martedì 26 maggio 2020

Raymond Carver

"Le parole sono tutto ciò che abbiamo,
 perciò è meglio che siano quelle giuste."
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Proveniente da famiglia di umili origini, fin dalla giovane età Carver si barcamena tra le più disparate occupazioni, coltivando al tempo stesso una grande passione per la lettura e la scrittura. La sua vita ci insegna che non esistono scuse per dedicarsi ai propri talenti e inseguire i propri sogni. Come suggerisce la frase, infatti, Raymond Carver ha affidato il suo riscatto personale unicamente alle parole, riconoscendone il potere incredibile. 
Se la civiltà nasce e si costruisce sulla parola, abbiamo il dovere di interrogarci sul potere che essa esercita nella nostra vita. Parola che da una parte influenza il nostro modo di pensare e conseguentemente di agire, ma che è anche lo specchio di chi siamo e di come scegliamo di definirci agli occhi degli altri. Come dice la sociolinguista Vera Gheno, ognuno di noi è le parole che sceglie. “Conoscerne il significato e saperle usare nel modo giusto e al momento giusto ci dà un potere enorme, forse il più grande di tutti”.

martedì 19 maggio 2020

UN GIOVANE MONTALE ISPIRA LA NOSTRA RIPARTENZA

A galla di Eugenio Montale

Chiari mattini,
quando l’azzurro è inganno che non illude,
crescere immenso di vita,
fiumana che non ha ripe né sfocio
e va per sempre,
e sta – infinitamente.

Sono allora i rumori delle strade
l’incrinatura nel vetro
o la pietra che cade
nello specchio del lago e lo corrùga.
E il vocìo dei ragazzi
e il chiacchiericcio liquido dei passeri
che tra le gronde svolano
sono tralicci d’oro
su un fondo vivo di cobalto,
effimeri…

Ecco, è perduto nella rete di echi,
nel soffio di pruina
che discende sugli alberi sfoltiti
e ne deriva un murmure
d’irrequieta marina,
tu quasi vorresti, e ne tremi,
intento cuore disfarti,
non pulsar più! Ma sempre che lo invochi,
più netto batti come
orologio traudito in una stanza
d’albergo al primo rompere dell’aurora.

E senti allora,
se pure ti ripetono che puoi
fermarti a mezza via o in alto mare,
che non c’è sosta per noi,
ma strada, ancora strada,

e che il cammino è sempre da ricominciare.
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 È una delle prime poesie di Eugenio Montale (1896-1981), datata 1919, scritta mentre era allievo ufficiale al 158º Reggimento di Fanteria Liguria. Una poesia che nasce dai sentimenti di amore/amicizia di Montale per Anna degli Uberti, e per certi aspetti ne segna l’allontanamento. Una poesia non molto conosciuta, rispetto ad altre le opere del grande poeta italiano.
Ciò che colpisce della poesia è che sembra scritta per raccontare i giorni che stiamo vivendo in questo periodo di pandemia da Coronavirus. “A galla” è una svolta generazionale, una svolta epocale: “il cammino è sempre da ricominciare” afferma il poeta alla fine della poesia.
Una poesia che se letta bene è uno stimolo motivazionale. Stiamo tutti per ripartire con le abitudini che avevamo, per tornare a lavorare, per incontrare gli amici, per poter scegliere liberamente dove andare, per viaggiare.
Nel testo di “A galla” la mattina è come un universo liquido nel quale il poeta è immerso, anzi meglio galleggia mentre tutto intorno trascorre la vita. Si fluttua sospesi nel tempo, ma non è consentito rimanere fermi nel momento, sostare nell’attimo. L’inquietudine ci spinge continuamente, ci sprona a riprendere il viaggio, a ricominciare, diventando nostra alleata e non nostra nemica.

lunedì 18 maggio 2020

Ezio Bosso: “Io li conosco i domani che non arrivano mai”

Un saluto speciale e particolare a Ezio Bosso usando un suo stesso eccezionale, fra gli altri, dono, quello della scrittura. Esattamente un mesa fa, sulla sua pagina Facebook, il compositore aveva postato una riflessione su quanto stava accadendo. Una poesia sulla fragilità della vita, sull'incertezza del domani, sulla possibilità di rinascere quanto tutto sembra perduto. La sua sensibilità straordinaria, la sua capacità di cogliere i suoni e le vibrazioni del mondo e del cuore umano, non saranno cancellate e continueranno a vivere nella sua musica e nelle parole che ci ha lasciato.
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Io li conosco i domani che non arrivano mai
Conosco la stanza stretta
E la luce che manca da cercare dentro

