizione, nel senso più preciso del termine. Anche se questo suo gesto, le dimissioni, motivate per essenzialmente motivi di salute, è forse quello di massima apertura alla modernità. E’ cioè il riconoscimento della fragilità umana, della necessità che per governare bisogna essere totalmente presenti a se stessi. Se pensiamo a tutto il dibattito sul fine vita e non solo, e lo rapportiamo a quanto accaduto era accaduto nell’esperienza di Giovanni Paolo II, viene da dire che sicuramente il mondo moderno si sente più vicino a questa scelta di Benedetto XVI, piuttosto che a quella di Wojtyla, che fino alla fine ha continuato a reggere il suo servizio.
Fabio Chiusi.

UN CONSIGLIO

venerdì 15 febbraio 2013

FRANZONI:LA CHIESA? MONARCHIA ASSOLUTA!

Una riforma in nome della trasparenza, per avvicinare i fedeli alla Chiesa. Ne è convinto il teologo Franzoni, "dimissionato" dal Vaticano per le sue posizioni radicali in difesa dei poveri e contro il capitalismo. Oggi il problema non è l'addio di Benedetto XVI, ma il papato che definisce privo di partecipazione. 
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"Ci vuole un annuncio evangelico chiaro e per fare questo ci vuole una Chiesa più pulita, più trasparente”. E’ questa la Chiesa che ci si aspetta dopo il 28 febbraio, la Chiesa che serve i fedeli, per i fedeli di tutto il mondo. Ne è fermamente convinto Giovanni Battista Franzoni, classe ‘28, un teologo e scrittore “scomodo” che ha fatto scelte “estreme”, all’interno dello stato clericale...
“Una Chiesa che apra le finestre e lasci entrare aria nel palazzo – continua Giovanni Franzoni - Che discuta del sacerdozio femminile e dell’abolizione dell’obbligo del celibato, che esiste ancora oggi, perché non si vuole che i figli dei preti che pure ci sono, non possano ereditare. L’imposizione del celibato che c’è sul clero di rito latino non è di diritto divino, ma viene da una pratica che è stata diffusa, si insinua, soprattutto per motivi finanziari, perché non si voleva che il clero avesse figli legittimi che potessero ereditare. Ci sono state delle ampie indulgenze o tolleranze nei confronti del clero concubinario, cioè di preti che convivono con una persona, magari mascherata da segretaria o perpetua, con cui ha anche dei figli non legittimati. Questo è un problema vivissimo su due fronti, perché è contro la dignità della donna che è costretta a nascondersi, a nascondere il suo amore e il suo ruolo davanti al suo uomo, toglie dall’asse ereditario i figli perché li rende tutti illegittimi. In secondo luogo viola anche il diritto del prete che vorrebbe sposarsi ma se lo fa perde la parrocchia e poi fa la fame. Questo problema va discusso apertamente e non nei corridoi e dietro le quinte. Bisogna che la Chiesa accetti il dibattito”.

Per tutti i commentatori le dimissioni di Benedetto XVI sono state un gesto umile e coraggioso, per lei?
“Le dimissioni devono essere ricondotte nella loro dimensione di normalità. C’è un rigonfiamento del ruolo del Papa nel mondo che secondo me è eccessivo. Sia che la causa principale sia stata la salute che le tensioni, gli scandali più o meno occultati all’interno dell’istituzione del Vaticano o che siano state queste due cose messe insieme. Il tutto deve essere ricondotto ad una dimensione terrena. Il fatto più importante in questo momento non sono le sue dimissioni o di chi sarà il successore. Tutto ciò sta infatti occultando un punto centrale: il problema non è il Papa ma il Papato. Un’organizzazione istituzionale antiquata, dove non c’è partecipazione. Una monarchia assoluta, neanche costituzionale che va avanti per successore, neanche naturale, organizzata con il sistema cardinalizio. Una organizzazione che va riformata con la collaborazione del successore. Non dico che si debbano organizzare le primarie, ma delle forme partecipate sì. E ci sono già stati in questi ultimi anni, vescovi, cardinali e laici, maschi e femmine, che hanno chiesto maggiore partecipazione nel discutere le cose. Si sono fatti anche dei Sinodi in cui si sono discussi argomenti come il celibato ecclesiastico obbligatorio, ma le conclusioni del dibattito sono state lasciate al Papa che poi le ha messe in un cassetto. Bisognerà vedere se il successore, conservatore o progressista che sia, se sarà disponibile ad aumentare la partecipazione della base. In tanti hanno notato infatti che la Chiesa si sta svuotando. Diminuisce sempre più il numero dei preti, quelli che ci sono non sempre si comportano bene, e diminuisce sempre di più la partecipazione dei fedeli alla vita della chiesa. A parte le manifestazioni con i papaboys e le grandi manifestazioni oceaniche, infatti la partecipazione al culto, al domenicale sta diminuendo di continuo. Le chiese si stanno svuotando perché manca l’interesse, il coinvolgimento.

