Quella che sta per chiudersi è l’ultima assemblea Cei dell’era Bagnasco, nominato il 7 marzo 2012
da Benedetto XVI. Una conclusione drammatica, nella quale il presidente della conferenza
episcopale ha dimostrato che la chiesa italiana è ancora malata degli stessi mali che l’hanno fatta
apparire, nei giorni del conclave, la causa del disordine sistemico che aveva scosso il papato
romano...
La Cei è rimasta immobile, rimane immobile. Francesco nomina vescovi inattesi, dà e nega
le porpore con chirurgica precisione? Niente. Francesco fa un discorso a Firenze, in novembre, che
bolla come una eresia (pelagiana) il politicare politicante di molti anni? Niente. Francesco chiede di
entrare in stato sinodale? Niente. Francesco fa un discorso sul prete scalzo che sembra il ritratto del
missionario che vorrebbe nominare presidente della Cei del dopo-Bagnasco? Niente...
E così si apre la ricerca del nuovo presidente della Cei. Quello per intenderci che se farà due
mandati, arriverà all’Italia del 2027: quella dopo-Renzi, del dopo-Mattarella, del dopo-Europa, del
dopo-Francesco. L’uomo che dovrà ridestare la chiesa italiana e il suo episcopato dal torpore
brontolone in cui resta assorto...I vescovi dovranno cercarlo: e mostrare davanti alla chiesa, al conclave e al
Paese di saper andare oltre rimpianti e furberie, di saper vedere in modo sinodale le questioni di
fondo: il ministero di un cattolicesimo che ormai si affida al clero prodotto dai movimenti e da
questi “premarcati”; la penitenza in una chiesa che ha accettato anche il discorso sulla misericordia
pur di offrire soluzioni low-cost alla fatica del cammino della vita; la carità fatta con le proprie mani
e non con i fondi pubblici; la costruzione di culture e saperi in una chiesa dove l’iperdevozionalismo
si salda con un cristianesimo ridotto ad antidolorifico o a condimento del potere.
Fra un anno la Cei avrà un nuovo presidente: la decantazione dell’era Bagnasco finisce con frasi
goffe (nemmeno Pio XII domandò mai l’obiezione a celebrare i matrimoni civili che la chiesa
considerava turbe concubinato); ma apre per i vescovi un tempo per parlare, pensare, pregare, e poi
ancora pensare. Sarà un tempo breve e duro.
Estratto di Alberto Melloni in “la Repubblica” del 19 maggio 2016.
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