Io li conosco i giorni che passano uguali
Fatti di sonno e dolore e sonno
per dimenticare il dolore

Conosco la paura di quei domani lontani
Che sembra il binocolo non basti

Ma questi giorni sono quelli per ricordare
Le cose belle fatte
Le fortune vissute
I sorrisi scambiati che valgono baci e abbracci

Questi sono i giorni per ricordare
Per correggere e giocare
Si, giocare a immaginare domani

Perché il domani quello col sole vero arriva
E dovremo immaginarlo migliore
Per costruirlo

Perché domani non dovremo ricostruire
Ma costruire e costruendo sognare

Perché rinascere vuole dire costruire
Insieme uno per uno

Adesso però state a casa pensando a domani

E costruire è bellissimo
Il gioco più bello
Cominciamo…

martedì 12 maggio 2020

CHI HA DETTO CHE QUESTA PANDEMIA CI AVREBBE RESO MIGLIORI?

Beppe Severgnini in “Corriere della Sera” del 12 maggio 2020
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Da dove arriva tanta cattiveria? Una ragazza di 24 anni torna a casa dopo un anno e mezzo di prigionia in Somalia, uno dei luoghi più pericolosi al mondo. Silvia Romano, giovane milanese, torna in un’Italia affaticata da due mesi di pandemia e chiusure: una piccola luce in un periodo buio. Sembra impossibile non rallegrarsene. Invece in tanti — nei social, in televisione, sui giornali — sono riusciti a trasformare il sollievo in litigio. Il dolore di questi mesi non ci ha insegnato niente? L’abito islamico? Il nuovo nome? La conversione? Non sono scelte provocatorie, come sostiene qualcuno. Non sono neppure scelte, come ritiene qualcun altro. Per adesso sono decisioni ingiudicabili. Impongono silenzio e pazienza: capiremo. Gli smargiassi che in queste ore gridano e giudicano, probabilmente, tremano di paura al pensiero di restare chiusi in ascensore. Non possono neppure immaginare cosa significa rimanere prigioniera di un gruppo terroristico islamista. Per un anno e mezzo. Da sola. Addormentarsi ogni sera non sapendo cosa può accadere dopo aver chiuso gli occhi. La seconda meschinità contro Silvia Romano si può riassumere in cinque parole: «Doveva restare a casa sua». Chi gliel’ha fatto fare di andare in Africa?, chiedono in molti, scrivendolo dove possono. Guadagna così terreno l’idea che coloro che prestano aiuto umanitario in luoghi difficili del mondo siano soltanto poveri incoscienti. E lo Stato, quando sono in difficoltà, debba disinteressarsi di loro. Assurdo: e i medici in Africa? E i missionari? Padre Gigi Maccalli, prigioniero nel Sahel, va abbandonato perché ha scelto di aiutare il prossimo in Niger e non in provincia di Cremona, dov’è nato? Uno Stato degno di questo nome deve occuparsi dei suoi cittadini, qualunque scelta compiano. Anche quando questa scelta non fosse condivisibile. Ci sono attività sportive che non hanno alcuno scopo umanitario, ma rendono talvolta necessario il soccorso. Lasciamo sole quelle persone su una montagna e in mezzo al mare? Sarebbe interessante porre questo dilemma a qualcuno dei feroci censori di queste ore, chiedendo di immaginare che la persona in pericolo di vita sia un figlio o una sorella. Sarebbero altrettanto intransigenti?