Una crisi su due fronti, quello partecipativo e quello politico-istituzionale, se pensiamo agli ultimi scandali Vatileakes, la questione dei preti pedofili, lo Ior...
Sì, tra l’altro c’è chi sussurra che stia per esplodere un altro scandalo, che lega lo Ior al Monte dei Paschi. Pare che infatti dietro la crisi dell’Mps ci sia l'Istituto per le opere di religione. Qualcuno ha insinuato però che prima che esploda il Papa abbia preferito lavarsene le mani. Ratzinger ha tentato in tutti i modi di riformare la banca vaticana, deponendo il direttore, ad esempio.

Un bilancio dal suo punto di vista: cosa pensa del papato di Benedetto XVI?
Non sono stato un estimatore di Ratzinger. Quando si fece il processo per la beatificazione di Carol Wojtyla io testimoniai a sfavore. Che Giovanni Paolo II fosse una persona energica, importante e patriota, sí lo pensavo. Ma che fosse santo no. Mentre Wojtila operava il suo esecutore era Ratzinger, che allora era prefetto della congregazione della dottrina della fede. Dico questo per dire che se hanno fatto delle cose negative le hanno fatte insieme. Penso alla strage di teologi, decine e decine, come Stachelburg o Gutiérrez e tutte le donne che sono state suore, tutte falcidiate. Ratzinger è stato l’esecutore di tutto questo. Per non parlare dell’isolamento imperdonabile di Oscar Romero di cui Wojtyla fu responsabile. Altra cosa ancora è il fallimento del Banco Ambrosiano, l’assassinio di Calvi, le responsabilità gravissime di Marcinkus sul quale ci sono anche gravissime insinuazioni molto pesanti sulla scomparsa di Emanuela Orlandi. Tutto è da verificare, certo. Ma quando la procura di Milano chiese le rogatorie per potere interrogare Marcinkus, Giovanni Paolo II si è appellato alla extraterritorialità del Vaticano, salvando l’arcivescovo negli Stati Uniti. Una responsabilità gravissima. Per tutti questi motivi mi opposi
Eleonora Formisani

giovedì 14 febbraio 2013

I DUE PONTEFICI IN VATICANO

 

di Vito Mancuso, da Repubblica, 12 febbraio 2013

A partire da Pasqua la Chiesa cattolica avrà due papi, uno solo de facto, ma tutt’e due de iure? A parte il celebre caso di Celestino V e Bonifacio VIII alla fine del Duecento, una situazione del genere non si era mai verificata in duemila anni di storia, senza considerare che papa Celestino passò il tempo da ex-papa prima ramingo e poi imprigionato a molta distanza da Roma, mentre Benedetto XVI continuerà ad abitare in Vaticano a poche centinaia di metri dal successore.

Costituirà per lui un’ombra o una sorgente di luce e di ispirazione? Ovviamente nessuno lo sa, neppure lo stesso Benedetto XVI, il quale certamente è una persona discreta e assai rispettosa delle forme, ma il cui peso intellettuale e spirituale non può non esercitare una pressione su chiunque sarà a prendere il suo posto. Una cosa però deve essere chiara: a Pasqua non ci saranno due papi, ma uno solo, perché Joseph Ratzinger non sarà più vescovo di Roma ed essere papa significa prima di tutto ed essenzialmente essere “vescovo di Roma”….

L’inedita situazione determinata dalle dimissioni di Benedetto XVI è di grande aiuto per comprendere che cosa significa veramente fare il papa. Fino a ieri “essere papa” e “fare il papa” era la medesima cosa. Fino a ieri la persona e il ruolo si identificavano, non c’era soluzione di continuità, ed anzi, se tra le due dimensioni doveva prevalerne una, era certamente quella di “essere papa” a prevalere, facendo passare in secondo piano il fatto di avere o no le piene possibilità di poterlo fare. Tutti ricordano, ai tempi della conclamata malattia di Giovanni Paolo II, le ripetute assicurazioni della Sala stampa vaticana sulle sue condizioni di salute. Giovanni Paolo II non poteva più fare il papa, ma lo era, e ciò bastava. Prevaleva la dimensione sacrale, legata all’essenza, al carisma, allo status, all’essere papa a prescindere anche dal proprio corpo. E non a caso Giovanni Paolo II, quando qualcuno gli prospettava l’ipotesi delle dimissioni, era solito ripetere che «dalla croce non si scende». Benedetto XVI vuole forse scendere dalla croce? No, si tratta di altro, semplicemente del fatto che egli ha prima riconosciuto dentro di sé e poi ha dichiarato pubblicamente che il calo progressivo delle forze fisiche e psichiche non gli permette più di “fare il papa” e quindi intende cessare di “essere papa”. La funzione ha avuto la meglio sull’essenza, il ruolo sull’identità. Io aggiungo che la laicità ha avuto la meglio sulla sacralità.

