Mentre l'Europa gioca allo scarica
barile e a chi si dimostra 'populista' costruendo muri e barricate,
c'è chi una vera soluzione l'ha trovata costruendo un ponte, un
corridoio dove poter far passare, senza nessun pericolo, un'umanità
distrutta e cacciata dalla guerra.
«I corridoi umanitari sono una
protesta contro la guerra, l’espressione di un’Europa che non
alza solo muri ma è capace anche di costruire ponti», ha detto ieri
il fondatore della Comunità di Sant’Egidio Andrea Riccardi
accogliendo a Fiumicino insieme al viceministro degli Esteri Giro, al
presidente della Fcei Luca Maria Negro e a Paolo Naso della tavola
valdese i rifugiati provenienti da cinque città siriane: Homs,
Damasco, Hama, Aleppo e Hassaka (più quattro dall’Iraq).
Abbiamo visto i loro volti in un timido
tentativo di intervista. Probabilmente non capivano completamente
tutto ciò che avveniva attorno a loro, ma la tensione che un
imprevisto potesse mettere fine al loro sogno, che continuiamo a
vedere nei tratti di quanti sbarcano in Grecia o a Lampedusa, era
sparita ed ora, finalmente, ci si poteva aprire ad una vita dove non
si deve fare i conti con la guerra e dove le persone malate possono
trovare cure adeguate.
La speranza adesso è che l’esempio
italiano possa essere imitato in Europa e che anche altri Paesi
avviino nuovi corridoi umanitari, aumentando così il numero dei
rifugiati accolti. «Saremmo lieti se lo facessero, l’Europa non
può essere una fortezza spaventata», ha aggiunto Riccardi. Quello
che è certo è che le tre comunità religiose non si fermeranno.
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