lunedì 11 maggio 2020

QUANDO TUTTA LA MIA VITA E' FEDE

 Andare a messa era un obbligo sociale, come la buona educazione, salutare il vicino, e non sputare per terra. Non era necessariamente un atto della fede. Anche perché era un precetto ogni domenica e “feste comandate”, sotto pena di peccato mortale. Chi non andava a messa, era l'ateo, l'anticlericale, il
“mangiapreti” (espressioni significative, perché identificano clero e preti col cristianesimo). La messa sembrava un servizio pubblico indispensabile. Veniva servita nei modi e orari più comodi per tutti. Nelle grandi chiese, una messa dopo l'altra, come gli spettacoli del cinema. Si “prendeva” messa. L'importante – se ricordo bene - era arrivare prima della scopertura del calice (cioè l'offertorio) e non andare via prima del Pater noster. Altrimenti, la messa “non era valida”......
Il Concilio, e la storia (nella quale agisce anche Dio) hanno cambiato molto. Oggi sono cristiani quelli che hanno fede in Gesù Cristo, non soltanto chi pensa che Dio esista, da qualche parte. A messa ci vanno per fare come Gesù ha detto di fare, nel suo nome: prendere insieme il pane e il vino ad una mensa (non l'altare dei sacrifici) per donarsi gli uni agli altri, nella vita quotidiana, come Gesù ha fatto per tutti. La messa è per la vita, non la vita per la messa. Le chiese sono riunioni di credenti, non circoscrizioni del territorio. Non sono più piene come una volta, perché non ci si va per obbligo, ma per desiderio spirituale.
Certo, la vecchia mentalità permane, sostenuta da chi, nella società, ha interesse ad una religione che alieni dall'impegno morale e sociale e tenga sottomessi. Si è visto anche nella recente ardua trattativa chiesa-stato sulla ripresa delle messe dopo le chiusure generali per epidemia. Non si può fare feste, matrimoni, funerali, ma la messa è sembrata indispensabile, un diritto, tanto che si è vista impedita la libertà religiosa. Lo stato deve porre le condizioni per tutti i diritti, ma non è tenuto ad assicurare i servizi religiosi più dei trasporti pubblici.
I cristiani sanno tutto il valore dell'eucarestia, più dei funzionari, ma sanno che si vive di fede “in spirito e verità”, non in questo o quel tempio, non nei riti rassicuranti. L'eucarestia è grazia,  promessa, impegno di vita, ma non è un valore che si misura in quantità. Quando è impossibile per serie ragioni, come la tutela sanitaria, non manca la vita cristiana, se c'è la fede.
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Estratto da “www.finesettimana.org” di Enrico Peyretti

martedì 5 maggio 2020

Carl Gustav Jung

<<L’incontro di due personalità è come il contatto tra due sostanze chimiche; se c’è una qualche reazione, entrambi ne vengono trasformati.>>

La raffigurazione chimica di cui si avvale Jung per rappresentare l’incontro, ci avvicina a una verità profonda. Tutti, infatti, dobbiamo confessare di aver incontrato nella vita persone che ci hanno intimamente segnato. Non si allude soltanto a coloro che da quell’incontro sono usciti innamorati. Ci sono persone, infatti, che lasciano in noi una traccia indelebile, anche come amici, compagni o testimoni.  Da ogni incontro, non si esce del tutto indenni, “ma con una scia nell’anima”, commenta Gianfranco Ravasi su Avvenire. “L’importante è, però, non alzare uno schermo o lasciarsi avvolgere dalla nebbia della distrazione”.

