martedì 31 gennaio 2017

I VESCOVI CONTRO TRUMP

I vescovi americani si ribellano al bando anti-islamici di Donald Trump che vieta l’ingresso negli Stati Uniti per quanti arrivano da 7 Paesi a maggioranza islamica. «Il mondo ci guarda mentre abbandoniamo il nostro impegno verso i valori americani», denuncia il cardinale di Chicago, Blaise Cupich. Il porporato intravede in quest’operazione discriminatoria «un’ora buia nella storia dell’America». Indigeste anche le eccezioni riservate ai cristiani e ad altre minoranze religiose del Medio Oriente, senza contare, continua Cupich, che la decisione di non inserire nel bando i Paesi di origine di 15 dirottatori responsabili della tragedia dell’11 settembre è alquanto strana mentre ha come obiettivo gli iracheni, «perfino quanti hanno assistito le nostre forze armate in una guerra distruttiva». Quella costruita dagli Usa è una «trappola», sintetizza Louis Raphael I Sako, Primate della Chiesa cattolica orientale a cui appartiene la maggioranza dei cristiani iracheni. «Queste scelte discriminanti - chiarisce - creano e alimentano tensioni con i nostri concittadini musulmani. I sofferenti che chiedono aiuto non hanno bisogno di essere divisi in base a etichette religiose. E noi non vogliamo privilegi. Ce lo insegna il Vangelo e lo ha mostrato anche papa Francesco, che ha accolto a Roma rifugiati fuggiti dal Medio Oriente sia cristiani che musulmani, senza distinzioni». L’ordine di Trump, a cui si lavorava da mesi - come ha rivelato ieri il Wall Street Journal - ha però anche (pochi) supporter: tra questi, il reverendo Franklin Graham, figlio del predicatore Billy Graham, un evangelico che da tempo denuncia «il cancro» dell’Islam e prima ancora di Trump aveva proposto il bando dei musulmani alle frontiere: «Dobbiamo essere sicuri - ha spiegato, difendendo le misure ordinate dalla Casa Bianca - che le loro filosofie in materia di libertà siano in linea con le nostre». Un modo di pensare, questo, che non aiuta a superare la paura, anzi. «Queste azioni - è il monito di Cupich - danno conforto a coloro che vorrebbero distruggere il nostro modo di vivere. Abbassano la nostra stima agli occhi di molti popoli che conoscono l’America come un difensore dei diritti umani e della libertà religiosa, non una nazione che ha come bersaglio le popolazioni religiose e poi chiude loro la porta in faccia. È tempo di unirsi per recuperare il senso di chi siamo e cosa rappresentiamo in un mondo che ha disperato bisogno di speranza e di solidarietà». 
Estratto da “Trentino” del 31 gennaio 2017

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