Si è trattato infatti di una decisione laica, perché opera una distinzione, e laddove c’è distinzione, c’è laicità. La distinzione tra la persona e il ruolo introdotta ieri da Benedetto XVI con le sue dimissioni si concretizza in queste parole dette in latino ai cardinali: «Le mie forze, per l’età avanzata, non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero petrino». C’è un ministero, una funzione, un ruolo, un servizio, che ha la priorità rispetto all’identità della persona.

La parola decisiva nell’annuncio papale di ieri è però un’altra, la seguente: «Nel mondo di oggi». Ecco le sue parole: «Nel mondo di oggi per governare la barca di san Pietro è necessario anche il vigore sia del corpo sia dell’animo, vigore che, negli ultimi mesi, in me è diminuito». Nel mondo di ieri, fa intendere Benedetto XVI, la distinzione tra persona e ruolo poteva ancora non emergere e un Joseph Ratzinger indebolito avrebbe ancora potuto continuare a svolgere il ruolo di Benedetto XVI. Nel mondo di oggi, invece, non è più così. Io considero queste parole non solo una grande lezione di auto-consapevolezza e di laicità, ma anche una grande occasione di ripensamento per il governo della Chiesa. Le dimissioni di Benedetto XVI possono condurre a una riforma della concezione monarchica e sacrale del papato nata nel Medioevo, e riprendere la concezione più aperta e funzionale che il ruolo del papa aveva nei primi secoli cristiani?

È difficile che ciò avvenga, ma rimane l’urgenza di rimettere al centro del governo della Chiesa la spiritualità del Nuovo Testamento, passando da una concezione che assegna al papato un potere assoluto e solitario, a una concezione più aperta e capace di far vivere nella quotidianità il metodo conciliare. Non si tratta infatti solo delle condizioni di salute di Joseph Ratzinger che vengono meno. Occorre procedere oltre e giungere a porsi l’inevitabile interrogativo: “nel mondo di oggi” è in grado un unico uomo di guidare la barca di Pietro? Si obietterà che il papa non è solo, ma è circondato da numerosi collaboratori. Ma si tratta di collaboratori ossequienti, spesso scelti tra plaudenti yes-men e senza capacità di istituire un vero confronto e una serrata dialettica interna, condizioni indispensabili per assumere decisioni in grado di far navigare la barca di Pietro “nel mondo di oggi”. All’inizio però non era così. San Pietro aveva certamente un ruolo di guida nella prima comunità, come si apprende dal libro degli Atti, ma non esercitava tale funzione con potere assoluto, perché altrimenti non si capirebbe il concilio tenutosi a Gerusalemme verso l’anno 50 e l’aperta opposizione di San Paolo verso di lui nell’episodio di Antiochia.

L’annuncio papale di ieri è avvenuto nel contesto di alcune canonizzazioni, una delle quali riguardava i Martiri di Otranto, gli 800 cristiani uccisi dagli ottomani nel 1480 per non aver rinnegato la fede. Martirio è testimonianza. La tradizione della Chiesa però oltre al martirio rosso del sangue versato conosce il martirio verde della vita itinerante per l’apostolato e il martirio bianco per l’abbandono di tutti i propri beni. Nel caso di Benedetto XVI abbiamo a che fare con un martirio-testimonianza di altro colore, quello del riconoscimento della propria debolezza, della propria incapacità, del proprio non essere all’altezza. È la fine di una modalità di intendere il papato, e può essere la nascita di qualcosa di nuovo.

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Comunicato delle Cdb italiane sulle dimissioni del papa

Segreteria tecnica nazionale delle Comunità cristiane di base
c/o CdB di San Paolo  – Roma
segreteria@cdbitalia.it  - www.cdbitalia.it
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Le dimissioni del papa rappresentano un evento di carattere epocale e implicano perciò una diversa serie di valutazioni che richiedono tempo e ponderazione. Tuttavia non possiamo fare a meno di segnalare almeno un aspetto che ci sembra degno di attenzione e presente oggi in molti commenti sulla stampa mondiale. Il modo appropriato in cui l’annuncio è stato dato e la sede, ricca di significato, sottolineano la sfiducia del papa nei confronti della Curia vaticana e costituiscono un messaggio implicito al conclave che la sostituzione sia trovata al di fuori delle sue manovre.
Lungo sarebbe elencare gli elementi di crisi che hanno evidenziato una lotta sorda, all’interno della Curia, di cui si sono solo intravisti i contorni che vanno dalla finanza agli scandali che hanno riguardato diverse chiese locali ed ai problemi dottrinali. La lotta interna alle gerarchie vaticane assume un significato assolutamente dominante, rispetto alla quale il “papa teologo” sembra essersi voluto chiamare fuori con le sue dimissioni.
Sul piano dell’ideale evangelico poi, altre sono le valutazioni ed i sogni delle comunità cristiane di base: dal ritorno del papa al ruolo originario di vescovo di Roma, “la Chiesa che presiede nella carità” (S. Ignazio di Antiochia), con la rinuncia al centralismo monolitico Vaticano a favore di una ampia e diffusa collegialità nelle decisioni, fino ad arrivare ad un rispetto del pluralismo e della libertà dei figli e delle figlie di Dio riuniti in comunità locali vive e non in strutture puramente dispensatrici di sacramenti.
Le Comunità cristiane di base

