giovedì 19 maggio 2016

MALI DELLA CHIESA, MALI DELLA CEI: GUARIRANNO?

Quella che sta per chiudersi è l’ultima assemblea Cei dell’era Bagnasco, nominato il 7 marzo 2012 da Benedetto XVI. Una conclusione drammatica, nella quale il presidente della conferenza episcopale ha dimostrato che la chiesa italiana è ancora malata degli stessi mali che l’hanno fatta apparire, nei giorni del conclave, la causa del disordine sistemico che aveva scosso il papato romano...
La Cei è rimasta immobile, rimane immobile. Francesco nomina vescovi inattesi, dà e nega le porpore con chirurgica precisione? Niente. Francesco fa un discorso a Firenze, in novembre, che bolla come una eresia (pelagiana) il politicare politicante di molti anni? Niente. Francesco chiede di entrare in stato sinodale? Niente. Francesco fa un discorso sul prete scalzo che sembra il ritratto del missionario che vorrebbe nominare presidente della Cei del dopo-Bagnasco? Niente...
E così si apre la ricerca del nuovo presidente della Cei. Quello per intenderci che se farà due mandati, arriverà all’Italia del 2027: quella dopo-Renzi, del dopo-Mattarella, del dopo-Europa, del dopo-Francesco. L’uomo che dovrà ridestare la chiesa italiana e il suo episcopato dal torpore brontolone in cui resta assorto...I vescovi dovranno cercarlo: e mostrare davanti alla chiesa, al conclave e al Paese di saper andare oltre rimpianti e furberie, di saper vedere in modo sinodale le questioni di fondo: il ministero di un cattolicesimo che ormai si affida al clero prodotto dai movimenti e da questi “premarcati”; la penitenza in una chiesa che ha accettato anche il discorso sulla misericordia pur di offrire soluzioni low-cost alla fatica del cammino della vita; la carità fatta con le proprie mani e non con i fondi pubblici; la costruzione di culture e saperi in una chiesa dove l’iperdevozionalismo si salda con un cristianesimo ridotto ad antidolorifico o a condimento del potere. Fra un anno la Cei avrà un nuovo presidente: la decantazione dell’era Bagnasco finisce con frasi goffe (nemmeno Pio XII domandò mai l’obiezione a celebrare i matrimoni civili che la chiesa considerava turbe concubinato); ma apre per i vescovi un tempo per parlare, pensare, pregare, e poi ancora pensare. Sarà un tempo breve e duro.
Estratto di Alberto Melloni in “la Repubblica” del 19 maggio 2016.

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