mercoledì 25 maggio 2016

GUARDARE IL MONDO PER PARLARE DI DIO

“Passando per un campo
Ho chiesto a un mandorlo:
Fratello mandorlo, parlami di Dio
Ed egli si coprì di fiori”
Non so di chi sia questa graziosa poesia, ma mi sembra che metta l’accento su un punto fondamentale: di Dio non si può parlare.
Lo si può mostrare, se ne può cogliere la presenza, ma non se ne può mai parlare, non come si
parla di un qualunque oggetto. Dio non è una cassapanca o una bolla di accompagnamento, di cui possiamo parlare in maniera oggettiva perché sono per l’appunto oggetti, separati da noi, che possiamo guardare e valutare dal di fuori.
Non si può nello stesso modo parlare di Dio perché non esiste un “fuori” da Dio, anzi Egli stesso,
se esiste, è la condizione di validità di qualsiasi discorso.
E tuttavia al tempo stesso di Dio si DEVE parlare, non si può farne a meno.
Proprio perché, volenti o nolenti, come dice S. Paolo, in Lui ci muoviamo ed esistiamo e dunque
non è possibile alcun discorso fuori di Dio.
Per parlare di Dio bisogna parlare delle cose. E dell’uomo.
Ed al fondo delle cose e dell’uomo troveremo Lui.
La realtà ci parla di Dio, l’uomo ci parla di Dio. Continuamente. La domanda vera è perché più
nessuno sembra intenderne il linguaggio.
Non so se venga prima il dubbio metodologico che ci ha fatti sospettosi di tutto ciò che esiste e delle nostre stesse percezioni o quell'irragionevole pretesa di piacere, che fa di noi bambini capricciosi e isterici, incapaci di vedere ciò che esiste al di fuori, attenti solo ai nostri bisogni che subito eleviamo a diritti, ma il fatto rimane: la realtà non ci parla più, il mondo non ci parla più, nulla ci parla, come meravigliarsi se non ci parla più neppure Dio?
Eppure la nostra vita è avvolta nel mistero.
E’ un mistero la nostra origine, perché sappiamo che vive in noi qualcosa che non è riconducibile
solo al gioco degli istinti, all'azione biochimica dei neuroni. 
Ed è un mistero il nostro destino, il futuro verso cui siamo incamminati, ciò che saremo, ciò che
siamo chiamati ad essere.
Eppure questo mistero fa sì che noi della nostra vita percepiamo solo il presente, che è un
frammento piuttosto piccolo, e la consapevolezza di questo limite stretto della nostra conoscenza
è ciò che chiamiamo senso religioso.
Il senso religioso è la consapevolezza del mistero, quella forza misteriosa che ci spinge sempre a cercare un Oltre. E’anche il presupposto di qualsiasi discorso su Dio. Come i cinque sensi sono il presupposto di qualsiasi discorso sul mondo.
Probabilmente la Nuova Evangelizzazione ha bisogno innanzitutto di questo: di far riemergere dal profondo dell’uomo il senso religioso. 
Non si tratta di vendere un prodotto, ma di condividere un mistero, di riaccendere un fascino, una nostalgia, un desiderio che a volte sembra sopito.
Per questo un ramo di mandorlo in fiore parlerà di Dio molto meglio di quanto io possa mai fare.
Per questo il modo migliore che ho per parlare di Dio è indicarlo.

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