martedì 12 febbraio 2013

Don Aldo Antonelli:IL PAPA E' UN ELETTO E NON UN CONSACRATO!

Diamo atto a Benedetto XVI di un gesto altamente significativo oltre che coraggioso. Il coraggio è patente: grazie a Dio (almeno in questo caso) l'attaccamento al potere non ha obnubilato la coscienza del dovere. Ma è ancor più interessante saper leggere nell'evento, veramente straordinario, la portata, diciamo, demistificatoria e desacralizzante della figura del Papa, sempre vista come una specie di "consacrazione" vita natural durante!
Si è voluto ipostatizzare la figura e la funzione del Papa all'interno di un ruolo "sacro", immune dai condizionamenti dell'età, della malattia e della salute. Ben venuto allora questo gesto a ricordarci che il papato è una "funzione" più che una "vocazione", una "elezione" e non una "consacrazione". C'è ancora un lungo cammino da percorrere per sottrarre il papato alla iconografia sacrale e riconsegnarlo alle dimensioni evangeliche del servizio.
A cominciare dallo stesso linguaggio che ancora negli anni del terzo millennio di cristianesimo continua a coniugare la figura del papa con il Voi Maiestatico e con appellativi che sono delle vere eresie. Per esempio il titolo di "Vicario di Cristo", che è quanto meno sconcertante. Nel diritto canonico la nozione di potestà vicaria è molto chiara. Mentre il potere delegato si può usare anche in presenza del delegante, il potere vicario si esercita in assenza di colui che esercita la potestà diretta e sovrana.
Dire che il papa è il vicario di Cristo pone i cattolici di fronte a un dilemma angosciante: o Cristo è presente nella Chiesa mediante lo Spirito e allora il potere del papa è praticamente nullo, o almeno strettamente amministrativo, oppure Cristo è assente dalla Chiesa, e allora sorgono gravi problemi teologici.

lunedì 11 febbraio 2013

DIMISSIONI

Apprezzamento per le dimissioni di Benedetto XVI. Si è superato l’immobilismo: il vescovo di Roma è vescovo tra gli altri vescovi. E’ necessario un nuovo corso nella Chiesa.
“Noi Siamo Chiesa” (NSC), dopo la  sorpresa e l’iniziale disorientamento per la notizia delle dimissioni di Benedetto XVI, esprime il suo vivo apprezzamento per la decisione del papa. La possibilità di dimissioni era stata più volte in passato auspicata dal nostro movimento insieme all’International Movement We Are Church, nella fase finale della  malattia di Giovanni Paolo II. Con esse si evita il pericolo di avere una Chiesa gestita di fatto da persone che parlano e decidono in nome del papa non più capace di esercitare le sue funzioni. E si demitizza la figura del papa, da una parte  vista  nell’umanità del suo vissuto di uomo, dall’altra  considerata come quella di un vescovo tra gli altri vescovi anche se con il compito di essere segno di unità per la comunità dei credenti nell’Evangelo di Gesù. Il tradizionale immobilismo delle norme e delle prassi nella Chiesa Cattolica è stato, in questo caso, positivamente superato. NSC auspica che si vada coraggiosamente e progressivamente in questa direzione anche in altre questioni, a partire dalla modifica della composizione del collegio elettorale del vescovo di Roma perché sia più rappresentativo della ricca e pluralistica realtà di tutto il popolo di Dio.
La decisione di Benedetto XVI fa anche riferimento alla situazione  in cui si trova attualmente la Chiesa davanti ai grandi cambiamenti sullo scenario delle culture emergenti, dei rapporti tra le  religioni e  tra i popoli. Questa consapevolezza ci sembra un fatto positivo. “Noi Siamo Chiesa” nei prossimi giorni esprimerà le proprie opinioni  sul pontificato di papa Ratzinger e sul nuovo corso che auspichiamo  il Conclave sappia avviare.
Roma, 11 febbraio 2013                                                 NOI SIAMO CHIESA

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