sabato 2 maggio 2020

Covid-19 / “fase2” e la Cei

In questi giorni l’attenzione e la preoccupazione di tutti sono rivolte all’avvio della cosiddetta “Fase 2”, alla quale stanno guardando, con toni e sensibilità diverse, anche i rappresentanti delle varie comunità religiose.
I vescovi italiani sono intervenuti, la sera stessa delle comunicazioni del Presidente del Consiglio, con la dichiarazione “DPCM, la posizione della CEI” (26.4.2020).
Un testo breve e ruvido che suscita non pochi interrogativi. Come battezzati/e e come cittadini/e
sentiamo di dovere condividere con i Pastori e con la più ampia comunità ecclesiale le nostre forti
perplessità, che partecipiamo con altri che già hanno preso la parola.
• Il documento ha un tono perentorio e ultimativo che, da un lato, sarebbe più adeguato ad altre autorità che non ai vescovi, dall’altro, lascia trasparire una contrapposizione tra due poteri. In un momento così difficile, per non dire drammatico, nel quale si sta cercando il massimo della coesione sociale non crediamo che sia questo il giusto registro della comunicazione tra la Chiesa e lo Stato.
• Le questioni che il comunicato ha posto riguardano sia la Chiesa cattolica, sia tutte le confessioni cristiane, sia le altre religioni (i musulmani celebrano in questi giorni il Ramadan). Non poteva questa essere un'occasione di condivisione ecumenica e interreligiosa per un’elaborazione comune e per dare anche una forte valenza antropologica alle richieste? In questo modo abbiamo invece affermato che la nostra Chiesa vuole un'interlocuzione diretta ed esclusiva col potere politico.
• La “ripresa dell’azione pastorale” risulta essere stata una ragione presentata insistentemente nel dialogo con il Governo. L’affermazione presuppone che vi sia stata un’interruzione e che l’unica attività pastorale sia la celebrazione eucaristica. Come si deve valutare, perciò, l’attività di tanti presbiteri e di comunità che hanno preparato sussidi per le celebrazioni in famiglia? Le diverse attività di vicinanza telefonica ad anziani e malati? L’attività caritativa?
• Il comunicato taccia di arbitrio la decisione di escludere in questa fase la possibilità di celebrare messe con il popolo. Riteniamo che questa limitazione sia dettata dal “principio di precauzione” (v. n. 469 Compendio dottrina sociale della Chiesa) che deve guidare l’autorità costituita nell’affrontare, in questo caso, i rischi sanitari tuttora presenti.
• La CEI rivendica la “pienezza della propria autonomia” nell’”organizzare la vita della comunità cristiana, nel rispetto delle misure disposte”. In proposito ci domandiamo, da un lato, quando e come questa autonomia sia stata lesa da parte dello Stato, dall’altro, se realmente le nostre parrocchie, una volta concessa la possibilità di celebrare con il popolo, siano in grado di far rispettare (e da parte di chi) le “misure disposte” che, per salvaguardare la salute pubblica, riguardano tutti. Per avere un’idea delle precauzioni da mettere in atto basta consultare la “Proposta per una cauta ripresa in sicurezza delle celebrazioni religiose” elaborata dal gruppo di ricerca “Diresom” (https://diresom.net/ ) costituito in seno all’Associazione dei docenti universitari della disciplina giuridica del fenomeno religioso. 
Già altri sono scesi nel dettaglio di questa organizzazione, noi riprendiamo solo due domande: a che tipo di messa parteciperemmo? Non si rischia di snaturare gesti e segni, o di scadere nel ridicolo (distanza, numero chiuso, mascherine…), all’interno di un universo (la celebrazione) che si nutre di simbologia?
• Il documento sostiene sia “compromesso l’esercizio della libertà di culto”. Riteniamo che non sia affatto in discussione questa libertà o l’importanza della celebrazione eucaristica quanto l’opportunità di permettere una riunione religiosa, che in quanto tale è un assembramento come gli altri, e, quindi, va trattata di conseguenza.
• Infine, non si può sottacere il fatto che la chiusa del comunicato lascia la bocca amara per quel suo vago sapore di minaccia. Ci sembra difficile poter accettare che il servizio ai poveri si alimenti solo alla vita sacramentale in un contesto che mette a rischio la salute di tutti. Vogliamo sostenere che senza la partecipazione alla messa non siamo più in grado di servire i poveri? Ma non è anche nei poveri e nella Parola di Dio che incontriamo Cristo?
Per camminare in questo ultimo tratto di esodo crediamo che ci sarebbe molto più utile riflettere come Chiesa sulle esperienze fatte in questi due mesi per individuare nuovi percorsi di vita sacramentale ed ecclesiale. Per evitare che tutto resti come prima.
Parma, 29 aprile 2020
Associazione Viandanti - Consiglio Direttivo

Rete dei Viandanti (adesioni al 1.5.2020)
Associazione e rivista “Esodo” - Mestre (VE)
Associazione “il filo” - Gruppo laico di ispirazione cristiana – Napoli
Chicco di Senape - Torino
Comunità del Cenacolo – Merano (BZ)
Comunità ecclesiale sant’Angelo – Milano
Città di Dio. Associazione ecumenica di cultura religiosa - Invorio (NO)
Fine settimana - Verbania (VB)
Gruppo Davide - Parma
Gruppo Ecumenico Donne -Verbania (VB)
Gruppo per il pluralismo e il dialogo - Colognola ai Colli (VR)
Itinerari e Incontri – Fonte Avellana (PU)
Laboratorio di Sinodalità Laicale (LaSiLa) – Milano
Oggi la parola - Camaldoli (AR)
Rivista “Koinonia” - Pistoia
Rivista “il foglio” - Torino
Rivista “il tetto” - Napoli
Rivista “in dialogo” - Quarrata (PT)
Rivista “l’altrapagina” - Città di Castello (PG)
Rivista “Tempi di Fraternità” - Torino
Romanintornoallaparola - Roma

venerdì 1 maggio 2020

SI RINNOVA IL VECCHIO SCONTRO STATO-CHIESA?

