Non credo che ci sia molto da discutere
sul fatto che gli atti di terrorismo che hanno dilaniato la nostra
Europa in questi ultimi due anni non abbiano sicuramente fatto
crescere un'idea positiva e accogliente nei confronti di immigrati ed
extracomunitari. Le opinioni circolanti sono davvero discordanti e
variegate.
Potremmo avere anche avuto un'esperienza di vita positiva
e costruttiva, e forse affiancati dall'aiuto di amici, compagni di
lavoro e vicini di casa venuti da paesi lontani, ma i fatti di
Parigi, Bruxelles, Berlino e Istambul – giusto per citare i più
eclatanti e famosi – hanno fatto crescere paura, insofferenza,
rabbia e … revisionismo.
E allora basta accogliere, bisogna
espellere, meglio: “rimpatriare”, perché sono troppi. E
respingere affinché non avvenga quella sostituzione di popoli e la
razza venga salvaguardata. Sembra che sia nato un nuovo e unico
partito: quello della difesa del popolo. O meglio della razza!
E
anche di fronte al grande e terribile esodo di masse di esseri umani
che tentavano di salvarsi dal massacro, l'Europa è incapace non solo
di intervenire per salvare ma anche di dichiarare sentimenti a favore
di questa umanità sanguinante. Guidata da questa dilagante monocultura
l’Europa ha perciò cominciato a orientarsi non sul troppo orrore e
il sistematico sterminio dei bambini, ma il troppo delle persone che
cercano di arrivare, che muoiono in mare, che riescono a chiedere
soccorso. Soccorso negato. Barriere di filo spinato, attese che
durano mesi, in luoghi senza alcuna struttura o tentativo di
protezione, blocchi e distruzione persino degli accampamenti di
fortuna.
Come in un incubo, ci accorgiamo
all’improvviso che al posto di ciò che un tempo chiamavamo destra
e sinistra adesso si sono collocati due schieramenti: da una parte la
caccia all'immigrato (colpevole anche di portare malattie) e
l'importanza di parole come espulsione e “rimpatrio” degli
“irregolari” (nuovo modo di non usare la parola clandestino per
definire qualcuno che ti sta davanti in carne e ossa e vorrebbe dire
a qualcuno le sue ragioni); dall'altra la resistenza accanita e
isolata di un unico leader, il Papa, che tenta di accogliere,
proteggere, salvare i dannati.
A questo punto sembra l'unica scelta
politica possibile che rimanga sia solo una folle idea di
“rimpatriare” dove non ci sono patrie. Resta fermo il “no”.
Il partito della cacciata, del respingimento, del “che se ne
tornino ad Aleppo”, guadagna terreno. Una grande quantità di
persone e di leader si comporta come la popolazione polacca del
piccolo paese di Oswiecym, davanti ad Auschwitz. Non hanno mai visto
nulla.
A.B.
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