INTERVISTA AL VESCOVO DI ASCOLI PICENO DI A.Zambrano su www.lanuovabq.it  del 16 Aprile 2020      ____________________________________
Monsignor Giovanni D’Ercole, vescovo di Ascoli Piceno, quando si tornerà a Messa?
È questa la vera domanda che tutti ora dobbiamo porci.
Quindi?
Spero presto, prestissimo, perché è il popolo a chiederlo.
Ha ricevuto richieste?
Tantissime dai miei fedeli, la mia esperienza quotidiana mi fa toccare il desiderio di tanta gente che vuole al più presto rientrare in chiesa.
Lei ha detto recentemente che non ha condiviso la sospensione delle Messe…
Nella mia diocesi non ho mai chiuso le chiese e ho voluto che i sacerdoti stessero vicino alla gente.  
Si può pensare a organizzare Messe che prevedano distanziamento sociale?
Sì, ma non mi addentrerei in discorsi tecnici di questo tipo, potete immaginare da voi stessi che cosa possa servire.
D’accordo, noi abbiamo avanzato già da tempo la proposta di Messe distanziate con servizio d’ordine, raddoppiate di numero e ridotte nel tempo di celebrazione…
Posso trovarmi d’accordo, ma ripeto, ora mi sta a cuore far passare un altro concetto.
Quale?
Io dico che la gente ha sofferto per non essere potuta andare in chiesa. Di questo bisogna tenere conto. Quello del culto è un diritto inalienabile e la sua libertà deve essere garantita.
La partita è in mano al governo, ma i vescovi dovrebbero fare pressioni. D’altra parte tutti stanno facendo pressioni per riaprire. Prenda gli stabilimenti balneari…
Mi auguro che la decisione di riaprire le chiese non sia del Governo ma sia della CEI, cioè nostra. Certo, ci deve essere un accordo tra Chiesa e Stato come è logico che ci sia, ma si deve arrivare al più presto a trovare le modalità per riaprire.
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LA RISPOSTA DI di Tonio Dall’Olio in “www.mosaicodipace.it” del 29 aprile 2020 
Mons. D'Ercole, dopo aver letto la sua intervista e seguito la sua esternazione in video circa le decisioni del governo di non consentire ancora le celebrazioni liturgiche con la partecipazione di popolo, non le nascondo che sono stato tentato a più riprese di scriverle una lettera per dirle quanti chilometri dista la sua visione di chiesa dalla mia. Poi mi sono imbattuto in una riflessione di don Tonino Bello, un vescovo profeta della nonviolenza evangelica e dei poveri. Non le sfuggirà di certo la sua testimonianza di fede e di vita dal momento che, ho visto, lei talvolta indossa una copia della sua originale croce pettorale. Mi sono deciso pertanto a dare la parola a lui: 
«Una Chiesa povera, semplice, mite. Che sperimenta il travaglio umanissimo della perplessità. Che condivide con i comuni mortali la più lancinante delle loro sofferenze: quella della insicurezza. Una Chiesa sicura solo del suo Signore, e, per il resto, debole. Ma non per tattica, bensì per programma, per scelta, per convinzione. Non una Chiesa arrogante, che ricompatta la gente, che vuole rivincite, che attende il turno per le sue rivalse temporali, che fa ostentazioni muscolari col cipiglio dei culturisti. Ma una Chiesa disarmata, che si fa "compagna" del mondo. Che mangia il pane amaro del mondo. Che nella piazza del mondo non chiede spazi propri per potersi collocare. Non chiede aree per la sua visibilità compatta e minacciosa, così come avviene per i tifosi di calcio quando vanno in trasferta, a cui la città ospitante riserva un ampio settore dello stadio. Una Chiesa che, pur cosciente di essere il sale della terra,non pretende una grande saliera per le sue concentrazioni o per l’esibizione delle sue raffinatezze. Ma una Chiesa che condivide la storia del mondo. Che sa convivere con la complessità. Che lava i piedi al mondo senza chiedergli nulla in contraccambio, neppure il prezzo di credere in Dio, o il pedaggio di andare alla messa la domenica, o la quota, da pagare senza sconti e senza rateazioni, di una vita morale meno indegna e più in linea con il vangelo» (don Tonino Bello, Natale i poveri esistono ancora, in Rocca, 15.12.1985, pag. 45-47)

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